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Autore: kazuha89    14/02/2012    2 recensioni
perchè non mi hai dato retta? perchè mi hai allontanato? perchè hai voluto combattere da solo? perchè mi hai urlato: heiji, impara a farti gli affari tuoi! perchè, shinichi, dimmi perchè? perchè...quel colpo, che era indirizzato a me..l'hai preso tu?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Heiji Hattori | Coppie: Heiji Hattori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Perché? ...oh dio quanto ti odio, Shinichi, perché? PERCHE’ LO HAI FATTO, SHINICHI,PERCHE?!’”
Aveva iniziato a piovere. La gente intorno a me probabilmente non si era accorta di nulla, tanta era la velocità con cui sfrecciavo accanto a loro. Non avrebbero potuto vedere niente,  se non altro che me, che correvo come un disperato verso l’ospedale.
Il freddo e l’aria gelida perforavano i miei polmoni mentre sferzavo il muro d’acqua gelida della pioggia, e ormai ero completamente zuppo, ma nemmeno se il freddo avesse indurito la mia pelle facendola sbriciolare come una zolletta di zucchero,  mi sarei fermato. E poi io il freddo nemmeno lo sentivo in quel momento, e la cosa mi terrorizzava a morte: avvertivo calore, calore lungo la pancia e il petto. Il calore di qualcosa che stava lentamente impregnando la mia maglietta
“Fatti forza, ok? Andrà tutto bene...oh maledizione, non dovrebbe stare lontano da un centro abitato, un ospedale, ma come ragionate, a Tokyo?!”
“Hei..Heiji..”
“Non parlare, stai zitto, risparmia il fiato. Lo trovo, quel maledetto ospedale, lo dovessi cercare tutta la notte, giuro che lo trovo!”
Una mano. Dalla zip chiusa della mia felpa, fece capolino una piccola mano tremante. Fulve macchie brillavano come rubini sul suo dorso, candido come la neve.
Indicava una macchina. Un maggiolino giallo era fermo davanti a noi, ad un semaforo..Il vecchio scienziato!
“Gra..grazie al cielo... Dott. Agasa!” urlai, tentando di sovrastare il caos della strada piena di auto. Qualcosa fece che si  il dottore, attirato da una vetrina di Takoyaki, si voltasse verso di noi. Lo vidi mettermi a fuoco. Con i movimenti da me permessi, feci cenno di avvicinarsi. Il fatto forse che fossi in mezzo al viale, scansato dal viavai di persone , in una posizione strana e senza ombrello nonostante il diluvio, parve far capire al doc che qualcosa non andava, perché fece in fretta manovra e accostò accanto al marciapiede, spalancando la portiera.
“Heiji, benedetto dio, che ci fai la fuori con questo uraga..”
“All’ospedale, si muova!” dissi, tuffandomi in macchina, fradicio come un pulcino bagnato.
“Ospedale? Ti senti male, ragazzo?..oh mio dio!”
Avevo aperto la felpa, e il doc dalla faccia, invecchiò venti anni in un colpo solo. Conan stava raggomitolato contro il mio addome, pallido e con lo sguardo assente, un alone scuro di sangue mi aderiva la maglietta alla pelle.
“shi..Shinichi...ma che diavolo..” biascicò, sconvolto, fissando Conan.
“Vada! Le spiegherò tutto dopo averlo dato ai dottori. AVANTI!”
Pigiai io l’acceleratore col piede, e il maggiolino scattò in avanti a tutta velocità. Superato lo spavento della vista del sangue e di Conan esanime, iniziò a sfrecciare in mezzo alle altre auto con una destrezza impareggiabile, gettando fugaci occhiate al mio involto, tentando di scorgere il viso di Conan. Ma io lo tenevo ben coperto e stretto. Non potevo permettermi errori di nessun tipo, se avesse abbandonato quella posizione...
Il doc scivolò nel piazzale dell’ospedale, e con l’auto ancora in movimento, saltai fuori e mi precipitai nell’ edificio.
“Aiuto, è un’ emergenza, vi prego aiutatemi!” urlai a squarciagola. I medici spuntarono da tutte le parti, per vedere chi avesse urlato. Mi guardarono esterrefatti per qualche secondo, poi qualcosa attirò l’attenzione di uno di loro.
“Oh buon dio..ma sei coperto di sangue!” esclamò, e mi indicò lo stomaco
I colleghi guardarono il punto indicato. Io invece, mi riflettei nelle porte scorrevoli accanto a me: sui miei jeans, era apparso un alone più scuro. Rosso scuro. Evidentemente il sangue era colato mentre ero seduto in macchina. Era tanto...
