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Autore: Morgana    14/02/2012    6 recensioni
Era sempre stata attaccata alle sue origini Babbane. A volte, quando passeggiava per Diagon Alley, le pareva di sentire, in lontananza, lo squillo di un telefono. A volte, quando la nausea di una Smaterializzazione l’assaliva, si chiedeva quando sarebbe riuscita a salire di nuovo su un’automobile.
Però sapeva benissimo che le invenzioni Babbane fossero tanto meravigliose quanto inaffidabili. Per questo motivo aveva comprato molti test di gravidanza: tre, per la precisione.
Quando anche sul terzo si palesarono due lineette rosa non poté evitare di esclamare: - Merda.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black | Coppie: Draco/Hermione
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Ora e allora

 

 

 

 

 

 

 

 

Al mio nuovo eye-liner.

 

 

 

 

 

 

 

 

« C'è nelle cose umane una marea che colta al flusso mena alla fortuna:
          perduta, l'intero viaggio della nostra vita si arena su fondali di miserie.
 »

Giulio Cesare, Shakespeare

 

 

 

 

 

 

 

 

         Era sempre stata attaccata alle sue origini Babbane. A volte, quando passeggiava per Diagon Alley, le pareva di sentire, in lontananza, lo squillo di un telefono. A volte, quando la nausea di una Smaterializzazione l’assaliva, si chiedeva quando sarebbe riuscita a salire di nuovo su un’automobile.

Però sapeva benissimo che le invenzioni Babbane fossero tanto meravigliose quanto inaffidabili. Per questo motivo aveva comprato molti test di gravidanza: tre, per la precisione.

Quando anche sul terzo si palesarono due lineette rosa non poté evitare di esclamare: - Merda.

 

*

 

 Sei settimane prima.

 

 

Ted Remus Lupin allungò il braccio paffuto e batté con il palmo della mano sulla coscia di sua nonna. Le porse un blocco di legno, dipinto di rosso, e lei lo posò sopra gli altri.

Quando Andromeda posizionò anche l’ultimo blocco, il bimbo gorgogliò di felicità; i suoi capelli scuri divennero di un tenero turchese, segno che era soddisfatto.

La donna carezzò piano quella capigliatura dall’improbabile colore, una fitta al petto – ormai molto familiare – accompagnò quel gesto; gli occhi si inumidirono un po’, ma nemmeno una lacrima le bagnò il viso, ch’era segnato dal dolore. Per tanti anni aveva associato quella tonalità alla figlia, al suo sorriso bonario e alla vivacità esternata grazie a quelle sfumature azzurre. Faceva un po’ di fatica, ora, a collegare quel colore al nipote, pacato anche da piccolo, che somigliava molto di più al padre; Teddy, però, aveva gli occhi e le labbra, piccole e piene, della madre.

Ma non era Ninfadora.

Un rumore di passi la distolse dai suoi pensieri, tolse la mano dai capelli del bambino e si girò verso la porta.

Hermione Granger entrò nella stanza e sorrise ai due.

- Hermione, cara – esalò Andromeda. – Oggi pomeriggio viene a trovarmi mia sorella – disse subito dopo.

Osservò la reazione della ragazza, ma lei si limitò a esclamare: - Uhm.

- Viene anche suo figlio Draco, immagino tu lo conosca.

Un altro: - Uhm.

La donna sorrise affettuosa. – Mi chiedevo: è un problema per te?

- Figurati! È casa tua, io sono solo un’altra ospite – si affrettò a rispondere.

Era lì da qualche giorno, aveva finito gli esami da poco e aveva deciso di andare a trascorrere un periodo di riposo nella Londra Babbana, in solitudine, ma Andromeda aveva insistito per offrirle un posto nella sua casa. Dopo la Guerra, Hermione era stata ferma nella sua decisione: finire l’ultimo anno a Hogwarts, con o senza Harry e Ron.

I suoi genitori erano ancora in Australia, la loro memoria compromessa per sempre. Quando la ragazza aveva constatato che era ormai inutile annullare l’incantesimo, si era ritirata per una settimana intera nella sua stanza, alla Tana. Solo dopo il pranzo della domenica era uscita fuori di lì e, con voce sicura, aveva chiuso il discorso affermando che le cose dovevano andare così.

Nessuno osava più nominare i signori Granger o l’Australia. Hermione sapeva che li avrebbe persi, infatti, bene o male, si era rassegnata a quella separazione – adesso doveva contare solo su se stessa. Quando l’anno a Hogwarts stava giungendo al termine, Andromeda si era sentita in dovere di mandarle una lettera dove le scriveva che, se proprio non voleva tornare alla Tana, a causa dei troppi ricordi difficili da dimenticare, poteva stare da lei.

I Weasley erano ancora presi dal dolore del figlio perduto, Molly viveva come se Fred fosse lì, nessuno osava contraddirla; Hermione era in grado di sostenere la propria sofferenza, ma non quella degli altri.

Andromeda non l’avrebbe mai ammesso, ma voleva Hermione con sé per compensare almeno in parte la scomparsa della figlia, lenendola con la sua presenza: entrambe avevano perso la propria famiglia, ma né l’una né l’altra avrebbero mai esternato il senso di vuoto incolmabile che provavano.

Andromeda fece segno alla ragazza di avvicinarsi e, appena le fu accanto, la invitò a sedersi accanto a lei.

 – Bada per qualche minuto a Teddy – iniziò. – Io devo prendere una cosa per mia sorella. Arriverà fra meno di un’ora, cara, non sei costretta a presenziare – le disse.

Hermione non seppe cosa risponderle, si limitò ad annuire prima di dedicare la sua completa attenzione al bambino.

