Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: DuediCuori    12/02/2012    5 recensioni
“No, non ci siamo. Non ci siamo per niente.” Scandì bene Feliciano, con un tono serio che non poteva essere il suo.
Ci mise un po’ per capire che stava subendo un rimprovero. Badare bene: Arthur Kirkland che viene rimproverato da Feliciano Vargas. Forse i Maya avevano ragione riguardo la fine del mondo.
“Cosa c’è che non va?” Sbottò di rimando, mettendosi istintivamente sulla difensiva.
“Il tuo armadio!”
Esclamò l’italiano, indicando con veemenza la pila disordinata di abiti che giacevano sul letto, come se fosse il più immondo degli orrori sulla faccia della Terra.
“Non c’è niente che vada bene per il nostro appuntamento!"
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'UkIta - In my fantasy, fabolous world'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
*Autore: Prof
*Titolo: Altrove, lontano da te
*Prompt: altrove
*Fandom: Axis Powers Hetalia
*Personaggi: Nord Italia (Feliciano Vargas), Inghilterra (Arthur Kirkland)
*Genere: introspettivo, comico, romantico
*Avvertimenti: (accenni di) shonen ai, (OOC? Non so giudicare)
*Rating: verde
*Conteggio parole: 2421 (fdp)
*Disclaimer: Hetalia di Hidekazu Himaruya
*Note: seconda parte di Ricatto Morale, facente parte di una serie più ampia; scritta per il cow-t 2 di maridichallenge.
Se conoscete Bleach, sappiate che nei panni del commesso mi piace immaginare Ishida.









Con il senno di poi, Arthur avrebbe fatto meglio a non aprire la porta della propria casa. Almeno non senza prima aver dato un’occhiata dallo spioncino. Anzi, non avrebbe proprio dovuto nemmeno pensare di avvicinarsi all’ingresso per scoprire chi fosse il misterioso visitatore di quel mattino. Al suono del campanello avrebbe dovuto invece scattare come una molla dalla poltrona del salotto, lanciando per aria la sua tazzina di tè e fregandosene altamente di sporcare il raffinato tappeto regalatogli da India, e filare a rifugiarsi sotto il letto, barricandosi fino alla sera stessa; mangiando la polvere, se fosse stato necessario.

Avrebbe dovuto capirlo da solo quale terribile sorte lo attendeva: quante sono le persone che hanno l’abitudine di improvvisare un allegro motivetto al campanello? O meglio, quante, con questa deprecabile abitudine, sono riuscite a sopravvivere alla sua furia dopo aver osato suonare a tal modo alla sua dimora?

Eppure quel giorno era iniziato tanto normalmente, con la promessa implicita che niente e nessuno avrebbe rotto la sua pacifica routine di misantropo inglese. Era troppo chiedere una giornata tranquilla, tanto da essere mortalmente noiosa, senza che nessun continentale, nessun parente, nessun essere umano o simile venisse a disturbare la sua sacra quiete? Non chiedeva di certo la Luna.

No, a quanto pare no. Dio o chi per lui aveva deciso che quel povero inglese un po’ di santa pace non se la meritasse. Come se avesse fatto chissà quale torto nella sua vita passata!

E adesso eccolo lì, impalato come un deficiente sulla soglia della propria camera da letto, ad osservare allibito e completamente impotente lo scempio che stava avvenendo ai danni del suo armadio, senza avere nemmeno il coraggio - il coraggio! - di fermare quella belva satanica dallo sventrare l’ormai compianto mobile con sistematica e lucida malvagità.

“Questo no, quest’altro no, questo neppure… Mamma mia! Questo è bruttissimo, veh! Assolutamente da buttare via! Questo non si abbina con niente! Quest’altro no. No, no, no e NO! E ancora NO!”

E a ogni secco, crudele,“no”, un preziosissimo capo della collezione di Arthur Kirkland faceva un volo per la stanza, piroettando e svolazzando con ridicole movenze, per infine atterrare, nei migliori dei casi, sul letto.

