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Autore: XxMikuRuoXx    11/02/2012    1 recensioni
Cosa succederebbe se Reborn invitasse la famiglia Vongola in settimana bianca?
Fiction interamente dedicata alla 5918 (GokuderaxHibari) con Gokudera seme e Hibari uke. Voglio avvisare le D18, inizialmente la storia si concentra su un rapporto solo sessuale fra Dino e Hibari, che poi verrà eliminato per dar corda all'amore fra Gokudera e Hibari. Quindi, non vi piace la coppia? Then Keep Calm and Go GTFO.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: G, Hayato Gokudera, Kyoya Hibari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aprì le palpebre, tentando invano di spegnere quella dannata sveglia che con il suo allarme lo
aveva fatto destare all’improvviso.
Non era a casa sua, nella sua stanza familiare e sempre perfetta nel suo ordine; al contrario,
per la confusione che c'era in quella camera poteva dire di essere finito in un porcile.
Sbadigliò e cercò di mettersi subito seduto nonostante fosse ancora stordito dal sonno, fissando il muro giallastro
senza nessun pensiero particolare. Era di nuovo nella villa della famiglia Cavallone, di nuovo per lo stesso motivo.
 
Ormai si era abituato: in fondo era un evento che si ripeteva ogni volta, un qualcosa di abitudinario. Di monotono.
 
- Ohi, Kyoya.
Dino entrò nella stanza, rischiando di inciampare a causa della sua goffaggine – ancora.
Hibari gli lanciò un’occhiata disinteressata e si mise alla ricerca dei suoi vestiti, mentre l'altro poggiava sorridendo una tazza
di latte sul comodino. Il loro era un rapporto che si poteva definire muto, per quanto il termine fosse infelice. Le parole erano sempre sostituite da silenzi lunghissimi e, di notte, da urla e gemiti di piacere – semplicemente perché Dino non poteva farne a meno: aveva bisogno del sesso, ne era affamato; non per niente Hibari aveva di nuovo passato lì la notte.
Quando ebbe finito di raccattare i suoi abiti si sedette per rivestirsi, nessuna emozione che accennava a dargli il buongiorno, e lanciò un’occhiata fugace al latte lasciato sul comodino dal compagno.
- Non c'era bisogno che preparassi la colazione – sbottò, con un’acidità a cui l’altro aveva fatto l’abitudine – il loro rapporto non conteneva altro, più ci pensava più se ne rendeva conto -, riabbottonandosi rapidamente la camicia.
- Non posso lasciarti uscire a stomaco vuoto, non credi? – fu la risposta che gli diede Dino senza smettere di sorridere.
 
Sospirò e, una volta rivestito, si alzò, mettendosi al braccio la sua fascia di disciplinare. Hibari era fiero di quel titolo, lo portava con orgoglio ancora prima di diventare un mafioso, e fin da allora tutti lo temevano, perfino i professori. Tutti, eccetto quel biondo particolarmente eccentrico davanti a lui.
Infilò il giaccone per non soffrire eccessivamente il freddo del periodo natalizio e del gelo che avrebbe incontrato per la strada – alle sei di mattina la strada era ancora ricoperta di un sottile strato di ghiaccio, in fondo. Fu con un certo nervosismo che si accorse che non erano affatto le sei, e che quella mattina non si sarebbe potuto anticipare come era suo dovere fare in quanto disciplinare, ma che erano ormai le sette e trenta.
Fece per uscire di corsa per evitare almeno di finire in ritardo, ma Dino lo bloccò prima ancora che potesse aprire il portone d’ingresso.
 
- Aspetta, non hai ancora finito la colazione Kyoya!
Si sentì afferrare un braccio, ma subito si divincolò dalla presa con uno spintone.
Esitò pochi istanti, per poi dire solo: - Sono in ritardo.
Non attese nessuna risposta ed uscì di gran fretta dalla villa. Odiava andare a scuola all’orario prestabilito, lo stressava terribilmente, perché questa era costretto ad entrare insieme a tutti gli altri studenti, che con i loro modi ossequiosi ed impauriti non facevano altro che irritarlo. Ma soprattutto avrebbe rischiato di incontrare lui. Quel punk che probabilmente era tra i pochi che non lo temevano. Hayato.
 