 

         La sua stanza aveva le pareti di un tenue color verde; il letto a una piazza e mezza era accostato al muro, una specchiera e un cassettone erano al suo opposto, mentre una piccola scrivania era posizionata vicino alla finestra.

Hermione si stese sul letto, raccolse le gambe in posizione fetale e chiuse gli occhi. Inspirò dal naso e poi espirò dalla bocca.

Immagini opache, che aveva chiuso a chiave in un cassetto, le aleggiarono nella mente; erano come acido che corrodeva la sua anima, scavando in profondità, ma il bruciore si attenuava solo quando lei cedeva a quei ricordi.

Strinse le palpebre fino a intorpidirle, combattendo con tutta se stessa contro quei frammenti di memoria che cercavano di rimembrarle quello che ormai non c’era più. Quante volte si era illusa che sarebbe durato abbastanza a lungo da stancarla? Non per sempre, non era mai stata così ingenua, ma la speranza di un futuro, seppur breve, aveva fatto capolino nella sua testa.

Non appena aveva sentito il rumore di voci, al piano di sotto, si era ritirata nella sua camera, pronta a ignorare tutti e tutto. Quando Andromeda le aveva detto che poteva anche non presenziare, Hermione aveva notato i suoi occhi esprimere un concetto abbastanza semplice: lei sapeva.

Hermione forse non riusciva nascondere i sentimenti, ma Andromeda era fin troppo intelligente e astuta nel capirle. Più di una volta la ragazza aveva avuto qualche vago presentimento su Andromeda e su quanto sapesse, eppure non si era mai preoccupata: la donna era fin troppo discreta, non pretendeva nulla, tantomeno informazioni sulla sua vita privata.

Infilò una mano sotto il cuscino, tastò il materasso fino a trovare quello che cercava: la sua copia consunta di Giulio Cesare, uno dei pochi libri Babbani che aveva ancora con sé. Carezzò la costa fragile, percorrendone le crepe con la punta delle dita: era consumata, dato che rileggeva quel libro troppe volte.

Non sentiva più il basso cicaleccio delle donne, forse si erano spostate in un’altra stanza, oppure erano rimaste in silenzio, prese dai loro pensieri. Ad Andromeda accadeva spesso: finiva una frase e poi si chiudeva in un mutismo non voluto, gli occhi persi nei ricordi; quando si riprendeva, ricominciava a parlare, come se non si fosse mai interrotta. Magari persino sua sorella Narcissa era così, anche se, le poche volte che Hermione l’aveva vista, si era rivelata una donna frivola e crudele. Ma la guerra aveva cambiato tante persone, non tutte in meglio.

Si alzò dal letto e, strascicando i passi, arrivò fino alla scrivania. Aprì un cassetto, frugò fra le varie scartoffie – stralci di ricordi messi su carta così da non poterli dimenticare troppo presto – e alla fine trovò quello che cercava. L’ultima lettera che aveva ricevuto da Harry. Era così impegnato con la ricerca degli ultimi Mangiamorte da non riuscire nemmeno a passare una giornata intera alla Tana.

Prese il foglio fra l’indice e il pollice, li premette fra loro, finché la pelle non aderì alla carta. Afferrò la bacchetta dalla tasca posteriore dei suoi jeans e, con un mormorio, incendiò il foglio.

Quelle parole così fallaci, come in tutte le corrispondenze che si erano mandati. Lei si era confidata, lui non aveva capito. Da quanti mesi non si parlavano come amici?

Fece Evanescere le ceneri, poi crollò a terra: le ginocchia strette al petto, il volto nascosto fra esse, il respiro tremolante. Era sempre così: quando meno se lo aspettava il suo corpo cedeva sotto il peso di troppi pensieri… non si era mai sentita così debole, nemmeno a Hogwarts, quando un’imminente guerra o un compito particolarmente difficile la opprimevano. Mai, nemmeno una volta.

La guerra aveva cambiato tante persone, non tutte in meglio.

Quando udì dei passi leggeri che percorrevano il corridoio, si affrettò ad alzarsi e ricomporsi. Andromeda era discreta, sì, ma Hermione preferiva non mostrare il suo dolore… un dolore che non voleva ammettere a se stessa.

I passi si fecero più vicini, Hermione mise una mano fra i capelli e una sopra le palpebre, pizzicando piano la pelle.

Quando il rumore dei piedi contro il pavimento si interruppe, Andromeda era già davanti alla sua porta. Non bussò nemmeno, la maniglia si abbassò e la porta fu spalancata.

Ma la figura slanciata sulla soglia non era Andromeda.

 

 

 

- Ho trovato Draco molto taciturno, oggi – commentò Andromeda. I biscotti alle noci, abbandonati sul tavolino, erano quasi finiti. Le tazze in porcellana, ormai vuote, giacevano vicino alla teiera. Il tè era finito.

- Oh, oggi credo sia stato piuttosto eloquente, a differenza di altri giorni – ribatté Narcissa.

- Allora non posso lamentarmi – concordò l’altra. – Anche se, detto in sincerità, è sempre stato un po’ riservato, tranne per quelle battutine sarcastiche che ho sempre odiato – concluse con una smorfia.

Narcissa si portò una ciocca bionda dietro l’orecchio e sospirò. – Lo so. È anche figlio di Lucius, cosa pretendi? I primi tempi odiavi anche lui.

- Non è che ora lo adori. Comunque, odio il suo tagliente sarcasmo, non il tuo Draco. Non potrei mai provare qualche tipo di risentimento verso di lui… altrimenti dovrei sentirmi osservare da occhi inquisitori tutto il giorno.