“Non è mio!” Urlai. “E’… è del mio fratellino!”
Immediatamente, il medico che aveva visto il sangue, notando come tenevo le braccia, corse da me e prese ad aprirmi la felpa.
“ Che hai fatto, ragazzo?” chiese, mentre mi tirava giù la zip.
“Piano! Abbiamo avuto un incidente. L’ho tenuto fermo,  in modo da impedire l’emorragia, l’ho bloccato coi miei vestiti!” dissi al dottore. Lui mi guardò quasi stupito.
Lentamente, mi sfilò Conan dalle braccia e lo sciolse dalla fasciatura della mia felpa. Le infermiere e gli altri dottori cacciarono gemiti e versi di stupore. Conan era quasi incosciente, ed esangue. La sua felpa bianca era quasi del tutto coperta dalla macchia enorme di sangue sulla schiena. Due fori dai bordi anneriti e bruciacchiati vicino alla spalla destra.
“Oh mio... infermiera, una barella, di corsa!”
L’infermiera parve estrarre la barella dal nulla e si precipitò verso di noi. Il dottore posò delicatamente Conan  su di essa, e immediatamente le infermiere e altri due dottori, la spinsero verso la corsia.
“Abbiamo un bambino di sei anni circa, ferita d’arma da fuoco all’altezza del polmone destro, emorragia in corso. Liberatemi  subito una sala operatoria, e chiamatemi il chirurgo Sakage, e ditegli di venire qua subito! Tu sei suo fratello, hai detto? Servirà sangue, ne ha perso una montagna. Probabilmente gli hai salvato la vita, mettendolo in quella posizione: gli hai tenuto la schiena dritta posandolo al tuo addome e cosi hai evitato che contraesse i muscoli delle spalle e hai evitato che le ferite rimanessero spalancate o che si allargassero di più, bravissimo!”
“Si, la ringrazio, ma...io non..non posso darvi il sangue. Lui..lui veramente non è il mio fratellino, l’ho detto solo perché...beh comunque non abbiamo lo stesso sangue. Però so con certezza che il suo gruppo è AB positivo, dottore.”
Lo ricordavo da quella volta. La prima volta che gli avevano sparato..
“Bene. Mi si portino due flebo di AB positivo, in fretta, e uno di ferro! Il bambino ne ha urgente bisogno!” gracchiò alle infermiere. “ Mi spiace, ma adesso lei aspetta qui. Dobbiamo andare in sala operatoria, e non si può entrare se non si è sterilizzati, altrimenti si rischia di portar dentro virus o corpi estranei che potrebbero infettare le ferite. Come si chiama il piccolo?” disse poi rivolto a me.
“Co..Conan, e ha sette anni  e mezzo, dottore...” biascicai.
“Bene. Coraggio, Conan, vedrai che adesso ti faremo star bene, non mollare!” disse il dottore a Conan, mentre insieme, si dirigevano nella sala operatoria.
Lo vidi portarlo oltre un paio di porte ad apertura automatica, poi sparirono lungo le corsie e non li vidi più.
Io rimasi li, e poco a poco tutte le emozioni respinte e soffocate dalla tensione del momento, compreso la stanchezza di quella corsa frenata per la città, mi vennero addosso come una parete di mattoni. Non fosse stato per il Dottor Agasa che, vedendomi, mi corse incontro e mi acchiappò al volo, sarei crollato li in mezzo al corridoio.
“Oh povero figlio, calmati adesso, calmati. Su da bravo, siediti e respira per bene..”
Mi sospinse a sedere su una sedia di plastica appoggiata contro una parete, e vi ricaddi sfinito. Ero mentalmente devastato e sconvolto.
Il dottore mi diede qualche minuto per riordinare le idee, asciugandomi il viso con un fazzoletto. I capelli zuppi mi facevano colare l’acqua sulla fronte. Poi mi voltò il viso verso di lui.
“Allora, adesso mi puoi dire che accidenti è capitato? Perché Shinichi è ridotto così? Chi è stato?”
Io presi bene fiato. Ero ancora parecchio scosso e avevo i brividi dal freddo, ma quel vecchietto aveva tirato su Shinichi come suo, e mi pesava negarli  la verità, quindi mi sforzai:
“Io..io non so..non so come si sia..come si sia permesso di farlo,io... io credo... credo davvero che stavolta non gli concederò il mio perdono tanto..tanto facilmente. Lo sa che mi deve..che mi deve dire tutto, lo sa che..che in quelle condizioni non deve..non deve fare stupidaggini... io sono..sono le sue gambe, io..io sono  grande, lo posso aiutare, ma lui..lui non mi ha detto niente e... è andato là e basta.”
