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Autore: HappyCloud    12/02/2012    5 recensioni
Cecilia Molinari ha ventun anni, frequenta l'università a Verona e vive in simbiosi con un pesce rosso, l'unico componente della sua famiglia che la comprenda.
Matteo Maestri ha ventidue anni, frequenta l'università a Verona tra una partitella a calcio e un'altra e trascorre la propria esistenza cercando di sfuggire dalle grinfie di Gisella e Melissa.
Non si conoscono, nonostante s'incrocino quasi ogni giorno nei corridoi della Facoltà di Lettere. Ma se ci si mettono una festa in maschera, la strana proprietaria di un ancor più strano negozio e un orribile paio di scarpe, nessuno è al sicuro.
Una rivisitazione in chiave moderna e stravagante della fiaba di Cenerentola.
(Storia che avrebbe voluto partecipare al contest "Un mondo di fiabe" indetto da IoNarrante, ma che, come al solito, è arrivata in ritardo).
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In Her Shoes.




Capitolo I.


La sua città le era sempre piaciuta. 
A qualsiasi ora del giorno e della notte, ai suoi occhi, Verona conservava quell'aura magica e romantica che Shakespeare e il suo Romeo Montecchi avevano contribuito a farle apprezzare; l'Arena, piazza delle Erbe, palazzo Barbieri e il Castelvecchio erano solo alcuni dei luoghi che Cecilia non si sarebbe mai stancata di ammirare, con lo sguardo emozionato ed entusiasta di una bambina che osserva il mondo per la prima volta. 
Il suo posto preferito era la Casa di Giulietta, un palazzo medievale ormai completamente ristrutturato, con un cortile sempre colmo di turisti, giunti per rispettare la tradizione nel profano gesto di toccare un seno alla statua dell'eroina. Ci avrebbe perso delle giornate a sbirciare i biglietti lasciati dai giovani innamorati nell'antro dell'edificio, talvolta per ridere delle frivolezze di cervelli lasciati troppo a macerare nel brodo dell'amore, talvolta per trovarsi a desiderarle, quelle sciocchezze. 
La verità era che Cecilia non voleva saperne di relazioni; quando l'unico modello di riferimento che hai sono due genitori divorziati da anni che si odiano e che non fanno nulla per venirsi incontro, non è facile immaginare cosa significhi avere un rapporto serio e duraturo con qualcuno, basato su affetto e rispetto. Se fosse cresciuta in una famiglia come quelle delle pubblicità, dove la cosa più brutta che possa capitare è macchiare la tovaglia con del succo d'arancia, le cose sarebbero state diverse, e lei non si sarebbe trovata a fuggire ogni contatto umano come si fa con la peste. Ecco, allora sarebbe più corretto dire che lei non è che non volesse saperne di relazioni; semplicemente, non sapeva nemmeno cosa fossero.

Dalla poca esperienza che derivava dai suoi ventun anni, l'unica certezza che possedeva era che sarebbe vissuta dei suoi scritti e della sua fantasia, a costo di finire a vivere come una bohémienne in un quartiere malfamato di Parigi, innamorata di un ballerino di can-can malato di tisi. D'accordo, lei non era Satine e quella non era e mai sarebbe stata la sua storia, però Cecilia aveva anche quello da imparare: accantonare per qualche volta la finzione, fedele e al tempo stesso illusoria compagnia, perché quella racconta, sì, tante avventure e tante vite diverse, ma mai la propria. 
La passione per la letteratura era un'eredità di suo padre, insieme ai sottili capelli mossi castano chiaro e gli occhi azzurro cielo. Della madre poteva vantare solo il metro e settanta di altezza e la spruzzata di lentiggini che le ravvivavano il viso dal colorito rosato. La scarsa pazienza e l'acredine delle battute sarcastiche che non raramente si concedeva erano, invece, lignaggio della matrigna, Maria Carolina, una trentenne convinta di saperne molto più di chiunque altro della vita. Nonostante Cecilia non avesse fatto nulla per innescarla, una cerca tensione si era creata tra le donne di papà Ferdinando, dovuta più che altro ad un bisogno di accaparrarsi quante più attenzioni e regali possibili. 
