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Autore: wordsaredeadlythings    14/02/2012    9 recensioni
Draco Malfoy, Draco/Astoria | Introspettivo, Drammatico, Angst | One-Shot
/cit: La ricorda mentre studia in biblioteca, con il sole che colpisce quei capelli biondi facendoli brillare con dolcezza. Ricorda i suoi voti alti, quei grandi occhi verdi che urlano. Quegli enormi occhi verdi che chiedono solo di essere la prima scelta di qualcuno, di essere amati come vogliono. Quegli occhi verdi che strillano emozioni nel silenzio più immenso.
Perché nessuno vuole stare accanto a Draco, dopo la Guerra.
Perché la guerra uccide, distrugge, fa a pezzi le cose.
Ma Astoria è lì. Astoria è rimasta.
Enjoy It ;)
_Cris
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy | Coppie: Draco/Astoria
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Titolo: I heard you've been missing me
Fandom: Harry Potter
Personaggi: Draco Malfoy, Astoria Greengrass,
Pairing: Draco/Astoria
Rating: PG-13
Genere: Introspettivo, Drammatico, Romantico (molto, moooolto in fondo)
Avvertimenti: One-Shot.
Note D'Autore:  #1: Be', non c'è molto da dire. Il titolo (tradotto dovrebbe essere "Ho sentito che ti sono mancata") è un versetto di Rumor Has It di Adele, canzone che adoro e che non smetterò mai di ascoltare. La shot non c'entra niente con la canzone, però il verso che le da' il titolo mi metteva addosso una tristezza assurda, così l'ho scelto. In realtà ho scritto la shot ascoltando Promise This nella versione di Adele (non so se si è notato, ma io amo questa donna), e se leggendola potreste ascoltare la canzone vi giuro che rende meglio.

#2: Lucius, Narcissa e Draco, in teoria, non avrebbero dovuto ottenere nessuna condanna, ma credo che la Rowling abbia toppato, qui. Lucius Malfoy ha seguito Lord Voldemort di sua spontanea volontà, credeva in tutto ciò che lui professava e non ci sono scusanti per il suo comportamento: il Wizengamot deve avergli dato una pena come questa, perché Azkaban a vita non basta. Draco e Narcissa hanno ottenuto una pena minore grazie all'intervento di Harry, ma era necessario che scontassero a loro volta una pena, perché una sola mossa giusta non può salvarti da mille sbagliate.
#3: Narcissa se ne va perché non riesce a vivere con un figlio che la odia ed un marito ormai lontano. Per mia convinzione credo che sia fuggita in Russia: lì nessuno conosce i Malfoy.
Vi lascio alla shot ;)







{I heard you've been missing me ~





Draco Malfoy ci ripensa, qualche volta.
Riporta alla mente qualche maledetto brandello del suo passato, si immerge in ricordi più grandi di lui, ricordi nei quali rischia di sprofondare; ma lui non sprofonda: rimane impigliato tra le trame di un presente che gli va troppo stretto e l’abbraccio soffocante di un passato che non riesce a scrollarsi di dosso.
Pensare al passato qualche volta fa male, maledettamente male. Ci sono ferite nel suo cuore, ferite profonde che non si rimarginano, ferite che bruciano a contatto con l’anima. Ci sono pezzi di se stesso che sfregano contro il suo cuore, ferendolo, conficcandosi a fondo dentro di sé.
Qualche volta Draco si sveglia in piena notte, circondato dagli spettri di un passato che ha ancora addosso, appiccicato sulla sua pelle e impossibile da rimuovere. Un passato che adesso è solo una cicatrice opaca sul suo avambraccio sinistro, un passato che lo fa solo infuriare.

