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Autore: Ilaryf90    12/02/2012    5 recensioni
“Mamma, da dove viene la neve?” domandò Kurt continuando a tenere il suo sguardo fisso verso l’esterno e cogliendo la madre di sorpresa. I bambini sono fatti così, esigono una spiegazione a tutto.
“Tesoro, li vedi tutti quei fiocchi grandi?” gli chiese lei, cominciando ad accarezzargli i morbidi capelli che profumavano di pesca. Kurt annuì.
“Sono le lacrime degli angeli che stanno in cielo” continuò lei con un tono affettuoso.
“E perché piangono?” domandò di nuovo Kurt che aveva cominciato a preoccuparsi.
“Piangono perché sono tristi, come tutti gli esseri umani. Capita a tutti di sentirsi tristi ogni tanto” spiegò Elizabeth facendo scorrere la sua mano sul collo del figlio che ora stava massaggiando dolcemente.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Burt Hummel, Kurt Hummel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Ilaryf90
Titolo: Gli angeli non piangono più
Fandom: Glee
Personaggi: Kurt Hummel, Burt Hummel, Elizabeth
Coppie: Nessuna
Rating: Verde
Genere: Fluff, Malinconico
Avvertimenti: One-shot, Missing Moments
Note: alla fine della storia

 

 

 

 

 

Gli angeli non piangono più

 

 

 

 

Quella era una domenica d’inverno come tante altre in casa Hummel.

 

Già di prima mattina il dolce profumo di cannella e biscotti appena sfornati aveva invaso ormai ogni stanza: il piccolo Kurt afferrò, cercando di non farsi vedere dai suoi genitori, un biscotto a forma di stella con della glassa bianca e lo mise subito in bocca.

 

Nel frattempo Elizabeth gli lanciò un’occhiata divertita, continuando a lavare il mucchio di piatti sporchi nel lavandino.

 

“Kurt, quante volte ti ho detto di non mangiare i biscotti appena tolti dal forno? Sono ancora bollenti!”

 

“Non è vero” rispose Kurt accorgendosi, invece, che sua madre aveva ragione e sentendo la lingua bruciare. Ingoiò in fretta il biscotto e corse a bere un bicchiere d’acqua.

 

Burt, seduto sul divano mentre guardava una trasmissione sportiva alla televisione, sbuffò divertito di fronte a quella scena: Kurt era sempre stato un bambino piuttosto testardo, nonostante i suoi cinque anni.

 

Qualche minuto dopo Kurt si fiondò a guardare fuori dalla finestra la neve che continuava a cadere ormai da giorni e non sembrava voler smettere: prese una sedia e ci si mise in ginocchio appoggiando i gomiti sul davanzale e il mento sui palmi delle mani.

 

Il paesaggio era irriconoscibile e gli alberi erano carichi di neve che minacciava di cadere da un momento all’altro; tutte le macchine erano state sommerse dalla bufera e la gente era costretta a spostarsi a piedi. L’atmosfera era surreale: sembrava di essere immersi in uno di quegli scenari fiabeschi, di sicuro non in una cittadina dell’Ohio.

 

Kurt spalmò entrambe le mani contro il vetro e premette il naso contro quella superficie fredda per osservare più attentamente ogni movimento che notava all’esterno: gli uccellini che cercavano di mettersi al riparo e volavano con difficoltà da una casa all’altra alla ricerca di qualcosa da mangiare oppure i vicini che, con una pala, tentavano di creare un passaggio per riuscire ad entrare nelle loro abitazioni senza problemi.

 

Elizabeth si sciolse i lunghi capelli neri che aveva raccolto in una coda di cavallo per portare a termine le faccende di casa e raggiunse suo figlio accanto alla finestra, abbassandosi per poter poggiare la testa contro la sua.

 

“Mamma, da dove viene la neve?” domandò Kurt continuando a tenere il suo sguardo fisso verso l’esterno e cogliendo la madre di sorpresa. I bambini sono fatti così, esigono una spiegazione a tutto.

