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Autore: Hullabaloos    12/02/2012    6 recensioni
"Ah, dimenticavo. Ecco l’unico momento in cui desiderai non aver mai incontrato Watson.
Quel giorno il dottore corse su per le scale con un piccolo pacchetto tra le mani. Si guardò intorno, frenetico. Poi il suo sguardo si posò su di me e si catapultò nella mia direzione. In un sussurro, a mo’ di scusa, mi spiego frettolosamente la situazione: il detective psicopatico era nel suo momento “astinenza da nicotina” ed era necessario nascondere da qualche parte la sua scorta di sigarette..."
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io ero un tipo noioso. Stramaledettamente noioso. Strano come il destino mi abbia preso per il culo. Se qualcuno avesse provato a raccontare la storia della mia vita, quel povero fesso rimasto ad ascoltare avrebbe annuito distrattamente per poi sbottare: “E chi se ne frega!”

Ecco, il destino, IL DESTINO sa essere proprio un grande stronzo. Possibile che la mia vita, se così si può definire, sia più interessante ora da morto che da vivo, posato sopra un caminetto, con tre centimetri di polvere addosso e con l’unico scopo di nascondere un pacchetto di sigarette dalle grinfie di un sociopatico iperattivo in astinenza da nicotina?

 

Ecco come vissi: nacqui, crebbi, mi sposai, uscii da un supermercato e fui investito. Fine. Diavolo, neanche la macchina era degna di nota, un anonimo catorcio di un qualche impiegato. Insomma, un’esistenza ricca di avvenimenti! Un’autopsia veloce e via, all’obitorio!

Per non so quanto tempo il mio corpo riposò in quel cubicolo ghiacciato. Beh, potevo considerarla una vacanza, visto che già da tre anni chiedevo a quel mentecatto del mio capo di lasciarmi qualche giorno di ferie.

Un giorno, una donna mi prelevò dal mio comodo giaciglio per consegnarmi nelle grinfie di quello psicopatico di Sherlock Holmes. E quella fu anche l’ultima volta che vidi il mio corpo. Senza più mani, salutai quel morto decapitato nell’obitorio. Bye bye, au revoir, auf wiedersehen!

Il sopraccitato squilibrato mi portò al 221B di Baker Street, la mia nuova casa. Non ebbi neanche il tempo necessario per giudicare la tappezzerie dell’appartamento che mi trovai schiaffato sul ripiano di un frigorifero. Diamine, un poco di gentilezza, imbecille!

Per fortuna, potei socializzare con altre parti del corpo intrappolate dentro l’elettrodomestico. Ricordo con particolare piacere la mano mozzata nel piatto accanto a me. Si lamentava sempre dello spesso strato di cellophane che l’avvolgeva e che impediva ai suoi pori di prendere aria. Avevamo avuto ottime chiacchierate, era dello Yorkshire, molto simpatica. Sospettavo anche che ci provasse con me. Non posso dire lo stesso del barattolo di pollici del ripiano di sotto che non faceva altro che urlare ai bulbi oculari vicini di smettere di fissarlo. Nervoso il ragazzo…

Dopo quella che parve un’eternità, il detective stramboide mi strappò dai miei nuovi conoscenti e dalla mia ragazza. Beh, quasi ragazza. Ma ero tanto così dal riuscire a convincerla a fare una passeggiata con me nella zona surgelati.

Comunque, torniamo a Holmes. Per qualche oscuro motivo, un’idea s’impossessò della sua testolina bacata: togliermi quella poca pelle che mi restava e farmi trasferire nuovamente.

Ed è così che mi stabilii nella mia attuale residenza: il ripiano sopra il caminetto. Non potevo lamentarmi: la vista era ottima, avevo una visuale a trecentosessanta gradi di tutto l’appartamento. Se solo quell’idiota si fosse ricordato di spolverarmi ogni tanto! Ma no, lui si ricordava di me solo quando aveva voglia di parlare! In quei momenti, mi prendeva tra le mani, mi rimirava per bene e iniziava un lungo dialogo, anzi, un monologo. Si trattava sempre di storie criminali, e che storie!

L’uomo sciorinava tante di quelle ipotesi, una più cervellotica dell’altra, con quella sua voce bassa e monocorde. Ogni racconto terminava con questo interrogativo: “Tu cosa ne pensi?”

Ehi bello, mia moglie in casa non mi faceva parlare, pensi che adesso, ridotto a un mucchietto di ossa, io possa risponderti?

Ovviamente, quella era sempre una domanda retorica, dato che ogni volta dalla sua bocca usciva subito una nuova mitragliata di astruse e complicatissime spiegazioni. Solo dopo che con il mio ascolto passivo l’uomo raggiungeva l’illuminazione, venivo finalmente posato sul ripiano fino al caso successivo.

Ohi, avrei voluto gridargli, non sono la tua puttana, capito??

Per ovvi motivi fisiologici, rimasi lassù zitto.

