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Autore: MeliaMalia    21/09/2006    1 recensioni
Una fanciulla allegra, solare e sempre disposta ad aiutare gli altri; peccato che questi aiuti non siano mai troppo graditi.
La breve storia di Levana, una sacerdotessa decisamente fuori dai luoghi comuni che ho creato per una storia con amici. Mi piace molto, perciò la posto qui, sperando di ricevere giudizi e consigli che mi siano utili.
Genere: Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3.

Levana scostò silenziosamente un cespuglio, spiando le due donne. Zia e nipote, sì. O, ascoltando la dolce vocina della piccola, Tia e Sigil.
La più giovane era una bellissima fanciulla dai morbidi capelli castani ed occhi verdi perennemente persi nel vuoto: da quel che aveva capito Levana, era cieca dalla nascita. Ma aveva una voce cristallina ed un sorriso puro e sincero, che la rendevano a dir poco adorabile. Tutto il contrario della sua tutrice, una mercenaria dai freddi occhi azzurri e lunghi capelli corvini.
Fu quest’ultima a voltare il capo di scatto, spiando in direzione della nostra sacerdotessa; Levana, spaventata, si ritrasse più velocemente che poté, nascondendosi alla sua vista e dandosi della stupida. Quella donna aveva i sensi di un gatto, non le sarebbe stato difficile individuarla. Doveva agire con maggiore cautela.
Ormai viaggiava da un paio di mesi. Sola, indifesa, ma piena di buona volontà. Per quanto avesse tentato di indurre casuali coppie a premature e – almeno dal loro punto di vista – illogiche relazioni, ancora non aveva ottenuto risultati tangibili: la sua missione non aveva compiuto passi avanti. Trovare persone disposte ad amarsi, a sposarsi e ad avere figli solo per farle un favore si stava dimostrando più difficile del previsto.
E poi c’erano i sogni, a cui badare.
Ogni volta che sostava in qualche rifugio, entrava nella mente di qualcuno. Ne conosceva i problemi, le paure, le colpe, e, una volta sveglia, zampettava beatamente dai diretti interessati, per esporre le sue teorie sulle loro esistenze e tentare di guidarli con amore e pazienza verso la felicità pura. Il che la portava inevitabilmente ad essere cacciata a calci, senza capire dove avesse sbagliato.
Dato che era una fanciulla che difficilmente apprendeva lezioni dall’esperienza, era nuovamente proprio a causa di un sogno che ora stava spiando quelle due donne. Aveva dormito nella loro stessa locanda, un paio di notti prima, ed era entrata negli incubi della mercenaria. Uscendone in lacrime.
Quella donna aveva avuto una vita orrenda. Aveva sofferto, aveva combattuto, aveva perduto l’amata sorella e l’unico amore della sua esistenza. Ora, sola, piegata dal peso dei fantasmi del suo passato, conduceva quella piccola – la figlia della sorella barbaramente uccisa, la delicata ed innocente Sigil – per il mondo, come una pallida ombra di sé stessa. Levana, angosciata, aveva cominciato a seguirle garbatamente, non sapendo come aiutarle, come riportare un po’ di sole nella loro vita.
La mercenaria era una creatura diffidente: non avrebbe accettato con sé una ragazza capace di spiare nei suoi pensieri; e non avrebbe approvato la sua improvvisa compagnia, qualunque scusa Levana avesse inventato. Pur nella sua ingenuità, la sacerdotessa era riuscita ad inquadrarne il carattere; le aveva conosciute, osservandole da lontano, affezionandosi a loro senza neppure accorgersene. Aveva avuto l’onore (o forse l’onere) di entrare anche nella mente della piccola, piangendo degli orrori del suo passato, tremando di quegli incubi interminabili. E la sua volontà di aiutarle si era fatta sempre più forte.
Avrebbe riportato loro un po’ di gioia, le avrebbe maritate e, con una sola buona azione, avrebbe compiuto passi da gigante nella sua missione! Un piano meravigliosamente astuto, sì. Solo che il problema rimaneva: come prendere civilmente contatto con una donna abituata a parlare solo il linguaggio delle armi?
Fu così, in quel pomeriggio assolato e tiepido, che il suo piano prese forma. Un piano stupido, forse, e folle, certo, ma era pur sempre un piano. Si allontanò silenziosamente dalle due donne accampate per un veloce e frugale pranzo, cercando ciò di cui avrebbe avuto bisogno. Fortunatamente, non ebbe bisogno di vagare molto: quel bosco rappresentava un punto di congiunzione tra due villaggi e, soprattutto durante le ore diurne, era piuttosto affollato di viandanti. Non troppo lontano da Tia e Sigil ne trovò un gruppo di tre, grandi e grossi, dalle facce a dir poco spaventose, e fu davvero orgogliosa di sé stessa: la sua idea poteva finalmente essere messa in atto.
“Buongiorno!” esordì, emergendo all’improvviso dal folto dalla vegetazione. Quelli sobbalzarono, spaventati, e la osservarono con un cipiglio minaccioso. Proprio quello che desiderava. “La Dea accompagni i vostri spiriti ed innalzi i vostri cuori!” augurò, giungendo le mani.
“Non abbiamo soldi da darti, mocciosa.” ringhiò uno dei tre, intimidatorio. Li aveva proprio scelti bene, sì.
“Non voglio soldi, assolutamente no.” lei scosse il capo, sorridendo angelicamente. “Ho solo un piccolo favore da domandarvi.” non vi fu risposta da parte loro, e la sacerdotessa interpretò quel silenzio come un invito a proseguire. Non si fece desiderare: “ Potreste… aggredirmi?” azzardò educatamente.
I poveri uomini si guardarono a vicenda, non comprendendo bene se fosse una pazza isterica, o più semplicemente, solo una pazza. “In che senso?” indagò il secondo, inarcando un sopracciglio.
“Nel senso… con urla, armi, e tutto quello che avete, ecco. Insomma, aggreditemi.” spiegò pazientemente Levana. Come un sol uomo, le diedero le spalle, avviandosi per la loro strada.
“Questo posto pullula di idioti.” borbottò quello che ancora non avevo aperto bocca; fu il primo a venire colpito da un sassolino, direttamente sulla testa. Altri seguirono, tutti lanciati contro di loro con precisione. “Ehi, ma…!”
“Non è che chieda tanto, nel nome della Dea!” Levana raccolse un’altra manciata di pietruzze, scagliandogliele contro. “Non ho certo piacere a prendervi a sassate, sapete? Aggreditemi e facciamola finita, no?”
“Ragazzina, mi stai innervosendo…” cedette alla tentazione uno di loro, girando i tacchi e andandole incontro minaccioso.
“Oh! Vuole aggredirmi?” cinguettò Levana, gli occhi luccicanti di felicità.
“SI!” alzò uno dei suoi massicci pugni, e le fu quasi addosso quando lei, con fare affabile, gli mise una mano davanti al viso, chiedendogli cortesemente di aspettare qualche minuto. Quello fu tanto sbalordito, da attendere per davvero. Levana si schiarì la voce, come una cantante; giunse le mani, aprì la bocca e gridò:
“AIUTO! AIUTO! AGGREDISCONO! MI AGGREDISCONO, AIUTO!” le sue urla si elevarono fino alle chiome degli alberi, percorrendo la foresta… raggiungendo le orecchie della mercenaria e della nipote.





   
 
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