Ora e allora
Al mio nuovo eye-liner.
« C'è
nelle cose umane una marea che colta al flusso mena alla fortuna:
perduta, l'intero viaggio della
nostra vita si arena su fondali di miserie. »
Giulio Cesare, Shakespeare
Era sempre stata attaccata alle sue origini Babbane.
A volte, quando passeggiava per Diagon Alley, le pareva di sentire, in lontananza, lo squillo di un telefono. A volte, quando la nausea di una Smaterializzazione
l’assaliva, si chiedeva quando sarebbe riuscita a salire di nuovo su un’automobile.
Però sapeva benissimo che le invenzioni Babbane
fossero tanto meravigliose quanto inaffidabili. Per questo motivo aveva
comprato molti test di gravidanza: tre, per la precisione.
Quando anche sul terzo si palesarono due lineette rosa non poté evitare
di esclamare: - Merda.
*
Sei settimane prima.
Ted Remus
Lupin allungò il braccio paffuto e batté con il palmo della mano sulla coscia
di sua nonna. Le porse un blocco di legno, dipinto di rosso, e lei lo posò sopra
gli altri.
Quando Andromeda posizionò
anche l’ultimo blocco, il bimbo gorgogliò di felicità; i suoi capelli scuri
divennero di un tenero turchese, segno che era soddisfatto.
La donna carezzò piano quella
capigliatura dall’improbabile colore, una fitta al petto – ormai molto
familiare – accompagnò quel gesto; gli occhi si inumidirono un po’, ma nemmeno
una lacrima le bagnò il viso, ch’era segnato dal dolore. Per tanti anni aveva
associato quella tonalità alla figlia, al suo sorriso bonario e alla vivacità
esternata grazie a quelle sfumature azzurre. Faceva un po’ di fatica, ora, a
collegare quel colore al nipote, pacato anche da piccolo, che somigliava molto
di più al padre; Teddy, però, aveva gli occhi e le
labbra, piccole e piene, della madre.
Ma non era Ninfadora.
Un rumore di passi la
distolse dai suoi pensieri, tolse la mano dai capelli del bambino e si girò
verso la porta.
Hermione Granger
entrò nella stanza e sorrise ai due.
- Hermione, cara – esalò
Andromeda. – Oggi pomeriggio viene a trovarmi mia sorella – disse subito dopo.
Osservò la reazione della
ragazza, ma lei si limitò a esclamare: - Uhm.
- Viene anche suo figlio Draco, immagino tu lo conosca.
Un altro: - Uhm.
La donna sorrise affettuosa.
– Mi chiedevo: è un problema per te?
- Figurati! È casa tua, io
sono solo un’altra ospite – si affrettò a rispondere.
Era lì da qualche giorno,
aveva finito gli esami da poco e aveva deciso di andare a trascorrere un
periodo di riposo nella Londra Babbana, in solitudine, ma Andromeda aveva insistito per offrirle un
posto nella sua casa. Dopo la Guerra, Hermione era
stata ferma nella sua decisione: finire l’ultimo anno a Hogwarts,
con o senza Harry e Ron.
I suoi genitori erano ancora
in Australia, la loro memoria compromessa per sempre. Quando la ragazza aveva
constatato che era ormai inutile annullare l’incantesimo, si era ritirata per
una settimana intera nella sua stanza, alla Tana. Solo dopo il pranzo della
domenica era uscita fuori di lì e, con voce sicura, aveva chiuso il discorso affermando
che le cose dovevano andare così.
Nessuno osava più nominare i
signori Granger o l’Australia. Hermione sapeva
che li avrebbe persi, infatti, bene o male, si era rassegnata a quella
separazione – adesso doveva contare solo su se stessa. Quando l’anno a Hogwarts stava giungendo al termine, Andromeda si era
sentita in dovere di mandarle una lettera dove le scriveva che, se proprio non
voleva tornare alla Tana, a causa dei troppi ricordi difficili da dimenticare, poteva
stare da lei.
I Weasley
erano ancora presi dal dolore del figlio perduto, Molly viveva come se Fred
fosse lì, nessuno osava contraddirla; Hermione era in
grado di sostenere la propria sofferenza, ma non quella degli altri.
Andromeda non l’avrebbe mai
ammesso, ma voleva Hermione con sé per compensare
almeno in parte la scomparsa della figlia, lenendola con la sua presenza:
entrambe avevano perso la propria famiglia, ma né l’una né l’altra avrebbero
mai esternato il senso di vuoto incolmabile che provavano.
Andromeda fece segno alla
ragazza di avvicinarsi e, appena le fu accanto, la invitò a sedersi accanto a
lei.
– Bada per qualche minuto a Teddy – iniziò. – Io devo prendere una cosa per mia
sorella. Arriverà fra meno di un’ora, cara, non sei costretta a presenziare –
le disse.
Hermione non seppe cosa risponderle,
si limitò ad annuire prima di dedicare la sua completa attenzione al bambino.
La sua stanza aveva le
pareti di un tenue color verde; il letto a una
piazza e mezza era accostato al muro, una specchiera e un cassettone erano al
suo opposto, mentre una piccola scrivania era posizionata vicino alla finestra.
Hermione si stese sul letto, raccolse
le gambe in posizione fetale e chiuse gli occhi. Inspirò dal naso e poi espirò
dalla bocca.
Immagini
opache, che aveva chiuso a chiave in un cassetto, le aleggiarono nella mente;
erano come acido che corrodeva la sua anima, scavando in profondità, ma il
bruciore si attenuava solo quando lei cedeva a quei ricordi.
Strinse le palpebre fino a
intorpidirle, combattendo con tutta se stessa contro
quei frammenti di memoria che cercavano di rimembrarle quello che ormai non
c’era più. Quante volte si era illusa che sarebbe durato abbastanza a lungo da
stancarla? Non per sempre, non era mai stata così ingenua, ma la speranza di un futuro, seppur
breve, aveva fatto capolino nella sua testa.
Non appena aveva sentito il
rumore di voci, al piano di sotto, si era ritirata nella sua camera, pronta a
ignorare tutti e tutto. Quando Andromeda le aveva detto che poteva anche non
presenziare, Hermione aveva notato i suoi occhi
esprimere un concetto abbastanza semplice: lei sapeva.
