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Autore: Akane    13/02/2012    0 recensioni
"Ma sì, il punto è che ho una fottuta paura e stare qua con lui è decisamente meglio. Vedere come se la cava. Ed anche assistere al suo enorme dolore, a come si consuma, come sembra ogni giorno più piccolo, perso e spezzato, è meglio che andare là dove non so a fare cose che non so e a diventare chi non so.
Non so nemmeno se poi dopo c’è effettivamente un là.
Ma prima di tutto dovrei pensare alla morte. Alla mia morte"
Un motociclista e la sua fine sconvolgente che il destino ha voluto quasi affidare al suo migliore amico, come per mettere uno nelle mani dell'altro. Ed entrambi bloccati in quell'assoluto non vivere. Uno di qua e l'altro di là. Uno vivo e l'altro no. Con lo stesso dolore atroce. Comunque vicini.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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AUTORE: Akane
TITOLO: Iridescente
SERIE: original
GENERE: triste, introspettivo
TIPO: one shot, pov alternato di "Matteo" e Ale.
DISCLAMAIRS: i personaggi e la situazione, ve ne accorgerete subito, sono ispirati a cose vere però per rispetto verso gli originali ho voluto cambiare i nomi e fare la storia un po’ a modo mio. Anche perché sostanzialmente ciò che c’è scritto non sono cose che io posso effettivamente sapere, sono frutto della mia immaginazione. Per cui ve ne accorgerete subito che i protagonisti sono ispirati a Marco Simoncelli e a Valentino Rossi, ma non sono veramente loro, non ho voluto per rispetto.
NOTE: la prima stesura l’ho fatta coi nomi originali ed il giorno stesso in cui il bruttissimo incidente era successo. Poi ho chiuso tutto piangendo come una fontana e messo da parte. L’ho ripreso oggi, a distanza di quattro mesi, l’ho riletto ed ho deciso di modificare i nomi, mettere i giusti crediti e correggerla. Perché l’ho scritta? Perché io esorcizzo così, scrivendo. Quando qualcosa mi ossessiona, qualunque essa sia, per togliermela dalla testa ci scrivo su, sono sempre le mie personali versioni e visioni ed interpretazioni, niente di effettivamente conforme alla realtà, perché, ripeto, è il mio modo di ‘mettermele via’. E funziona sempre. Vorrei condividere questa perché seppure sia frutto della mia immaginazione, è la mia visione delle cose. Perché il titolo ‘Iridescente’? perché quando l’ho scritta ascoltavo Iridescent dei Linkin Park e credetemi che ispira parecchio per questo tipo di fic. Se volete ascoltarla cliccate sul link del titolo, sotto ai versi della stessa da me scelti.
Consideratela un piccolo omaggio ad un grande ragazzo scomparso prematuramente. A Marco.
Non ho niente altro da dire se non buona lettura. Niente di felice, ovviamente.
Baci Akane

Iridescente

“Ed in uno squarcio di luce che
ha accecato ogni Angelo
Come se il cielo avesse esploso
i Paradisi nelle stelle
Hai sentito la solennità della grazia temprata
Cadendo nello spazio vuoto
Nessuno lì ad afferrarti tra le sua braccia
Ti senti freddo e perso nella disperazione ?
Fai crescere la speranza
Ma il fallimento è tutto ciò che conosci
Ricorda tutta la tristezza e frustrazione
E lasciala andare
Lasciala andare”

/ Iridescent - Linkin Park/


“Era bello.
Tiravo la moto quanto più potevo, stavo cercando di guadagnare terreno perché avevamo appena cominciato, per piazzarmi nel miglior posto possibile. Le partenze sono il mio punto forte, Ale invece è bravo durante la gara a guadagnare terreno dopo, ma io tendo a piazzarmi all’inizio, quando gli altri sono ancora freddi.
Quindi tiravo la moto, proprio come piace sempre a me. La sentivo vibrare sotto di me, era così bello che non pensavo a niente.
Anche perché quando sei lì non riesci mica a pensare a niente, vai e basta, fai quello che sai, il tuo corpo registra automaticamente i movimenti, non calcoli niente e nessuno. Pochi centimetri di raggio visivo fissi sulla strada che devi fare. Nient’altro.
E vai.
Quindi il primo giro era andato abbastanza bene, ero riuscito a superare Ale e me la godevo pensando che forse questa volta potevo batterlo.
Ridevo fra me e me, quando ho fatto quella curva.
Cosa diavolo è successo?
Mi sono inclinato tanto, ma lo faccio sempre. È solo che ad un certo punto il piede mi è scivolato, quello esterno, e mi sono trovato come strappato via, non riuscivo a rimettermi su. Quando ho realizzato che invece di riagganciarmi stavo sfuggendo via dalla moto, ero ormai praticamente steso sull’asfalto, ma il piede di sotto rimaneva agganciato al pedale e la moto andava avanti.
Ho solo pensato… cazzo, devo riuscire a rimettermi su, non sono uscito di strada, la moto va ancora, non sono fuori gara!
Questa è stata l’ultima che ricordo.
Non c’è stato un vero momento in cui mi son detto che non ce l’avrei fatta, non la contemplavo la possibilità. Pensavo solo che potevo farcela. Che dovevo. Che ce l’avrei fatta.