- Eh? – esclamò poco carinamente Narcissa.

- Nulla – Andromeda sorrise, affabile. - Vuoi un altro biscotto?

 

 

 

Non si erano nemmeno salutati… non che le parole fossero mai state utili fra loro.

La sua bocca era ancora come se la ricordava: le labbra calde sapevano di tabacco, la lingua delicata carezzava piano il suo palato. Le sue dita lunghe e nervose si erano insinuate tra i ricci crespi; con i polpastrelli le massaggiava la nuca, in un movimento circolare che conosceva fin troppo bene.

Sussurri nell’orecchio accompagnavano quelle dita.

Il lenzuolo era spiegazzato e le irritava la pelle delle spalle ogni volta che lui le faceva spostare la schiena per assecondare la sua lingua.

Hermione sfiorò le spalle del ragazzo; poi, con molta lentezza, gli sfiorò il petto, afferrando il primo bottone della camicia e lasciandolo uscire fuori dall’asola. Quando anche l’ultimo bottone fu slacciato, la camicia scivolò dalle sue spalle, seguito quasi subito dalla canotta di Hermione.

Era sempre stato così fra loro: c’era urgenza nei loro gesti, impazienza di essere l’uno dentro l’altra, ma, quando arrivavano al culmine, si sentivano sempre incompleti, come se in tutta quella fretta avessero tralasciato qualcosa.

Le unghie di Hermione penetravano la pelle liscia e pallida di lui, cercavano un appiglio per contenere quell’esplosione di sensazioni, senza trovare veramente rifugio in esse.

Il corpo di lui era sempre lo stesso: flessuoso, magro e cereo. Quando aderì completamente alle sue forme, lei non poté evitare di sospirare; le era mancato quel fisico, la pienezza e la sicurezza che le trasmetteva il ragazzo sopra di sé. Quante volte, mentre cercava gli Horcruxes, aveva provato una fitta al cuore così forte da farle dimenticare qualsiasi altra cosa?

Le era mancato.                                                    

Si era nutrita di quei ricordi corrosivi per così tanto tempo che a volte faticava a distinguerli dalla realtà. Col tempo, essi si erano dispersi in memorie perdute, eppure non l’avevano mai abbandonata.

In quell’istante era tutto reale; oltre a percepire quel profumo lieve ma pungente che caratterizzava la pelle del ragazzo, sapeva per certo che un sogno non le avrebbe mai concesso quei particolari così minuziosi che lui metteva nel toccarla, nell’assaporare la sua pelle come se fosse la prima volta.

Quando sognava le immagini non variavano mai. Il ragazzo faceva sempre gli stessi movimenti, gli stessi gesti, le sussurrava le stesse parole.

Qualche minuto più tardi, quando vennero entrambi, Hermione ebbe la certezza che quello non fosse tutto frutto della sua mente.

Draco artigliò i suoi fianchi, spinse un’ultima volta e poi, con voce affannata, mormorò appena: - Hermione…

 

 

         Quando il mattino dopo si era svegliata, nel suo letto, era ancora nuda e coperta appena dal lenzuolo chiaro. Le palpebre erano ancora chiuse – non voleva che la luce asciugasse i suoi occhi lucidi.

Hermione preferiva quell’umidità – fra le sue ciglia, fra le sue gambe.

Si sentiva madida dentro: la sua anima era umida, marcia, sporca e a pezzi. Non si era mai sentita così arrabbiata con se stessa, nemmeno una volta.

Quanto ancora hai intenzione di piangerti addosso?, si chiese con una punta di ironia.

Spalancò le palpebre, ferendosi la retina ormai abituata al buio. Le tende erano rimaste spalancate dal giorno prima, la stanza era come sempre: ordinata, calda e accogliente nella sua semplicità.

Qualcuno aveva ripiegato i suoi vestiti – la sera prima giacevano a terra come testimoni, come complici – e li aveva posati sopra la scrivania; vicino a essi c’erano una tazza di tè e qualche biscotto secco.

Andromeda.

Un gemito di disperazione proruppe dalle labbra della ragazza. Con che coraggio avrebbe guardato negli occhi quella donna d’ora in poi?

Non solo era un’ospite, ma per di più consumava con suo nipote nella sua casa. In confronto la consapevolezza di sapere che Hermione aveva trascorsi con lui non era nulla.

Costrinse le sue membra a muoversi, poiché erano indolenzite; prese i vestiti e li indossò in fretta, allargando l’orlo della maglia.

Afferrò un biscotto e lo addentò, mentre raggiungeva il soggiorno. La prima cosa che percepì fu il pianto sommesso di Teddy, poi udì anche la voce di Andromeda, pacata e tranquillizzante.

Si schiarì la gola per annunciare la sua presenza. Andromeda si voltò verso di lei e la salutò con un sorriso. Teddy, invece, ora più calmo, si passava le mani paffute sul viso, asciugando le lacrime.

- Oggi si è svegliato col piede sbagliato – lo giustificò Andromeda. Spostò Teddy dal braccio destro al sinistro, accompagnando il gesto con una smorfia di dolore.

- Lo tengo io – si offrì Hermione, avvicinandosi alla donna, Teddy si sporse verso di lei, quindi allungò le braccia e lo fece accomodare con la testa vicino al suo sterno.

- Grazie, cara.

Andromeda si sedette emettendo un sospiro e invitò Hermione a mettersi accanto a lei. Quest’ultima non rifiutò.

- Allora – iniziò Andromeda. – Dormito bene?

Per un momento, Hermione pensò che Andromeda la stesse prendendo in giro.

- Ehm, è una domanda a trabocchetto? – domandò infine.

- Dovrebbe?