C'era stato un periodo in particolare di cui Cecilia non andava fiera: il periodo nel quale aveva ceduto alla tentazione di sfruttare i sensi di colpa di suo padre per circondarsi di cose inutili, a colmare il vuoto lasciato dall'assenza di entrambi i genitori. Si era fermata solo quando aveva capito che Ferdinando non avrebbe avuto il coraggio di farlo, il giorno in cui si era presentato da lei e le aveva comunicato di aver già contattato l'agenzia di viaggi per sapere se era possibile fare un'escursione al Polo Sud per vedere i pinguini, così come richiesto per scherzo da lei. Quella volta, Cecilia aveva capito tre cose di lui: era davvero molto ricco, aveva un pessimo senso dell'umorismo ed era disposto a fare carte false pur di comprarsi l'affetto della figlia. Da quel momento, lei aveva deciso che non gli avrebbe chiesto mai più soldi che non fossero per i libri o la retta dell'università, perché era davvero troppo avvilente avere un rapporto del genere con colui che aveva contribuito a metterla al mondo.

Era qualcosa che non la faceva dormire di notte e ci stava pensando anche quella mattina, mentre camminava a passo svelto su via Ponte Aleardi, osservando l'Adige che scorreva tranquillo qualche decina di metri sotto i suoi piedi. Un lembo della sciarpa bianca che aveva attorno al collo stava svolazzando nell'aria, insieme alle due piccole ciocche di capelli chiari che erano sfuggite dalla coda di cavallo. Poche centinaia di metri e sarebbe arrivata alla facoltà di lettere per seguire le lezioni mattutine insieme a Lisa, l'unica vera persona fidata in un branco di compagni di corso arrivisti e pronti a vendersi la madre pur di prendere il voto più alto agli esami.
Cecilia preferiva di gran lunga uscire con gli amici del liceo, soprattutto Carlo e Gianluca, due idioti patentati che però erano sempre in grado di strapparle un sorriso. Uno aveva miracolosamente passato il test di medicina – e c'era da credere che suo padre, primario di ginecologia all'Ospedale Civile Maggiore "Borgo Trento", ci avesse messo lo zampino –, l'altro, invece, si era iscritto a ingegneria edile e architettura, ma Cecilia mai si sarebbe fidata a farsi progettare la casa da lui. Finché giocava con i Lego non c'erano problemi, ma quando si trattava di vivere nelle bat-caverne e abitare nella sua personalissima visione di Metropolis, beh, le cose cambiavano decisamente. 
L'aspettavano tutti e tre al L'attimo caffè per una colazione veloce, come ogni mercoledì. Lisa era all'entrata e fumava una sigaretta, i ricci scuri ben definiti ad incorniciarle il volto e un paio di occhiali neri, come sempre pieni di ditate. Indossava dei jeans stretti che le fasciavano le gambe magrissime e una giacca di pelle color cuoio, perfetta per il clima ancora quasi estivo che stava riservando l'inizio di ottobre. 
- Alla buon'ora, – si limitò a dire e lanciò il mozzicone qualche metro più avanti a sé. L'altra sorrise, abituata al malumore mattutino dell'amica, e la raggiunse al tavolino dove i due maschi si erano già accomodati ed avevano ordinato per tutti.
- Ciao decerebrato. – Lisa riservò come al solito un'accoglienza molto calorosa a Carlo, con il quale era guerra aperta praticamente dal primo giorno in cui c'erano state le presentazioni. Gli altri due ragazzi cominciarono a blaterare tra loro, lasciandoli ai loro battibecchi.
- Oh, è arrivata la festaiola. La madre superiora ti ha concesso di uscire stasera?  la sfidò lui in risposta.