Hermione forse non riusciva
nascondere i sentimenti, ma Andromeda era fin troppo
intelligente e astuta nel capirle. Più di una volta la ragazza aveva avuto
qualche vago presentimento su Andromeda e su quanto sapesse, eppure non si era
mai preoccupata: la donna era fin troppo discreta, non pretendeva nulla,
tantomeno informazioni sulla sua vita privata.
Infilò una mano sotto il
cuscino, tastò il materasso fino a trovare quello che cercava: la sua copia
consunta di Giulio Cesare, uno dei pochi libri Babbani che aveva
ancora con sé. Carezzò la costa fragile, percorrendone le crepe con la punta
delle dita: era consumata, dato che rileggeva quel libro troppe volte.
Non sentiva più il basso
cicaleccio delle donne, forse si erano spostate in un’altra stanza, oppure
erano rimaste in silenzio, prese dai loro pensieri. Ad Andromeda accadeva
spesso: finiva una frase e poi si chiudeva in un mutismo non voluto, gli occhi
persi nei ricordi; quando si riprendeva, ricominciava a parlare, come se non si
fosse mai interrotta. Magari persino sua sorella Narcissa
era così, anche se, le poche volte che Hermione
l’aveva vista, si era rivelata una donna frivola e crudele. Ma la guerra aveva
cambiato tante persone, non tutte in meglio.
Si alzò dal letto e,
strascicando i passi, arrivò fino alla scrivania. Aprì un cassetto, frugò fra
le varie scartoffie – stralci di ricordi messi su carta così da non poterli dimenticare troppo presto – e
alla fine trovò quello che cercava. L’ultima lettera che aveva ricevuto da
Harry. Era così impegnato con la ricerca degli ultimi Mangiamorte
da non riuscire nemmeno a passare una giornata intera alla Tana.
Prese il foglio fra l’indice
e il pollice, li premette fra loro, finché la pelle non aderì alla carta.
Afferrò la bacchetta dalla tasca posteriore dei suoi jeans e, con un mormorio,
incendiò il foglio.
Quelle parole così fallaci, come in tutte le corrispondenze che si
erano mandati. Lei si era confidata, lui
non aveva capito. Da quanti mesi non si parlavano come amici?
Fece Evanescere
le ceneri, poi crollò a terra: le ginocchia strette al petto, il volto nascosto
fra esse, il respiro tremolante. Era sempre così: quando meno se lo aspettava
il suo corpo cedeva sotto il peso di troppi pensieri…
non si era mai sentita così debole, nemmeno a Hogwarts,
quando un’imminente guerra o un compito particolarmente difficile la
opprimevano. Mai, nemmeno una volta.
La guerra aveva cambiato tante persone, non tutte in meglio.
Quando udì dei passi leggeri
che percorrevano il corridoio, si affrettò ad alzarsi e ricomporsi. Andromeda
era discreta, sì, ma Hermione preferiva non mostrare
il suo dolore… un dolore che non voleva ammettere a
se stessa.
I passi si fecero più vicini,
Hermione mise una mano fra i capelli e una sopra le palpebre, pizzicando piano la pelle.
Quando il rumore dei piedi
contro il pavimento si interruppe, Andromeda era già
davanti alla sua porta. Non bussò nemmeno, la maniglia si abbassò e la porta fu
spalancata.
Ma la figura slanciata sulla
soglia non era Andromeda.
- Ho trovato Draco molto taciturno, oggi – commentò Andromeda. I
biscotti alle noci, abbandonati sul tavolino, erano quasi finiti. Le tazze in
porcellana, ormai vuote, giacevano vicino alla teiera. Il tè era finito.
- Oh, oggi credo sia stato
piuttosto eloquente, a differenza di altri giorni – ribatté Narcissa.
- Allora non posso lamentarmi
– concordò l’altra. – Anche se, detto in sincerità, è sempre stato un po’
riservato, tranne per quelle battutine sarcastiche che ho sempre odiato –
concluse con una smorfia.
Narcissa si portò una ciocca bionda
dietro l’orecchio e sospirò. – Lo so. È anche figlio di Lucius,
cosa pretendi? I primi tempi odiavi anche lui.
- Non è che ora lo adori.
Comunque, odio il suo tagliente sarcasmo, non il tuo Draco.
Non potrei mai provare qualche tipo di risentimento verso di lui… altrimenti dovrei sentirmi osservare da occhi
inquisitori tutto il giorno.
- Eh? – esclamò poco
carinamente Narcissa.
- Nulla – Andromeda sorrise,
affabile. - Vuoi un altro biscotto?
Non si erano nemmeno salutati… non che le parole fossero mai state utili fra
loro.
La sua bocca era ancora come
se la ricordava: le labbra calde sapevano di tabacco, la lingua delicata
carezzava piano il suo palato. Le sue dita lunghe e nervose si erano insinuate
tra i ricci crespi; con i polpastrelli le massaggiava la nuca, in un movimento
circolare che conosceva fin troppo bene.
Sussurri nell’orecchio accompagnavano quelle dita.
Il lenzuolo era spiegazzato e
le irritava la pelle delle spalle ogni volta che lui le faceva spostare la
schiena per assecondare la sua lingua.
Hermione sfiorò le
spalle del ragazzo; poi, con molta lentezza, gli sfiorò il petto, afferrando il
primo bottone della camicia e lasciandolo uscire fuori dall’asola. Quando anche l’ultimo
bottone fu slacciato, la camicia scivolò dalle sue spalle, seguito quasi subito
dalla canotta di Hermione.
Era sempre stato così fra
loro: c’era urgenza nei loro gesti, impazienza di essere l’uno dentro l’altra,
ma, quando arrivavano al culmine, si sentivano sempre incompleti, come se in
tutta quella fretta avessero tralasciato qualcosa.
Le unghie di Hermione penetravano la pelle
liscia e pallida di lui, cercavano un appiglio per contenere quell’esplosione
di sensazioni, senza trovare veramente rifugio in esse.
