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Autore: Athena1Arcadica    12/02/2012    1 recensioni
Questa è una fanfiction AU. Buffy lavora in un giornale ed un avvenimento spiacevole la porterà a conoscere Angel...
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Angel, Buffy Anne Summers, Dawn Summers, Willow Rosenberg
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1.

Il caffè sulla mia scrivania era ancora fumante nonostante il gelo di quei giorni. Mi allungai sul legno freddo appoggiando il viso contro il braccio piegato a mo’ di cuscino. Osservavo il fumo salire dalla mia tazza bianca. Si perdeva nell’aria senza alcuna paura. Non tornava indietro, non urlava che era troppo presto, non buttava via cinque anni di fidanzamento, no il fumo abbracciava l’aria.
Quel dannato fumo mi irritava, lo spazzai via con la mano. Gesto inutile, sbuffai guardando di nuovo il fumo tornare a salire insofferente. Nascosi il viso contro la scrivania. Non volevo piangere, non volevo soccombere, non volevo permettergli di farmi questo. Sentii qualcosa di bagnato scendere sulle mie guance, urlai di rabbia spostando il braccio per scaraventare quella dannata tazza fuori dalla mia vita.
Non volevo, ma lui aveva vinto ancora.
Piansi ogni goccia di dignità che avevo. A dispetto di quello che molti potevano pensare piangere non diminuiva il dolore, non lo rendeva più sopportabile, il dolore non si consumava, era lui a consumare me.
Spostai la sedia a rotelle della scrivania su cui ero seduta, ma le dannate ruote erano impigliate nel tappeto noveau su cui era poggiata. Una delle mie brillanti idee, mi alzai di scatto rovesciando la sedia sull’inutile tappeto. Lo abbandonai lì con la sua macchia di caffè, con la sua sedia rovesciata e con i pezzi di quel che restava della stupida tazza. Avrebbe dovuto raccogliersi da solo, esattamente come avrei dovuto fare io.
Mi trascinai scalza e intontita verso le scale, ma per quanto mi sforzassi di ignorare il fatto di essere ancora viva, intravidi la mia immagine nel vetro della portafinestra. Avevo la sua camicia addosso, la sua inutile camicia. Strappai i bottoni graffiandomi il petto nel tentativo di allontanarla da me il più velocemente e violentemente possibile. La gettai contro il vetro restando in intimo. Nuda ed inutile ecco com’ero per lui. Guardai il mio riflesso, quella non ero io.
Crollai in ginocchio. Quella nel vetro mi seguì accasciandosi a terra. Si accovacciò raccogliendo il suo inutile corpo. Sì lei era inutile e sarebbe rimasta lì a soffocare nel suo dolore fino alla fine. Lei, sola e inutile stupidamente si addormentò sperando di non risvegliarsi mai più.

   
 
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