- Rastrelli, te l'ho già detto mille volte che devi smetterla di scriverti le battute a casa. È abbastanza patetica come cosa, sai?  lo prese in giro, per poi girarsi verso gli altri due.  Di che parlavate? 
- Stasera c'è una festa da Franzoni,  esclamò entusiasta Gianluca, divorando in pochi bocconi una brioche al cioccolato.
- Bene,  intervenne Cecilia, senza staccare gli occhi dal giornale.  Allora film da me? Shutter Island?
I tre ragazzi la guardarono rassegnati. Che l'amica non fosse particolarmente socievole non era certo una novità, ma quando si trattava di ex compagni del liceo diventava addirittura sorda, muta e cieca. Li evitava in tutto e per tutto, soprattutto le ragazze, con cui non era mai andata d'accordo. C'era stato una specie di tacito accordo nel gruppetto di donne della terza liceo sezione B del Maffei: rapporti civili e collaborativi fino all'esame di Stato, dopodiché tanti cari saluti e ognuno per la propria strada. Tutte si erano attenute al patto e ora ignoravano qualsiasi dettaglio delle reciproche esistenze che andasse al di là del nome e cognome. 
A Cecilia erano rimasti solo Rastrelli e Lamberti, e soltanto perché lei, Molinari, era restata incastrata  alfabeticamente parlando  tra di loro il primo giorno di scuola, quando la professoressa Vallanzano aveva avuto la grandiosa idea di far sistemare i nuovi ragazzi secondo l'ordine del registro. 
Filippo Franzoni, per quanto non fosse così distante da loro nella piantina dell'aula, era molto lontano dal modo di pensare del resto della classe. Era uno spocchioso figlio di papà con un bel caschetto nero e il naso a patata che pensava di essere il re del mondo, dal momento che il padre era uno degli avvocati più in vista della città. Era solito guardare gli altri dall'alto in basso, ma non disdegnava la plebe  come la chiamava lui  quando si trattava di organizzare feste e riempire casa per dimostrare ai soci del Rotary Club di non essere uno sfigato senza amici, quale invece era.
- No, Ceci, non ci guardiamo un film a casa tua; andiamo alla festa,  s'impose Gianluca. La ragazza lo squadrò con finto disprezzo e rispose stizzita.
- Se non ti piace Leondardo DiCaprio basta dirlo, eh! V for Vendetta?
Lisa roteò gli occhi e non riuscì a trattenere un sonoro sbuffo.
- Ce lo hai fatto vedere fino alla nausea,  brontolò.  Stavolta ti prepari in tempo e vieni. Discussione terminata.
- Non ci vengo da Filippo, non ci penso nemmeno. Saranno anni che non lo vedo e sono stata così dannatamente bene! Perché rovinare questo mio equilibrio interiore?  provò a protestare, ma l'intervento deciso di Carlo stroncò sul nascere ogni tentativo.
- Molinari, non rompere il cazzo, dai. Ogni volta è la stessa solfa. Stasera ti metti una parrucca in testa, ti metti l'ombretto, la cipria e quel cavolo che ti pare e ci divertiamo.
La biondina spalancò gli occhi incredula: se c'era qualcosa che odiava ancor più di Franzoni e la sua cricca erano sicuramente le feste in maschera. Halloween e Carnevale erano solo due stupidi giorni come gli altri, con la differenza che la gente si sentiva autorizzava a truccarsi in modo orribile per farsi ridere dietro. Piuttosto stupido, no?
- Dopo che ho saputo che mi dovrei pure travestire, dite addio alla mia presenza. Ma voi andate, io starò a casa con Van Gogh.
Il suo pesce rosso, unico sopravvissuto su cinque alla moria avvenuta nell'acquario, non era certo un abile conversatore e le rare volte in cui si approssimava al pelo dell'acqua per boccheggiare sulla superficie era per farle capire che aveva fame. Aveva la testa e la lunga coda arancioni e lungo il corpicino, di un bianco opalescente, si estendeva una striscia dorata piena di riflessi che le aveva sin da subito ricordato il giallo dei campi di grano di Van Gogh. Purtroppo la dura legge di Darwin non aveva lasciato scampo a Matisse, Monet, Rénoir e, per ultimo, Raffaello, deceduto in circostanze misteriose il giorno di Pasqua. Voci di corridoio davano per maggior sospettato Lillo, il figlio di quattro anni del vicino, colpevole di averlo riempito di cioccolato dell'uovo appena scartato.