L’inglese sospirò affranto, lasciando che lo sguardo scivolasse sul campo di battaglia che stava diventando la propria camera. Le sue camicie, i suoi maglioni a rombi, i suoi completi… Tutti orrendamente spiegazzati: ci avrebbe impiegato giorni a stirare di nuovo il tutto.

No, decisamente non doveva permettere a quell’italiano di varcare la soglia della sua abitazione e intrufolarsi furbescamente nella sua tranquillissima vita. Come se non avesse già abbastanza a che fare con i latini.

Italia. Italia del Nord. Al secolo Feliciano Vargas.
Un essere così frivolo, così piagnucolone, così debole, così… “Feliciano” da avergli sempre fatto saltare i nervi per aria al primo sguardo. Un monumento all’inaffidabilità, una scheggia impazzita assolutamente imprevedibile che sfuggiva a ogni comune logica.
Un essere così… spontaneo, libero, bello, e ancora, imprevedibile, da tenere lui, inglese inflessibile e disgustato dalle sciocchezze, in scacco con una facilità da farlo rabbrividire.
Capace di tessere un dolce ricatto ai suoi danni, dal quale Arthur non riusciva a liberarsi. Un ricatto dei più subdoli, di quelli che legano il cuore e la mente, rafforzati da ogni sorriso leggero e luminoso, impossibile da eludere se non gettando al diavolo orgoglio e dignità. Salvo che l’inglese fosse ancora in possesso di queste qualità.
Fatto sta che alla fine Arthur non era riuscito a sbattere la porta in faccia al suo sgradito - va precisato – ospite, ritrovandosi in quel momento con la prospettiva di passare il resto della mattinata a sistemare il caos creato dall’italiano.

Lo sbuffo, che voleva essere in parte adirato, in parte deluso, di Feliciano riportò Arthur a prestare attenzione alla realtà che lo stava circondando, strappandolo dai suoi lugubri pensieri.
Mr Macaroni si voltò, il viso corrucciato di chi si ritrova, suo malgrado, nella parte del maestro cattivo costretto a rimproverare un alunno particolarmente discolo, fissandolo senza dire un solo “veh” per quella che parve un’eternità. Arthur, per il quale era la prima volta che aveva l’onore di vederlo senza quella faccia da ebete perennemente felice, per un attimo vacillò sul posto, quasi sentendosi in colpa per un motivo che nemmeno conosceva.

“No, non ci siamo. Non ci siamo per niente.” Scandì bene Feliciano, con un tono serio che non poteva essere il suo.
Ci mise un po’ per capire che stava subendo un rimprovero. Badare bene: Arthur Kirkland che viene rimproverato da Feliciano Vargas. Forse i Maya avevano ragione riguardo la fine del mondo.

“Cosa c’è che non va?” Sbottò di rimando, mettendosi istintivamente sulla difensiva.

“Il tuo armadio!”
Esclamò l’italiano, indicando con veemenza la pila disordinata di abiti che giacevano sul letto, come se fosse il più immondo degli orrori sulla faccia della Terra.
“Non c’è niente che vada bene per il nostro appuntamento! Lo sapevo…” piagnucolò, lasciandosi andare per un attimo a un triste sconforto.

La parola ‘appuntamento’ preceduta addirittura da un ‘nostro’ ebbe lo stesso effetto di una doccia gelata su Arthur. Non che si fosse dimenticato dell’impegno estrapolatogli con subdolo inganno – perché di questo si trattava, alla fine dei conti; semplicemente, meno ci pensava, meno si sentiva un imbecille in trappola; e meglio riusciva a tenere a bada quell’aspettativa che ogni tanto si sorprendeva a coltivare.