 

“Tesoro, li vedi tutti quei fiocchi grandi?” gli chiese lei, cominciando ad accarezzargli i morbidi capelli che profumavano di pesca. Kurt annuì.

 

“Sono le lacrime degli angeli che stanno in cielo” continuò lei con un tono affettuoso.

 

“E perché piangono?” domandò di nuovo Kurt che aveva cominciato a preoccuparsi.

 

“Piangono perché sono tristi, come tutti gli esseri umani. Capita a tutti di sentirsi tristi ogni tanto” spiegò Elizabeth facendo scorrere la sua mano sul collo del figlio che ora stava massaggiando dolcemente.

 

“Ma io non voglio vederli tristi” affermò Kurt con un velo di sconforto, staccando la faccia dal vetro e fissando con i suoi grandi occhi azzurri quelli ancora più chiari della madre.

 

“Mamma, come possono essere felici?” chiese immediatamente con un tono che si faceva sempre più turbato.

 

Elizabeth sorrise lievemente e posò una mano sulla guancia di Kurt che la guardava confuso: come poteva sorridere se gli angeli erano tristi?

 

“Se tu sarai felice anche loro lo saranno” rispose la donna con semplicità, usando un tono colmo di affetto e di amore che solo una madre premurosa come lei avrebbe utilizzato.

 

Kurt sembrò cominciare a riflettere sulle parole che aveva appena sentito e tornò a rivolgere il suo sguardo oltre il vetro trasparente della finestra. Dopo qualche minuto un’idea gli balenò in mente.

 

“Voglio andare fuori!” esclamò alzandosi in piedi sulla sedia con un’espressione trionfante in volto.

 

Elizabeth gettò un rapido sguardo alla neve che non sembrava avere intenzione di smettere di cadere.

 

“Non ora, Kurt. Sta ancora nevicando”.

 

“Ma io devo andare fuori!”. Ora era disperato: batté il piede sulla sedia per protestare, perché ormai quel compito era suo e doveva portarlo a termine a qualunque costo. Gli angeli dovevano tornare a sorridere.

 

“Facciamo così: se dopo pranzo nevica un po’ di meno e il vento si calma possiamo uscire” gli disse la madre con un tono più deciso, che non ammetteva repliche.

 

Così Kurt andò a sedersi sul divano vicino a suo padre, incrociò le braccia al petto e mise su un broncio infastidito. Burt, concentrato sulla partita, si accorse della sua presenza e allungò un braccio per avvicinarlo a sé e fargli posare la testa sulla sua spalla.

 

Più tardi, a tavola, Kurt era silenzioso come tutti i bambini cui si impedisce di fare qualcosa che desiderano fortemente. Mangiò tutto quello che aveva nel piatto senza dire una parola e, di tanto in tanto, lanciava un’occhiata verso la finestra, speranzoso.

 

Burt ed Elizabeth si scambiarono uno sguardo pieno di affetto e anche un po’ divertito per l’atteggiamento assunto da loro figlio.

 

Non appena Kurt ebbe finito di mangiare ritornò lentamente alla postazione di quella mattina e rimase lì per qualche minuto. Dopodiché Elizabeth decise di accontentarlo perché non poteva più vederlo così e sapeva che avrebbe continuato a tenere il broncio per giorni, come era già accaduto altre volte.

 

Dopo aver pulito e sistemato in cucina gli disse, avvicinandosi.

 

“Kurt, tesoro, vai di sopra a cambiarti. Mettiti la tuta pesante di ieri. Usciamo”.

Il volto del piccolo si illuminò di gioia e corse ad abbracciare la madre per poi fiondarsi in camera a prepararsi.

 

Un quarto d’ora più tardi Kurt era in giardino, completamente coperto dalla neve e aveva un enorme sorriso.

 

Dopo un po’ si distese appoggiando la schiena contro la neve soffice: era bellissimo.

 

Cominciò a muovere braccia e gambe verso l’alto e il basso così da lasciare la traccia dei suoi movimenti sulla neve e rimase a fissare i fiocchi che cadevano , spalancando la bocca per afferrarli, ed assaporò quella sensazione di piacere e felicità.