- Probabilmente sì. Non mi sorprenderei se lo fosse.

- Davvero? Hai fatto qualcosa di sbagliato, Hermione?

La ragazza nascose il viso fra i capelli di Teddy. – Sì.

- Hai fatto qualcosa di sbagliato a me o a te stessa, Hermione?

Hermione capì che era quella La domanda a trabocchetto.

 

*

 

 

C’erano stati tanti episodi strani nella sua vita, vicende che aveva sempre immaginato come impossibili. La lista, oltre che lunga, era iniziata grazie a una semplice lettera ricevuta a undici anni, e ora, tanto per aggiungere qualcos’altro, era incinta.

INCINTA, maledizione! Come diavolo era successo?! No, non era quella la domanda giusta, perché il come lo sapeva.

Strinse il test di gravidanza.

Maledizione.

Che cosa avrebbe fatto?

Non poteva affrontare tutto da sola, doveva assolutamente parlarne con qualcuno il prima possibile.

Aprì con uno scatto la porta del bagno e si fiondò giù per le scale, sorpassando Ginny Weasley, che ebbe appena il tempo di dire: - Herm, è tutto ok?

Hermione uscì dalla Tana, ritrovandosi al centro dello spoglio giardino, si concentrò e si Smaterializzò nel primo posto che le venne in mente.

 

 

Andromeda stava cucinando qualcosa di veloce per Ted, che brontolava per la fame e teneva il broncio da un’ora.

Quando entrambi sentirono del trambusto in soggiorno, Ted smise di piagnucolare e Andromeda posò di scatto il piatto che aveva in mano.

- Chi c’è? – domandò la donna, avvicinandosi al bambino che, con sguardo attento, fissava la stanza da dove proveniva il rumore.

- Andromeda, sono io! – appena udì quella voce, le spalle di Andromeda si rilassarono.

Si diresse in soggiorno, ma, quando la vide, si fermò. – Hermione cara, cosa succede?

Era evidente che Hermione avesse pianto, in più i suoi occhi erano terrorizzati: nella mano stringeva qualcosa di bianco.

- Tesoro… - Andromeda si avvicinò alla ragazza e le posò una mano sul braccio. Hermione aprì la bocca, ma sembrò ripensarci e la chiuse di scatto. Gli occhi erano lucidi, trattenevano lacrime che premevano per uscire.

- Devi aiutarmi – mormorò qualche secondo dopo, afferrando la mano della donna per stringerla. – Per favore.

- Ma certo! Che cosa devo fare, tesoro?

- Non lo so – rispose in modo sincero.

- Vuoi dirmi cos’è successo, intanto? – domandò paziente. Non voleva fare pressione sulla ragazza, che era visibilmente scossa, tanto da non riuscire a esporsi.

Hermione le porse l’oggetto bianco che stringeva fra le mani. – Sai cos’è questo?

Andromeda fece un gesto di diniego.

- È un’invenzione Babbana per capire se si è… - Hermione si morse con forza il labbro inferiore, – incinta – spiegò infine.

Andromeda non diede segno di essere sorpresa, esclamò solo: - Ah.

Hermione si passò una mano fra i ricci e tirò una ciocca con forza. – Non so come ho fatto a essere così stupida! Insomma, sono sempre stata attenta, anche a Hogwarts. E ora… non ricordo nemmeno di fare un incantesimo contraccettivo! – la voce era diventata stridula.

Andromeda, che a malapena aveva udito il discorso di Hermione, riuscì, però, a comprendere la sua ultima frase e le strinse le spalle. – Ne hai parlato con Ron? È lui il padre, giusto?

La ragazza la guardò con un profondo sguardo di scuse. – Ehm…

- Quindi è di Harry.

- Andromeda, ma no! – si affrettò a esclamare Hermione. – Non potrei mai, ehm, fare qualcosa con Harry!

- Scusa, cara, ma non è che ci siano molte possibilità, d’altronde vivi con loro… a meno che non sia di George, ecco.

- Oh, Merlino – gemette Hermione, passandosi una mano fra i capelli.

- Ok, ho esaurito le possibilità – ammise.

        Qualche lacrima cominciò a scorrere sul suo viso. Hermione si toccò il ventre.

Ancora stringeva fra le dita quell’affare.

- Prima di dirmi chi è il padre, vuoi provare a rifare il test con una pozione? – le domandò Andromeda, carezzandole la testa.

Hermione annuì e provò ad abbozzare un sorriso, che però si tramutò in una smorfia.

                   

 

Un’ora più tardi Andromeda portò in cucina un’ampolla colma di un liquido trasparente;  nel frattempo Hermione aveva tenuto in braccio Ted, cullandolo e ascoltando il respiro del piccolo corpicino. Era caldo e riusciva a calmarla ogni volta che era sul punto di piangere.

Voleva bene al piccolo Teddy, da una parte si sentiva simile a lui… entrambi avevano perso i propri genitori. Sapeva benissimo che lei aveva tanti ricordi dei suoi, mentre il bambino avrebbe vissuto di racconti, aneddoti, foto su di loro.

Solo quando una domanda attraversò la sua mente – e tuo figlio avrà dei genitori?  si decise a far accomodare Teddy nel suo seggiolone.

Andromedà posò l’ampolla sul tavolo, davanti a Hermione, e con fare spiccio le prese la mano. Con un ago pizzicò il suo polpastrello: le spalle della ragazza sussultarono.

- Gira il dito e fai cadere una goccia di sangue nella pozione – le ordinò.

Hermione fece come aveva detto la donna e aspettò. Non appena il sangue si adagiò sulla superficie della pozione, il liquido mutò di colore, divenendo di un blu intenso.