- Mi offende il fatto che tu preferisca restare tutta sera a fissare l'acquario, piuttosto che uscire a divertirti con noi,  esclamò Carlo, con l'intenzione di farla sentire in colpa.
- Non si tratta di voi. E lo sapete!  Cecilia si bruciò la lingua nel goffo tentativo di bere d'un sorso l'intera tazza di cappuccino.  'Azzarola, quanto scotta!
- Giustizia divina,  sentenziò Lisa, godendosi intelligentemente piano il suo caffè al ginseng.  Ce', da cosa ci vestiamo?
I visi di Gianluca e del compare s'illuminarono in un sorriso d'intesa.
- Noi da Teletubbies.
- Non avevo dubbi,  riprese la ragazza,  i coglioni si muovono sempre in coppia.
Lamberti ridacchiò della battuta, mentre Rastrelli le regalò la sua solita espressione da idiota alla disperata ricerca di una frecciatina altrettanto efficace da pronunciare all'istante. Tentativo vano.
- Mi avete sentita? Non ci vengo!  urlò Cecilia.  Non ho nessuna intenzione di farmi vedere da Franzoni; cinque anni in sua presenza sono più che sufficienti, no?! 
Lisa, seduta accanto a lei, si stava chiedendo quando realmente la ragazza sarebbe riuscita a dire quale fosse l'ulteriore e principale motivo per cui preferisse la compagnia di un pesce a quella dei suoi amici.
- Non c'entra niente il fatto che ci potrebbe essere anche Niccolò stasera, vero?
Gianluca calamitò su di sé tutti gli occhi dei presenti: aveva, sì, dato voce ai pensieri degli amici  tranne quelli di Carlo, che da quando era uscito di casa non riusciva a ricordare se avesse chiuso o meno la finestra di YouPorn sul computer della sorella , ma nominando colui-che-non-doveva-essere-nominato aveva infranto numerose regole. 
Niccolò Mannino era il Voldemort di Verona, almeno per loro quattro. Cecilia aveva la strana mania di saltare al collo di chiunque osasse pronunciare anche solo le iniziali del suddetto soggetto in sua presenza e diventava particolarmente manesca con il primo che le capitasse a tiro.
Nico era il ragazzo con cui aveva condiviso la sua prima volta, a diciassette anni, a casa sua, quando ancora viveva con sua madre e lei era 'fuori città per lavoro' 
 un modo carino per dirle che se la stava spassando con qualche giovanotto venticinquenne. Lui era stato gentile e premuroso, in quell'occasione e nei nove mesi successivi, mesi durante i quali tutti al Maffei sapevano che facevano coppia fissa. O forse non proprio tutti, perché Clara Orpella  che da quel momento in poi sarebbe diventata Clarabella  avrebbe giurato e spergiurato di non esserne a conoscenza, perché altrimenti mai, mai!, avrebbe osato fare da concubina a Mannino. Eh certo, agli altri ragazzi della scuola sì, ma a lui proprio no: questione di onore, e che diamine!
Cecilia non ci voleva credere: si era fidata completamente e ciecamente di lui, che l'aveva pure presentata alla famiglia e che, cosa che più le faceva ribollire il sangue, l'aveva tradita per chissà quanto con una che non valeva nemmeno un millesimo di lei. Quello era un chiaro esempio del 
grande potere delle gambe aperte di una donna e Cecilia l'aveva imparato a proprie spese. 
