Autore:
Rosalie_
Titolo:
All Fall Down
Coppia
e genere sorteggiati: Magnus/Alec, angst
Altri
generi: introspettivo
Avvertimenti:
one shot, slash
Personaggi:
Alec Lightwood, Magnus Bane
Note
Autore: è la prima storia che scrivo per il fandom di
Shadowhunters e dunque il primo esperimento sulla coppia Magnus/Alec. Il genere
sorteggiato è stato l’angst, mai trattato anche questo, quindi si può dire che
è stato un esperimento su tutta la linea XD Già da un po’ volevo scrivere
qualcosa su questa coppia e pensavo di farlo con qualcosa di romantico o simile
e invece questo primo lavoro è un po’ triste, visto che Alec cerca di imporsi
di amare, ma spero di averci messo tutto l’impegno possibile. Incrocio le dita
affinché i personaggi siano credibili e rientrino nella caratterizzazione. Per
la storia mi sono ispirata alla canzone All
Fall Down degli OneRepublic, di
cui prende anche il titolo. La trovo giusta per l’atmosfera della storia.
Con la speranza che
possa piacere, auguro una buona lettura!
2ª
classificata al contest “The Mortal Instruments” indetto sul forum di EFP da signorino_
All Fall Down
Sai
che tutti crolliamo
Ama
fino a odiare
Salta
fino a farti male
Sai
che tutti crolliamo
(All Fall Down, OneRepublic)
Le rune incise sulle
mani pallide rilucevano appena mentre strofinava i palmi tra loro nel debole
tentativo di combattere il freddo serale. Alec, i capelli neri come la notte e
gli occhi di un azzurro intenso, stava appoggiato al portone del palazzo con la
testa china, mentre un sottile muro, visibile solo ai suoi occhi, lo celava al
resto delle persone di passaggio in quel quartiere.
Cacciando le mani nelle
tasche alla ricerca di più calore, si scontrò con qualcosa di freddo e
metallico. Tastando con i polpastrelli disegnò il profilo di una piccola
chiave. Premendola tra pollice e indice la spinse più a fondo nella tasca, come
se quel gesto potesse farla sparire.
Era come un pungolo che
premeva sulla carne, lacerandola un pezzetto alla volta. Si chiese perché l’aveva
accettata, togliendola dalle sue mani affusolate, esercitando con le dita
un’impercettibile carezza. Perché non l’aveva rifiutata quando un sorriso
sbarazzino e un po’ folle si era dipinto su quel volto dalla pelle brunita.
Con quei pensieri che
gli vorticavano nella mente corse a perdifiato tutte le rampe di scale,
inciampando sull’ultimo gradino, ritrovandosi a fissare la porta del loft. Il
petto ardeva come il più violento degli incendi e respirava a scatti, quasi gli
mancasse l’aria.
Cercando di imporsi la
calma, fece scivolare la chiave nella toppa e la serratura scattò. Mentre la
porta girava sui cardini, accompagnata da un gracchiante cigolio, e il salone
si apriva davanti ai suoi occhi, la risposta arrivò limpida e chiara alla sua
mente.
Quel posto era
diventato una droga, perché era come lui. Immenso ma vuoto.
Grezzo come un diamante
non ancora levigato. Abbandonato a se stesso, senza nessuno che avesse la cura
di raccoglierlo, facendone un gioiello brillante.
Avanzò piano
all’interno, mentre nuvolette di polvere vorticavano attorno ai suoi piedi,
disperdendosi nell’aria rarefatta della stanza. Le alte vetrate, perennemente
chiuse e spruzzate di vernice e glitter, mandavano riflessi distorti di luce lunare
che s’infrangevano sui muri, creando uno strano gioco di ombre.
Come quella stanza Alec
si sentiva svuotato di ogni cosa, dotato di tanto potenziale, ma non adatto
perché situato in una posizione scomoda.
Non capiva cosa ci
fosse di sbagliato in lui, che molte volte aveva provato e sperato di ricevere
uno sguardo più lungo di un battito di ciglia, una stretta di mano più
delicata, quasi una carezza. Da Jace. Dai suoi genitori. Aveva desiderato
ardentemente che lo guardassero e capissero, senza bisogno di discorsi troppo
articolati o gesti espliciti.
I loro occhi però
rimandavano sempre quello sguardo: l’amore per un figlio, l’affetto per un
fratello.
Allora si era
annientato un pezzo per volta, coltivando quei sentimenti al buio, senza il più
piccolo spiraglio di luce. Si erano radicati come un’erba cattiva, soffocando
il suo sorriso dolce e riempiendo il suo cuore di solitudine. Poi tra i fitti
rovi del suo cuore si era fatto strada un puntino luminoso, che una volta
scavato a fondo si era rivelato in un’esplosione di colori.
Magnus si era
catapultato nella sua vita come un uragano, dando uno scossone all’apatia dei
suoi sentimenti. E lo circuiva, con quegli occhi da gatto che sapevano essere
magnetici e Alec sorrideva impacciato, ma la verità era che si sentiva morire dentro,
mentre lacci invisibili stracciavano il suo cuore, riducendolo a brandelli.
La stessa sensazione
che lo attanagliava in quel momento, mentre il suo cuore si divideva di nuovo
tra il ragazzo che amava da una vita e quello che cercava di amare
disperatamente.