Attese qualche secondo, poi si voltò verso Andromeda. – Ebbene? – domandò.

Andromeda si sedette accanto a lei. - Sei incinta.

Anche la più piccola speranza si frantumò dentro di lei appena udì quelle parole: era davvero incinta, senza possibilità di scampo. E adesso? Avrebbe dovuto dirlo al padre, e insieme avrebbero deciso cosa fare. O almeno, la prassi era quella.

Non sapeva se tenerlo, se abortire, se darlo in adozione.

Non avrebbe abortito.

Quel pensiero fu una specie di lampo fugace all’interno della sua mente. Era chiaro: non avrebbe mai fatto una cosa del genere a suo figlio.

C’erano tante possibilità, ognuna diversa dall’altra. Era troppo presto per prendere una decisione definitiva, non perché lo avesse scoperto da poco, quindi non aveva avuto l’occasione di pensare a mente fredda, ma perché avrebbe dovuto prima discuterne con qualcun altro. Al solo pensiero le si attorcigliò lo stomaco.

Osservò Andromeda: anche lei aveva sperato fino all’ultimo, aveva confidato nella magia.

- Ora?

- Ne parlerai con Draco.

Hermione si voltò verso di lei, dubbiosa.

- Secondo te non ci ho pensato mentre preparavo la pozione? È l’unica opzione rimasta, se poi anche lui non c’entra nulla, allora non voglio proprio sapere chi sia.

- Hai ragione – la ragazza sorrise, mesta.

Andromeda si alzò e attraversò la cucina, svuotò il contenuto dell’ampolla nel lavandino e fece scorrere l’acqua.

- Be’, va’ da lui.

- Non ho idea di dove possa essere.

La donna le sorrise, maliziosa. – Io invece penso di sì.

 

*

 

Sei mesi dopo

 

- Hermione, puoi passarmi il sale che si trova su quel ripiano?

- No, non farla alzare, per Merlino. Ci penso io.

- Posso prendere tranquillamente…

- Siediti. Non muoverti, se hai bisogno di qualcosa ci pensa Ron a passartela.

- Ma, mamma…

- Sta’ zitto tu.

Ronald Weasley si alzò, strusciò i piedi a terra fino alla credenza e afferrò il barattolo. – Tieni – borbottò, allungando il braccio verso Hermione, quindi si sporse per afferrarlo e lo posò sul tavolo.

- Molly, posso benissimo alzarmi, non ho dolori e non mi sento stanca – disse Hermione, condendo l’insalata.

- Come no. Lo dici ora. Vedrai come ti sentirai a pezzi quando si avvicinerà la sera…

Hermione sbuffò.

- Ciao a tutti! – squittì Ginny, entrando in cucina, un sorriso a decorarle le labbra e farle brillare gli occhi.

Nessuno ci fece troppo caso, ormai quell’atteggiamento era quotidiano per Ginevra Weasley. Harry Potter aveva deciso che l’ora di ammettere i suoi sentimenti era giunta, quindi la ragazza scoppiava di felicità in ogni momento.

- Mpf – la salutò il fratello.

- Ginny, tesoro, oggi rimani tu con Hermione? Io ho qualche commissione… - iniziò Molly.

- Per favore – Hermione si alzò di scatto dalla sedia, provocando un sussulto di sorpresa alla donna. – Non ho bisogno della balia, posso stare da sola senza creare problemi – aggiunse spazientita.

Molly Weasley abbandonò i piatti che stava lavando, con l’aiuto della magia, e puntellò le mani sui fianchi. – Non ho dubbi su questo, ma potresti aver bisogno di qualcosa, oppure potresti sentirti poco bene.

Hermione fece una smorfia. – Mi trovate nella mia camera, se vi servo.

Poco prima di abbandonare la stanza, Hermione sentì Molly borbottare a proposito degli sbalzi d’umore, ma non vi diede troppo peso.

La sua camera adesso era una di quelle al primo piano, perché, purtroppo, anche una semplice rampa di scale le metteva il fiatone. Quando la raggiunse, si chiuse la porta alle spalle e si sedette sul letto, prendendosi la testa fra le mani. Sul comodino accanto a lei c’era l’ultima di lettera di Andromeda, ormai anche Smaterializzarsi era diventato faticoso, per cui le possibilità di incontrare la donna si erano ridotte.

Afferrò la busta e l’aprì. La scrittura fitta della donna era appena leggibile.

 

Cara Hermione,

 

spero tu stia bene. Qui Teddy ha già imparato a dire qualcosa che somiglia vagamente a “Preparami del cibo, donna”. So benissimo che ciò accade a causa delle frequenti visite di George, ma per ora farò finta di nulla.

Io sto invecchiando, davvero, mi dimentico troppe cose e a volte confondo le persone… Ecco, a proposito di questo, volevo dirti che involontariamente POTREI aver riferito a qualcuno della tua gravidanza. Qualcuno che non ne sapeva nulla. Qualcuno di molto curioso.

Va be’, è Narcissa, inutile nascondertelo, tanto, prima o poi, il suo nome sarebbe spuntato fuori. L’altro giorno mi è sfuggito e si è mostrata molto interessata, ha fatto un po’ di domande, ma non è stata invadente.

Purtroppo Narcissa è una che, diciamo, condivide le sue scoperte,  quindi sono sicura che la notizia circolerà al Manor quanto prima. E arriverà alle orecchie di tu-sai-chi.

Se conosco mio nipote – anche se non ne sono molto convinta – so che la notizia non gli sarà indifferente.

 

La lettera continuava con le scuse e le giustificazioni di Andromeda, ma la mente di Hermione si era fermata al punto dove le comunicava che Draco fra qualche giorno ne sarebbe stato a conoscenza.