In qualche modo ce la faccio sempre…
Poi è stato il buio.
È come se mi fossi addormentato.
Non ho sentito assolutamente niente. Nessun impatto, nessuno strappo, nessuno schiacciamento. Niente di niente.
O per lo meno non riesco a ricordarlo.
È successo che mi sono addormentato… come potrebbe succedere quando uno sviene. Ecco, è così che è stato.
Niente di traumatico, non da come l’ho vissuta io.
Poi mi sono risvegliato ed ero lì e mi vedevo.
Mi vedevo da fuori, cioè.
Riverso sull’asfalto.
Dio, non so quanto tempo possa essere passato dal momento in cui mi è sembrato di addormentarmi a quando poi mi sono svegliato, però su di me c’era un altro motociclista che non osava guardarmi, era piegato in due e si teneva le mani sul casco. Non se lo era tolto, nemmeno i guanti.
Ma io il casco non l’avevo, ero steso a faccia in giù e credo che sanguinassi. Non ho voluto guardare bene perché pensavo di stare sognando, anche se l’ultima cosa che ricordavo era di aver corso sulla moto. Magari ero svenuto e stavo avendo un’allucinazione.
È così che sono andato avanti.
Pensando a quando mi sarei svegliato e tornato come sempre.
E per assurdo il mio pensiero era… ormai la gara è andata, qualunque cosa stia succedendo davvero dall’altra parte.
Ho visto il mio corpo venire soccorso, ero davvero in pessime condizioni e vedevo tutto dall’esterno senza preoccuparmi troppo. Bè, un po’ ansioso lo ero ma penso fosse normale, dopotutto anche se pensavo di stare sognando, assistevo ad un gran brutto momentaccio.
Quando sono stato portato via in ambulanza e mi hanno rianimato, ero lì con loro. Ho visto tutto e mi sono detto che era un gran brutto spettacolo. Ho pensato… se questa è la visione di un mio incidente, sarebbe meglio guardare le reazioni degli altri… non ci tengo a vedere me stesso in quelle condizioni!
Nel momento stesso in cui l’ho pensato sono stato trascinato via, come se lo spazio non esistesse e nemmeno le leggi della natura e della gravità.
Mai stato più leggero, leggero dentro, oltre che fisicamente.
Non avevo preoccupazioni effettive, non quelle che ho sempre avuto, per lo più cazzate.
Però avevo una strana ansia dentro che cresceva di istante in istante. Questo sì.
La parte peggiore di tutto quel sogno è stato proprio lì, quando mi sono ritrovato accanto alla persona che probabilmente mi interessava vedere di più in quel momento.
Ale.
Il mio migliore amico.
Non so perché vicino a lui e non alla mia famiglia, forse perché per me l’amicizia è sempre stata una costante, chi lo sa. Più di ogni altra cosa.
Perché sono gli amici che ti fanno vivere bene la vita, che ti fanno divertire, ridere, stare bene… è con loro che fai le cazzate e le cose più belle, no?
Non so.
Però vederlo dopo che era sceso dalla moto, tornato quindi giù dalla pista poiché la gara era stata fermata, lui era là circondato da non so quanta gente che gli riferiva notizie al volo, ogni secondo. Con fotografi e giornalisti davanti che lo tormentavano e lui che a stento ci stava dietro.
Era là, nel caos, nel panico, e cercava solo di capire. Capire qualcosa.
Mi si è stretto il cuore, è apparso così piccolo.
Ale non è certo alto e grosso… è piccoletto, magrolino e… bè, sembra più un topo, in effetti, ma ha quell’aria sorridente, da sbruffone coinvolgente che tutti gli adorano. Io compreso.
In quel momento non aveva più quell’aria.
Era angosciato, perso, preoccupato… e poi terrorizzato.
Quando l’ho visto spezzarsi per qualcosa che dovevano avergli detto, ho capito che era per me.
Si è raggomitolato sulla sedia dove stava, si è preso la sua fedele bandana portafortuna da cui non si separava mai da quando gliel’avevo regalata da mocciosi e l’ha stretta sul viso.
Piangendo.
Cazzo, piangeva… e non ho avuto il solo dubbio che fosse per me.
Il dolore che ha provato mi ha investito tutto in una volta, acuto, tremendo, atroce, fortissimo. Come un uragano che spazza ogni cosa che trova, mi sono sentito strappare via da me, da lì, dalla mia coscienza… ma con ogni volontà residua sono rimasto lì con lui. Volevo continuare a guardarlo. Era solo un sogno, probabilmente mi era successo qualcosa di brutto e lui lo veniva a sapere… chi se ne frega, lui stava così male… non potevo, no?
Non potevo proprio andarmene in quel momento.
Volevo guardarlo bene perché quando poi mi sarei ripreso ed avrei ricordato… cosa? Cosa avrei fatto?
Non sapevo, non riuscivo a pensare in termini di futuro. Di cosa avrei fatto. Di cosa volevo o speravo. Riuscivo a pensare solo in termini di presente. Di cosa facevo. Punto.
Sono riuscito con fatica a rimanergli accanto e l’ho seguito per tutta la giornata.
Poco dopo che l’ha saputo è corso a cambiarsi e poi è sparito. Semplicemente sparito dagli altri, nessuno è riuscito a raggiungerlo e a fermarlo.