Nel tentativo di amarli
entrambi aveva tradito la loro fiducia, consegnando Jace nelle mani
dell’Inquisitrice e ferendo i sentimenti che Magnus nutriva per lui, facendolo
sentire un rimpiazzo.
Erano giorni che non
vedeva entrambi. Jace perché sotto stretta sorveglianza e Magnus perché era
scomparso nel nulla, dopo quel giorno a casa di Luke.
Provare a chiamarlo era
stato inutile, tutte le telefonate erano cadute nel vuoto. Si era sentito
perso, abbandonato, ma la verità era solo una. L’egoista era lui.
Lui che tirava i fili
di quell’assurda commedia. Lui che lo chiamava quando aveva bisogno, senza però
dargli niente in cambio. Lui che lo baciava, timido e nervoso, ma tirandosi
indietro l’attimo successivo. Lui che l’aveva in pugno, non viceversa.
Come le tenebre
scivolavano sui muri, con l’avanzare della notte, anche Alec scese lungo la
parete, ritrovandosi in terra. Il pulviscolo che danzava tutto attorno a lui.
Raccolse le gambe al
petto e poggiò la fronte alle ginocchia, le ciocche di capelli a ricadere in avanti
come a nascondere al mondo la sua colpa. Perché Alec voleva vedere Magnus, ne
aveva un bisogno disperato e se ne vergognava terribilmente. Non era degno di
quell’amore, eppure lo bramava, tendendo le mani verso le sue dolci spire.
Voleva essere punto, infettato, cosparso dal suo veleno. Sentirlo scorrere
nelle vene in una corsa disperata verso il cuore.
Doveva farsi
coinvolgere, a tutti i costi, perché era giusto così. Era la soluzione migliore,
doveva solo accettarla e tutto sarebbe andato bene. Un’illusione tessuta ad’arte.
Le mani si mossero in
uno spasmo violento, stringendo la stoffa dei pantaloni neri. Alzò gli occhi.
Doveva trovarlo.
E come evocato, lo
stregone era lì, sulla soglia della porta lasciata aperta.
Avvolto nel lungo
cappotto grigio, i capelli modellati dal gel e il contorno degli occhi cosparso
di glitter. Le pupille verticali lo fissavano in modo ipnotico, l’espressione
del viso indecifrabile.
Magnus fece qualche
passo avanti e una piccola pozza di luce gli scivolò addosso definendo i
contorni della sua figura.
«Sei qui.»
Alec trattenne il fiato
a quelle parole, la paura che si annidava all’altezza dello stomaco. Anche se
aveva fatto finta di non vederlo, ricordava l’espressione delusa e fredda di
Magnus poco prima di sparire dal salotto di Luke. Se l’era impressa nella
mente. Lo vide avanzare ancora e piantarsi di fronte a lui, sovrastandolo col
suo corpo.
«Torna all’istituto,
Alexander» lo disse con calma, senza nessuna particolare inflessione.
No.
No.
«No. Aspetta.» gli uscì
di bocca, un verso quasi strozzato. Protese una mano e per un attimo pensò di
aver afferrato l’aria, ma le dita si chiusero sulla stoffa dei pantaloni
dell’uomo.
«Aspetta, Magnus. Aspetta.»
ripeté, cercando di imporsi più forza di quella che aveva.
Allora lo vide
scivolare accanto a sé, gli occhi color ambra a sondarlo, in attesa di
qualcosa.
«Ti amo.»
Nell’oscurità che
avvolgeva quelle mura, gli parve di vedere qualcosa passare negli occhi dello
stregone, come una scintilla. Alec tremava tutto, nell’anima, e teneva gli
occhi spalancati sui suoi, quasi a farli lacrimare pur di non spezzare il
contatto.
«Alec…»
Cercò di fermarlo, ma
non poté niente e gli mancò il respiro. Alec lo stava baciando, divorandogli
centimetro per centimetro la bocca. Spingeva la lingua a cercare la sua,
intrecciandola, mentre infilava le dita tra i suoi capelli, tirandoli appena.
Magnus la sentiva, la cupa disperazione, mentre Alec gli mordeva le labbra,
suggendole. I denti cozzavano tra loro in quel bacio che di tenero non aveva
niente.
Stava cercando di
imporsi, di convincere se stesso e Magnus si riscoprì a odiarlo come mai prima
di allora.
Lo odiava mentre se lo
stringeva contro, attirandolo su di sé.
Lo odiava, baciandogli
con impeto le labbra morbide, che sapevano ferire più di una lama.
Lo amava talmente tanto
da odiarlo, allontanandolo da sé quel poco da staccare le labbra che li
tenevano uniti, nonostante il respiro di Alec gli s’infrangesse sulla bocca.
«No, tu ami lui.»
Gli sussurrò freddo,
mentre l’altro rabbrividiva, colto da uno spasmo.
Alec strinse con più
forza i capelli di Magnus tra le dita, tornando a lambirgli le labbra.
Non poteva cedere, a
costo di restare su quella bocca tutta la notte.
Doveva farsi
coinvolgere.
Doveva. Doveva.
Tutti crollano.
Doveva solo avere
pazienza.
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Disclaimer:
Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Cassandra Clare e gli aventi diritto; questa storia è stata scritta
senza alcuno scopo di lucro.
Note
finali: spero che la storia sia stata piacevole da leggere
e, se vi fa piacere, lasciare una recensione, anche solo per dire che non vi è
piaciuta.
Un grazie anche solo a
chi leggerà ♥