Il corpo di lui era sempre lo
stesso: flessuoso, magro e cereo. Quando aderì completamente alle sue forme,
lei non poté evitare di sospirare; le era mancato quel fisico, la pienezza e la
sicurezza che le trasmetteva il ragazzo sopra di sé. Quante volte, mentre
cercava gli Horcruxes, aveva provato una fitta al
cuore così forte da farle dimenticare qualsiasi altra cosa?
Le era mancato.
Si era nutrita di quei ricordi corrosivi per così tanto tempo che a
volte faticava a distinguerli dalla realtà. Col tempo, essi si erano dispersi in memorie perdute, eppure non
l’avevano mai abbandonata.
In quell’istante era tutto
reale; oltre a percepire quel profumo lieve ma pungente che caratterizzava la
pelle del ragazzo, sapeva per certo che un sogno non le avrebbe mai concesso quei
particolari così minuziosi che lui metteva nel toccarla, nell’assaporare la sua
pelle come se fosse la prima volta.
Quando sognava le immagini
non variavano mai. Il ragazzo faceva sempre gli stessi movimenti, gli stessi
gesti, le sussurrava le stesse parole.
Qualche minuto più tardi,
quando vennero entrambi, Hermione ebbe la certezza
che quello non fosse tutto frutto della sua mente.
Draco artigliò i suoi fianchi,
spinse un’ultima volta e poi, con voce affannata, mormorò appena: - Hermione…
Quando il mattino dopo
si era svegliata, nel suo letto, era ancora nuda e coperta appena dal lenzuolo
chiaro. Le palpebre erano ancora chiuse – non
voleva che la luce asciugasse i suoi occhi lucidi.
Hermione preferiva quell’umidità – fra
le sue ciglia, fra le sue gambe.
Si sentiva madida dentro: la
sua anima era umida, marcia, sporca e a pezzi. Non si era mai sentita così arrabbiata
con se stessa, nemmeno una volta.
Quanto ancora hai intenzione di piangerti addosso?, si chiese con una punta di ironia.
Spalancò le palpebre,
ferendosi la retina ormai abituata al buio. Le tende erano rimaste spalancate
dal giorno prima, la stanza era come sempre: ordinata, calda e accogliente
nella sua semplicità.
Qualcuno aveva ripiegato i
suoi vestiti – la sera prima giacevano a terra come testimoni,
come complici – e li aveva posati sopra
la scrivania; vicino a essi c’erano una tazza di tè e qualche biscotto secco.
Andromeda.
Un gemito di disperazione
proruppe dalle labbra della ragazza. Con che coraggio avrebbe guardato negli
occhi quella donna d’ora in poi?
Non solo era un’ospite, ma
per di più consumava con suo nipote nella sua casa. In
confronto la consapevolezza di sapere che Hermione
aveva trascorsi con lui non era nulla.
Costrinse le sue membra a muoversi,
poiché erano indolenzite; prese i vestiti e li indossò in fretta, allargando l’orlo
della maglia.
Afferrò un biscotto e lo
addentò, mentre raggiungeva il soggiorno. La prima cosa che percepì fu il
pianto sommesso di Teddy, poi udì anche la voce di
Andromeda, pacata e tranquillizzante.
Si schiarì la gola per
annunciare la sua presenza. Andromeda si voltò verso di lei e la salutò con un
sorriso. Teddy, invece, ora più calmo, si passava le
mani paffute sul viso, asciugando le lacrime.
- Oggi si è svegliato col
piede sbagliato – lo giustificò Andromeda. Spostò Teddy
dal braccio destro al sinistro, accompagnando il gesto con una smorfia di
dolore.
- Lo tengo io – si offrì Hermione,
avvicinandosi alla donna, Teddy si sporse verso di lei, quindi allungò le braccia e lo fece
accomodare con la testa vicino al suo sterno.
- Grazie, cara.
Andromeda si sedette emettendo
un sospiro e invitò Hermione a mettersi accanto a
lei. Quest’ultima non rifiutò.
- Allora – iniziò Andromeda.
– Dormito bene?
Per un momento, Hermione pensò che Andromeda la
stesse prendendo in giro.
- Ehm, è una domanda a
trabocchetto? – domandò infine.
- Dovrebbe?
- Probabilmente sì. Non mi
sorprenderei se lo fosse.
- Davvero? Hai fatto qualcosa
di sbagliato, Hermione?
La ragazza nascose il viso
fra i capelli di Teddy. – Sì.
- Hai fatto qualcosa di
sbagliato a me o a te
stessa, Hermione?
Hermione capì che era quella La
domanda a trabocchetto.
*
C’erano stati tanti episodi strani nella sua vita, vicende che aveva
sempre immaginato come impossibili. La lista, oltre che lunga, era iniziata
grazie a una semplice lettera ricevuta a undici anni, e ora, tanto per
aggiungere qualcos’altro, era incinta.
INCINTA, maledizione! Come diavolo era successo?! No, non era quella la domanda giusta, perché il come lo sapeva.
Strinse il test di gravidanza.
Maledizione.
Che cosa avrebbe fatto?
Non poteva affrontare tutto da sola, doveva assolutamente parlarne con
qualcuno il prima possibile.
Aprì con uno scatto la porta del bagno e si fiondò giù per le scale,
sorpassando Ginny Weasley,
che ebbe appena il tempo di dire: - Herm, è tutto ok?
Hermione uscì
dalla Tana, ritrovandosi al centro dello spoglio giardino, si concentrò e si Smaterializzò
nel primo posto che le venne in mente.
Andromeda stava cucinando qualcosa di veloce per Ted, che brontolava
per la fame e teneva il broncio da un’ora.
Quando entrambi sentirono del trambusto in soggiorno, Ted smise di
piagnucolare e Andromeda posò di scatto il piatto che aveva in mano.
- Chi c’è? – domandò la donna, avvicinandosi al bambino che, con
sguardo attento, fissava la stanza da dove proveniva il rumore.
- Andromeda, sono io! – appena udì quella voce, le spalle di Andromeda
si rilassarono.
Si diresse in soggiorno, ma, quando la vide, si fermò. – Hermione cara, cosa succede?
Era evidente che Hermione avesse pianto, in
più i suoi occhi erano terrorizzati: nella mano stringeva qualcosa di bianco.
