Anime & Manga > Slam Dunk
Segui la storia  |      
Autore: Jo Vix III    10/04/2004    1 recensioni
E' parte della mia visione delle cose... da leggere!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Inseguire i sogni

 

Bene, bene! Rieccomi tornato, come si suol dire: non c’è 2 senza 3! E’ infatti la mia terza fanfiction, ambientata come sempre nel manga Slam Dunk. I personaggi appartengono al sig. T.Inoue, la storia è un po’ più impegnativa di quelle mie precedenti, ma val la pena leggerla! Buon divertimento!

 

Era un solito, ordinario giorno per Kaede Rukawa. Frequentare le lezioni perché obbligato, ignorare gli stuoli di fans che aveva intorno, allenarsi caparbio e solitario, frustrato perché il suo grande rivale Akira Sendoh era da qualche mese partito per gli Stati Uniti convocato per uno stage, e sembrava avere successo. Quando il suo corpo non era impegnato nel gioco, oscillava tra noia e frustrazione. Le sue giornate trascorrevano così, una dopo l’altra, perpetue. Finché non accadde qualcosa.

Dopo l’allenamento, nel tardo pomeriggio, Rukawa si avviò verso casa. Arrivò alla sua dimora, immensa e sempre fredda e vuota, eccetto per qualche fugace comparsa dei suoi sempre in giro per il mondo per lavoro. Scorse una lettera nella casella postale. Di solito una tale cosa sarebbe stata insignificante per lui, forse era una delle tante lettere d’amore anonime che riceveva. Ma stranamente attirò la sua attenzione, la prese quasi ansioso. Proveniva dall’America! L’aprì e lesse:

“ Gentile sig. Kaede Rukawa, siamo degli osservatori della squadra dei Chicago Bulls. Avendo visionato le sue prestazioni alle competizioni di livello interscolastico abbiamo deciso di convocarla per uno stage di prova a tempo indeterminato. In caso di sua adesione provvederemo alle spese di viaggio nonché a iscriverla al liceo di Chicago affinché possa terminare gli studi. Distinti saluti.”

Kaede Rukawa era entusiasta. Il suo momento era giunto! Sarebbe finalmente andato in America! Senza perdere tempo espletò tutte le pratiche, dopo tre giorni era pronto per partire.

Il viaggio era articolato in parte in nave, dal Giappone all’istmo di Panama, in parte in treno, fino a Chicago.

Dopo aver ricevuto la lettera Rukawa non aveva ancora avuto l’opportunità di riflettere con calma, diviso com’era stato tra moduli da compilare, telefonate da fare, valigie da preparare. Rukawa si imbarcò, e durante le lunghe ore di viaggio, cominciò a realizzare l’accaduto. Era strano. Aveva tanto aspettato questo giorno, eppur si sentiva ancora incompleto. Già, ancora qualcosa l’opprimeva. Egli aveva sempre vissuto solo per allenarsi al basket, per raggiungere livelli sempre più alti. Aveva pensato che ciò che ora gli era accaduto fosse stato una svolta, un cambiamento di vita. Invece faceva solo parte di ciò che era stato finora. Un ulteriore avanzamento di livello, e basta. Non era solo quello che voleva? Perché allora avvertire tali sensazioni? Cosa significava? La cosa peggiore era che non riusciva a darsi una risposta. Forse il suo allenatore aveva ragione, forse era ancora troppo immaturo per andare negli Stati Uniti?

Immerso in questi pensieri trascorse il suo viaggio in nave, cercando di riposarsi anche delle fatiche accumulate. Riuscì, anche se poco, a dormire.

La nave era giunta a destinazione. Rukawa scese, pensieroso, e si recò alla stazione. La sua aria era assente, i suoi gesti meccanici, vuoti. Passeggiava nervoso sulla banchina d'attesa. A un tratto qualcosa lo distolse da quell’insensata inerzia, con veemenza, in modo straordinariamente simile a quando vide quella lettera bianca nella sua cassetta postale. Questo qualcosa era una canzone classica, straniera, mai sentita prima, ma le note, gli accordi, l’armonia che aveva lo catturò. Si voltò verso quella sorgente. Ci vide un’originale ragazza che ascoltava la canzone dal walk-man a tutto volume, anch’ella passeggiava nervosamente sulla banchina. Aveva dei lunghi capelli neri lisci, regolari, che scendendo le ricoprivano le spalle e buona parte della schiena, un colorito bianco, pallido, delle labbra rosse come il sangue, era vestita in modo alquanto singolare, portava collane e bracciali tribali, pantaloni appositamente strappati in punti che non apparivano casuali. Ma il particolare che più colpiva erano gli occhi, dallo sguardo magnetico, penetrante, colore verde vitreo, forma a goccia. Rukawa se ne sentì attratto, la seguiva con lo sguardo. Poi Rukawa la vide avvicinarsi, decisa, dritta verso di lui. Anche quella musica, dapprima flebile, aumentava d’intensità, e contemporaneamente udiva il segnale dell’arrivo del treno, regolare, scandire quei brevi intensi secondi. Una folata di vento gli scompigliò i capelli corvini, egli aguzzò i suoi occhi blu cobalto, la ragazza gli passò come attraverso, il suo battito accelerò. Era tutto allo stesso tempo grottesco e assurdo ma naturale e scritto. L’arrivo del treno lo distolse momentaneamente dai suoi pensieri. Decise di seguirla, era una calamita. Prese posto di fronte a lei, per poter decifrare l’oggetto dei suoi pensieri. La osservava attentamente. Lei era del tutto assorta nel suo ascoltare. Gli sembrava che il mondo girasse intorno a lui. Non riusciva a staccare il suo non più come sempre gelido sguardo da lei. Era come se l’armatura glaciale dell’indifferenza che si era costruito nei suoi anni si stesse miseramente sciogliendo. Sentiva di dover sapere, guardare, prendere, e con sereno distacco.