Ho pensato andasse da me ma così non è stato. Ero un po’ incuriosito, non capivo di preciso cosa mi succedeva ma era più importante stare con lui.
E così è salito su una delle macchine a disposizione di chissà chi e se ne è andato via.
Dopo poco ho capito dove andava e ho cominciato a preoccuparmi seriamente e non perché non mi svegliavo più, ma bensì perché questo è ciò che -cazzo me ne rendevo conto solo in quel momento- Ale avrebbe fatto se mi fosse successo qualcosa di grave.
E con grave dico irreparabile.
È andato per strade sconosciute, probabilmente si è perso nel trovare un posto che lo soddisfacesse. Eravamo fuori casa, in una città dove aveva corso diverse volte, però non certo dove vivevamo, insomma.
Quando ha fermato la macchina è sceso, era in periferia, in mezzo a dei campi deserti, fra alberi e stradine di ghiaia.
Ha fatto qualche passo, era come impazzito, sembrava un’anima in pena. Gli occhi grandi che ho sempre detto ‘un giorno ti usciranno dalle orbite!’ erano gonfi e rossi. Non aveva fatto che piangere e non respirava bene. Si sentiva male, male fisicamente, ero convinto sarebbe crollato da un momento all’altro, non mi è mai apparso tanto fragile.
Era come impazzito. Dopo aver camminato un po’ su e giù fra gli alberi che erano lì, si è fermato davanti ad uno di essi e contro il tronco ha tirato un pugno con quanta forza aveva. Ha fatto tremare le foglie e mi ha stupito. Non è mai stato molto forte.
Doveva essere davvero sconvolto.
A conferma del suo stato allucinato, ha gridato e gridava e piangeva e poi solo si è accasciato contro il tronco, l’ha stretto come fosse una persona ed è scivolato giù, in ginocchio, continuando a piangere con la fronte contro di esso.
Ha pianto a lungo, tantissimo, senza più gridare o dare pugni.
Ma ha pianto sempre stringendo la bandana.
Ed il suo dolore… il suo dolore… è stato quello a farmi capire.
Quando l’ho realizzato è stato il caos.
Ho capito che quel suo dolore che sentivo dentro di me era reale. ERA REALE così come ciò che mi era capitato.
E non c’erano dubbi su cosa fosse.
Non c’erano più dubbi.
Ma nel momento in cui ho capito di essere morto, ho deciso che non sarei andato a guardarmi e che anzi non avrei guardato nessun altro dei miei cari o dei miei amici in quel momento.
Ho deciso che sarei rimasto solo lì con lui, con Ale. Perché mi preoccupava, perché ormai l’avevo già guardato, perché volevo assicurarmi che si riprendesse, perché… non so… perché lui era vivo… “

È stato talmente veloce che non ho capito assolutamente un cazzo!
So solo che sono riuscito a stare sulla moto e a non prendere nessuno, quindi senza assicurarmi su che incidente fosse stato né su chi fossero quelli coinvolti, sono corso via, oltre a tutto, per rimettermi in pista. Come si fa di solito in questi casi.
Se non cadi dalla moto e rimane in piedi, torni in corsa. Punto.
Non calcoli altro. Non guardi altro. Non c’è spazio per niente.
Solo te, la moto e la gara.
Così sono andato per poi vedere che facevano rientrare tutti ai box. Quando l’ho visto ho capito che doveva essere stato un brutto incidente e mi sono preoccupato perché non ho nemmeno idea su chi fossero gli altri coinvolti.
Due mi pare. Ma chi?
Quando corro non faccio caso a chi mi circonda, vado e basta. Volo.
L’ansia mi ha colpito subito ma vai tu a pensare a qualcosa di grave? No!
Quando sono sceso mi hanno subito detto che era Matteo ed in quel momento ho cominciato a bloccarmi.
Non mi sono ancora sbloccato.
Come lo descrivi ciò che provi quando ti dicono che il tuo migliore amico ha avuto un bruttissimo incidente?
Non lo descrivi, è impossibile.
Ero là e cercavo di capire cosa mi dicevano, era un casino, erano tutti schizzati ed io stavo seduto perché per contro non riuscivo a muovermi. Cercavo di ricordare il momento, io ero lì, proprio accanto. Ho visto solo che quello che avevo vicino si è scontrato con qualcuno, non ho visto altro, ma chi dei due? Chi dei due era Matteo? E soprattutto… io sono riuscito ad evitare il botto per un pelo ma com’era quando me ne sono andato?
Dannazione, perché non mi sono fermato?
Perché sono tornato in pista?
Perché, cazzo?
Dovevo stare lì e soccorrerlo. Si è fatto male ed io…
Poi mi rimandano le scene e mi rivedo schivare quello scempio a cui per un pelo non ci vado io stesso sopra. E forse in realtà lo faccio, come diavolo lo posso capire con certezza? Le immagini non sono per un cazzo chiare ed io vorrei rivivere tutto per essere sicuro ma non posso, non mi viene in mente nulla di sicuro.
Ero io sopra a Matteo?
Quando vedo che era lui che si era staccato dalla moto rimanendo agganciato steso in mezzo alla strada, mi viene male. Il cuore comincia ad andare all’impazzita. L’altro vicino a me in moto lo prende in pieno, oh Dio in pieno!
