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Autore: teabox    14/02/2012    8 recensioni
Molly amava passare tempo con Sherlock. Davvero. Anche se spesso questo equivaleva a trovarsi in mezzo a situazioni strane e discorsi imbarazzanti.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota: questa era nata come una storia veloce, possibilmente divertente e soprattutto corta. Doveva essere una piccola raccolta di momenti fra Molly e Sherlock. Poi, non so cos’è successo.
Non so quanto mi sia riuscito di stare IC, spero solo di non essere andata troppo OOC.
Tre capitoli che includono, ma non si limitano a: domande indiscrete! Appuntamenti cancellati! Irene Adler! e, soprattutto, quella cosa scritta lì, all'inizio del capitolo!
Grazie mille a chi si ferma a leggere :)

→ La storia è immaginata da qualche parte dopo il ritorno di Sherlock.

Chiariamo una cosa fin da subito. Non c’era mai stato un piano e, francamente, anche se ci fosse stato, di certo non avrebbe implicato conoscere il nome di quella donna. Irene Adler.
E per quanto ci fosse qualcosa di fantascientifico nel fatto che Molly Hooper e Sherlock Holmes si fossero baciati, non c’erano dubbi che la cosa fosse avvenuta per caso. Un incidente. Punto e fine.

Più o meno.

*

«Molly.»
La Molly in questione si morse un labbro.
Nella sua testa, precisi e catalogati, erano raccolti i modi diversi con cui Sherlock pronunciava il suo nome, seguiti dai relativi significati. Per esempio, quel tipo di “Molly” che aveva appena usato era uno dei più frequenti. Era quello che lei amava definire ammonitorio-educativo: un conto-fino-a-tre-e-poi-ti-metto-in-castigo-Molly.
«Quei test non si eseguiranno da soli.»
«Si, giusto», replicò lei mettendosi al lavoro. Quando il liquido in una delle provette cambiò colore e si formò un precipitato verde, Molly sollevò la fiala per osservarla meglio. «C’è qualcosa che forse potrebbe interessarti.»
Sherlock alzò gli occhi dal microscopio e guardò la provetta che Molly gli stava mostrando. S'illuminò in viso.
Era leggermente deprimente sapere di essere meno interessante di una soluzione di solfato ferroso e idrossido di sodio.

*

«La caffeina?»
Sherlock non spostò gli occhi dallo schermo del computer. «Alcaloide.»
«Litri di sangue nel corpo umano?»
«Circa il 7,7% del peso corporeo.»
Molly porse a Sherlock un foglio con i risultati di alcune analisi. «Una domanda un pochino più difficile. Cos’è il principio di Le Chatelier?»
«Termodinamica chimica. Ogni sistema tende a reagire ad una modifica impostagli dall’esterno minimizzandone gli effetti.» Staccò finalmente gli occhi dallo schermo e prese il foglio. «Posso sapere cosa stai facendo?»
«Testo la vastità delle tue conoscenze», replicò Molly con un tono divertito. Si girò per sorridergli, e solo in quel momento si rese conto che lui si era voltato a guardarla ed era più vicino di quanto avesse immaginato.
«Soddisfatta?», domandò.
Qualcosa in quel tono di voce sembrava pretendere risposte sulla falsa riga di “no”, “ancora”, “di più” e “non smettere”. Molly arrossì. Fece un passo indietro inciampando in uno dei sgabelli. «Sì. Certo. Scusa.»
Non era sicura di cosa si stesse scusando, però.

*

«Lo stai facendo di nuovo, Molly Hooper.»
Ah, pensò lei. Ecco l’altro “Molly” che veniva pronunciato spesso e volentieri. Quello accompagnato dal cognome, quello che associava sempre a frasi come “siamo persone serie, adulte, comportiamoci come tali”. Il che, ovviamente, implicava il non fissare Sherlock Holmes.
«Giusto, scusa.»
Anche “scusa” era una parola che compariva con una frequenza allarmante nelle frasi di Molly, specialmente quando Sherlock era nelle vicinanze. Si schiarì la voce. Non amava i silenzi prolungati, soprattutto quando si trovava nell’obitorio. «Stavo solo pensando a qualcosa.»
Sherlock sollevò la mano del cadavere che stava esaminando. Ci mise cinque secondi buoni per rispondere, ma a stupirla fu soprattutto il fatto che avesse deciso di farlo. «Cosa?»
«Ah, ecco. Sì.» Le parole sembravano sempre nascondersi, quando si trattava di parlare con lui. «Mi domandavo se sei sempre stato così. Voglio dire, fin da piccolo. Sai, così intelligente e...e deduttivo.»
La frase suonò patetica alle sue stesse orecchie, ma Sherlock non sembrò farci caso. Girò attorno al tavolo per raggiungere l’altro lato del cadavere. «Immagino di sì.»
Molly intrecciò le dita delle mani, chiudendosi nelle sue riflessioni. Piegò appena la testa e lo guardò. Era difficile immaginarsi Sherlock da bambino, magari a sei anni, occupato a dedurre dal tempo di ebollizione del latte e dal bricco usato, che avevano comprato una marca diversa e che no, non gli piaceva e no, non lo voleva bere.
Era difficile, ma non impossibile.
«Molly Hooper», la richiamò lui all’ordine.
E Molly Hooper smise di fissarlo. Di nuovo.
Sorrideva, però.