Arrivò a scuola in orario, e fortunatamente non trovò nessuno nel cortiletto – probabilmente, con quel freddo, avevano preferito tutti quanti stare dentro. Entrò un po’ più rilassato nell’istituto e dentro trovò ad accoglierlo il preside e il vicepreside, che lo bloccarono per discutere con lui riguardo le vacanze che sarebbero cominciate il giorno successivo.
 
'Vacanze' pensò, pensando a quella parola con rassegnazione.
Non era sicuro che fossero così belle come tutti dicevano. Durante i periodi di vacanza Dino riusciva sempre a trascinarlo con sé in Italia; non che non gli piacesse lo Stato in sé, era pieno di posti bellissimi e il biondo lo portava sempre a visitare cose interessanti. Il problema era lo stesso Dino: sapeva già come sarebbe andata tra loro, e in viaggio non aveva molte scuse per sfuggirgli la sera.
 
Quando finalmente il preside e il suo vice lo congedarono si avviò per il corridoio che l’avrebbe condotto al suo ufficio, quando vide alcune figure che gli erano familiari. Purtroppo.
 
- Ah! Hibari-san!
Tsuna, accompagnato da Gokudera e Yamamoto si bloccò all'istante non appena si accorse della sua presenza, irrigidendosi per il nervosismo. Hibari rispose con uno sguardo che nel suo fastidio sembrava tagliente, squadrando Tsuna, Yamamoto e lasciando per ultimo Gokudera, che ricambiò la sua occhiata con un’espressione secca e corrucciata. Probabilmente aveva appena finito di discutere con qualcuno, non sarebbe stata una novità.
- Hibari-San... – lo chiamò di nuovo Tsuna, in un timido balbettio, quando si rese conto che il disciplinare non aveva intenzione di rispondere al primo richiamo.
Hibari, tuttavia, lo ignorò di nuovo e passò oltre, sorpassando il gruppetto per andare nel suo ufficio.
- Dannazione,ma perché deve essere così scorbutico? – sbottò Gokudera, sfogando tutto il suo nervosismo contro il ragazzo che se n’era appena andato.
- Bel problema... Chi lo invita ora? – chiese angosciato Tsuna, deglutendo terrorizzato al solo pensiero di una possibile risposta negativa da parte di Hibari.
- Potremmo mandare quest'idiota. Se lo uccide non sarà una grande perdita, juudaime – propose il punk, mostrando un ghigno mentre indicava Yamamoto, che tuttavia scoppiò a ridere senza preoccuparsi di ciò che stava rischiando, probabilmente senza neanche capirlo davvero.
- Credo dovrete fare a meno di me, oggi ho gli allenamenti.
- Come al solito ti riveli utile solo ad infastidire, idiota del baseball.
-  Gokudera-kun, non c’è bisogno di cominciare a litigare! – si intromise Tsuna, conscio che di problemi ce n’erano già abbastanza senza che Gokudera ci mettesse del suo.
 
Reborn aveva chiesto loro di invitare tutti i componenti della famiglia Vongola per una settimana bianca in montagna.
Con gli altri non aveva avuto problemi, specie per quanto riguardava Kyoko ed Haru: avevano accettato senza battere ciglio; anzi, sembravano perfino entusiasti. Il problema era trovare il modo e soprattutto la persona da mandare al macello per invitare Hibari.
 
-  Non mi ha nemmeno voluto ascoltare! Adesso come facciamo? – piagnucolò, scoraggiato da quei pensieri, mettendosi le mani fra i capelli; l’idea che Hibari potesse “morderlo a morte” per un invito del genere non accennava a lasciarlo, né a smettere di spaventarlo.
- Perchè non mandiamo Gokudera?
- Cosa?! – ringhiò l’albino, lanciando uno sguardo di fuoco a Yamamoto per aver osato fare una proposta del genere.
Tuttavia Tsuna parve approvare l’idea, perché, fissandolo con occhi imploranti, lo pregò: - Gokudera-kun, ti prego, convinci tu Hibari-San! Neanche io posso andare, ho ancora dei compiti da finire…
Era solo una scusa, in realtà Tsuna voleva solo andare a vedere la partita di Yamamoto e soprattutto liberarsi di quel fardello, ma le sue suppliche non ci misero molto a convincere Gokudera, che, pur pallido al pensiero di dover andare da Hibari, si rassegnò all’idea: preferiva correre lui quel rischio, piuttosto che lasciare a Tsuna un trauma infantile.
 