Imprecò in silenzio.

Posò la lettera e uscì dalla camera, andando quasi a sbattere contro Harry.

Il Salvatore del Mondo Magico osservò la ragazza che gli era davanti. – Hermione – disse come se il suo nome fosse la spiegazione di ogni cosa.

- Harry – lo salutò lei.

Lui abbassò lo sguardo sulle sue scarpe logore, poi la fissò di nuovo.

- Be’, ciao – le disse e se ne andò, all’improvviso, così come era venuto.

Diventa sempre più strano.

Il loro rapporto non era cambiato, si parlavano quanto bastava, tanto per non far capire agli altri che non erano più amici, che della loro amicizia erano rimasti solo dei frammenti. Hermione camminava su quei pezzi, come su schegge di vetro a piedi nudi, e ogni volta che lo vedeva esitante, perché non riusciva a guardarla, si sentiva in colpa.

Ogni volta che pensava a quanto fosse stata stupida a dirgli la verità, la sua memoria le ricordava come promemoria le parole che le aveva urlato.

Ci hai traditi tutti.

Non sei la persona che pensavo di conoscere.

Non voglio più vederti.

E poi, quando tutta la famiglia, compreso lui, era venuta a sapere della sua gravidanza,  Harry si era limitato a guardarla con disprezzo sufficiente a farla sentire come la peggior creatura del mondo.

Una voce familiare la riscosse dai suoi pensieri: - Herm?

La ragazza si volse verso l’interlocutrice. Ginny aveva uno sguardo interrogativo, si vedeva che era dubbiosa.

- Ehm – spostò il peso del corpo da un piede all’altro. – C’è una persona che ti cerca. È Malfoy.

Hermione serrò le palpebre. Non era ancora pronta.

- Ed è molto, uhm, adirato. Dice che deve parlarti e che se non scendi tu, sale lui? – l’ultima parte del discorso la pronunciò come una domanda, non era sicura di quello che stava dicendo, sembrava improbabile anche a lei.

- Fallo salire – la risposta dell’amica la spiazzò ancora di più. Hermione non attese e si fiondò nella sua camera, mise la lettera di Andromeda sotto il cuscino e spostò i suoi vestiti, stando attenta a non piegarsi.

Quando Draco entrò, la trovò seduta sul letto, lo sguardo rivolto fuori dalla finestra.

- Allora è vero – mormorò a bassa voce con uno sconcerto tale da gelare l’aria intorno a loro. Hermione si voltò verso di lui.

Amava quegli occhi, erano in grado di farle capire le sue emozioni. Non era vero che non dimostrava mai il suo affetto, che non sapeva cosa volesse dire amare. Il più delle volte aveva fatto affidamento a loro, per capire se le stesse mentendo, se le nascondesse qualcosa, ed erano sempre stati infallibili.

Nonostante i suoi occhi avessero quel pregio – difetto, avrebbe detto lui – la sua espressione era sempre stata composta.

Quel giorno, però, tutto in lui lasciava trapelare un’emozione così forte…

Hermione per un momento si chiese se avesse dovuto rispondergli l’ovvio, ma pensò bene di star zitta e aspettare che lui continuasse.

- Granger, che cazzo hai fatto?! Chi diavolo è stato?! – la sua voce era così alta che Hermione si domandò quanto di quello che aveva detto fosse arrivato alle orecchie di tutte le persone in casa.

Poi capì, assorbì quelle parole dentro di sé, e tutta quella rabbia, quel rimorso che aveva dentro eruppe.

- Prego?! Come sarebbe “chi diavolo è stato”?! – la voce di Hermione era sicuramente arrivata a tutti.

- La mia è una domanda lecita!

- La tua è una domanda stupida!

Draco chiuse gli occhi ed espirò in modo brusco. – Granger, sei sparita dopo quel giorno, non so nulla di te… è stato Weasley?

Hermione era sconvolta, non riusciva nemmeno a proferire una frase, le parole ferme a metà gola premevano per uscire e le facevano male.

- Che… - iniziò a dire, ma poi cambiò idea. Si lasciò cadere sul letto, poco prima si era alzata per urlargli contro, ma in quell’attimo sentì le forze venirle meno.

Non sapeva se piangere o ridere, capiva così poco di lei. Eppure una minima parte di Hermione era sempre stata convinta che Draco la conoscesse fin troppo bene.

- Non sono una puttana – mormorò, guardandolo; lui non si era mosso e i suoi occhi erano puntati sulla figura di lei.

- Non posso dirmi d’accordo – berciò Draco, facendo una smorfia, le spalle rigide, gli occhi socchiusi.

- Credi davvero che… - esitò solo un secondo, – io sia andata a letto con altri nello stesso periodo in cui ci siamo rivisti? Cioè, prima? No, sai che mi è sempre sembrato un tradimento e che pensavo solo a te. Dopo? Dopo che siamo stati insieme, dopo che, nonostante mi fossi sforzata di dimenticarti, sei piombato in quella casa e hai preso quello che volevi, come sempre, d’altronde? Ora, dimmi, secondo te chi potrebbe essere il padre? – gli domandò, trattenendo le lacrime. Stava per cedere, ma trattenne quel poco contegno che le era rimasto.

La consapevolezza balenò nello sguardo di lui, e le sue spalle, se possibile, si irrigidirono ancora di più. Tutto il corpo era immobile.

- Dopo avermi dato della sgualdrina, hai capito. Bene – disse, sarcastica.

Attese qualche istante, osservandolo. Lui rimase in quella posa per tutto il tempo, solo le sue palpebre si muovevano.