Dopo una decina di giorni passati in un profondo sconforto, con la rabbia che si mescolava allo sdegno e ad un briciolo di nostalgia, si era imposta di smettere di pensare al viso squadrato di Niccolò, ai suoi occhi scuri, alle sue labbra... aveva cercato disperatamente di trovare un difetto, una falla in quell'ammasso di ricordi che l'aveva inondata come un fiume in piena: un atteggiamento che l'aveva sempre infastidita, una parola fuori luogo, quella volta che proprio l'aveva trattata male... In quel momento non aveva trovato nulla. Per quanto si fosse sforzata, non ci era riuscita. Forse era troppo presto, forse era ancora nella fase in cui tutto era ancora troppo doloroso per essere analizzato con razionalità. Poi Gianluca e Carlo avevano preso in mano la situazione e avevano fatto ciò che ogni vero amico è tenuto a fare in casi come questi: avevano trovato il modo di demolire e demitizzare 
 con calma, passo dopo passo  la figura perfetta di Mannino che esisteva solo nella testa di Cecilia ed ora, a distanza di quattro anni, la sola cosa che ancora la disturbasse era la consapevolezza di non poter cancellare il ricordo di Nico, che l'aveva portata ad un grado di felicità mai toccato prima, salvo poi farla sprofondare in una triste solitudine.
- Certo che c'entra Niccolò! 
 ammise, senza paura di apparire vulnerabile.  Non voglio frequentare gli stessi posti in cui va lui. Ho già depennato quattro anni fa la voce umiliazione pubblica dalla lista di cose che mi ha fatto.
I tre ragazzi seduti di fronte a lei trassero un respiro di sollievo.
- Non è detto che ci sia... 
 tentò Carlo, conscio che le probabilità di non trovare il ragazzo alla festa di Franzoni erano le stesse per cui lui fosse candidato al Nobel per la fisica.
Lisa parve assorta nei meandri della sua mente per qualche istante, poi si riscosse.
- Ce', non esiste che tu ti faccia ancora condizionare da 
quello. E comunque non ti rivolge la parola da quando è accaduto quel casino, mica ricomincerà proprio stasera!
Il cinismo freddo e drammaticamente realistico dell'amica colpì Cecilia come una secchiata d'acqua gelida in faccia; Lisa sapeva essere cruda e diretta fino al punto di ferire le persone, senza averne l'intenzione. Ma aveva ragione: Niccolò non aveva più avuto il coraggio di chiamarla o di cercarla, quando la notizia del suo doppio gioco era diventata pubblica. Si era limitato a scomparire dalla sua vita, dandole una dolorosa conferma della fondatezza della pulce che le era stata messa nell'orecchio.
- Andiamo, 
 si ritrovò a dire, quasi non raccapezzandosi che fosse stata proprio la sua voce a pronunciare quella parola. 
Si stava scavando la fossa da sola e l'unica speranza che aveva per quella serata era di non dover mettere una crocetta accanto ad un punto già cancellato di una vecchia lista.

Okay, ho pubblicato. Non so nemmeno io cosa aspettarmi da questa storia, al momento mi è solo chiaro che sarà sotto i sei capitoli e che la stesura è quasi ultimata. È diversa da C'eral'acca, non solo in quanto ad impegno (praticamente sei volte meno lunga), ma anche riguardo allo stile. Ho voluto provare qualcosa di diverso, a partire dalla narrazione in terza persona che è un po' più 'riflessiva', meno istintiva di quella in prima.
Credo che la pubblicazione sarà puntuale, ogni due settimane. 
Non mi sono dimenticata dell'ultimo capitolo di C'eral'acca, ma voglio prendermi del tempo perché voglio che riesca esattamente come progettato; è l'ultimo, perciò ci tengo. Comunque, è mia intenzione pubblicare verso la fine di febbraio, quando gli esami sono finiti e ho voglia/tempo/energie per concentrarmi sull'epilogo.
Voglio ringraziare SunshinePol e nes_sie per consulti vari e betaggio.
Per quel che concerne questa di storia, prendiamola tutte come un esperimento, nulla di più.

S.

   
 
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