Gli passa sopra e poi si ribalta mentre io schivo per un soffio -o forse lo prendo?- e corro via, non capendo chi è e cosa è successo.
Cazzo, perché non mi sono fermato?
Lui rimane lì steso in mezzo alla strada, il casco gli è volato via. Cazzo, il casco!
Che voli via significa che l’ha schiacciato per bene, l’altra moto e questo vuole dire una cosa atroce.
Atroce.
Dio, come può cavarsela?
Penso subito male a vedere le immagini perché so cosa significa farsi camminare sopra dalla moto in quel modo, col casco che vola via e non ti protegge.
So cosa significa.
E comincio a tremare, sono nel caos più totale, e quando arriva la notizia… oddio, quando arriva la notizia voglio solo morire con lui.
È questo che voglio.
È questo che provo.
È questo che prego.
E non arrivo.

Non l’ho visto, non voglio vederlo. Devo ricordarlo com’era da vivo. Non posso vederlo.
È questo che faccio giorno dopo giorno, nel stare da solo, isolato, a vivere come un automa, consumato da me stesso e dal dolore e da questo non farcela.
Ricordo lui, quello che facevamo insieme, le mille gare costanti, le sfide a qualunque cosa ci capitasse, le cazzata fatte insieme -oh, quante!-, i guai in cui ci cacciavamo sin da piccoli, le ragazze che trovavamo insieme, quando puntavamo le stesse, quando le trovavamo amiche, gli allenamenti insieme, tutte le corse, tutte le cose che abbiamo fatto come fossimo gemelli siamesi.
Quando è riuscito ad entrare nel mio stesso circuito ero più contento di lui. L’ho puntato e davanti ai giornalisti ho fatto ‘eccolo il mio erede’.
È da allora che hanno cominciato a chiamarlo così.
Quante cose fatte insieme e quante che non faremo più.
È questo tutto ciò a cui riesco a pensare. Solo questo. Costantemente. Immancabilmente. Unicamente.
Lui, le cose insieme che ci hanno fatto divertire come pazzi, quelli che siamo sempre stati, e ciò che non sarà più.
E non voglio andare avanti a farle senza di lui, che senso ha farle senza di lui?
Le gare impossibili, le sfide stupide, le cazzate le facevo solo perché le faceva con me, perché mi divertivo a farle con lui, perché era bello, mi veniva dietro, no?
Quanti altri pazzi farebbero tutte quelle stronzate con me?
Nessuno!
Ma il punto non è trovare qualcuno alla mia altezza, il punto è che non c’è più lui e non ho voglia di quelle cazzata che mi piacevano.
Non voglio più fare niente di quello che facevo.
E giorno dopo giorno quello che vorrei è solo smettere di correre e andare in moto.
Mi hanno concesso pochi giorni, poi si deve ricominciare. Posso permettermi di saltare qualche prova, ma quelle importanti è impensabile.
Ma l’idea di riprendere in mano la moto e tornare a correre dopo che sono io quello che quasi l’ha ammazzato, io che in qualche modo sono rimasto coinvolto nell’incidente, che quasi non ci sono caduto sopra come l’altro… io che… non mi sono fermato…
Quando torno a pensare a questo le lacrime escono di nuovo, ormai credo mi stiano consumando gli occhi e le guance.
Forse è ciò che faccio di più.
Come ho potuto andarci quasi sopra?
Come ho potuto non fermarmi?
Perché non sono rimasto?
Oddio, come posso tornare a fare la mia vita normalmente come niente fosse?
Non voglio nemmeno pensarci.
Dannazione!
Come ho potuto?

“E lui è lì che piange e si consuma, giorno dopo giorno.
Non cambia niente.
Non dorme quasi niente, non mangia quasi niente, sta diventando l’ombra di sé e non vuole andare avanti, non esce, non fa nulla.
Sta qua a casa a pensare a quel giorno, a me, a quello che abbiamo fatto e poi di nuovo a quando mi ha quasi messo sotto e poi non si è fermato.
Percepisco tutti i suoi pensieri e finchè sono solo quelli è bene, quando mi arrivano i suoi sentimenti, le sue emozioni, sento qualcosa che è paggio della morte. La morte intesa come il trapasso.
Non è successo niente, non è cambiato nulla.
Sto solo costantemente ad osservarlo, non penso ad altro, non voglio allontanarmi, voglio solo vedere quando tornerà a stare bene perché è tutto quello che posso fare, perché lui è importante e si sente in colpa per me. Se non andrà avanti non sarà più lui e lui per me è sempre stato l’esempio da seguire.
Quello che è andato per primo nel circuito maggiore, quello che si è preso la fama per primo, che è diventato grande, un motociclista pazzesco, quello che io ho sempre voluto eguagliare e raggiungere.
Per questo non può mollare come vorrebbe.
Mi tiene ancorato a sé con questi pensieri, con questi sentimenti.
Non voglio che stia così, non voglio che smetta di essere colui che, ora lo penso con semplicità, sono riuscito ad amare.
Non voglio che smetta, perché lui era tutto, per me, e le cose che facevamo insieme le facevamo proprio perché eravamo insieme, come dice lui, però ora che non ci sono voglio che continui perché è questo che amavo di lui.