- Tesoro… - Andromeda si avvicinò alla
ragazza e le posò una mano sul braccio. Hermione aprì
la bocca, ma sembrò ripensarci e la chiuse di scatto. Gli occhi erano lucidi,
trattenevano lacrime che premevano per uscire.
- Devi aiutarmi – mormorò qualche secondo dopo, afferrando la mano
della donna per stringerla. – Per favore.
- Ma certo! Che cosa devo fare, tesoro?
- Non lo so – rispose in modo sincero.
- Vuoi dirmi cos’è successo, intanto? – domandò paziente. Non voleva fare
pressione sulla ragazza, che era visibilmente scossa, tanto da non riuscire a
esporsi.
Hermione le porse
l’oggetto bianco che stringeva fra le mani. – Sai cos’è questo?
Andromeda fece un gesto di diniego.
- È un’invenzione Babbana per capire se si è… - Hermione si morse con forza
il labbro inferiore, – incinta –
spiegò infine.
Andromeda non diede segno di essere sorpresa, esclamò solo: - Ah.
Hermione si passò
una mano fra i ricci e tirò una ciocca con forza. – Non so come ho fatto a
essere così stupida! Insomma, sono sempre stata attenta, anche a Hogwarts. E ora… non ricordo nemmeno di fare un incantesimo
contraccettivo! – la voce era diventata stridula.
Andromeda, che a malapena aveva udito il discorso di Hermione, riuscì, però, a comprendere la sua ultima frase e
le strinse le spalle. – Ne hai parlato con Ron? È lui il padre, giusto?
La ragazza la guardò con un profondo sguardo di scuse. – Ehm…
- Quindi è di Harry.
- Andromeda, ma no! – si
affrettò a esclamare Hermione. – Non potrei mai, ehm,
fare qualcosa con Harry!
- Scusa, cara, ma non è che ci siano molte possibilità, d’altronde vivi con loro… a meno che non sia
di George, ecco.
- Oh, Merlino – gemette Hermione, passandosi una mano fra i capelli.
- Ok, ho esaurito le possibilità – ammise.
Qualche lacrima cominciò a scorrere sul
suo viso. Hermione si toccò il ventre.
Ancora stringeva fra le dita quell’affare.
- Prima di dirmi chi è il padre, vuoi provare a rifare il test con una
pozione? – le domandò Andromeda, carezzandole la testa.
Hermione annuì e
provò ad abbozzare un sorriso, che però si tramutò in una smorfia.
Un’ora più tardi Andromeda portò in cucina un’ampolla colma di un
liquido trasparente; nel
frattempo Hermione aveva tenuto in braccio Ted,
cullandolo e ascoltando il respiro del piccolo corpicino. Era caldo e riusciva
a calmarla ogni volta che era sul punto di piangere.
Voleva bene al piccolo Teddy, da una parte si
sentiva simile a lui… entrambi avevano perso i propri
genitori. Sapeva benissimo che lei aveva tanti ricordi dei suoi, mentre il bambino
avrebbe vissuto di racconti, aneddoti, foto su di loro.
Solo quando una domanda attraversò la sua mente – e tuo figlio avrà dei genitori? – si decise a far accomodare Teddy nel suo seggiolone.
Andromedà posò l’ampolla
sul tavolo, davanti a Hermione, e con fare spiccio le
prese la mano. Con un ago pizzicò il suo polpastrello: le spalle della ragazza sussultarono.
- Gira il dito e fai cadere una goccia di sangue nella pozione – le
ordinò.
Hermione fece come aveva detto la donna e aspettò. Non appena il sangue si
adagiò sulla superficie della pozione, il liquido mutò di colore, divenendo di
un blu intenso.
Attese qualche secondo, poi si voltò verso Andromeda. – Ebbene? –
domandò.
Andromeda si sedette accanto a lei. - Sei incinta.
Anche la più piccola speranza si frantumò dentro di lei appena udì
quelle parole: era davvero incinta, senza possibilità di scampo. E adesso?
Avrebbe dovuto dirlo al padre, e insieme avrebbero deciso cosa fare. O almeno,
la prassi era quella.
Non sapeva se tenerlo, se abortire, se darlo in adozione.
Non avrebbe abortito.
Quel pensiero fu una specie di lampo fugace all’interno della sua
mente. Era chiaro: non avrebbe mai fatto una cosa del genere a suo figlio.
C’erano tante possibilità, ognuna diversa
dall’altra. Era
troppo presto per prendere una decisione definitiva, non perché lo avesse
scoperto da poco, quindi non aveva avuto l’occasione di pensare a mente fredda,
ma perché avrebbe dovuto prima discuterne con qualcun altro. Al solo pensiero le si attorcigliò lo stomaco.
Osservò Andromeda: anche lei aveva sperato fino all’ultimo, aveva
confidato nella magia.
- Ora?
- Ne parlerai con Draco.
Hermione si voltò
verso di lei, dubbiosa.
- Secondo te non ci ho pensato mentre preparavo la pozione? È l’unica
opzione rimasta, se poi anche lui non c’entra nulla, allora non voglio proprio
sapere chi sia.
- Hai ragione – la ragazza sorrise, mesta.
Andromeda si alzò e attraversò la cucina, svuotò il contenuto
dell’ampolla nel lavandino e fece scorrere l’acqua.
- Be’, va’ da lui.
- Non ho idea di dove possa essere.
La donna le sorrise, maliziosa. – Io invece
penso di sì.
*
Sei mesi dopo
- Hermione, puoi passarmi il sale che si
trova su quel ripiano?
- No, non farla alzare, per Merlino. Ci penso io.
- Posso prendere tranquillamente…
- Siediti. Non muoverti, se hai bisogno di qualcosa ci pensa Ron a
passartela.
- Ma, mamma…
- Sta’ zitto tu.
Ronald Weasley si alzò, strusciò i piedi a
terra fino alla credenza e afferrò il barattolo. – Tieni – borbottò, allungando
il braccio verso Hermione, quindi si sporse per
afferrarlo e lo posò sul tavolo.