Draco Malfoy ha diciassette anni e tanta voglia di volare via.
Vuole solo prendere quella sua maledettissima e costosa scopa e volare via, scivolare nella notte come un ladro, scappare da quel presente orribilmente triste.
Sdraiato sul suo letto guarda gli arabeschi argentati che scivolano sul verde del soffitto della sua stanza. Verde e argento: due colori che nella sua vita hanno sempre rappresentato tante cose, cose che a volte considerava sbagliate ma che doveva compiere comunque. Perché lui è un Malfoy, e ciò comporta delle responsabilità – come entrare a Serpeverde, unirsi al Signore Oscuro…
Draco scaccia via le immagini prepotenti di un passato che non vuole sparire, e che diventa sempre più pesante.

Al suo processo si presenta in giacca e cravatta, immerso in una perfezione che non è sua.
Davanti a sé ha tutto il Wizengamot, occhi furiosi che lo fissano instancabili dalle loro gradinate. Occhi che lo accusano di omicidi mai compiuti, di crimini che non ha avuto il coraggio di compiere.
Sono occhi che fanno male: bruciano sulla pelle, scivolano sul suo orgoglio e lo fanno a pezzi.
Si siede lo stesso davanti a quegli uomini e quelle donne, nascosti dietro maschere di giudici imparziali. Hanno già deciso il verdetto, glielo si legge in faccia: non potrà mai salvarsi dalla condanna, da Azkaban.
Dopotutto, non sarà poi così male: forse lì il suo passato riuscirà a volare via, così come la sua anima. Diventare un guscio vuoto magari lo renderà migliore di ciò che è, di ciò che è stato.

Potter. È stato salvato da Potter.
Maledetto, maledettissimo Potter. Lui, il salvatore del mondo magico, quel maledetto sfregiato ha osato salvarlo da una pena infinita, una pena che non meritava ma che avrebbe preferito scontare perché è un Malfoy.
Lui e sua madre sono salvi: il Wizengamot ha deciso. Passeranno entrambi due mesi ad Azkaban, e tutti i loro possedimenti andranno nelle mani del Ministero della Magia, esclusa Villa Malfoy e mille galeoni. Poi saranno liberi di ricominciare.
Draco si chiede se si divertano a vederli così. I Malfoy non ricominceranno, non possono ricominciare. Quella è una famiglia finita: lo vede negli occhi pieni di lacrime di Narcissa Malfoy, nello sguardo serio e composto di Lucius Malfoy mentre viene trascinato via. Lo aspetta Azkaban per tutta la vita.
Lucius lancia solo uno sguardo in direzione del figlio. Uno sguardo vuoto e freddo, lo sguardo di un uomo che ha visto tutta la sua vita crollare, che ha rovinato la reputazione di intere generazioni. E tutto a causa di un maledettissimo tatuaggio sul braccio, di convinzioni sbagliate che lo hanno portato all’autodistruzione.
Mentre esce dal tribunale, sorreggendo sua madre, Potter lo guarda. Sembra dispiaciuto, frustrato, come se avesse sperato fino all’ultimo di salvare tutta la famiglia.
Gli rivolge uno sguardo ghiacciato, Draco. Perché Potter non merita niente di più: ha condannato sua madre e lui ad una vita da reietti.
Meglio Azkaban che quello sguardo accusatorio tutti i giorni.

Fa così freddo, così maledettamente freddo.
Draco Malfoy si stringe nei suoi vestiti sciupati e sporchi, abbracciandosi alla ricerca di calore. Il suo fiato diventa nebuloso a contatto con l’aria gelida del nord, e fuori il vento ulula violentemente.
Ogni tanto sente qualcuno urlare. Donne, uomini… non riesce a capire il sesso di quelle persone, ma urlano. Urlano come il vento, e lo fanno tremare con violenza, così forte da far male.
Da qualche parte sua madre piange: la sente perfettamente, singhiozza debolmente. Vorrebbe parlarle, dirle di essere coraggiosa, ma alla fine zittisce, perché i Malfoy non sono coraggiosi.
I Malfoy non uccidono Basilischi con le spade, i Malfoy non combattono contro orde di Dissennatori, né sfuggono dalla morte per cinque volte nel giro di diciassette anni. No, i Malfoy non sono questo: i Malfoy sono semplici serpenti. Perfetti ed eleganti, strisciano sulla terra alla ricerca di un po’ di sole per andare avanti, di un padrone da seguire.
I Malfoy sono codardi, sono Serpeverde.
Draco affonda il viso tra le braccia. Vorrebbe piangere, ma non può: non ha questo lusso, anche quello gli è stato revocato da quel maledettissimo tatuaggio sul braccio.
A volte vorrebbe strapparlo via, rimanere con un orrido moncherino, ma privo di quel nero che ogni giorno sta lì, a ricordargli che i Malfoy sono impuri codardi.
Ascolta il vento urlare, tra le mura fredde di quella prigione, e si chiede quanto una persona può essere vigliacca.