Questo suo vivere le cose senza testa, lo stesso modo in cui lo facevo io.
Spiriti affini, fratelli scampati, tutto quello che vuoi… però non può stare fermo così.
E non è perché lui non può sprecare un’occasione che a me non è stata data, vivere e fare le cose che a me piacevano.
È solo perché lui è Ale e deve continuare ad essere Ale, perché lo adoravo così com’era, proprio perché era così e quando adori non vuoi che l’altro cambi, per nessuna ragione al mondo ma soprattutto per te. Per te non deve cambiare assolutamente.
E forse… forse sto qua a vedere di lui perché dopotutto è l’unica cosa che mi riesce. Cioè credo che basti il mio pensiero.
Se dico che voglio andare oltre, ci vado.
Ma sì, il punto è che ho una fottuta paura e stare qua con lui è decisamente meglio. Vedere come se la cava. Ed anche assistere al suo enorme dolore, a come si consuma, come sembra ogni giorno più piccolo, perso e spezzato, è meglio che andare là dove non so a fare cose che non so e a diventare chi non so.
Non so nemmeno se poi dopo c’è effettivamente un là.
Ma prima di tutto dovrei pensare alla morte. Alla mia morte.
Non ci ho ancora pensato e non voglio farlo perché non so cosa dire, non so cosa dovrei pensare, non so cosa dovrei fare…
C’è qualcosa su cui riflettere quando muori?
Non so, non ne ho idea e non intendo scoprirlo.
Non realizzare di essere morti impedisce di finire dove non si vuole a fare cose che non si vogliono.
E forse non è nemmeno questo il punto quanto proprio l’idea stessa di pensare alla mia morte, punto e basta.
Non ho nemmeno voluto guardarla. Sono subito andato da Ale, perché lui è sempre stato la mia forza, ci stavo bene, gli volevo bene.
Con lui tutto è sempre stato meglio, questo momento ancora di più.
Pensa te che persino mentre sono morto ho preferito stare con lui, ne ho avuto bisogno anche se è stato atroce.
Così continuo a fare ciò che mi fa stare meglio, stare accanto a lui. Lui che si distrugge per me.
Un po’ è questo suo dolore che non mi fa andare avanti.
Se lui andasse, andrei anche io perché sono un fottuto copione, ho sempre fatto tutto quello che faceva lui. Mi chiama sempre fratellino e nelle parole con cui mi ha ricordato l’ha ribadito.
Per questo se lui sta qua sto qua anche io.
Se lui andasse avanti, stesse bene, poi non mi rimarrebbe che pensare a me perché lo farebbe lui.
Di conseguenza… cosa potrei dire io di me stesso?
Non voglio, è presto, sono giovane, il mio tempo si è fermato, non voglio vivere per sempre ma nemmeno così poco…
Dio, avevo così tante cose da fare ancora… così tante cose da vivere… volevo vincere il mondiale, potevo riuscirci, ce l’avrei fatta!
Cambiare un paio di ragazze ancora e poi quando Ale si sarebbe sposato l’avrei fatto anch’io. Avremmo fatto famiglia insieme, i figli sarebbero cresciuti insieme.
Ma prima avrei fatto qualche altra cazzata con lui.
Volevo andare a vedere il Milan che vinceva la Champions di nuovo dopo anni e poi festeggiare coi ragazzi perché avendo finalmente un nome potevo permettermelo.
Volevo fare tante di quelle cose… perché non ho potuto?
Non correrò più in moto, non vincerò più niente, non riderò più insieme ad Ale, non faremo più a gara di cazzate, non faremo più sfide, non ci confronteremo più, non ci alleneremo più insieme.
Non mi sposerò mai.
Non avrò mai figli.
Non farò mai le cose inconfessate con Ale, quello che poi mi spinge ora a rimanere con lui.
Non farò niente.
Avevo appena cominciato. Avevo appena iniziato a far vedere al mondo chi ero, a divertirmi davvero, a prendermi ciò che volevo.
Avevo appena cominciato.
Ed ora niente più me, niente più noi, niente più vita.
L’amavo.
Amavo la vita.
Volevo fare tante cose, ne ho fatte un quarto o forse un decimo, avevo i mezzi, ce l’avrei fatta, lo sapevo, e non sarà così.
Non sarà più così.
Per questo ora starò qua con Ale, perché voglio tornare a vederlo come è sempre stato, voglio vedere che si riprende e che torna a fare le cose che adoro che faccia.
Perché lui è vivo e non riesce a lasciarmi andare, non riesce ad andare avanti, pensa sia colpa sua e sta male ed io non posso sollevare il suo dolore, ma posso vedere quanto starà così male.
Perché lui era come un fratello e non può semplicemente non importarmene più niente perché io sono morto e lui è vivo.
Non può.
Voglio che riprenda a fare ciò che faceva, che facevamo insieme. E voglio che lo faccia perché io non posso più farlo e so che mi piaceva e che volevo farlo per un sacco di anni e non così poco.
Quindi anche se ora non so più cosa sia più importante e cosa voglio davvero, so che voglio lui stia bene e torni quello di sempre, quello che ho adorato, quello che mi ha catturato.