Più di una volta – quando fantasticava sull’aspetto del bambino, immaginandolo biondo e dalla carnagione pallida come il padre – si era ripetuta mentalmente il discorso con cui glielo avrebbe detto, nel caso lui avesse capito o almeno avesse avuto sospetti. Solo che, quando lui aveva insinuato quelle calunnie su di lei, si era sentita presa in giro; in quella situazione si sentiva sola, aveva degli alleati, certo, ma nessuno che la capisse. Non si aspettava quelle parole da lui.

- Allora? – lo incalzò.

Draco non abbandonò quella posa rigida, nemmeno per domandare: - Quando avevi intenzione di dirmelo?

Mai.

L’espressione sul suo viso precedette la risposta, perché Draco socchiuse gli occhi e mormorò: - Avevi almeno intenzione di dirmelo?

La risposta a quella domanda, invece, era scontata.

- Maledizione! – esclamò, fulminandola con lo sguardo. – Che diavolo credevi di fare?! L’eroina?! La povera ragazza messa incinta che non vuole dire il nome del padre solo per sembrare la vittima della situazione?!

- Tu mi hai mentito! – Hermione gridò così forte che Draco la guardò intimorito. – Io non ti avrò detto nulla, ma almeno non ti ho mentito. Quella è una tua specialità.

- Prego?

- Non mi hai detto che… - quello che le faceva male in gola, fermo lì, capì d’improvviso Hermione, erano lacrime, – avresti sposato Astoria Greengrass.

Di nuovo, la consapevolezza fece capolino negli occhi di Draco. – È per questo che, dopo la guerra, non mi hai più scritto.

- Ho provato a cercarti – ammise lei. – Ma ogni volta che ci provavo, tu eri introvabile. Poi, un giorno, su “La Gazzetta del Profeta” ho letto quell’annuncio…

- Del matrimonio mio e di Astoria – finì Draco per lei.

Hermione annuì. – Avresti potuto dirmelo – il tono era amaro.

- Non sei nella posizione di dirmi una cosa del genere. Quando ci siamo visti a casa di Andromeda, avresti potuto chiedere spiegazioni – ribatté lui, avvicinandosi.

Hermione si alzò e gli andò accanto, gli occhi stretti in due fessure; era più bassa di lui, ma la rabbia che emanava in quel momento la faceva apparire decisamente più grande.

- Non guardarmi così, sei il primo che ha omesso il proprio matrimonio, mi hai usata.

- Vedi: non ti ho mentito. Ho fatto la stessa cosa che hai fatto tu, peccato io non sapessi di mio figlio.

- Complimenti, bello sfoggio di maturità!

- Il mio o il tuo?

La ragazza strinse così forte i pugni da arrivare a lacerare la carne con le unghie, la rabbia che le montava dentro era soffocante e in più una voce nella sua testa le diceva che Draco aveva ragione. Lui aveva il diritto di sapere perché era anche suo figlio.

Delle lacrime le appannarono la vista. Si rese conto che una piccola parte di lei aveva sperato che Draco avesse capito: sapere del suo matrimonio era stato orribile, come se avesse ricevuto una pugnalata alle spalle. Eppure, dopo essersi sfogata, dopo aver parlato con lui, si sentiva in colpa, perché era stato meschino da parte sua, per non dire immaturo, non metterlo al corrente della gravidanza.

- E ora? – mormorò più a se stessa che a lui.

Dopo qualche istante disse quello che ormai pensava da mesi: - Non terrò il bambino.

Draco sbatté le palpebre, perplesso. – Scusa?

- Lo darò in adozione – chiarì lei. Era un po’ che ci pensava, all’inizio lo aveva creduto impossibile, insomma, quel piccolo essere cresceva dentro di lei, come avrebbe potuto separarsene? Ma col tempo aveva compreso che quella era la soluzione migliore, non tanto per lei, quanto per il bambino; non poteva crescerlo, non era pronta, non ne era capace.

- Non credo proprio – ribatté lui. – Questa decisione va presa da entrambi i genitori, e io non sono d’accordo.

- Vorresti tenerlo? – domandò con voce stridula.

- È mio figlio!

- Io non posso crescerlo! Non ho le capacità per crescere un figlio mio, non posso.

- Lo crescerò io.

Una risata amara proruppe dalle labbra di Hermione – Certo, io sforno tuo figlio, poi tu te ne torni a casa con lui da tua moglie e le spieghi tutto. Sarà felicissima e crescerete il bambino insieme, come una bella famiglia – aveva parlato con tono ironico, ma la sua mente aveva già immaginato la situazione: il suo bambino e il suo Draco in una famiglia felice, dove lei non era compresa, dove al suo posto c’era una donna che le aveva portato via tutto.

- Io e Astoria non ci siamo sposati – disse lui.

- Ancora no?

- Non ci sposeremo – pronunciò quelle parole con tale intensità che un brivido familiare percorse la spina dorsale di Hermione.

- Cosa?

Draco fece un mezzo sorriso. – Forse avresti dovuto continuare a leggere i giornali, Granger.

Per un momento, la terra le mancò sotto i piedi. Era stato tutto inutile. Il nascondersi da qualsiasi persona che non sapesse, il dolore che aveva provato sapendo di essere sola, il dolore che molto probabilmente aveva provato anche una minima parte di lui. Tutto inutile.

Dopo il danno, la beffa. Ammetteva di esserselo meritato, ma si chiedeva anche il perché.

- Sorpresa? - domandò lui. Come aveva dedotto, anche lui provava quel dolore lacerante che gli divorava l’anima giorno dopo giorno, i suoi occhi non mentivano nemmeno in quel momento.