“Non ci resta che uscire” sentenziò a un tratto Feliciano, del tutto incurante delle pare mentali che attanagliavano l’animo di colui che gli stava piantato di fronte, incrociando con decisione le braccia al petto, in un gesto che più o meno voleva dire: 'È assolutamente necessario uscire, e sarò irremovibile su questa decisione qualunque cosa tu proverai a dire. Quindi, è inutile che sprechi fiato'.

“No! Te lo puoi anche scordare, Vargas!” gracchiò Arthur, cominciando a scocciarsi di quella situazione che non stava né in cielo né in terra; va bene, si era già impegnato per un appuntamento con Mr Macaroni, ma questo non significava che sarebbe rimasto un secondo di più al suo stupido gioco. Non aveva tempo da perdere lui dietro a simili scempiaggini!
“Non starò nemmeno un altro secondo di più ad ascoltare le tue sciocchezze, capito?! Io faccio quello che mi pare!”

Tempo cinque minuti, e si stava già infilando il cappotto, con Feliciano che lo guardava con quell’espressione lieta mentre lo aspettava gaudente nell’ingresso di casa, la mano già posata sulla maniglia.



***



Perché? Perché era in quel camerino? Come aveva fatto a finire lì? Chi lo aveva costretto? Come aveva potuto farsi trascinare fin lì? Soprattutto, perché si stava provando una costosissima camicia firmata Armani?

Altrove, altrove, altrove. In qualsiasi altro posto al mondo, ma non lì. Non rinchiuso in quel camerino asfissiante, a provare l’ennesima camicia firmata (Armani, che solo a guardarla ti costava il sangue delle vene!), con l’angoscia di dover poi uscire da quel, tutto sommato, improvvisato rifugio per sottoporsi al giudizio implacabile di quell’italianotto e di quel fighetto del commesso, in fibrillante attesa come iene.

Oh, il commesso! Come gli stava sulle palle il commesso! Mai avrebbe detto di poter odiare un suo connazionale a quel modo; peggio sarebbe stato solo un ipotetico suo alter ego francese; con quell’occhiata di sufficienza attraverso i suoi occhialetti (firmatissimi anche’essi, ci mancherebbe) che gli aveva riservato appena entrati nel negozio (atelier, prego), nemmeno fosse stato l’ultimo dei pezzenti.

Sbuffando come una vecchia locomotiva, chiuse gli ultimi bottoni sotto al colletto, lanciandosi un’occhiata decisamente scocciata allo specchio. La sua immagine riflessa gli urlava impietosa quanto fosse fuori posto in quel luogo,  almeno tanto quanto il buon senso nella testa di Alfred.
Che idiota. Che idiota totale, a farsi portare a spasso come un cagnolino da un altro idiota, per giunta. Eppure, quando Feliciano lo trascinava per il braccio a destra e a sinistra del marciapiede, saltellando da un negozio all’altro, proprio non gli riusciva di dire di no – cosa che in generale gli riusciva più che bene con il resto del mondo.

“Allora, hai finito?” chiocciò l’allegra voce dell’italiano, il quale subito fece sbucare la testa da oltre la tendina che li separava.
Arthur sussultò per quella scandalosa violazione della sua privacy.
“M-ma che stai facendo?! Non riesci ad aspettare fuori?” bofonchiò agitandosi tutto, nemmeno lo avesse scoperto a rubare.
Dal canto suo, Feliciano gli restituì un’occhiata perplessa, del tutto incapace nella sua semplicità di vedere le cose di anche solo supporre i complessi che tanto facilmente l’inglese si creava.

“Mmh, non pensi di esagerare? Non ti ricordi che io ti ho visto completamente nudo?” controbatté, con una disinvoltura disarmante.

Il tono del viso di Arthur divenne pericolosamente rosso, con una tale velocità da ricordare la capacità di accelerazione di una Ferrari.
“Non c’è bisogno di farlo sapere al mondo!” soffiò, cercando di non mettersi a strillare per tutto il negozio come un pazzo isterico.

