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Autore: AliceL    12/02/2012    2 recensioni
Crediamo tutti che siano scomparsi, cancellati da secoli di guerre religiose, dalla distruzione dei loro luoghi di culto, dallo sterminio dei loro adoratori.
Eppure, nascosti tra le ombre, sui picchi delle alte montagne, oppure in oscure fosse infernali, loro sono ancora qui.
Da lontano vegliano ancora sui loro antichi fedeli… ma quello che vedono non gli piace per niente.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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... In cui Apollo fa una lunga elucubrazione sulla natura della fede umana.


 

Dall’alto del monte Olimpo Apollo osservava, divertito ed esasperato al contempo, quelle statue di fango che urlavano e si picchiavano tra loro da un tempo che a lui pareva eterno (e probabilmente lo era).
Erano una razza strana, gli uomini: pieni di dubbi, fin troppi, a suo parere. Mentre un qualunque altro animale del creato passava la sua breve esistenza tranquillo, vivendo a pieno ogni istante come si contraddiceva alla sua razza d’appartenenza, gli uomini non ne volevano sapere di  sottostare alle leggi divine: loro dovevano progredire; così chiamavano quella continua tortura alla povera Gaia.
Non c’era da stupirsi, quindi, che l’Anziana Madre alla fine si fosse infuriata peggio di quelle volte in cui i suoi figli immortali mettevano a ferro e fuoco la volta celeste solo per il gusto di litigare fra loro. Eppure gli uomini si erano stupiti della sua reazione. Questa, per Apollo, era stata la conferma che, quando li aveva creati, Prometeo si era certamente scordato di donare loro una mente che funzionasse nel modo giusto e che si potesse chiamare veramente tale; oppure che, durante la lavorazione della loro materia celebrale, avesse per sbaglio scambiato l’acqua per modellare meglio il fango con il vino che Bacco gli aveva gentilmente donato per alleviare gli sforzi del lavoro.
Apollo, però, doveva ammettere che non tutta l’umanità si era dimostrata così inetta: c’erano stati uomini e donne meritevoli del suo affetto e della sua stima, in alcuni casi persino del suo amore; uomini saggi che, pur perseguendo la via della conoscenza, avevano continuato a credere in lui e nei suoi fratelli.
Questo però era avvenuto prima che quello scorbutico che borbottava sempre discorsi altisonanti comparisse dal nulla (il che non era impossibile per un dio) avendo la presunzione di dichiararsi “l’unico vero dio”. Certo, vi erano stati alcuni che avevano continuato a venerarli anche dopo l’avvento di quel dio senza volto; a porgere sui loro altari le primizie di stagione; a pregare nei loro templi ormai in rovina; ma erano stati in pochi, e alla fine erano tutti morti.
Ai santuari banchetti che si tenevano sull’Olimpo fin dall’alba dei tempi, Ade aveva raccontato che il nuovo venuto fosse un essere talmente ingiusto e tirannico che addirittura il suo figlio prediletto fosse stato costretto a ribellarsi a causa dei torti subiti. Si diceva che per questo motivo fosse stato scagliato giù dalla volta celeste per schiantarsi sotto terra, proprio nei pressi della città sacra al suo creatore: che ironia.
Per quanto Ade continuasse a ripetere che si trattasse di una persona di tutto rispetto (pur essendo tra quelli che agiva principalmente per i suoi interessi), Apollo, e molti altri con lui, continuava a non esserne del tutto convinti.
Il dio del regno dei morti, invece, andava spesso avanti per lunghe ore a tessere le lodi di questo povero figlio ripudiato: era un ottimo oratore e sapeva ammaliare interi popoli (arte sicuramente ereditata dal padre); guidava alla perfezione e con rigore il suo regno sotterraneo, collaborando con Ade per amministrare al meglio le anime di tutti quei mortali che erano già trapassati. Gli uomini di quell’era l’avrebbero definito “un perfetto uomo d’affari”… se non ricordava male, meditò il dio del sole, un gruppo di musici particolarmente rumoroso gli aveva anche dedicato una canzone.
