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Autore: telesette    13/02/2012    1 recensioni
[Io speriamo che me la cavo]
Mentre dico questo, i ragazzi mi osservano ammutolìti. La mia colpa verso di loro va oltre ciò cui hanno assistito: accettando l'incarico qui, io dovevo sforzarmi di essere sempre un esempio per loro, un modo per capire la differenza tra giusto e sbagliato, e invece li ho traditi. Probabilmente ora non riuscirebbero a capirmi, neanche se glielo spiegassi perbene e con più calma, ma sono sicuro che col tempo capiranno per quale motivo non posso più essere il loro insegnante...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Io speriamo che me la cavo è un film del 1992, diretto dalla regista Lina Wertmüller ed interpretato da Paolo Villaggio. Il film è tratto dall'omonimo romanzo di Marcello D'Orta.

 
IMMAGINE TRATTA DAL FILM

Questione di coscienza, Maestro Sperelli

Non posso crederci...
Non posso credere di averlo fatto davvero!
In un momento di rabbia, ho ceduto all'impulso e... Ma come ho potuto, come?
E' successo tutto talmente in fretta che, quando me ne sono reso conto, quel bambino era già per terra per lo schiaffo che io gli avevo dato. Le sole cose che ricordo, a parte l'odio dei suoi occhi e il sangue che gli colava dal naso, sono le espressioni dei miei alunni: sorpresi, confusi, perfino impressionati e spaventati... Sì, spaventati, forse perché temono che questo sia ciò che succede a chi manca di rispetto al maestro. Ma come faccio a tranquillizzarli, come posso spiegare che non è così, come?
Sono uscito perché non avevo il coraggio di guardarli, dopo quello che avevo fatto, ero sconvolto. Stavo male, non riuscivo quasi a respirare, e nessuno era in grado di aiutarmi.
Se prima mi sono sorpreso di come, da maestro elementare, ho alzato le mani su un bambino di otto anni, adesso mi rendo conto con i miei occhi di quanto drammatica sia la situazione per chi vive qui. I bambini crescono a contatto con la violenza, comportandosi da delinquenti, e la comunità stessa ritiene che sia giusto per permettere loro di sopravvivere. Ma come è possibile giungere a questo punto? Dove siamo andati a finire? Lavoro minorile, furti, rapine, traffici, spaccio... Un bambino mi si para davanti, con una voce e uno sguardo tali da fare rabbrividire, e io lo prendo a schiaffi.
No, assolutamente!

Io non posso fingere che una cosa del genere non sia accaduta, checché ne pensino la direttrice e il corpo-insegnanti di questa scuola, io devo rispondere davanti alla legge di un grave abuso.
Per anni e anni ho speso l'esperienza della mia professione, cercando di insegnare la filosofìa della non-violenza, e nonostante questo ho ceduto alla rabbia e alla parte peggiore di me. Se dovessi essere io a giudicarmi in un tribunale di stato, mi assegnerei il massimo della pena o comunque mi obbligherei a rispondere della gravità di questo gesto... Ma il mondo reale gira assai diversamente da come vorremmo, o da come dovrebbe!

Non appena rientro in classe, con gli occhi dei bambini puntati addosso e le parole della direttrice che mi rimbombano in testa, vorrei essere in qualunque altro posto. Invece devo avere il coraggio di rispondere delle mie azioni: per quanto sia difficile, devo spiegare a questi bambini che non è questo il modo; che proprio il loro maestro, colui che ha il compito di guidarli e aiutarli nell'intraprendere la via da seguire, ha sbagliato e deve riconoscerlo... Non perché altri lo accusano o lo ritengono in torto, ma perché lui per primo si accusa e sa di essere in torto.

- Vi è piaciuto eh, quello che ho fatto... "Il signor maestro si è fatto rispettare" - sussurro, per quanto dalla mia voce si avverte chiaramente la mia profonda amarezza. - Ma come? Picchiando un vostro compagno...

I bambini mi guardano, anche se probabilmente non capiscono o non si rendono conto. Per loro, il maestro ha reagito come "chi sa farsi rispettare"... Ed è per questo che adesso mi guardano con occhi colmi di ammirazione, invece di vedermi per come io mi vedo adesso: un uomo indegno!

- Vedete, voi adesso mi ammirate per una cosa per la quale in realtà mi dovreste... disprezzare! Perché il rispetto che si ottiene con una prepotenza: oggi con uno schiaffo, domani con una minaccia, con una revolveràta o un colpo di mitra, non è rispetto... E' vergogna! Ed è forse la ragione principale dei tanti guai di questo paese...

Mentre dico questo, i ragazzi mi osservano ammutolìti. La mia colpa verso di loro va oltre ciò cui hanno assistito: accettando l'incarico qui, io dovevo sforzarmi di essere un esempio per loro, un modo per capire la differenza tra giusto e sbagliato, e invece li ho traditi. Probabilmente ora non riuscirebbero a capirmi, neanche se glielo spiegassi perbene e con più calma, ma sono sicuro che col tempo capiranno per quale motivo non posso più essere il loro insegnante.

- La violenza è indegna di un essere civile... Tanto più per un maestro!

Un uomo che picchia i suoi alunni non è degno di insegnare niente, tranne che a sé stesso, se ha ancora un minimo di coscienza. Forse un altro al mio posto si convincerebbe di aver agito bene, di aver fatto la cosa giusta, perché spinto dalla necessità... Ma non è così, invece. Il maestro Sperelli ha sbagliato e, per quanto difficile sia, adesso deve portarne il peso.
Mentre mi alzo e mi accingo ad andarmene, i bambini mi guardano ancora più tristemente. Tuttavia non posso fare altrimenti, se voglio che almeno loro traggano un utile beneficio da questa triste esperienza. Se domani si trovassero al mio posto, come si comporterebbero? Riuscirebbero a convivere con il rimorso, oppure giustificheranno il proprio torto con una falsa ragione? Ci sono cose di noi stessi che vanno accettate, con tutte le conseguenze che comportano, per questo ci è dato avere una coscienza.

FINE

 

Angolo dell'Autore:
a parte l'amarezza che provo, prima e dopo aver scritto queste righe, spero vivamente che questa storia arrivi a toccare i veri ipòcriti... La coscienza del maestro Sperelli è la coscienza dei forti: coloro che sbagliano ma hanno il coraggio di ammetterlo, altrimenti si è proprio come tutti gli altri.

"Ogni uomo è il primo giudice di sé stesso, nel bene e nel male, e pochi se lo ricordano purtroppo!"

( Dean M.B. Wolferson )

   
 
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