Perché io ho cominciato a correre in moto perché lo faceva lui e se lui continua allora lo farò anche io.
Se lui non lo fa più, starò fermo anche io.
È questo tutto quello che so.
Il resto è solo un gran casino.
Però vorrei abbracciarlo, vorrei che ora mentre lo sfioro mi sentisse, vorrei dargli sollievo in qualche modo ma lui non mi sente e continua a piangere.
Così vorrei solo che smettesse, perché le sue lacrime mi uccidono.
Smettila, ti prego… smettila… smetti di piangere. Asciuga le tue lacrime.”

Mi sono addormentato piangendo.
Oggi è ancora più duro di ieri.
Penso di essere un automa e qualunque cosa faccia c’è sempre qualcuno che parla di lui, che lo ricorda.
Telegiornali, programmi, giornali, persone che mi vengono a trovare preoccupate per me, internet.
Girano voci che non mi sto allenando e che voglia mollare. Non sono stato io a dirlo, ma è esattamente quello che voglio.
Smettere di correre, perché ho praticamente ucciso il mio migliore amico ed io non riesco più a salire su una moto senza angosciarmi, senza pensare che lui non potrà più salirci, che è l’ultima cosa che ha fatto Matteo e che non ho il diritto di continuare come niente fosse.
Che nell’allontanarmi dall’incidente che avveniva vicino a me, qualcosa ho urtato e Dio solo sa se era una parte di Matteo.
Dalle riprese non si capisce ed io posso pensarci all’infinito, è una risposta che non avrò mai.
Ho contribuito davvero effettivamente alla sua morte?
E anche se non fosse era vicino a me che moriva, ho assistito in prima fila e non ho capito cosa succedeva, non ho nemmeno capito che era lui.
Cazzo, come posso riprendere la mia vita normalmente?
Qualcuno me lo dica…
Perché ogni volta che ci penso piango, ogni volta che sento il suo nome piango, ogni volta che vedo la sua faccia piango, ogni volta che sento il rumore di una moto piango.
Non voglio più salirci.
Non voglio.
Non posso.
Non è giusto.
Non lo farò.
Matteo… come posso semplicemente andare avanti così e basta?
O forse potrei ma non voglio.
O forse vorrei ma non riesco.
O forse riuscirei ma non sarebbe giusto.
O forse… non c’è niente da fare, niente da dire, solo il silenzio ed il mio pianto quasi continuo mentre continuo a mandare via tutti e a non rispondere a nessuna chiamata. Nessuna intervista, nessuna dichiarazione se non quella che ho fatto fare la sera stessa dell’incidente su Twitter, solo perché mi avevano detto che dovevo dire qualcosa visto che non l’avevo ancora fatto e che non andava bene così.
Ho scritto che era un fratello per me.
Mi stendo ed accendo la radio, alle due del pomeriggio c’era il programma del tuo amico che facevi con lui qualche giorno la settimana.
Lui ti conosceva bene, lui non è uno di quei giornalisti del cazzo che dicono un sacco di frasi fatte e basta.
Lui forse lo sopporterei.
Ma quando parte Wish you Where here dei Pink Floyd inframmezzata da alcuni pezzi registrati fra te e lui, mi sembra di morire.
Perché lo sapevo che l’avrebbe fatto, per questo ho acceso, per questo dico che ti conosceva bene.
Sa cosa mettere su, sa cosa dire di te, sa cosa fare.
Ed il dolore è troppo grande per non tornare a sciogliermi nelle lacrime che forse andando avanti così mi corroderanno.
Non si può sopportare oltre.
Non si può.
Eppure io sono qua, piango e penso di morire ma non muoio, perché non riesco ancora a vederti.
Cosa darei per poterlo fare… non ti ho nemmeno salutato…
Matteo, manchi anche a me.

“Perché ascoltarle con te, le sue parole, è diverso. Perché sono andato da lui e piangeva, ma aveva la sua famiglia che l’abbracciava, i suoi figli che lo consolavano, ed allora sono andato dalla mia e piangevano anche loro, ma loro erano stretti insieme.
Quindi sono tornato da te e stavi ancora qua da solo a piangere, mandando via tutti quelli che cercano di aiutarti, spegnendo il telefono, staccando tutto. Tutto.
E così ascoltarle con te, le sue parole, è diverso.
Perché ti senti solo e non sai come fare per stare meglio e sei bloccato come me, quindi forse unendo le nostre paure insieme, i nostri dolori, i nostri problemi, un po’ meglio potremo stare, non so.
Ma siamo ancora qua insieme, fermi, e non penso ci muoveremo a lungo, però almeno siamo insieme, no?
Vuoi sentirmi, vedermi, toccarmi, abbracciarmi, ma io sono qua e lo faccio e tu non mi senti, non mi vedi, non senti le mie mani e le mie braccia.
Mi chino su di te, mi siedo accanto, cingo le tue fragili spalle e appoggio la mia massa di ricci sulla tua testa dai capelli cortissimi. Sei così esile, così magro… perché non vivi almeno tu?
Vorrei poterti dare il mio calore, ma non ne ho più, non sento niente, nessuna sensazione fisica, ti tocco ed è come non fare nulla, però provo. Provo ancora tutto e non riesco a smettere di sentire ciò che provi tu.