Due mesi scivolano lenti, tra le mura di Azkaban. Sono orribili, passati tra i singhiozzi di una madre irraggiungibile e le urla di un padre che non è degno di questo nome.
Quando esce di prigione, Draco sa che si ritroverà solo. Sa che in quel mondo non c’è più posto per un Malfoy, sa che nessuno vorrà più stargli accanto.
Prende le poche cose che i carcerieri gli avevano tolto prima di entrare in cella e si guarda intorno, cercando un volto amico, qualcuno che possa accompagnarlo a casa. Ma una casa per lui esiste? L’ha mai avuta?
Fino a qualche anno prima avrebbe detto che casa sua era Villa Malfoy, tra le braccia possessive di una Narcissa Malfoy ormai diventata il pallido fantasma di se stessa e il freddo orgoglio di un Lucius Malfoy costretto a passare gli ultimi atti della sua vita tra le mura fredde di quel luogo infestato da fantasmi.
Fuori non c’è nessuno, ovviamente.
Draco prende la sua bacchetta e si smaterializza.
Torna a Villa Malfoy, che non è mai stata una vera casa. Ma altri posti a cui dare quel nome non ne ha, così torna lì.

Narcissa Malfoy se n’è andata.
Ha resistito solo due settimane prima di sparire nel nulla. Di lei rimangono lenzuola impregnate di lacrime ancora fresche ed un bigliettino gettato sul cuscino.
Draco lo prende e lo legge. “Perdonami”.
C’è scritto solo questo. Perdonami. L’inchiostro è sbavato, segno che una lacrima è riuscita a cadere anche lì, a sporcare di sale quella muta richiesta di perdono.
Draco getta il bigliettino nella pattumiera. Non versa lacrime per la madre, non si chiede dove sia andata: è meglio così.
Tanto non la perdonerà lo stesso. D’altronde, dovrebbe saperlo: anche lei è una Malfoy. I Malfoy non perdonano mai.

Draco ricorda bene Astoria Greengrass.
Una ragazzina anonima, capelli biondo sporco, occhi di un normalissimo verde. Mingherlina, piuttosto bassa. Ravenclaw, del suo stesso anno.  
La ricorda mentre studia in biblioteca, con il sole che colpisce quei capelli biondi facendoli brillare con dolcezza. Ricorda i suoi voti alti, quei grandi occhi verdi che urlano. Quegli enormi occhi verdi che chiedono solo di essere la prima scelta di qualcuno, di essere amati come vogliono. Quegli occhi verdi che strillano emozioni nel silenzio più immenso.
Astoria che legge sotto un albero, Astoria che tiene per mano Theodore Nott al Ballo del Ceppo, sorridendo appena, fasciata in un vestito grigio. Astoria che guarda i genitori lodare la figlia per i voti perfetti, la bellezza perfetta, il comportamento perfetto. Astoria che lo guardava dalla sua tavolata, muta e irraggiungibile, eppure così vicina e calda.  
Astoria, l’unica ragazza incastrata tra nero e bianco, così come lui.

