Autore:
Ilaryf90
Titolo: Gli angeli non piangono più
Fandom:
Glee
Personaggi: Kurt Hummel,
Burt Hummel, Elizabeth
Coppie: Nessuna
Rating: Verde
Genere: Fluff, Malinconico
Avvertimenti: One-shot,
Missing Moments
Note: alla fine della storia
Gli angeli non piangono più
Quella era una domenica d’inverno come
tante altre in casa Hummel.
Già di prima mattina il dolce profumo di
cannella e biscotti appena sfornati aveva invaso ormai ogni stanza: il piccolo
Kurt afferrò, cercando di non farsi vedere dai suoi genitori, un biscotto a
forma di stella con della glassa bianca e lo mise subito in bocca.
Nel frattempo Elizabeth gli lanciò
un’occhiata divertita, continuando a lavare il mucchio di piatti sporchi nel
lavandino.
“Kurt, quante volte ti ho detto di non
mangiare i biscotti appena tolti dal forno? Sono ancora bollenti!”
“Non è vero” rispose Kurt accorgendosi,
invece, che sua madre aveva ragione e sentendo la lingua bruciare. Ingoiò in
fretta il biscotto e corse a bere un bicchiere d’acqua.
Burt, seduto sul divano mentre guardava
una trasmissione sportiva alla televisione, sbuffò divertito di fronte a quella
scena: Kurt era sempre stato un bambino piuttosto testardo, nonostante i suoi
cinque anni.
Qualche minuto dopo Kurt si fiondò a
guardare fuori dalla finestra la neve che continuava a cadere ormai da giorni e
non sembrava voler smettere: prese una sedia e ci si mise in ginocchio
appoggiando i gomiti sul davanzale e il mento sui palmi delle mani.
Il paesaggio era irriconoscibile e gli
alberi erano carichi di neve che minacciava di cadere da un momento all’altro;
tutte le macchine erano state sommerse dalla bufera e la gente era costretta a
spostarsi a piedi. L’atmosfera era surreale: sembrava di essere immersi in uno
di quegli scenari fiabeschi, di sicuro non in una cittadina dell’Ohio.
Kurt spalmò entrambe le mani contro il
vetro e premette il naso contro quella superficie fredda per osservare più
attentamente ogni movimento che notava all’esterno: gli uccellini che cercavano
di mettersi al riparo e volavano con difficoltà da una casa all’altra alla
ricerca di qualcosa da mangiare oppure i vicini che, con una pala, tentavano di
creare un passaggio per riuscire ad entrare nelle loro abitazioni senza
problemi.
Elizabeth si sciolse i lunghi capelli neri
che aveva raccolto in una coda di cavallo per portare a termine le faccende di
casa e raggiunse suo figlio accanto alla finestra, abbassandosi per poter
poggiare la testa contro la sua.
“Mamma, da dove viene la neve?” domandò
Kurt continuando a tenere il suo sguardo fisso verso l’esterno e cogliendo la
madre di sorpresa. I bambini sono fatti così, esigono una spiegazione a tutto.
“Tesoro, li vedi tutti quei fiocchi
grandi?” gli chiese lei, cominciando ad accarezzargli i morbidi capelli che
profumavano di pesca. Kurt annuì.
“Sono le lacrime degli angeli che stanno
in cielo” continuò lei con un tono affettuoso.
“E perché piangono?” domandò di nuovo Kurt
che aveva cominciato a preoccuparsi.
“Piangono perché sono tristi, come tutti
gli esseri umani. Capita a tutti di sentirsi tristi ogni tanto” spiegò
Elizabeth facendo scorrere la sua mano sul collo del figlio che ora stava
massaggiando dolcemente.
“Ma io non voglio vederli tristi” affermò
Kurt con un velo di sconforto, staccando la faccia dal vetro e fissando con i
suoi grandi occhi azzurri quelli ancora più chiari della madre.
“Mamma, come possono essere felici?”
chiese immediatamente con un tono che si faceva sempre più turbato.
Elizabeth sorrise lievemente e posò una
mano sulla guancia di Kurt che la guardava confuso: come poteva sorridere se
gli angeli erano tristi?
“Se tu sarai felice anche loro lo saranno”
rispose la donna con semplicità, usando un tono colmo di affetto e di amore che
solo una madre premurosa come lei avrebbe utilizzato.
Kurt sembrò cominciare a riflettere sulle
parole che aveva appena sentito e tornò a rivolgere il suo sguardo oltre il
vetro trasparente della finestra. Dopo qualche minuto un’idea gli balenò in
mente.
“Voglio andare fuori!” esclamò alzandosi
in piedi sulla sedia con un’espressione trionfante in volto.
Elizabeth gettò un rapido sguardo alla
neve che non sembrava avere intenzione di smettere di cadere.
“Non ora, Kurt. Sta ancora nevicando”.
“Ma io devo andare
fuori!”. Ora era disperato: batté il piede sulla sedia per protestare, perché
ormai quel compito era suo e doveva portarlo a termine a qualunque costo. Gli
angeli dovevano tornare a sorridere.
“Facciamo così: se dopo pranzo nevica un
po’ di meno e il vento si calma possiamo uscire” gli disse la madre con un tono
più deciso, che non ammetteva repliche.
Così Kurt andò a sedersi sul divano vicino
a suo padre, incrociò le braccia al petto e mise su un broncio infastidito.
Burt, concentrato sulla partita, si accorse della sua presenza e allungò un
braccio per avvicinarlo a sé e fargli posare la testa sulla sua spalla.