Più tardi, Gokudera si avviò verso l’ufficio di Hibari con un certo nervosismo. Aveva fumato più del solito per distendere i nervi e parlare il più serenamente possibile al disciplinare; non che lo temesse, aveva già parlato con lui, e poi era lo stesso Hibari che gli aveva salvato la vita tempo addietro, non riusciva ad averne paura – però aveva lasciato che Tsuna e Yamamoto lo credessero terrorizzato, perché quel nervosismo aveva ragioni che preferiva rimanessero ignote, visto che neanche lui le comprendeva del tutto.
Arrivato davanti alla porta dell’ufficio, vi si fermò davanti fissandola indeciso per un po’ prima di decidersi ad entrare, stando attento a non fare troppo rumore.
Fuori era ormai il tramonto, e sapeva bene che questa sarebbe stata la prima ed ultima occasione per poterlo convincere,  visto che la partenza sarebbe stata lo stesso indomani. Non fece in tempo a muovere un passo che Hibari si era già accorto della sua presenza, nonostante fosse seduto dandogli le spalle.
- Non ti conviene entrare nel mio ufficio – commentò con la sua proverbiale calma, senza nemmeno voltarsi a guardarlo.
Questi sospirò e, richiudendo la porta dietro di sé, si avvicinò senza abbassare la guardia, in un modo quasi ortodosso per rivolgere la parola a quello che era un suo alleato.
- Mh. Non che mi faccia piacere, in realtà.
Prese fiato e poggiò le mani sulla cattedra, leggermente teso, mentre Hibari lo guardava in attesa di spiegazioni.
- Non voglio girarci troppo attorno. Reborn ha organizzato una settimana bianca e siamo tutti invitati. Quindi se per cortesia puoi...
- Non mi interessa – lo interruppe l’altro.
- Perchè?!
- Non mi interessa – ripeté semplicemente in risposta, mettendo le mani dietro la testa a mo’ di appoggio - Perché mai dovrei venire con voi?
Sospirò, dandosi alcuni per ragionare. Come poteva allettare uno come Hibari, uno i cui interessi erano solo la scuola che dirigeva e la… Lotta?
Sorrise, conscio di aver trovato finalmente una buona carta da giocare.
- Va bene, va bene. Se tanto ti soddisfa... Potrei convincere qualcuno a lottare contro di te. Ma, per carità, vieni.
Finalmente, Hibari gli concesse di voltarsi verso di lui, anche se con un sorrisetto sadico dipinto in volto.
- In questo caso potrei farci un pensierino. Ma ora vattene subito o ti mordo a morte.
L'albino sospirò, ma si avvicinò alla porta senza fare storie, pur tentando di allettare ulteriormente l’altro: - Beh, sappi solo che ti procurerò senz’altro qualcuno contro cui lottare. In fondo abbiamo invitato anche il cavallo pazzo, quindi puoi stare tranqui...
Sussultò sentendo l'altro sbattere le mani sulla scrivania, e si voltò a fissarlo ad occhi sgranati.
- Vai fuori. Ora – gli ordinò cupo l’altro, senza fissarlo in volto.
Sospirò e, malgrado la sorpresa, non osò obbiettare: uscì immediatamente dall’ufficio e percorse a ritroso i corridoi che aveva attraversato per arrivarci. Poteva dirsi fiero di se stesso, perché era abbastanza sicuro di averlo convinto e soprattutto perché era uscito di lì senza dover scansare i colpi del disciplinare, ma non poteva fare a meno di chiedersi cosa diavolo gli fosse preso.
   
 
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