Draco l’ha rivista al Paiolo Magico, una sera.
È così sbronzo che a malapena riusciva a mettersi in piedi.
Astoria Greengrass, la piatta, normalissima Astoria Greengrass, costretta a portare un cognome molto più grande di lei, l’ha guardato da quando ha varcato la soglia del Paiolo, la barba sfatta e lo sguardo freddo e scontroso di chi non vuole scocciature.
La ragazza gli ha tolto di mano il bicchiere, l’ennesimo della serata, e lo ha guardato con aria preoccupata ma dolce.
“Adesso basta, Draco. Andiamo a casa”
“Ti ho forse chiesto qualcosa?”
“No”
“E allora levati”
No
Draco alza lo sguardo. È combattiva, è forte, è tutto ciò che lui non è. E lo vede da quegli enormi occhi verdi, così uguali a tutti gli altri eppure così diversi da far male.
“Che cazzo vuoi da me?” ringhia, furibondo. Non vuole vederla, non vuole.
“Niente”
“E allora perché sei ancora qui?”
“Perché io sono una che resta”
Draco non ha capito il senso della sua affermazione, ma si lascia aiutare. Ha permesso alla piccola Astoria di prenderlo per mano – la sua è così piccola e calda in confronto a quella del ragazzo – e di condurlo a casa. Ma non a Villa Malfoy, che ormai di casa ha poco o niente: in una piccola villetta a schiera, nel Kent. A casa di Astoria.
La biondina l’ha condotto fino alla stanza degli ospiti, l’ha aiutato a svestirsi e l’ha messo a letto.
“Buonanotte, Draco”
Lui non ha risposto, affondando il viso nel cuscino. Ma Astoria non si aspetta risposte, non le vuole.

Astoria merita di meglio.
Draco lo sa, sa di non essere abbastanza per una come Astoria. Non glielo dirà mai, però lui lo sa. Nessuno merita un Malfoy, nessuno merita l’onta di avere quel cognome.
“Perché fai questo?”
Astoria gli ha sorriso appena, sistemando una tazza di porridge al cioccolato davanti ai suoi occhi arrossati e stanchi.
Si è sbronzato di nuovo. Ed è corso da Astoria, che non ha detto niente: l’ha semplicemente lasciato entrare, e condotto alla stanza degli ospiti. L’ha aiutato a svestirsi e lui si è addormentato.
Succede ormai da tre mesi, e quella è la prima volta che Draco non scappa via: quella volta è rimasto. Non sa perché: ha sentito solo l’irresistibile impulso di restare in quella casa profumata di sapone per bucato e lenzuola pulite.
“Ho saputo che tua madre è sparita.”
“E allora? Sono cazzi tuoi?”
“No” alza le spalle “Affatto.”
“E allora che cazzo vuoi dalla mia vita?”
“Niente. Voglio solo mostrarti cosa c’è oltre il tuo cognome, Draco”
Draco non risponde. Si limita a guardarla in silenzio per molti istanti, prima di cominciare a mangiare.
Quando ha finito se ne va, senza ringraziare.
‘Voglio mostrarti cosa c’è oltre il tuo cognome, Draco’.

Astoria lo chiama per nome.
Tutti gli altri lo chiamano Malfoy, ma lei no. Lei lo chiama per nome, solo e soltanto per nome.
Lui, semplicemente, non la chiama. Perché quando parla lei è sempre lì, pronta per ascoltarlo ed aiutarlo.
Astoria sa cosa significa, sa che cosa vuol dire vivere senza amore, schiacciati da un cognome in cui si deve entrare per forza.
Lei è riuscita ad essere solo Astoria, ma Draco no. Draco era ancora un Malfoy.