Non si può sopravvivere a certe cose, ma questo cos’è?
Quello che stiamo facendo?
Vorrei poterti sentire, vorresti potermi sentire, eppure siamo qua abbracciati, tu non lo sai, io sì e non cambia niente, perché il dolore è forse più forte di prima, perché vorrei sentirti, vorrei che mi sentissi, ma non succede niente. Tu continui a piangere inconsolato mentre le mie canzoni preferite passano alla radio.
Il DJ che le sta mettendo le conosceva tutte, eh?
Era davvero uno sveglio, quello…
Non posso fare niente.
Non posso fare assolutamente niente, quindi sto qua, accanto a tutti quelli che mi volevano bene e a lui nello specifico, perché è solo come me ed è quello che volevo diventare, colui che inseguivo, il mio mito, colui che stavo raggiungendo.
Così sto con lui finchè non decideremo insieme di andare avanti.
Questo è tutto ciò che riesco a fare.
Questo è tutto ciò che farò.”

Come la vita possa fermarsi non lo so, succede sia a chi se ne va che a chi rimane.
E sei qua, da solo come un coglione, a chiederti perché e che senso abbia.
Che senso ha la vita?
Guardo uno schermo nero che non accenderò per chissà quanto, penso al giorno in cui ti seppelliranno e mi dico che non ce la farò perché voglio ricordarti correndo in moto, con quella gioia che ti distingueva. Non in una bara mentre ti calano nella terra.
Però so anche che non potrò farne a meno e forse sarà questo che mi farà dire di andare avanti, di piantarla e tornare alla mia vita. Anche se tu non ci sei più, se non ti allenerai più con me, se non farai altre gare.
Penso che quello che nego, da cui scappo, alla fine sarà proprio quello che mi aiuterà e mi sveglierà da questo torpore.
Però anche se lo so ne ho paura perché vorrebbe dire voltare pagina ed andare avanti in un mondo senza di te.
Il mio fratellino.
Cazzo, eri più alto di me, però eri più piccolo.
Sospiro e mi strofino il viso asciugandomi le lacrime.
Non riuscirò mai a correre di nuovo in moto, è questo che mi ripeto, così come non riuscirò mai a vederti mentre ti seppelliscono o a guardare la tua moto distrutta, il tuo casco andato, i tuoi familiari che piangono.
Però lo so, cazzo.
Lo so che lo farò perché non esiste che non vengo al tuo funerale e questo mi scuoterà, lo so, anche se non voglio che succeda perché mi sento in colpa e sto male.
Ma lo farò. Così come guarderò i tuoi familiari che piangono, li abbraccerò e li consolerò.
Poi andrò a guardare la tua moto distrutta, so che farò anche questo. E che vorrò tenere per me il tuo casco rotto, anche se forse non sarà possibile.
E tornerò anche in quel maledetto circuito, nel punto in cui ci siamo quasi scontrati e poi separati, quando io me ne sono andato e tu sei rimasto a terra.
Tornerò là e tornerò anche a correrci, perché io sono così. Se non faccio queste cose non reagisco, non vado avanti.
Questo è il mio modo di fare.
E poi so che tornerò ad andare liberamente sulla mia moto, perché non esiste che smetta, lo so bene, cazzo.
Non ci riuscirei nemmeno volendo.
Quindi alla fine cosa rimane di un maledetto lutto e di una sofferenza atroce come questa?
Rimangono le cose che potevi fare tu, che avresti potuto, e che farò io per te ma non solo. Le farò anche per me, perché mi piacciono e mi sono sempre piaciute.
Perché questo sono io, sono fatto così e ti piacevo per questo. Sono diventato il tuo mito per questo, vero?
Perché ero come volevi tu e mi stavi raggiungendo, figlio di puttana!
Ti è mancato tanto così.
Ora però andrò avanti da solo.
Sai una cosa, Matteo?
Non importa, perché so anche che nonostante io starò qua a correre da solo, anche tu lo farai, solo da un’altra parte.
Così non è smettere.
Così è come continuare lo stesso.
E so che mi impedirai di raggiungerti presto.
Oh, se lo so.
Quindi ciao, Matteo.
Solo ciao.

“Mi viene in mente una cosa che mi diceva sempre mia madre.
Un classico, viene sempre detto a quelli come me.
Tu ti ammazzerai su quella moto!
Non che io abbia sempre avuto la stessa, ma il senso è chiaro no?
Bè… aveva ragione… mi ci sono ammazzato su questa moto.
Ma sai una cosa?
Almeno l’ho fatto a modo mio!
Ho vissuto a modo mio, ho fatto le cose a modo mio, ho fatto tutto a modo mio!
Quindi no, cazzo, non li ho i rimpianti!
Se tornassi indietro non smetterei di correre, non eviterei di mettermi su quelle maledette due ruote e di sfidare il mondo e la velocità!
Se tornassi indietro rifarei tutto allo stesso modo!
Sempre a correre dietro ad Ale per raggiungerlo, eguagliarlo e poi superarlo.
Perché lui era quello che volevo essere io e ci stavo riuscendo, ero ad un soffio. Quindi no, non cambierei niente perché facevo tutto ciò che volevo come lo volevo.
Chi non vorrebbe vivere così?