Presi fiato. Tremavo da testa a piedi.
“Mi scusi, giovanotto, le ho portato del tè caldo molto zuccherato. E si cambi quei vestiti, per carità,o le prenderà una polmonite. Ecco, uno dei colleghi ha prestato dei vestiti, li prenda e si levi quelli zuppi”.
Era uno dei dottori che mi aveva visto e sentito quando ero entrato. Teneva una tazza di te bollente molto profumato in una mano,  appesi al braccio un maglione, dei calzini e dei pantaloni, e dietro la barba bruna brizzolata, un sorriso bonario.
“Ah..no, io..io sto bene...”
Lui sorrise. Tese la tazza al Dottor Agasa.
“Senti,ragazzo mio, ho un figlio della tua età e uno del tuo fratellino, non raccontarla a me. Il piccolo si preoccupa sempre del grande, anche se dovrebbe essere il contrario. E’ così con i fratelli. I piccoli sono sempre in ansie per i grandi, e i grandi per i piccoli. Non vorrai mica che quel bambino esca da là, e cosi debole venga a sapere che ti sei ammalato? Lo farai star peggio, povera creatura. Su, da bravo, vieni, ti do una mano a cambiarti.”
Mi tirò su praticamente di peso dal mio sedile, e mi accompagnò in uno dei bagni riservati ai medici. Lì, mi aiutò a cambiarmi, e controllò che stessi bene anche io.
“Ah ma tu guarda che bel set di muscoli che abbiamo! qui sento odore di Kendo! Ho ragione?”
“Si..sono..campione regionale..” mormorai, mentre il dottore mi infilava per la testa il maglione asciutto.
“Lo sapevo, hai lo stesso fisico di mio figlio Irota, il maggiore. Bene, tu a quanto vedo non hai riportato ferite gravi, a parte qualche livido e quel taglio sullo zigomo che neanche è profondo.”
Mi  passai la mano sul viso . Non mi ero accorto di averla, quella ferita. Dovevo aver sbattuto da qualche parte, mentre correvo..
“Il piccolo, invece, Ryoga, ha sempre il pallone da calcio in mano, un vero flagello per le amate ceramiche di mia moglie. Dimmi ragazzo, come vi chiamate tu e tuo fratello? Bisognerà avvertire qualcuno che siete qua. Non hai 18 anni, vero?”
“Io..no..ne ho 17, dottore..”mormorai. Il calore dei vestiti asciutti pareva un balsamo sulla mia pelle gelata e umida.
“Si, come Irota, avevo visto bene, allora. E il piccolo avrà sei, massimo sette anni, vero?”
“No..cioè si, scusi..”
Ero ancora mentalmente impostato sulla modalità “Shinichi”.
“Si come il mio Ryo-kun. Mi dai il numero dei vostri genitori? Devono essere avvisati.
“No! Io...io e lui non abbiamo..non abbiamo gli stessi genitori. Vede, lui  in realtà..in realtà non è mio fratello. L’ho detto perché...io gli voglio bene come se lo fosse, capisce? io lo considero mio fratello, ma non lo è...”
A mente lucida, nemmeno io sapevo perché avevo detto che eravamo fratelli, a dire il vero...
Il dottore mi sorrise, gentile.
“Certo che capisco. Difatti mi pareva fossi un po’ troppo brunetto per essere il fratello maggiore di quel fantasmino, per quanto fosse pallido, povera stella...allora, figliolo, ti devo chiedere chi sei, se non sei parente del piccolo.”
“Si, certo. Io mi chiamo Heiji Hattori, vengo da Osaka. Sono Il figlio del questore di polizia.” Risposi, infilandomi i calzini. Avevo i piedi viola dal freddo.
“Heizo Hattori è tuo pare? L’ho visto spesso in tv..si, devo dire che ora che ti guardo bene si vede che sei sangue del suo sangue, anche se devi avere gli occhi di tua madre, visto che non sono come quelli del questore. E’ apparsa in tv anche lei una volta, ora che ci penso...si, gran bella donna, me la ricordo abbastanza bene..si, vedo molto dei tuoi in te.” disse, ridendo.
Io cercai di sorridere, ma ero troppo teso e stremato.
“E invece il piccolo, chi è? l’hanno adottato i tuoi genitori?” chiese, prendendo una cartella clinica in bianco e una penna, per inserire i dati.