Feliciano sorrise, cordiale, per nulla intimorito dal violento rossore che aveva attaccato il viso del suo compagno di shopping. Gli sistemò la camicia.
“Su, forza, esci. Devo vedere come ti sta.”

Soffocando un ‘ma non lo vedi ora come mi sta?’ molto poco cordiale, recalcitrante, Arthur uscì fuori dal suo covo d’emergenza, facendo mostra di sé all’interno del negozio.
Ad Arthur Kirkland non piaceva essere al centro dell’attenzione. Da tempo ci era giunto a patti, non pretendendo da sé l’impossibile. Al contrario di Francis, non si trovava a suo agio sotto lo sguardo attento altrui; a differenza di Alfred, non riusciva semplicemente a ignorare gli occhi puntati sulle sue azioni; non era in grado nemmeno di diventare all’occasione invisibile come Matthew, o a cavarsela con qualche atteggiamento standardizzato come Ludwig. In sintesi, non era in grado di stare sotto i riflettori senza apparire un pezzo di baccalà.
Da tempo l’aveva capito, da tempo evitava ogni situazione che lo potesse mettere in tale imbarazzo. Almeno fino a quando uno sciocco italiano aveva deciso di rivoluzionargli la sua vita quotidiana – e Dio solo sa quanto Arthur odiasse le rivoluzioni.

Feliciano trotterellò ad almeno tre passi lontano, per fare poi una mezza piroetta addobbata di un inutile “veh!” festante e osservarlo con attenzione, non riuscendo a trattenersi dal battere le mani entusiasta.
Nel frattempo, anche il commesso li aveva raggiunti – per l’immensa felicità di Arthur, osservandolo pure lui attraverso i suoi occhialetti da fighetto.
“Ti sta proprio bene!” chiocciò allegro, dondolandosi appena sul posto colto da eccessiva, sciocca, esaltazione.
“Questa è perfetta! Non pensa anche lei?” chiese poi rivolgendosi al quattrocchi; palese era che Arthur non aveva alcuna voce in capitolo riguardo al vestiario che lui stesso avrebbe dovuto indossare.
“Oh, ma certo! Il malva si addice proprio alla sua carnagione. Ottima scelta, sir.”
Veh! Grazie! Allora prendiamo questa, insieme al completo che abbiamo provato! E anche quella cravatta e il gilet che ho visto prima!”
Il commesso occhialuto si produsse in ultimo mellifluo sorrisino.
“Sì prepara per un’occasione speciale, a quanto vedo.” Disse, con quel tono complice che fece subito saltare la mosca al naso ad Arthur.
“No, non è nul-“

“Già! E’ per l’appuntamento che ha con me!”
E mentre il commesso si congratulava con loro, Arthur desiderò ardentemente sparire inghiottito dal pavimento, per ritrovarsi in un qualsiasi altro luogo lontano anni luce da lì.



***



Altrove, in qualunque altro luogo sulla faccia della Terra, anche sulla Luna o peggio, all’Inferno, bastava che non fosse lì, a girare per il centro di Londra con il chiacchiericcio di Feliciano nell’orecchie, reggendo una borsa enorme con stampato a chiare lettere “Armani”.
In condizioni normali si sarebbe anche ribellato al fatto che Feliciano lo stesse portando allegramente a braccetto, come una felice coppietta di innamorati; ma, a mezz’ora dall’atroce fatto, risentiva ancora dello shock causatogli dalla vista del conto.

“Stai bene, Arthur?”