- Molly, posso benissimo alzarmi, non ho dolori e non mi sento stanca –
disse Hermione, condendo l’insalata.
- Come no. Lo dici ora. Vedrai come ti sentirai a pezzi quando si
avvicinerà la sera…
Hermione sbuffò.
- Ciao a tutti! – squittì Ginny, entrando in
cucina, un sorriso a decorarle le labbra e farle brillare gli occhi.
Nessuno ci fece troppo caso, ormai quell’atteggiamento era quotidiano
per Ginevra Weasley. Harry Potter aveva deciso che
l’ora di ammettere i suoi sentimenti era giunta, quindi la ragazza scoppiava di
felicità in ogni momento.
- Mpf – la salutò il fratello.
- Ginny, tesoro, oggi rimani tu con Hermione? Io ho qualche commissione…
- iniziò Molly.
- Per favore – Hermione si alzò di scatto
dalla sedia, provocando un sussulto di sorpresa alla donna. – Non ho bisogno
della balia, posso stare da sola senza creare problemi – aggiunse spazientita.
Molly Weasley abbandonò i piatti che stava
lavando, con l’aiuto della magia, e puntellò le mani sui fianchi. – Non ho
dubbi su questo, ma potresti aver bisogno di qualcosa, oppure potresti sentirti
poco bene.
Hermione fece una
smorfia. – Mi trovate nella mia camera, se vi servo.
Poco prima di abbandonare la stanza, Hermione
sentì Molly borbottare a proposito degli sbalzi d’umore, ma non vi diede troppo
peso.
La sua camera adesso era una di quelle al primo piano, perché, purtroppo,
anche una semplice rampa di scale le metteva il fiatone. Quando la raggiunse,
si chiuse la porta alle spalle e si sedette sul letto, prendendosi la testa fra
le mani. Sul comodino accanto a lei c’era l’ultima di lettera di Andromeda,
ormai anche Smaterializzarsi era diventato faticoso, per cui le possibilità di
incontrare la donna si erano ridotte.
Afferrò la busta e l’aprì. La scrittura fitta della donna era appena
leggibile.
Cara Hermione,
spero tu stia
bene. Qui Teddy ha già imparato a dire qualcosa che
somiglia vagamente a “Preparami del cibo, donna”. So benissimo che ciò accade a
causa delle frequenti visite di George, ma per ora farò finta di nulla.
Io sto invecchiando, davvero, mi dimentico troppe cose e a volte
confondo le persone… Ecco, a proposito di questo,
volevo dirti che involontariamente POTREI aver riferito a qualcuno della tua gravidanza. Qualcuno che non ne
sapeva nulla. Qualcuno di molto curioso.
Va be’, è Narcissa,
inutile nascondertelo, tanto, prima o poi, il suo nome sarebbe spuntato fuori.
L’altro giorno mi è sfuggito e si è mostrata molto interessata, ha fatto un po’
di domande, ma non è stata invadente.
Purtroppo Narcissa è una che, diciamo,
condivide le sue scoperte,
quindi sono sicura che la notizia circolerà al Manor quanto prima. E arriverà alle orecchie di tu-sai-chi.
Se conosco mio nipote – anche se non ne sono molto convinta – so che la
notizia non gli sarà indifferente.
La lettera continuava con le scuse e le giustificazioni di Andromeda,
ma la mente di Hermione si era fermata al punto dove
le comunicava che Draco fra qualche giorno ne sarebbe
stato a conoscenza.
Imprecò in silenzio.
Posò la lettera e uscì dalla camera, andando quasi a sbattere contro
Harry.
Il Salvatore del Mondo Magico osservò la ragazza che gli era davanti. –
Hermione – disse come se il suo nome fosse la
spiegazione di ogni cosa.
- Harry – lo salutò lei.
Lui abbassò lo sguardo sulle sue scarpe logore, poi la fissò di nuovo.
- Be’, ciao – le disse e se ne andò, all’improvviso, così come era
venuto.
Diventa sempre più strano.
Il loro rapporto non era cambiato, si parlavano quanto bastava, tanto
per non far capire agli altri che non erano più amici, che della loro amicizia
erano rimasti solo dei frammenti. Hermione camminava
su quei pezzi, come su schegge di vetro a piedi nudi, e ogni volta che lo vedeva
esitante, perché non riusciva a guardarla, si sentiva in colpa.
Ogni volta che pensava a quanto fosse stata stupida a dirgli la verità,
la sua memoria le ricordava come promemoria le parole che le aveva urlato.
Ci hai traditi tutti.
Non sei la persona che
pensavo di conoscere.
Non voglio più vederti.
E poi, quando tutta la famiglia, compreso lui, era venuta a sapere
della sua gravidanza, Harry
si era limitato a guardarla con disprezzo sufficiente a farla sentire come la
peggior creatura del mondo.
Una voce familiare la riscosse dai suoi pensieri: - Herm?
La ragazza si volse verso l’interlocutrice. Ginny
aveva uno sguardo interrogativo, si vedeva che era dubbiosa.
- Ehm – spostò il peso del corpo da un piede all’altro. – C’è una persona
che ti cerca. È Malfoy.
Hermione serrò le
palpebre. Non era ancora pronta.
- Ed è molto, uhm, adirato. Dice che deve parlarti e che se non scendi
tu, sale lui? – l’ultima parte del discorso la pronunciò come una domanda, non
era sicura di quello che stava dicendo, sembrava improbabile anche a lei.
- Fallo salire – la risposta dell’amica la spiazzò ancora di più. Hermione non attese e si fiondò nella sua camera, mise la
lettera di Andromeda sotto il cuscino e spostò i suoi vestiti, stando attenta a
non piegarsi.
Quando Draco entrò, la trovò seduta sul letto,
lo sguardo rivolto fuori dalla finestra.
- Allora è vero – mormorò a
bassa voce con uno sconcerto tale da gelare l’aria intorno a loro. Hermione si voltò verso di lui.
Amava quegli occhi, erano in grado di farle capire le sue emozioni. Non
era vero che non dimostrava mai il suo affetto, che non sapeva cosa volesse
dire amare. Il più delle volte aveva
fatto affidamento a loro, per capire se le stesse
mentendo, se le nascondesse qualcosa, ed erano sempre stati infallibili.