“No, lui ha i suoi genitori. Si chiama Conan, Conan Edogawa,  ha sette anni e mezzo, e vive qui a Tokyo, presso l’agenzia investigativa del detective Goro..” risposi, piano.
“E’ il figlio del detective Goro? Ma perché due cognomi diversi, allora?ha il cognome di sua madre?” chiese il dottore, mentre scriveva.
“No,non è suo figlio. Vive solo a casa loro, con il detective e sua figlia...è a lei che i genitori di Conan hanno affidato il piccolo, mentre lavorano.” risposi io. Parlare si stava facendo difficile. I miei nervi stavano crollando.
“Dove lavorano i suoi genitori, all’estero?” chiese il dottore.
“Si..”
“E dove? Li dobbiamo avvertire, sai..”
“Io..io non lo so, io..”
Mi si chiudevano gli occhi.
Poi divenne improvvisamente buio, e non ricordo cosa successe. Quando mi risvegliai, posavo la testa su qualcosa di morbido, che profumava di pompelmo. Qualcosa di fresco mi sfiorava la fronte.
“Oh, dottor Agasa, si sta riprendendo..Heiji, guardami, mi riconosci?”
La voce veniva dall’alto, ma era vicina. Capì allora che ero disteso sulle gambe di qualcuno. E quel qualcuno aveva parlato chino verso di me. Quel profumo di pompelmo, infatti, mi era molto famigliare.
“Heiji, guardami, avanti. Su coraggio, apri bene gli occhi. Sai chi sono?”
Quella voce. Nemmeno se avessi perso metà cervello, l’avrei confusa con altre.
“Non ti vedo bene, ma la tua voce la conosco..che fai qui, Kazuha?”
Finalmente la misi a fuoco. Mi guardava dall’alto, gli occhi rossi e gonfi. Aveva pianto...
oh dio..no!
“Il bambino!” dissi, saltando su in fretta.
Un capogiro assurdo. Avevo la nausea.
“No, Heiji, hai la pressione sotto le suole, devi muoverti piano!” sbottò Kazuha, afferrandomi e spingendomi di nuovo con la testa sulle sue gambe.
“No, io..Conan..”
“Calma, non ci hanno detto ancora nulla. Su, bevi questo, te lo do io che tremi ancora un bel po’, te lo verseresti addosso. Senti, il dottor Shinzo fa il tè come tua madre...”
Kazuha mi tirò su piano, e mi posò alle labbra un cucchiaio, che conteneva un liquido ambrato dall’odore aromatico... era il tè del kansai.
“Beh ovvio, sono del kansai anche io, ragazza mia, la signora fa semplicemente il te alla nostra maniera.” disse una voce al mio fianco. Mi girai. Era il dottore di prima.
“Do..dottore..”  dissi sommessamente.
“Tranquillo, ti hanno solo ceduto i nervi. Ora, bevi lì e poi fammi vedere come stai...”
Kazuha mi dette qualche altra cucchiaiata di te . Sembrò che il calore mi andasse in circolo nelle vene.
“Bravo, e ora diamo un’occhiata..”
Mi tirò a sedere piano, poi puntò una pila nei miei occhi, mi sentì la febbre, mi ascoltò la respirazione e il cuore e mi misuro battito e pressione.
“E’ debole come un fringuello, ma sta bene. Tu, kazuha, continua a farlo bere, intesi? E beva anche lei signorina, è pallida come il suo bambino..”
Parlava con qualcuno che non vedevo,alle mie spalle. Mi voltai
C’era una piccola folla, dietro di me.
Il vecchio Goro stava posato al muro accanto alla porta del bagno. Sua moglie Eri, stava seduta accanto a lui in uno dei sedili di plastica della sala d’attesa, il bel viso preoccupato, tenendogli la mano che il marito le aveva messo sulla spalla. Ran era seduta accanto a sua madre, una tazza di tè in mano, l’espressione sconvolta, il viso bianco come il latte. A terra, seduta in mezzo alle sue gambe, stava la sua amica Sonoko, anche lei pallida e tesa, le avvolgeva le braccia attorno alle gambe. Il suo fidanzato, Makoto, era in piedi accanto a Ran. Anche vicino a me avvertivo la presenza di persone. Mi guardai intorno.
L’ispettrice Sato, l’agente Takagi e l’ispettore Megure erano in piedi accanto alla finestra, mentre Kazuha era seduta accanto a me e mi aveva tenuto posato alle gambe mentre ero svenuto. Tutti i presenti però guardavano nella stessa direzione: guardavano me.