Per Apollo sarebbe stato più saggio non fidarsi di nessuno dei due, padre e figlio; era sicuro che, se ne avessero avuto l’occasione, li avrebbero distrutti tutti: cancellandoli definitivamente anche da quella parte più profondo e istintiva della mente di ogni uomo che, appena sentito un fulmine, pensava istintivamente al furia di suo padre Zeus.
Non bastava loro avergli rubato tutti i fedeli di cui avevano disposto (non solo i loro, quelli che credevano negli dei olimpici, ma anche quelli di quei poveri Norreni; che erano in situazione ancora peggiore della loro), sembrava che volessero far dimenticare agli uomini il periodo luminoso in cui avevano creduto in loro: come si cercano di dimenticare i gravi errori del passato.
Gli uomini, ovviamente, nella loro stupidità, ci erano cascati più spesso di quanto gli dei avevano previsto.
Ormai gli unici a credere in loro erano un ristrettissimo gruppo di uomini di cui i due terzi erano composti da ragazzini immaturi che alla loro età, in un’altra epoca, avrebbero dovuto essere già uomini fatti, se non addirittura sposati e con figli; ma c’erano anche ragazzine che (e per questo Afrodite era caduta in depressione già da un decennio e non mostrava segni di miglioramento) credevano che essere scheletri ricoperti di pelle avesse sugli uomini un qualche tipo di fascino misterioso.
A questi si erano ridotti i loro fedeli, ma, almeno, avevano fede; in un modo tutto loro e non convenzionale. Nel loro piccolo immaginario collettivo quelli dell’Olimpo non erano solo ombre dipinte su un antico vaso, ma gli dei valorosi e potenti, seppur capricciosi, che avevano combattuto guerre al fianco di eroi leggendari; avevano guidato schiere infinite di guerrieri; avevano odiato e amato; avevano avuto figli: con i mortali e tra di loro. Gli stessi dei che, ogni tanto, anche se con qualche riserva, oppure in modo confuso, avevano parlato a coloro che li veneravano.
Questi nuovi “fedeli”, però, non si aspettassero tutto ciò, erano troppo rassegnati per farlo. Credevano solo che gli uomini delle epoche passate avessero avuto più fortuna di loro, avendo avuto dei che rispondessero alle loro preghiere e che, invece di guardarli uccidersi a vicenda dall’altro della loro dimora celeste, fossero scesi sulla terra per schierarsi al loro fianco.
Questo, pensò infine Apollo, non era una strategia intelligente da parte del dio-ombra: visto che gli uomini, già così insicuri di sé, non sentendosi amati avevano addirittura cominciato a credere che fossero nati senza alcun’aiuto divino; così, dal nulla!
Così, quel superbo novellino aveva finito per rovinare la capacità stessa di ragionamento della razza plasmata da Prometeo e che tutti loro si erano impegnati a migliorare di era in era.
Adesso, invece, anche loro erano impotenti di fronte alla decadenza umana; se pure avessero voluto dare agli uomini un segno per cercare di riportarli sulla retta via, persino i loro “fedeli” erano così scettici che non avrebbero sentito la loro voce. Dopotutto non sentivano l’urlo di rabbia di Gaia; perché avrebbero dovuto sentire il loro consiglio di aver prudenza?
Apollo scosse la testa e si massaggiò le tempie.
- Uomini. – bofonchiò. – Non sanno proprio stare tranquilli per un solo secolo. -




 



Salve a tutti quelli che sono riusciti ad arrivare all'ultima riga di questa shot senza annoiarsi a morte e abbandonare la pagina. Se ve lo state chiedendo questa cosa non nasce da un tema in classe, ma da una nottata passato insonne (anche peggio se per questo). Mi scuso in anticipo degli orrori di ortografia che sicuramente ci saranno sparpagliati nel testo. E sì, so che avete pensato anche voi che l'introduzione sa molto di "gremlin nascosti sotto il letto", perchè l'ho pensato anche io ma non sapevo che altro inventarmi. Detto ciò vi saluto e grazie per aver letto... siete dei santi!

  
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