Più tardi, a tavola, Kurt era silenzioso
come tutti i bambini cui si impedisce di fare qualcosa che desiderano
fortemente. Mangiò tutto quello che aveva nel piatto senza dire una parola e,
di tanto in tanto, lanciava un’occhiata verso la finestra, speranzoso.
Burt ed Elizabeth si scambiarono uno
sguardo pieno di affetto e anche un po’ divertito per l’atteggiamento assunto
da loro figlio.
Non appena Kurt ebbe finito di mangiare
ritornò lentamente alla postazione di quella mattina e rimase lì per qualche
minuto. Dopodiché Elizabeth decise di accontentarlo perché non poteva più
vederlo così e sapeva che avrebbe continuato a tenere il broncio per giorni,
come era già accaduto altre volte.
Dopo aver pulito e sistemato in cucina gli
disse, avvicinandosi.
“Kurt, tesoro, vai di sopra a cambiarti.
Mettiti la tuta pesante di ieri. Usciamo”.
Il volto del piccolo si illuminò di gioia
e corse ad abbracciare la madre per poi fiondarsi in camera a prepararsi.
Un quarto d’ora più tardi Kurt era in
giardino, completamente coperto dalla neve e aveva un enorme sorriso.
Dopo un po’ si distese appoggiando la
schiena contro la neve soffice: era bellissimo.
Cominciò a muovere braccia e gambe verso
l’alto e il basso così da lasciare la traccia dei suoi movimenti sulla neve e
rimase a fissare i fiocchi che cadevano , spalancando la bocca per afferrarli,
ed assaporò quella sensazione di piacere e felicità.
Elizabeth se ne stava in ginocchio ed
osservava con attenzione ciò che il figlio stava facendo: era sicura che Kurt
avesse qualcosa in mente, lo capiva dalla luce che aveva negli occhi.
Quando cominciò ad avere freddo e a
rendersi conto di avere le mani e le caviglie zuppe, Kurt decise di alzarsi e
rientrare in casa. Così buttò un ultimo sguardo soddisfatto sul suo angelo di
neve e si avviò di corsa su per le scale, verso la porta d’ingresso.
Dopo un piacevole e rilassante bagno caldo,
Kurt indossò il pigiama e tornò alla finestra dove rimase per tutto il resto
del pomeriggio, sotto l’occhio preoccupato ma anche intenerito dei genitori.
Il suo sguardo era fiducioso e pieno di
aspettativa e nemmeno i continui richiami di Burt ed Elizabeth riuscirono a
distoglierlo dalla missione che aveva preso tanto a cuore: gli misero anche un
piatto con dei biscotti sul davanzale ma lui non se ne curò.
Quando alle otto fuori era completamente
buio e la cena era pronta, la madre si avvicinò al piccolo e gli sussurrò
dolcemente all’orecchio.
“Kurt, vieni. È ora di cena”.
Lui non rispose, così lei gli scosse leggermente le spalle con le mani per
ottenere la sua attenzione.
“Mamma, non posso. Devo restare
qui”. Quella fu la sua unica e decisa risposta.
Dopo ulteriori tentativi i due genitori
riuscirono a convincerlo a sedersi a tavola con loro, almeno per l’ora di cena.
Kurt, proprio come a pranzo, mangiò
continuando a guardare fuori, anche se da lontano: questa volta, però, sembrava
in attesa, come se fosse già consapevole che qualcosa stava per accadere.
Infatti, qualche minuto più tardi, lasciò
cadere la forchetta sul piatto, spalancò gli occhi e corse alla finestra. Solo
quando fu sicuro di quello che aveva visto gridò con entusiasmo.
“Mamma, papà! Venite a vedere!”. Si voltò
verso di loro, agitando la mano e facendo loro segno di avvicinarsi: il suo
sorriso era ormai immenso e la sua felicità era evidentemente percepibile.
I due accettarono il suo invito e lo
raggiunsero. Fuori era buio ma, osservando bene il lampione davanti casa, si
vedeva che la neve aveva smesso di cadere, dopo un’intensa nevicata durata
qualche giorno.
“Avete visto?” continuò Kurt raggiante.
“Gli angeli non piangono più”.
A quella frase Elizabeth si portò una mano
sulla bocca per nascondere dei leggeri singhiozzi e Burt le posò una mano sulla
spalla con gli occhi lucidi e gonfi di orgoglio.
Kurt non si accorse di nulla e continuò ad
osservare incredulo e soddisfatto allo stesso tempo il risultato di tutti i
suoi sforzi di quel pomeriggio. Aveva messo tanto impegno in quella missione:
voleva che gli angeli fossero felici.
“Cosa ti avevo detto? Ora sono felici
grazie a te” gli disse Elizabeth, tentando di ridurre al minimo il tremolio
della sua voce. Kurt si voltò verso di lei e annuì contento, avviandosi poi di
corsa verso la sua camera.
Il piccolo Kurt ancora non poteva sapere
che, qualche anno più tardi, avrebbe continuato a guardare fuori da quella
stessa finestra e avrebbe alzato lo sguardo verso il cielo da cui scendeva
quella neve per cercare, tra tutti, il suo angelo e tentare in
tutti i modi di renderlo felice.
Note dell’autore
Questo è il risultato di più di una
settimana intera di neve unita alla mia voglia di scrivere qualcosa sul piccolo
Kurt e sua madre.
Non penso ci sia nulla da aggiungere se
non che vorrei sentir parlare Kurt di sua madre con Blaine o
con i suoi amici. Lo vorrei tanto.
Alla prossima,
Ilaryf90