Nonostante i suoi occhi avessero quel pregio – difetto, avrebbe detto
lui – la sua espressione era sempre stata composta.
Quel giorno, però, tutto in lui lasciava trapelare un’emozione così forte…
Hermione per un
momento si chiese se avesse dovuto rispondergli l’ovvio, ma pensò bene di star
zitta e aspettare che lui continuasse.
- Granger,
che cazzo hai fatto?! Chi diavolo è stato?! – la sua voce era così alta che Hermione
si domandò quanto di quello che aveva detto fosse arrivato alle orecchie di
tutte le persone in casa.
Poi capì, assorbì quelle parole dentro di sé, e tutta quella rabbia,
quel rimorso che aveva dentro eruppe.
- Prego?!
Come sarebbe “chi diavolo è stato”?! – la voce di Hermione era sicuramente arrivata a tutti.
- La mia è una domanda lecita!
- La tua è una domanda stupida!
Draco chiuse gli occhi
ed espirò in modo brusco. – Granger, sei sparita dopo
quel giorno, non so nulla di te… è stato Weasley?
Hermione era
sconvolta, non riusciva nemmeno a proferire una frase, le parole ferme a metà
gola premevano per uscire e le facevano male.
- Che… - iniziò a dire, ma poi cambiò idea.
Si lasciò cadere sul letto, poco prima si era alzata per urlargli contro, ma in
quell’attimo sentì le forze venirle meno.
Non sapeva se piangere o ridere, capiva così poco di lei. Eppure una
minima parte di Hermione era sempre stata convinta
che Draco la conoscesse fin troppo bene.
- Non sono una puttana – mormorò, guardandolo; lui non si era mosso e i
suoi occhi erano puntati sulla figura di lei.
- Non posso dirmi d’accordo – berciò Draco,
facendo una smorfia, le spalle rigide, gli occhi socchiusi.
- Credi davvero che… - esitò solo un secondo,
– io sia andata a letto con altri nello stesso periodo in cui ci siamo rivisti?
Cioè, prima? No, sai che mi è sempre sembrato un tradimento e che pensavo solo
a te. Dopo? Dopo che siamo stati insieme, dopo che, nonostante mi fossi
sforzata di dimenticarti, sei piombato in quella casa e hai preso quello che volevi,
come sempre, d’altronde? Ora, dimmi, secondo te chi potrebbe essere il padre? –
gli domandò, trattenendo le lacrime. Stava per cedere, ma trattenne quel poco
contegno che le era rimasto.
La consapevolezza balenò nello sguardo di lui, e le sue spalle, se
possibile, si irrigidirono ancora di più. Tutto il corpo era immobile.
- Dopo avermi dato della sgualdrina, hai capito. Bene – disse,
sarcastica.
Attese qualche istante, osservandolo. Lui rimase in quella posa per
tutto il tempo, solo le sue palpebre si muovevano.
Più di una volta – quando
fantasticava sull’aspetto del bambino, immaginandolo biondo e dalla carnagione
pallida come il padre – si era ripetuta mentalmente il discorso con cui
glielo avrebbe detto, nel caso lui avesse capito o almeno avesse avuto
sospetti. Solo che, quando lui aveva insinuato quelle calunnie su di lei, si
era sentita presa in giro; in quella situazione si sentiva sola, aveva degli
alleati, certo, ma nessuno che la capisse. Non si aspettava quelle parole da
lui.
- Allora? – lo incalzò.
Draco non abbandonò
quella posa rigida, nemmeno per domandare: - Quando avevi intenzione di
dirmelo?
Mai.
L’espressione sul suo viso precedette la risposta, perché Draco socchiuse gli occhi e mormorò: - Avevi almeno intenzione di dirmelo?
La risposta a quella domanda, invece, era scontata.
- Maledizione! – esclamò, fulminandola con lo sguardo. – Che diavolo
credevi di fare?! L’eroina?!
La povera ragazza messa incinta che non vuole dire il nome del padre solo per
sembrare la vittima della situazione?!
- Tu mi hai mentito! – Hermione gridò così forte che Draco
la guardò intimorito. – Io non ti avrò detto nulla, ma almeno non ti ho
mentito. Quella è una tua specialità.
- Prego?
- Non mi hai detto che… - quello che le
faceva male in gola, fermo lì, capì d’improvviso Hermione,
erano lacrime, – avresti sposato Astoria Greengrass.
Di nuovo, la consapevolezza fece capolino negli occhi di Draco. – È per questo che, dopo la guerra, non mi hai più
scritto.
- Ho provato a cercarti – ammise lei. – Ma ogni volta che ci provavo,
tu eri introvabile. Poi, un giorno, su “La Gazzetta del Profeta” ho letto quell’annuncio…
- Del matrimonio mio e di Astoria – finì Draco
per lei.
Hermione annuì. –
Avresti potuto dirmelo – il tono era amaro.
- Non sei nella posizione di dirmi una cosa del genere. Quando ci siamo
visti a casa di Andromeda, avresti potuto chiedere spiegazioni – ribatté lui,
avvicinandosi.
Hermione si alzò e
gli andò accanto, gli occhi stretti in due fessure; era più bassa di lui, ma la
rabbia che emanava in quel momento la faceva apparire decisamente più grande.
- Non guardarmi così, sei il primo che ha omesso il proprio matrimonio,
mi hai usata.
- Vedi: non ti ho mentito. Ho fatto la stessa cosa che hai fatto tu,
peccato io non sapessi di mio figlio.
- Complimenti, bello sfoggio di maturità!
- Il mio o il tuo?
La ragazza strinse così forte i pugni da arrivare a lacerare la carne
con le unghie, la rabbia che le montava dentro era soffocante e in più una voce
nella sua testa le diceva che Draco aveva ragione. Lui
aveva il diritto di sapere perché era anche suo
figlio.
Delle lacrime le appannarono la vista. Si rese conto che una piccola
parte di lei aveva sperato che Draco avesse capito:
sapere del suo matrimonio era stato orribile, come se avesse ricevuto una
pugnalata alle spalle. Eppure, dopo essersi sfogata, dopo aver parlato con lui,
si sentiva in colpa, perché era stato meschino da parte sua, per non dire
immaturo, non metterlo al corrente della gravidanza.