C’è un sacco di gente vigliacca o spaventata che fa quello che può e non quello che vuole, oppure anche solo quello che deve. Non si prende in mano, non va, non corre.
Gente come me, come Ale, come tanti altri prima di noi, l’hanno fatto.
Ad alcuni è finita male come a me, ma rifarei tutto perché è una questione di qualità della vita.
Che me ne faccio di una vita lunga passata ad ammirare lo splendore ci qualcun altro che vorrei avere io e che non avrò mai perché non ho il coraggio di provare a rincorrerlo?
Forse cercherei di fare quella curva diversamente per non cadere, cercherei di rimanere vivo ancora un po’ per riuscire a raggiungerlo una volta per tutte, Ale, però probabilmente finirei ugualmente per morire così ad un’altra gara. Anzi. Sicuramente.
Non importa.
Ci ho provato e quel po’ che ho vissuto mi sono divertito alla grande, cazzo!
Non rimpiango niente, è stato grandioso. Ho avuto i miei momenti di gloria, i giorni migliori ed i giorni peggiori, ma sono sempre stato sulla cresta della mia onda, ho cavalcato tutto, ho dato gas come un matto, finchè ho potuto.
Non andrei mai più piano, cazzo, mai!
Perché non sarei più io, non sarei felice, non riderei, non mi divertirei.
Cosa ricordano di me le persone?
Il mio sorriso, la mia gioia, la mia allegria, le mie cazzate.
È questo che volevo ricordassero, quindi tornando indietro non cambierei nulla perché è così che ho potuto stare bene, essere felice e sorridere sempre.
È in questo modo che sono diventato quello che ero, che tutti ricordano, che tutti amano.
È un peccato essermene andato, ok, è una bella merda perché avevo tante cose da fare ed avevo appena cominciato a scendere seriamente in pista, rispetto a quello che mi aspettavo dalla vita. E mi mancheranno i miei cari, i miei amici, le cazzate, le gare, le corse, le ragazze, il sesso e Ale. Mi mancherà l’obiettivo che lui rappresentava, l’amicizia sopra ogni altra che lui era.
Mi mancheranno tantissime cose, specie quelle che volevo fare, che potevo fare, che speravo di fare, che stavo per fare.
Ma sono contento perché quello che ho fatto l’ho fatto alla grande, a modo mio, dando gas al massimo. Ridendo.
Quindi sì.
Ci siamo, penso.
Ale andrà avanti perché lo conosco, è più forte di lui, non può stare fermo così a lungo, lui è colui che volevo essere io, quindi così come io non sono riuscito a stare tanto fermo nemmeno lui ci riuscirà.
Andrà avanti, tornerà a correre perché lui è la velocità, lui la moto ce l’ha nel sangue, non può andare contro sé stesso così tanto.
Lui andrà avanti e continuerà a correre sulla strada che volevo percorrere io, nel mio stesso modo, e non mi raggiungerà presto come è convinto.
Come questo stronzo spera!
Andrà avanti e starà bene, perché anche io lo sto facendo e non è angosciante come pensavo.
Non so cosa c’è di là, ok. Ma non lo sapevo nemmeno quando sono uscito di casa il primo giorno della mia vita, però l’ho fatto con le mie gambe.
E non sapevo come poteva essere andare su un moto finchè non l’ho fatto, ma l’ho fatto ed è stato grandioso.
E non sapevo com’era scopare, ma l’ho fatto ed è stato una figata.
Non sapevo tante di quelle cose che poi ho fatto.
Non sapevo nemmeno com’era vincere una dannata gara di moto ma ce l’ho fatta.
E non immaginavo minimamente come potesse essere correre con Ale, ma eccomi là.
Gli sono morto accanto mentre lui andava avanti per la nostra strada, nel modo e sulla moto che volevo io.
Sono morto accanto a quello che ha sempre rappresentato il mio sogno, il mio obiettivo, colui che avevo quasi raggiunto.
Che posso dire?
Meglio di così si muore, no?
Bè, ci siamo.
Siamo al dunque.
Mi piace scoprire cose nuove, provare, tentare, buttarmi. Mi è sempre piaciuto. E non sono mai stato un cacasotto. Ero un po’ spaventato, ma penso fosse normale.
Chissà, credo che ci sono cose nella vita che ti fanno solo pensare alla cosa giusta.
Una canzone, una frase, qualcuno che dice o pensa qualcosa, un ricordo.
Però ci sono altre cose, poi, che ti fanno andare avanti.
E lascia andare, qualcuno dice.
Lascia andare tutto e abbandonati. Va bene così.
Troverai sempre qualcuno che ti accompagna.
Bene, sono pronto.
Vediamo chi c’è di là!
Tanto sono sicuro che una moto per correre ancora la trovo!
Oh se la trovo… e di piste non ne parliamo!
Quelle lassù saranno infinite ne sono convinto.
Vero?
Ciao Ale, corri per me laggiù, io lo faccio quassù.
Sei un grande, continua per me e ridi perché è quello che conta alla fine, che ti fa dire: ok, ce l’ho fatta. Ero felice, quindi non ho rimpianti.
Andiamo avanti.
E allora andiamo avanti.
Ho voglia di correre ancora un po’.
Adoro il vento.”

FINE
   
 
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