Una mattina Astoria si presenta davanti casa di Draco.
Villa Malfoy è fredda e silenziosa; Draco passa tutto il suo tempo a bere, senza sosta, bruciando gli ultimi risparmi che il Ministero non si è portato via, distruggendo le possibilità di un futuro che comunque non c’è e non ci sarà mai.
Draco apre la porta e se la trova lì, così piccola e fragile, ma con due occhi che bruciano di forza e determinazione. Due cose che gli sono sempre mancate, due cose che invidia terribilmente alla ragazza.
“Che vuoi adesso?”
Aiutarti” ed entra, sguscia in casa senza il suo permesso.
Draco la guarda sgattaiolare in cucina, e la segue pigramente: non la scaccia. Astoria ha portato in casa un po’ di profumo, e c’è così tanta puzza di vecchio in quel luogo.
La ragazza prende tutte le sue bottiglie, le versa nel lavandino.
“Ehy, ma che cazzo fai?!” tuona l’altro, correndo a salvare le uniche speranze di non essere più lucido, perché essere lucido vuol dire essere impigliato, schiacciato, distrutto da un passato che fa male, un presente che gli va stretto ed un futuro che non esiste.
Astoria non lo ascolta: versa tutto l’alcool, fa scomparire ogni Whisky Incendiario, Ogden Stravecchio e Burrobirra che trova. Fa sparire tutto con dei semplici colpi di bacchetta, e quando tutto è scomparso Draco la spinge contro il muro, prendendola per i polsi, minaccioso.
Astoria vede che è furioso, e per un istante Draco vede la paura guizzare in quegli occhi così anonimi, ma non gli interessa.
“Brutta puttana, come hai osato? Tu… schifosa stronza, che cazzo vuoi dalla mia vita?!” urla e non sa perché. Si ritrova ad urlare in faccia, a ferire l’unica persona che gli sia rimasta vicino per sei mesi interi.
“Non lo vedi che così ti fai male e basta?!” strilla lei a sua volta, arrossendo per rabbia “Non puoi andare avanti!”
“E sono affari tuoi, stronza?”
“Sì!”
“E perché diavolo lo sarebbero?”
“Perché c’è ancora qualcosa per te, là fuori, ma tu sei così ottuso e cieco che…”
La zittisce baciandola. Preme le sue labbra su quelle di Astoria, la stringe a sé, ed è un bacio avventato ed arrabbiato.
Perché Astoria è sgattaiolata nella sua vita e non riesce più a mandarla via. Perché Astoria profuma di sapone e di pulito, mentre lui è così sporco…
La trascina sul divano e le toglie la maglietta, senza che lei faccia resistenza.
Si chiede come abbia fatto quella biondina così anonima ad essere entrata nel suo cuore, ma in fondo non gli importa poi tanto.
Lei è lì. Lei è rimasta.

Draco non è più andato da Astoria, e lei non l’ha cercato più.
A volte, quando è solo e sente freddo, sente ancora il suo profumo di sapone sulla pelle. Ricorda le sue labbra calde e morbide mentre le mordeva con forza, ricorda quel suo sguardo brillante di forza e determinazione.
Le manca. Le manca terribilmente, e questo brucia sul suo orgoglio più di ogni altra cosa al mondo.
Deve togliersela dalla testa, e al più presto: se entrerà nel suo cuore non ci sarà più scampo.
E tutti quelli che sono entrati lì l’hanno ferito e basta.
Draco Malfoy non vuole essere ferito ancora. Non vuole più pezzi di passato ficcati con violenza nel suo cuore, o sale gettato sulle sue ferite. Vuole solo esistere in pace, è chiedere tanto?

‘È l’ultima volta’.
Continua a ripeterselo, mentre cammina rapidamente verso la villetta a schiera di Astoria. Cammina veloce, immerso in una notte fredda e silenziosa che fa quasi male. C’è solo la pioggia a far rumore, quella notte. Niente macchine, niente scope o quant’altro: solo lui e la notte.
‘È l’ultima volta’.
Draco è bagnato fino al midollo, e ben presto comincia a battere i denti per il freddo. Impreca, continuando a camminare, a correre verso la casa di Astoria.
‘È l’ultima volta’.
Raggiunge la porta e suona il campanello con forza. Spera che sia lì, sa che è lì, perché Astoria non se n’è mai andata davvero. Era sempre lì, immobile nella sua memoria, così semplice eppure così unica nel suo genere, unica da far male.
‘È l’ultima volta’.
Lei apre la porta e lui la bacia, senza dire niente, senza parlare. Non vuole parole, perché non sa parlare bene. Non ne è mai stato capace, in tutta una vita non ha mai detto al padre di volergli bene, non ha mai detto a nessuna delle donne con cui è stato di amarle. Credeva che un Malfoy non potesse amare, ma forse non è così.
‘È l’ultima volta’.
Ma non tollererebbe la vita senza Astoria.