- E ora? – mormorò più a se stessa che a lui.
Dopo qualche istante disse quello che ormai pensava da mesi: - Non
terrò il bambino.
Draco sbatté le
palpebre, perplesso. – Scusa?
- Lo darò in adozione – chiarì lei. Era un po’ che ci pensava,
all’inizio lo aveva creduto impossibile, insomma, quel piccolo essere cresceva
dentro di lei, come avrebbe potuto separarsene? Ma col tempo aveva compreso che
quella era la soluzione migliore, non tanto per lei, quanto per il bambino; non
poteva crescerlo, non era pronta, non ne era capace.
- Non credo proprio – ribatté lui. – Questa decisione va presa da
entrambi i genitori, e io non sono d’accordo.
- Vorresti tenerlo? – domandò con voce stridula.
- È mio figlio!
- Io non posso crescerlo! Non ho le capacità per crescere un figlio
mio, non posso.
- Lo crescerò io.
Una risata amara proruppe dalle labbra di Hermione
– Certo, io sforno tuo figlio, poi tu te ne torni a casa con lui da tua moglie
e le spieghi tutto. Sarà felicissima e crescerete il bambino insieme, come una
bella famiglia – aveva parlato con tono ironico, ma la sua mente aveva già
immaginato la situazione: il suo bambino
e il suo Draco
in una famiglia felice, dove lei non era compresa, dove al suo posto c’era una
donna che le aveva portato via tutto.
- Io e Astoria non ci siamo sposati – disse lui.
- Ancora no?
- Non ci sposeremo – pronunciò quelle parole con tale intensità che un
brivido familiare percorse la spina dorsale di Hermione.
- Cosa?
Draco fece un mezzo
sorriso. – Forse avresti dovuto continuare a leggere i giornali, Granger.
Per un momento, la terra le mancò sotto i piedi. Era stato tutto inutile. Il nascondersi da qualsiasi
persona che non sapesse, il dolore che aveva provato sapendo di essere sola, il dolore che molto probabilmente
aveva provato anche una minima parte di lui. Tutto inutile.
Dopo il danno, la beffa. Ammetteva di esserselo meritato, ma si
chiedeva anche il perché.
- Sorpresa? - domandò lui. Come aveva dedotto, anche lui provava quel
dolore lacerante che gli divorava l’anima giorno dopo giorno, i suoi occhi non
mentivano nemmeno in quel momento.
- Un po’ – ammise senza pensarci.
- Che posso dirti? Non è tutto
oro quel che luccica.
Hermione rimase in
silenzio qualche secondo, metabolizzando definitivamente la notizia. – Come
pensi di crescerlo? Da solo?
Lui scrollò le spalle. – Ci sono le balie, c’è mia madre.
- E immagino che accoglierà a braccia aperte la notizia di un tuo figlio avuto con una Sanguesporco,
giusto?
- All’inizio sarà arrabbiata – concordò lui – Ma poi se ne farà una ragione… Non può diseredarmi, non lo farebbe in nessun
caso.
- Quindi prenderesti il bambino e te ne fregheresti di ogni mia
obiezione? – domandò in un sussurro.
- Se non mi lasci altra scelta, sì.
Non mentiva, lo avrebbe fatto e ne sarebbe uscito pulito. D’altronde
era un Malfoy, aveva il denaro e conosceva molte
persone influenti. Lei non avrebbe potuto farci nulla.
- Non lo sai nemmeno da un’ora e credi di poter avere pretese su di
lui? – le parole le uscirono di getto, colme di dolore e rabbia.
- È mio figlio!
- È anche mio figlio, maledizione! In questo preciso istante è parte di
me e tu vuoi portarmelo via!
- Sei tu che non mi hai detto nulla solo perché hai letto un articolo
di giornale e non sei nemmeno venuta a chiedermi spiegazioni!
- Davvero lo pensi? Cioè, mi sarei dovuta presentare a casa tua e
chiederti di non sposare nessuno perché ero incinta! A parte il fatto che non
avrei mai pestato il mio orgoglio in questo modo, ma chi mi avrebbe dato la
certezza che, dopo averlo dato alla luce, non mi avresti buttato via come un
oggetto ormai inutile al suo scopo?
Draco era arrabbiato,
le guance rosse e lo sguardo furente. – Come puoi dire questo? Io provavo dei sentimenti per te! Ti
avrei accolta anche senza sapere della gravidanza, ti avrei voluto comunque e
mi sarei battuto per questo…
La voce spezzata di Hermione interrupe quella
di lui. – Non dirlo – le mani le tremavano così tanto che fu costretta a
stringerle al petto. – Non dire cose che non sono vere. Non…
farlo, per favore. Non mi amavi abbastanza, non ci amavamo abbastanza, e questo
lo sappiamo entrambi. Non sarebbe bastato.
Draco non ribatté,
abbandonò la posa rigida che era riuscito a mantenere fino a quel momento e
sospirò. – Non farlo tu. Ti ho
permesso troppe volte di mettere in dubbio i miei sentimenti per te, non lo
farò di nuovo.
*
Pesa tre kg precisi, ha i capelli di un castano chiaro – Draco dice che anche lui li aveva così, da piccolo, ma sono
certa non voglia ammettere che suo figlio non è così biondo come ogni Malfoy – gli occhi sono grigi come quelli del padre. Il
naso è simile al mio, dice Draco, ma non sa che è la
copia esatta del tuo naso, mamma. Di papà, purtroppo, c’è molto
poco, ha i suoi ricci morbidi, non crespi come i miei.
Nella famiglia di Draco c’è la tradizione di
chiamare i discendenti dei Black con i nomi delle
stelle e, benché questa sia una cosa così originale, abbiamo battibeccato molto
prima di scegliere il nome del bambino. Alla fine Scorpius ci è sembrato il più adatto, forse è un po’ strano, ma non ci sono
altri nomi consoni per un bambino particolare come lui. Dorme tutte le notti,
piange così raramente che all’inizio eravamo tutti preoccupati, ma la Medimaga ci ha assicurato che era normale, non tutti i
bambini sono uguali.