*

«Style...styme...stylomo», Molly sbuffò irritata. Era assurdo come certe volte la sua lingua sembrasse incepparsi su alcune parole. «Hetro...hetoro...o per l’amor del cielo.»
Sherlock le tolse il foglio di mano e lesse la parola. «Ripeti dopo di me. Sty-lo
«Sty-lo
«Me-con
«Me-con
«Stylomecon
Molly prese fiato. «Stylomecon
Sherlock alzò un sopracciglio quando la vide esultare. «Non è ancora finita. He-te-ro
«He-te-ro
«Phyl-la
«Phyl-la
«Ora rilassati, chiudi gli occhi e ripeti: stylomecon heterophylla
Molly fece come le era stato detto. «Stylomecon...heterophylla
«O papavero del vento, se preferisci.» Le riconsegnò il foglio.
L’angolo della bocca si era alzato appena - l’ombra di un mezzo sorriso - quando aveva visto dipinta sul volto di Molly tutta quella soddisfazione per qualcosa di così insignificante.
Molly Hooper era strana.

*

«Quindi è stato un delitto passionale?»
«Così parrebbe. Cosa c’è, Molly? Sembri quasi delusa.»
Molly alzò per un istante gli occhi dal microscopio. «No, no. Non credo. Solo che...»
Sherlock, intento a confrontare alcuni risultati al computer, la invitò a continuare. «Solo che?»
Molly curvò un po’ le spalle e sospirò. «Sembra un tale spreco di sentimenti.»
Sherlock si voltò a guardarla. «La passione, mi dicono, è una grande forza motrice.»
«Appunto!», replicò lei tornando a dedicarsi al microscopio. «Mi sembra sempre un tale peccato quando viene utilizzata così.»
Il silenzio si allungò tra loro due. Molly sostituì un vetrino con un altro. «Tu...» Esitò, abbandonando nuovamente il microscopio. «Tu hai mai provato passione?»
Sherlock tornò a fissarla. Allibito. «E’ la base del mio lavoro.»
Molly si lasciò sfuggire una risata nervosa. «Sì, no, certo. Giusto. Ma, insomma, volevo dire...passione per una persona.»
L’espressione di Sherlock divenne confusa. E vagamente allarmata. Per un attimo Molly credette che avrebbe risposto con un “errore 404, pagina non trovata”. Invece tornò a dirigere la sua attenzione al computer. «No.»
Silenzio.
Molly aggiustò le lenti del microscopio per adattarle al nuovo campione. «Neanche...neanche per quella donna? Sai, quella del cellulare.»
Non ci fu nessuna risposta immediata. «Iren-» Sherlock dovette interrompersi per schiarire la voce. «Irene Adler era una donna affamata di potere e dominazione. Ogni sua azione era pensata, calcolata e stabilita per ottenere quello che voleva. Cosa ti fa pensare che possa trovare attraenti questi aspetti?»
«Pensavo...pensavo che ti piacesse.»
«Mi piacciono molte cose, Molly Hooper, una delle quali è il silenzio.»
E Molly tacque. Stava comunque ancora assorbendo quelle informazioni e sapeva che una parte del suo cervello le aveva già catalogate sotto la voce “giustificazione”. Perché non era né più né meno di quello che Sherlock stava facendo, che se ne rendesse conto oppure no. Era come un adolescente intento a negare ai suoi amici la prima cotta, “no, davvero, non mi piace. Non la trovo nemmeno carina”.
Qualcosa nello stomaco di Molly si fece pesante.