“Ho sentito che ti sono mancata”
È un sussurro leggero nella notte. Draco punta il suo sguardo sul soffitto, mentre Astoria si avvicina e lo abbraccia lentamente. Sente il suo seno morbido e caldo sfiorare il suo petto con delicatezza, come una carezza, e il suo profumo di sapone per il bucato impregna i pensieri del ragazzo.
“E chi te l’ha detto?”
“Il vento”
Draco sta zitto, mentre Astoria lo abbraccia e si addormenta lì, accanto a lui. C’è qualcosa di dolce nel viso di Astoria rilassato e sereno. Draco sente che vorrebbe vederlo davvero ogni mattina appena alzato, e non ha la forza di alzarsi.
Non risponde all’abbraccio di Astoria, ma si addormenta.
Resta lì, perché Astoria è rimasta. Astoria è lì, e non si muoverà più.

Draco è seduto lì da un sacco di tempo, ormai.
Vorrebbe entrare lì dentro, chiedere a quei maledetti Guaritori come stia Astoria, come stia sua moglie – gli fa uno strano effetto pensarlo, dirlo, ma non è un brutto effetto: gli piace.
Quella maledetta poltroncina del San Mugo è troppo piccola, e lui tamburella le dita sulla coscia con aria irritata. No, non sembra preoccupato, ma in realtà lo è.
“Primo figlio?” domanda un uomo pasciuto, lì vicino.
“Si faccia gli affari suoi” ringhia Draco, e l’altro abbassa lo sguardo.
Finalmente la porta si apre, e qualcuno esce. Draco si alza in piedi lentamente e si avvicina, fingendosi tranquillo quando invece non lo è.
“Signor Malfoy?” domanda la graziosa ostetricia, per poi sorridere “È un maschietto!”
La ragazza si scosta, lasciandolo entrare.
Astoria è lì, pallida, stremata ma sorridente, che stringe tra le mani un fagotto di coperte che muove i pugnetti e mugugna leggermente, in risposta ai sussurri dolci della donna.
Draco osserva quella scena in silenzio. Non sorride, ma si sente invadere dal calore di quella famiglia. Una famiglia vera, un padre ed una madre che si amano e che amano il proprio figlio: quello che ha sempre voluto e che adesso avrà il piccolo.
“Draco” mormorò Astoria “Vieni a vedere”
Draco si avvicina, incerto sui propri passi. Non lo da a vedere, ma Astoria gli legge negli occhi quanto sia preoccupato. Abbozza un sorrisetto leggero, mentre lui si avvicina.
L’odore del sangue che aleggiava prima nella stanza viene sostituito da un candido profumo di sudore e sapone, mentre si avvicina ad Astoria. La donna gli porge il fagotto di coperte, e lui lo prende, incerto.
È una cosa così piccola che Draco ha quasi paura di ucciderlo se lo stringe troppo. È completamente pelato, rosso ed ha due grandi occhi che sono la perfetta mescolanza tra i suoi e quelli di Astoria. Le manine minuscole si muovono alla rinfusa davanti a sé, e Draco perde il respiro.
Quello è suo figlio. Quello è Scorpius, suo figlio.
Il suo cuore perde un battito, prima di accelerare violentemente. Le gambe di Draco cedono sotto il suo peso, e lui si ritrova seduto, con suo figlio tra le braccia e il cuore a mille per l’emozione.
È così piccolo e indifeso… una cosa bisognosa di amore, e non di freddezza.
Alza lo sguardo ed incontra gli occhi brillanti di Astoria, che sorride ancora con dolcezza.
Sì, Astoria aveva ragione.
C’è ancora un posto per lui in quel mondo.
   
 
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