Non lo credevo possibile, ma tutti si sono affezionati a lui, persino Narcissa. Sai, Harry mi aveva raccontato di come si
affannasse per Draco, per il suo futuro, ma non
riuscivo a vedere quell’amore materno così tanto decantato in lei. Eppure,
quando per la prima volta ha preso in braccio Scorpius,
ho visto quegli occhi – gli stessi di Draco e Scorpius – accendersi di amore per suo nipote. Tu l’avresti mai pensato? Io no.
Ho parlato con Draco, mamma. Dopo che è nato Scorpius mi sono sentita come se fosse tutto perfetto, come
se non avessi preoccupazioni o altro, però poi mi sono chiesta come avrebbe
vissuto mio figlio. Con sua madre nella grande casa dei Weasley?
Con suo padre e sua nonna nell’immenso Manor dei Malfoy? A quel punto, era chiaro che fosse impossibile per
me, come per Draco, separarci da Scorpius.
Avrei voluto che tu ci fossi in quel momento, avevo bisogno di piangere, come
quando, dopo ogni litigata tra te e papà, venivo lì per farmi consolare da te
perché odiavo dovervi sentire urlare per me, per la mia magia. In quegli
istanti mi sono sentita così impotente, consapevole di essere io la causa dei
problemi.
Ho provato a parlare con Andromeda, all’inizio, ma non è riuscita a
capirmi. È una donna che ama rendere unite le famiglie, è una di quelle donne che
dopo aver perso la propria si sente in dovere di aiutare chi è sul punto di perderla… Allora mi sono chiesta: anche io dovrei sentirmi
così? Ho perso te e papà, ma non riuscivo a capire perché il desiderio di avere
una famiglia non ci fosse. Alla fine, ne ho parlato con Molly, e lo sai che mi
ha detto? Che ho perso la mia adolescenza. (Non erano
queste le parole esatte, ma il senso è quello. Lo sai che Molly tende a fare
molti giri di parole quando l’argomento è scomodo.) Ha detto che non ho mai avuto
quella fase di transizione fra la bambina e l’adulta, che mi sono ritrovata a
studiare in una scuola dove, effettivamente, sapevo di non appartenere del
tutto, che ho combattuto Voldemort a soli diciassette
anni e che poi sono rimasta incinta. Penso abbia ragione, ma
questa teoria non l’ho esposta ancora a Draco.
Comunque, tornando a prima, abbiamo parlato appena mi hanno dimessa dal St. Mungo e ho capito. Ho
capito che in fondo non è tutta colpa mia, ho capito che un po’ di felicità
l’ho avuta, ma non l’ho saputa sfruttare, ho capito che Draco
mi amava, a modo suo, e che io non ho saputo capirlo quando è stato necessario.
Provo ancora qualcosa per lui, e credo di averlo capito quando ho guardato
negli occhi mio figlio per la prima volta. Di sicuro l’hai provata anche tu
quella sensazione che ti parte dallo stomaco e ti riempie fino a esploderti in testa; avevo bisogno
di condividerla con qualcuno che mi capisse, e quando mi sono voltata ho
incrociato lo sguardo di Draco. Lì, mamma, ho capito
che c’era ancora qualcosa fra noi. Mi sono sentita al sicuro quando l’ho
guardato negli occhi e ho visto le stesse emozioni che provavo io: amore, soddisfazione,
orgoglio, paura di sbagliare.
Io e Draco siamo entrambi d’accordo nel
pensare che ci serva del tempo per ricominciare da capo, per ricominciare a
frequentarci. Ci vediamo tutti i giorni, stiamo insieme, io, lui e Scorpius, ci godiamo le risate e i pianti di nostro figlio;
la notte il piccolo dorme con me a casa dei Weasley,
abbiamo pensato che non fosse saggio fargli cambiare letto una sera sì e
l’altra pure, quindi la Tana ci è sembrato il posto più accogliente. Narcissa ha storto il naso, per quest’affermazione, ma non
ha ribattuto… È una brava donna, mamma, vorrei che
l’avessi conosciuta.
Bene, adesso finisco questa lettera che non leggerai mai, spero tanto
che tu stia bene in Australia e, mi raccomando, stai attenta al colesterolo di
papà. Io vado a parlare con un’altra persona che vorrei facesse parte del
futuro di mio figlio.
Ti voglio bene,
Hermione
Hermione si alzò
dalla sedia, guardò Scorpius che dormiva sereno nella
sua culla e gli carezzò piano la testa chiara.
Uscì dalla stanza, scese in cucina e non si sorprese quando vide chi c’era
seduto al tavolo che rimescolava con fare pensieroso il suo tè.
Entrò in cucina, si schiarì la gola e poi esalò: - Harry, dobbiamo
parlare.
*
Note:
- Il titolo (e anche un
po’ dei sentimenti di Draco ed Hermione)
è evidentemente ispirato all’ultimo singolo di Ligabue: Ora e allora
- Credo che sia piuttosto chiaro il tempo in cui è
ambientata la storia, ma, per qualsiasi chiarimento, sono disponibile.
Ringraziamenti:
Ok, ce l’ho fatta anche ‘stavolta, nonostante maTre
(sì, mia madre è Poison Spring!!!)
mi abbia linkato così tante ficcyne, nell’ultimo periodo,
che non so più l’italiano. Ti lovvo comunque, ma’ ♥.
Un grazie speciale alla
mia Beta-Santa-Subito che mi sopporta tutti i pomeriggi (♥),
legge le varie versioni di Draco (Enciclopedia,
Giardino, Menù...) e viene invasa dagli alieni ogni volta che accende il
microfono del suo pc. Ti adoro,
Des.
E per ultima, ma non meno
importante, la mia Consulente
Narrativa, che ha sopportato ogni santo sclero su
questa OS, che ha preteso più romanticismo – non c’è, mi spiace – e che in
questi ultimi giorni sta davvero cercando di non uccidermi. I’m so sorry, honey. I ♥ U.
Ringrazio anche tutti voi
che siete arrivati fin qui, spero di avervi tenuto in piacevole compagnia per
un po’!
Bye.