Margherite fresche
E quando
l’acqua pianse le sue lacrime con rabbia sui vetri della
finestra, quasi a
rendersi complice del suo dolore, non erano ancora le quattro del
pomeriggio.
“Più tardi forse”.
Erano cinque
giorni che non smetteva di piovere. Cinque giorni che continuava a
guardare
fuori dalla finestra palazzi, macchine, persone, facce, troppo distanti
per
definirne i tratti. Il tè, mezz’ora prima caldo e
fumante, era ormai congelato
nella tazza, stretta tra le sue mani; il profumo acre e dolciastro
dello
zenzero e della cannella costipava la stanza, racchiudendo lei in un
grumo di
sanguinanti ricordi.
“-Quello
zenzero e cannella?-“
“-Si,
lo sai che è il mio
preferito.-“
Quando era
lei a prepararlo veniva molto più buono, non se ne spiegava
il motivo. Guardò
le margherite fresche sulla sua scrivania; sua nonna adorava i fiori
freschi e
adorava averli sempre intorno, così ne comprava un mazzo
nuovo quasi ogni
giorno; quando era ancora a casa; quando era ancora viva.
“Più
tardi forse”.
Tornò
a
guardare fuori dalla finestra, facendo vagare lo sguardo da una persona
che combatteva per
riuscire ad aprire un
ombrello ostinato, ad un’altra riparata sotto un balcone, con
lo sguardo
rivolto al cielo plumbeo.
“-Vedi
tesoro? Quando sei triste e
piangi il cielo è triste e piange perché lo fai
tu. Quindi non essere triste o
pioverà fino a che non tornerai a sorridere.-“
“Oh,
scusami nonna, non volevo far
bagnare tutte quelle persone laggiù.-“
Nella sua
immagine riflessa le lacrime erano la pioggia sul vetro e i suoi occhi
due
pozze d’acqua grigia.
“Più
tardi forse”.
Come aveva
potuto pronunciare quelle parole così tante volte? Era paura
di vederla in
quello stato? Paura di capire nel suo sguardo qual era la
realtà?
“-Vieni
a trovarla in ospedale,
almeno oggi?-“
“-Più
tardi forse-“
Un mese. Due
mesi. E dopo, la morte. Era arrivata colpendole il petto, fracassandole
le
costole una ad una; stritolandole il cuore; la notizia sei giorni
prima, il
funerale il giorno dopo. Non aveva voluto vedere, non aveva voluto
sentire. Non
era andata a salutarla neanche quell’ultima volta, al
cimitero.
“-Stringimi
più forte
che puoi quando mi saluti e saprò quanto
mi vuoi bene-“
E lei lo
faceva. Le correva incontro e avvinghiandole il collo grinzoso e
profumato di
sapone la stringeva fino a farla urlare dal ridere.
“Più
tardi forse”.
Cinque
giorni di pioggia e silenzi. Continuando a guardare con occhi vacui
fuori vide
il fioraio del palazzo davanti raccogliere i vasi fioriti per
proteggerli dallo
scrosciare di tutta quella tristezza.
“-Buon
compleanno tesoro!-“
“-Nonna
quante margherite, grazie!
Sono tutte per me?-“
“Si,
piccola mia-“
“-Potrò
averle sempre? Ogni giorno un
mazzo nuovo in camera, come fai tu? Ti prego!-”
“-Certo
bambina. Per sempre-“
Posò
la
tazza sulla scrivania, guardò di nuovo fuori e poi di nuovo
le margherite. Si
alzò di scatto asciugandosi gli occhi con le dita; si
infilò la giacca e strappando
dal vaso una margherita fresca corse via dalla camera.
-Hey ma,
dove vuoi andare? Sta piovendo!-
Indicando la
finestra alla madre:
-No, ha smesso-
-Aspetta,
non vuoi aiutarmi? Stavo per fare un dolce…-
Superandola
aprì la porta di casa; guardò la madre un ultima
volta prima di chiudere la
porta e uscire:
-Più
tardi
forse-.