Finché ella non scese, prima di lui, come a spezzare un filo sottile su cui si reggeva un equilibrio fatato. Il contrasto, lo scontro degli opposti, che era la base di un disegno superiore. Rukawa seguì i movimenti di questa misteriosa ragazza, fluidi, innaturali. Gli sembrò svanire nel nulla, perdersi nella folla. Capì, improvvisamente. Ella era stata un monito. Perché lui si era concentrato troppo solo su un punto nella sua vita, voleva azzerare il resto da lui finora ritenuto un inutile margine. Non era possibile, non gli era concesso. Doveva anche pensare, seppur con saggezza e nella giusta misura, a cose effimere nell’apparenza, ma vitali se viste e gestite con moderazione e criterio. Perché l’opposto, un grande sogno posto a priorità assoluta nella vita che si scontra con piccole banalità fuggenti e quotidiane, ci permette di vivere sereni, completi. Era stato questo il suo errore. Estremizzare, ricondurre tutto a un punto. Il rischio di bloccare un disegno, un ordine preesistente, immutabile ed eterno. Sì, anche con un evento così infinitesimo. Era da ciò che si era generata questa strana apparizione che come un violento turbine l’aveva sconvolto. Automatico, naturale. Contrasto possibile - impossibile. Tutto è generato da contrasti, a qualunque livello, realizzati dall’unico operatore della negazione. L’attrazione degli opposti è il solo motore dell’universo. Il nostro intelligere, è tutto riconducibile alla capacità di distinguere tra l’uguale e il distinto, mattone basilare di un’architettura di straordinaria bellezza e iperbolica complessità. Elemento primitivo infinitamente semplice tanto quanto infinitamente incomprensibile, appunto. Ed è tutto indissolubilmente legato, interagente, l’est col ne est. Per ogni cosa. La vita e la morte, il finito e l’infinito, la rettitudine e il peccato, il male e il bene, lo spazio infinito e infinitesimo, il razionale e l’irrazionale, la gioia e la tristezza. Tutto inscindibile.

Rukawa si rese conto di essere stato scelto. Perché lui aveva un sogno da inseguire. Inseguire i sogni. E’ ciò che ci emancipa da un eterno perdersi. Appunto perché non si può collassare su un punto, la bilateralità dell’essenza delle cose è inviolabile. Chi non ha sogni da inseguire viene reso inesorabilmente vano, amorfo, indistinguibile. E’ come un neutrone, scarto morto di ciò che è stata un’attrazione protone-elettrone. Invece la sua vita sarebbe stata data dal protone, le piccole cose quotidiane, e dall’elettrone, il suo grande sogno. Ma esso sfugge, prolunga l’attrazione, l’azione. Ciò appartiene all’inspiegabile, come inspiegabile è la causa primitiva e inspiegabile è il fine ultimo.

Possiamo solo esserne consapevoli dell’esistenza e della trascendenza.

Sì, era ora di cambiare. Concentrarsi ancora sul basket, schiacciare quel pallone in quell’anello arancione passando tra una selva di braccia, ancora una volta. Per sempre, fino allo spasimo, finché avrebbe avuto un briciolo di forza in corpo, finché gli sarebbe stato concesso. Ma d’ora in avanti senza snobbare il resto, necessario, da cui occorre comunque lasciarsi catturare. Non più senza sorridere alla vita.

La maturità era giunta, quasi per caso. Rukawa era felice, illuminato, provava esattamente il medesimo appagamento di un fanciullo di fronte a una nuova scoperta. Il suo viso era più caldo, meno arcigno. L’alba sopraggiungeva, i contorni del paesaggio dal finestrino del treno cominciavano a delinearsi, tra pittoreschi giochi di luce. “Sì, sono queste le cose belle della vita” pensò, mentre correva veloce verso il domani.

Jo Vix III

  
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Slam Dunk / Vai alla pagina dell'autore: Jo Vix III