Ci mise un po’ per capire che in mezzo a quel fiume di parole che instancabile scorreva dalle labbra dell’italiano, gli era stata rivolta una domanda; aveva cominciato a non seguire più il discorso dell’altro quando era stato introdotto un aneddoto su gattini carini e sulle (a quanto pare) posticce patate tedesche, preferendo disperarsi calcolando a quanti anni sarebbe stato condannato a mangiare solo fagioli in scatola per appianare la spesa del giorno.
Grugnì, non avendo nemmeno la forza di provare ad arrabbiarsi.
“Vargas, ti rendi conto di quanto tu mi abbia fatto spendere?” asserì con tono drammaticamente serio; che almeno si sentisse in colpa, accidenti!
“Non ti piacciono i vestiti?” fu invece l’accorata reazione dell’italiano, spaventato più dalla questione ‘gusto’ che da quella ‘denaro gettato al vento’.
Arthur sospirò, rassegnato, prima di riprendere ancora più grave. “Non sto dicendo questo.”
“Allora ti piacciono!”
“No!” Sbuffò ancora. “Cioè, sì! Mi piacciono! Ma non è questo il punto!”
“E allora qual è il punto?”
“È che abbiamo, anzi ho, speso una barca di soldi!”
“Ed è un problema?”

Arthur arrestò il loro cammino, d’improvviso, quasi facendo cadere l’altro per il gesto brusco, il quale rimase su due piedi solo perché saldamente ancorato al braccio dell’inglese.
Questa volta lo fissò dritto negli occhi, prima di proferire la sua sentenza definitiva.
“Certo che lo è!”
“Vorresti dire che dai così poca importanza al nostro appuntamento da preferire presentarti in maniera mediocre?”
Quasi gli mancò il fiato di fronte a quell’accusa infamante. Deglutì a vuoto, e non seppe quale forza gli permise di non sfuggire allo sguardo dell’altro, che nel giro di pochi secondi si era fatto insostenibile.
“N-no!” gracchiò, il tono la voce stridula per la fretta di dimostrare un no convito.
“E allora non c’è nessun problema!”
“… pensala come vuoi, Vargas.”

Raddrizzò allora lo sguardo verso il loro percorso, con tutta l’intenzione di chiudere lì la discussione. Del resto, non avrebbe avuto senso continuare visto che, a quanto pareva, ogni possibile argomentazione di buon senso rimbalzava sul suo ‘acuto’ interlocutore.
Mosse un primo passo per riavviare il cammino, ma Feliciano, rapido, sgusciando dal suo braccio, gli si parò davanti, acchiappandogli entrambe le mani nemmeno temesse che da un momento all’altro si sarebbe dato alla fuga.
“Dillo.”
Arthur sbuffò, per l'ennesima volta dall'inizio di quella mattinata, alzando gli occhi al cielo per chiedere un po’ di pazienza – ché lui, notoriamente, ne aveva molto poca.
“Cosa?”
“Che ti piacciono.” scandì Feliciano, sfoggiando un allegro sorriso senza un palese motivo. “I vestiti che ho scelto per te.” puntualizzò poi, stringendo appena la presa.
“Perché dovrei darti questa soddisfazione?”
“Perché far sentire bene le persone è una cosa bella.”

Arthur si irrigidì all’istante, serrando la mascella e strabuzzando gli occhi in un modo che l’italiano dovette giudicare comico, da come si lasciò scappare una piccola risata. Quel… essere. Non aveva proprio pietà.
Si sottrasse di nuovo a quello sguardo trepidante di attesa, puntando gli occhi su qualsiasi altro campo visivo che non includesse anche solo la presenza del ciuffo del suo aguzzino.
La speranza che, magari sbucando da un cestino dei rifiuti o da un cespuglio o da dietro una cassetta delle lettere, qualcuno spuntasse pronto a suggergli la mossa giusta per conservare l’ultimo briciolo di dignità rimastagli, era del tutto vana. Oltre che palesemente ridicola.
Sospirò, prese coraggio; e si costrinse a capitolare.
“… mi piacciono.”

Solo allora Feliciano lo liberò, non prima di illuminarsi con un sorriso vittorioso.
“Ne sono contento. E adesso andiamo a comprare le scarpe!”
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: DuediCuori