 

Elizabeth se ne stava in ginocchio ed osservava con attenzione ciò che il figlio stava facendo: era sicura che Kurt avesse qualcosa in mente, lo capiva dalla luce che aveva negli occhi.

 

Quando cominciò ad avere freddo e a rendersi conto di avere le mani e le caviglie zuppe, Kurt decise di alzarsi e rientrare in casa. Così buttò un ultimo sguardo soddisfatto sul suo angelo di neve e si avviò di corsa su per le scale, verso la porta d’ingresso.

 

Dopo un piacevole e rilassante bagno caldo, Kurt indossò il pigiama e tornò alla finestra dove rimase per tutto il resto del pomeriggio, sotto l’occhio preoccupato ma anche intenerito dei genitori.

 

Il suo sguardo era fiducioso e pieno di aspettativa e nemmeno i continui richiami di Burt ed Elizabeth riuscirono a distoglierlo dalla missione che aveva preso tanto a cuore: gli misero anche un piatto con dei biscotti sul davanzale ma lui non se ne curò.

 

Quando alle otto fuori era completamente buio e la cena era pronta, la madre si avvicinò al piccolo e gli sussurrò dolcemente all’orecchio.

 

“Kurt, vieni. È ora di cena”. Lui non rispose, così lei gli scosse leggermente le spalle con le mani per ottenere la sua attenzione.

 

“Mamma, non posso. Devo restare qui”. Quella fu la sua unica e decisa risposta.

 

Dopo ulteriori tentativi i due genitori riuscirono a convincerlo a sedersi a tavola con loro, almeno per l’ora di cena.

 

Kurt, proprio come a pranzo, mangiò continuando a guardare fuori, anche se da lontano: questa volta, però, sembrava in attesa, come se fosse già consapevole che qualcosa stava per accadere.

 

Infatti, qualche minuto più tardi, lasciò cadere la forchetta sul piatto, spalancò gli occhi e corse alla finestra. Solo quando fu sicuro di quello che aveva visto gridò con entusiasmo.

 

“Mamma, papà! Venite a vedere!”. Si voltò verso di loro, agitando la mano e facendo loro segno di avvicinarsi: il suo sorriso era ormai immenso e la sua felicità era evidentemente percepibile.

 

I due accettarono il suo invito e lo raggiunsero. Fuori era buio ma, osservando bene il lampione davanti casa, si vedeva che la neve aveva smesso di cadere, dopo un’intensa nevicata durata qualche giorno.

 

“Avete visto?” continuò Kurt raggiante. “Gli angeli non piangono più”.

 

A quella frase Elizabeth si portò una mano sulla bocca per nascondere dei leggeri singhiozzi e Burt le posò una mano sulla spalla con gli occhi lucidi e gonfi di orgoglio.

 

Kurt non si accorse di nulla e continuò ad osservare incredulo e soddisfatto allo stesso tempo il risultato di tutti i suoi sforzi di quel pomeriggio. Aveva messo tanto impegno in quella missione: voleva che gli angeli fossero felici.

 

“Cosa ti avevo detto? Ora sono felici grazie a te” gli disse Elizabeth, tentando di ridurre al minimo il tremolio della sua voce. Kurt si voltò verso di lei e annuì contento, avviandosi poi di corsa verso la sua camera.

 

Il piccolo Kurt ancora non poteva sapere che, qualche anno più tardi, avrebbe continuato a guardare fuori da quella stessa finestra e avrebbe alzato lo sguardo verso il cielo da cui scendeva quella neve per cercare, tra tutti, il suo angelo e tentare in tutti i modi di renderlo felice.

 

 

 

 

 

 

Note dell’autore

 

Questo è il risultato di più di una settimana intera di neve unita alla mia voglia di scrivere qualcosa sul piccolo Kurt e sua madre.

Non penso ci sia nulla da aggiungere se non che vorrei sentir parlare Kurt di sua madre con Blaine o con i suoi amici. Lo vorrei tanto.

 

Alla prossima,

 

Ilaryf90

 

 

   
 
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