*

«Ah, Molly, giusto te cercavamo.»
Molly non apprezzava quando Sherlock pronunciava il suo nome in quel modo. Finto interesse, ecco cos’era. Era il “Molly” che usava quando aveva bisogno di qualcosa e non era sicuro di riuscire ad ottenerlo semplicemente chiedendo.
Il sorriso di John, poi, confermava l’ipotesi. “Scusa, Molly”, diceva quel sorriso.
E lei non capiva. Sapeva che quando passavano dal laboratorio o dall’obitorio era perché c’era qualcosa di importante che andava fatto. Non c’era bisogno di pretendere. Bastava, davvero, solo chiedere.
«Finalmente qualcosa di davvero interessante», aveva continuato Sherlock passandole una busta con delle foto.
«E’ una persona inchiodata ad un albero, quella che sto guardando?», domandò lei indecisa tra il disgusto e l’interesse.
«Esattamente!»
C’era qualcosa di inquietante, ma allo stesso tempo assolutamente divertente, nell’assurdo entusiasmo che Sherlock provava davanti a certe cose. Ma del resto chi era lei per giudicare, quando buona parte del suo lavoro aveva a che fare con cadaveri?
«Se non fosse un problema, Molly», stava dicendo John. «Quando ti portano la salma, vorremmo esaminarla.»
Molly fece per rispondere, ma Sherlock la batté sul tempo. «Certo che non è un problema.»
«Non starebbe a lei dirlo?», fece notare John.
Sherlock guardò Molly. «E’ forse un problema?»
Lei sospirò. «No. Non credo.»
«Bene. Molto bene, Molly.»
E senza aggiungere una parola di più, uscì dal laboratorio esattamente com’era entrato. Di fretta.
Sulla porta, però, John esitò un istante. «Sai, c’è una cosa che ho capito di Sherlock», le disse sorridendo. «Quando dice “molto bene”, a volte quello che vorrebbe dire è “grazie”. Questa era una di quelle volte.»

Molly sorrise riconoscente.

*

«Nevica!»
«Quale brillante deduzione, Molly.»
Erano passate da poco le nove di sera, e Molly e Sherlock avevano appena lasciato il Barts. Uscendo, Molly non era stata capace di fermare l’entusiasmo nell’accorgersi che aveva preso a fioccare. Le piaceva la neve, le piaceva molto. E né il freddo glaciale o il sarcasmo di Sherlock avrebbero intaccato quella semplice felicità.
«Non ti piace la neve?», domandò ingenuamente.
Sherlock, intento a scrivere un messaggio al cellulare, non sollevò nemmeno gli occhi. «E’ un fenomeno meteorologico, Molly Hooper. Capita, e con frequenza, quindi cosa dovrebbe esattamente piacermi?»
«Be’, la neve è bella.»
Sherlock mise via il cellulare e lanciò un’occhiata alla strada, cercando un taxi. «No, Molly. E’ fredda, potenzialmente pericolosa e problematica.»
«Sembra che tu stia descrivendo quella donna, Irene Adler», replicò lei, rendendosi conto troppo tardi di quello che aveva detto. Il silenzio si protrasse in maniera imbarazzante. Molly si nascose dietro una debole risata. Sapeva, senza bisogno di guardarlo, che Sherlock si era voltato a fissarla. E non era contento.
«Sì, ecco», offrì fievolmente, senza sapere davvero cosa potesse dire. Ma la salvezza arrivò sotto forma di taxi. «Ah, guarda! Fermalo prima che sia troppo tardi. Sarà difficile trovarne altri in una serata come questa.»
Sherlock si avvicinò alla strada e fece segno al taxi di fermarsi. Aprì la portiera e si voltò per dirle qualcosa, ma Molly lo precedette. «Bene, io vado. Se corro, dovrei riuscire a prendere il treno delle nove e mezza.»
E corse. Almeno fino all’angolo. Appena imboccata la strada che portava alla stazione della metropolitana, si fermò e si appoggiò al muro. Cause più frequenti di arresto cardiocircolatorio, pensò cercando di riportare il cuore ad un ritmo normale. Aritmia, infarto miocardico, ipossiemia. E idiozia.
Il cellulare vibrò nella tasca del cappotto.

Cammina. Mi servi in salute, l’ipotermia accidentale non m’interessa. Per il momento. SH

Molly si staccò dal muro e si guardò attorno. Vide un taxi allontanarsi lungo la strada.
Ah, pensò avviandosi verso la St. Paul’s Station. E si trovò nella strana situazione di non sapere bene cos’altro aggiungere, dopo quel “ah”.
Si sentiva in imbarazzo, certo. Ma era anche felice, in qualche modo.

  
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