Iniziò poi il periodo dei coinquilini. Per qualche strano motivo, pareva che a Holmes non bastasse più la compagnia del sottoscritto. O Dio, non avrei mai pensato di dover ringraziare quello psicopatico per avermi offerto quella piccola tribuna sopra il focolare! Per qualche mese, fu un susseguirsi di poveri e ignari omuncoli e di scene esilaranti. I più tenaci duravano una settimana. Quello che credei l’ultimo prese baracca e burattini e se ne andò l’alba dell’ottavo giorno dopo aver bevuto quella che sembrava un’innocua tazza di latte. Mi sarei sbudellato dal ridere quando questo tizio scoprì che le cose non stavano proprio così. Peccato che io non abbia le budella, ahahahah! Suvvia, sono solo un povero teschio, concedetemi una battuta ogni tanto, no??

Comunque, da quell’incidente, la “fama” di Sherlock Holmes crebbe parecchio. Ero convinto che nessuno sciocco si sarebbe più avventurato nell’impresa di passare una sola notte sotto lo stesso tetto del famoso detective sociopatico di Baker Street. Mi sbagliavo.

Arrivò con addosso un maglione allucinante, quelli che i nipoti sono costretti a indossare di fronte a nonne alle prime prese con il cucito. Per il resto, non era nulla di straordinario: statura bassa, un poco tarchiato, andatura a metà tra un passo militare e quello di un gorilla, espressione flemmatica. Feci una scommessa con l’orologio poggiato qualche centimetro più in là. Io dissi una notte, lui cinque. Il giorno dopo persi due incisivi come penitenza. Merda.

La convivenza durò, contro ogni previsione. Il dottore superò ogni prova, perfino la strimpellata alle tre di mattina e lo scarico otturato da resti di mutilazioni umane. Mai avrei creduto che due caratteri così diversi fra loro potessero combaciare così perfettamente.

Devo ammettere con una certa vergogna che all’inizio provai una gelosia sconsiderata e irrefrenabile verso quel buffo individuo. Prima del suo arrivo, Sherlock stringeva la MIA di faccia, mica la sua! Proprio così! Prendeva la faccia di quel Watson, lo fissava dritto negli occhi e dava inizio al suo monologo contorto. E quello?? Non faceva che esclamare: “Fantastico” o, rara variante, “Incredibile”! Mi comportavo come una morosa tradita? Forse. Ma compatitemi: mi sentivo escluso dall’intera faccenda!

Ebbi però il tempo di rivalutare il dottor John H. Watson. Quel giorno ero particolarmente nervoso. Ero da qualche tempo dimenticato lassù, così tanto da essere ricoperto completamente da uno spesso strato di polvere. Da morto come da vivo, l’unica cosa che non sopportavo era la sporcizia. Stavo lì, meditando su come tornare dai miei amici nel frigorifero. Ero convinto che, nonostante il mio cambio di look, mi avrebbero riconosciuto subito.

D’un tratto, vidi quel bulldog del nuovo coinquilino entrare nel salotto. Indossava un maglione psichedelico, un’accozzaglia di rombi verdi, beige e gialli. Roba da far accapponare la pelle. Nel mio caso, per fortuna, rimasi semplicemente a fissare quell’usurpatore. Quello ricambiò il mio sguardo. Rimase lì impalato a fissarmi per chissà quanto tempo. E no, amico! Gli occhioni sbrilluccicosi funzionano sul sociopatico, non su di me!

Lentamente, quello si avvicinò al ripiano e, timoroso, mi prese tra le mani. Avrei voluto staccargli le dita a morsi. Improvvisamente, tirò fuori dal nulla un panno. Mi rivolse un sorriso timido. Lo sentii sussurrare: “Non preoccuparti, amico…”

E con delicatezza mi ripulì dalla sporcizia accumulati da mesi di inattività. Poi mi riposò al mio posto e, sempre con quel sorriso, se ne andò in cucina. Rimasi un po’ perplesso. Che fossi giunto a conclusioni troppo affrettate?

Iniziò così la mia rivalutazione sul dottore. Ora, ogni qualvolta il sociopatico attaccava con la  sua tiritera investigativa, Watson si alzava, mi rapiva dal mio luogo di osservazione per poi appoggiarmi sul tavolo su cui stava avvenendo la conversazione. E bravo il nostro dottore! Inconsciamente, aveva il potere di far innamorare tutti di sé.

Che altro potrei dire? Io, il teschio del 221B di Baker Street, mi sento completamente soddisfatto della mia vita.

 

Ah, dimenticavo. Ecco l’unico momento in cui desiderai non aver mai incontrato Watson.

Quel giorno il dottore corse su per le scale con un piccolo pacchetto tra le mani. Si guardò intorno, frenetico. Poi il suo sguardo si posò su di me e si catapultò nella mia direzione. In un sussurro, a mo’ di scusa, mi spiego frettolosamente la situazione: il detective psicopatico era nel suo momento “astinenza da nicotina” ed era necessario nascondere da qualche parte la sua scorta di sigarette.

Senza preavviso, mi sollevò e inserì dentro di me un oggetto estraneo. Ehi, avrei voluto ribellarmi, che cazzo stai facendo?? Questo nel mio paese si chiama invasione della privacy!

Se fosse stato possibile, avrei iniziato a sudare freddo e a battere i denti. Il peggio arrivò quando udii una voce roca e maliziosa provenire dentro di me.

“Davvero un posticino comodo qui dentro. Credo che ci divertiremo un mondo…”

… Dottor John H. Watson, un giorno me la pagherai molto cara. Forse.

   
 
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