Bene, sapevo cosa volevano, e il tè del mio amato paese mi aveva dato abbastanza forza da poterli accontentare. Solo dovevo stare attento...i poliziotti non dovevano capire più del necessario. Notai poi però che mancava una persona: il dottor Agasa.
“Dove sta il doc?” chiesi. Ora parlare mi riusciva discretamente, anche se ancora mi girava un po’ la stanza intorno.
“E’ andato a prendere la piccola Ai, l’aveva lasciata solo per pochi minuti per comprare il latte, ma poi è successo questo e nessuno l’ha avvisata. Si è spaventata, povera bambina, quando ha saputo, e ha preteso di essere portata qui anche lei.” Rispose kazuha, dandomi  altro tè e tamponandomi la bocca con un fazzoletto bagnato con cui prima mi teneva fredda la fronte.
“Bene, quando arriva, vi spiegherò ogni cosa. Solo, una premessa, agenti.” E mi rivolsi ai poliziotti. “Non chiedetemi chi è stato...non ne ho idea, non li ho visti..”
Sato batté il tacco sul pavimento, irata. Takagi la cinse a se.
“Sicuro?” chiese, serio come non mai oltre la spalla di lei, cercando di calmarla.
“Sicurissimo, mi spiace. Lo sai, Takagi, che aiuto se posso. Abbiamo lavorato tante volte insieme, mi conosci, siamo praticamente colleghi, no? Inoltre, voglio bene a quel bambino quanto voi, e non esiterei a far arrestare neanche il primo ministro, se fosse coinvolto...”
Takagi annui, mentre Sato si asciugava le lacrime furtiva con la sua cravatta, nascosta nella sua giacca.
Agasa non tardò a fare presenza, e con lui arrivò una pallidissima Ai.
“Parla, Osaka, chi si è permesso?” mi ringhiò venendomi vicino.  Era una foglia al vento, tremava tutta, ma il suo sguardo era fermo, risoluto e gelido come sempre.
Io la guardai attentamente. Leggimelo negli occhi, Lady Macbeth....
Lei mi guardò fisso. Era tutto li, in quello sguardo silente. E lei lo capì.
La vidi irrigidirsi come sotto un getto di acqua gelida, serrare i pugni e mordersi le labbra, furibonda come mai nella vita.
“Perché..mi hai fregata, brutto...figlio di buona donna...” esalò piano a denti stretti, scossa dai tremiti. Nessuno a parte me, poté udire quel sussurrò. Agasa però, che la conosceva, le si accostò piano e la prese in braccio.
“Buona, perla mia, buona..”
Lei si aggrappò a lui con forza, le dita sbiancate dalla pressione contro la stoffa, gli occhi sbarrati dalla collera. Tuffò il volto nel camice del dottore, soffocando i singhiozzi.
Si, lei sapeva. Lei aveva capito, e anche il dottore aveva capito. Quella che raccontai al mio pubblico, in seguito, fu una versione adatta alle loro orecchie. Raccontai che di ritorno dalla sala giochi, io e Conan ci eravamo congedati dopo i saluti dai piccoli detective, e ci eravamo diretti verso casa. Ma sulla nostra strada, qualcuno aveva deciso di deviarci. Raccontai che Conan e io avvistammo dei trafficanti di droga vicino al porto, che lui non aveva avuto la pazienza di aspettare i rinforzi della polizia, e che era intervenuto mosso dal troppo zelo, che quei tipi, nel buio, lo avevano preso per  un poliziotto di guardia al molo e avevano sparato senza pensarci, e lo avevano colpito alla schiena, per poi fuggire al mio arrivo.
Ma era la loro verità, non la mia. Né quella di Conan.
No, l’autentica verità era che Conan mi aveva tradito, anzi...Shinichi mi aveva tradito. Mi aveva mentito, ed era andato là da solo. Era di lui che Ai parlava, era con lui che era arrabbiata. Aveva ingannato e tradito entrambi. Ed ero furioso anche io,come lei. Sapeva che eravamo contrari, e ci ha mentito. Shinichi..me la pagherai cara..sei andato da solo, e guarda cosa è successo. Lo hai fatto per amore, lo so, ma non ti perdonerò comunque. Non dovevi obbedire, non lo dovevi ascoltare. Se solo Ai avesse eliminato la lettera, se l’avesse bruciata. Ma lui l’aveva vista, e ora lottava contro la morte..
La morte che quella notte, su invito, Shinichi  aveva raggiunto in quel maledetto porto. . La morte, che là lo aveva atteso, vestita di nero, i lunghi capelli biondi mossi dal vento. La morte, che quella notte portava il nome di..Gin.
  
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