- Un po’ – ammise senza pensarci.

- Che posso dirti? Non è tutto oro quel che luccica.

Hermione rimase in silenzio qualche secondo, metabolizzando definitivamente la notizia. – Come pensi di crescerlo? Da solo?

Lui scrollò le spalle. – Ci sono le balie, c’è mia madre.

- E immagino che accoglierà a braccia aperte la notizia di un tuo figlio avuto con una Sanguesporco, giusto?

- All’inizio sarà arrabbiata – concordò lui – Ma poi se ne farà una ragione… Non può diseredarmi, non lo farebbe in nessun caso.

- Quindi prenderesti il bambino e te ne fregheresti di ogni mia obiezione? – domandò in un sussurro.

- Se non mi lasci altra scelta, sì.

Non mentiva, lo avrebbe fatto e ne sarebbe uscito pulito. D’altronde era un Malfoy, aveva il denaro e conosceva molte persone influenti. Lei non avrebbe potuto farci nulla.

- Non lo sai nemmeno da un’ora e credi di poter avere pretese su di lui? – le parole le uscirono di getto, colme di dolore e rabbia.

- È mio figlio!

- È anche mio figlio, maledizione! In questo preciso istante è parte di me e tu vuoi portarmelo via!

- Sei tu che non mi hai detto nulla solo perché hai letto un articolo di giornale e non sei nemmeno venuta a chiedermi spiegazioni!

- Davvero lo pensi? Cioè, mi sarei dovuta presentare a casa tua e chiederti di non sposare nessuno perché ero incinta! A parte il fatto che non avrei mai pestato il mio orgoglio in questo modo, ma chi mi avrebbe dato la certezza che, dopo averlo dato alla luce, non mi avresti buttato via come un oggetto ormai inutile al suo scopo?

Draco era arrabbiato, le guance rosse e lo sguardo furente. – Come puoi dire questo? Io provavo dei sentimenti per te! Ti avrei accolta anche senza sapere della gravidanza, ti avrei voluto comunque e mi sarei battuto per questo…

La voce spezzata di Hermione interrupe quella di lui. – Non dirlo – le mani le tremavano così tanto che fu costretta a stringerle al petto. – Non dire cose che non sono vere. Non… farlo, per favore. Non mi amavi abbastanza, non ci amavamo abbastanza, e questo lo sappiamo entrambi. Non sarebbe bastato.

Draco non ribatté, abbandonò la posa rigida che era riuscito a mantenere fino a quel momento e sospirò. – Non farlo tu. Ti ho permesso troppe volte di mettere in dubbio i miei sentimenti per te, non lo farò di nuovo.

 

*

 

Pesa tre kg precisi, ha i capelli di un castano chiaro – Draco dice che anche lui li aveva così, da piccolo, ma sono certa non voglia ammettere che suo figlio non è così biondo come ogni Malfoy – gli occhi sono grigi come quelli del padre. Il naso è simile al mio, dice Draco, ma non sa che è la copia esatta del tuo naso, mamma. Di papà, purtroppo, c’è molto poco, ha i suoi ricci morbidi, non crespi come i miei.

Nella famiglia di Draco c’è la tradizione di chiamare i discendenti dei Black con i nomi delle stelle e, benché questa sia una cosa così originale, abbiamo battibeccato molto prima di scegliere il nome del bambino. Alla fine Scorpius ci è sembrato il più adatto, forse è un po’ strano, ma non ci sono altri nomi consoni per un bambino particolare come lui. Dorme tutte le notti, piange così raramente che all’inizio eravamo tutti preoccupati, ma la Medimaga ci ha assicurato che era normale, non tutti i bambini sono uguali.

Non lo credevo possibile, ma tutti si sono affezionati a lui, persino Narcissa. Sai, Harry mi aveva raccontato di come si affannasse per Draco, per il suo futuro, ma non riuscivo a vedere quell’amore materno così tanto decantato in lei. Eppure, quando per la prima volta ha preso in braccio Scorpius, ho visto quegli occhi – gli stessi di Draco e Scorpius – accendersi di amore per suo nipote. Tu l’avresti mai pensato? Io no.

Ho parlato con Draco, mamma. Dopo che è nato Scorpius mi sono sentita come se fosse tutto perfetto, come se non avessi preoccupazioni o altro, però poi mi sono chiesta come avrebbe vissuto mio figlio. Con sua madre nella grande casa dei Weasley? Con suo padre e sua nonna nell’immenso Manor dei Malfoy? A quel punto, era chiaro che fosse impossibile per me, come per Draco, separarci da Scorpius. Avrei voluto che tu ci fossi in quel momento, avevo bisogno di piangere, come quando, dopo ogni litigata tra te e papà, venivo lì per farmi consolare da te perché odiavo dovervi sentire urlare per me, per la mia magia. In quegli istanti mi sono sentita così impotente, consapevole di essere io la causa dei problemi.

Ho provato a parlare con Andromeda, all’inizio, ma non è riuscita a capirmi. È una donna che ama rendere unite le famiglie, è una di quelle donne che dopo aver perso la propria si sente in dovere di aiutare chi è sul punto di perderla… Allora mi sono chiesta: anche io dovrei sentirmi così? Ho perso te e papà, ma non riuscivo a capire perché il desiderio di avere una famiglia non ci fosse. Alla fine, ne ho parlato con Molly, e lo sai che mi ha detto? Che ho perso la mia adolescenza. (Non erano queste le parole esatte, ma il senso è quello. Lo sai che Molly tende a fare molti giri di parole quando l’argomento è scomodo.) Ha detto che non ho mai avuto quella fase di transizione fra la bambina e l’adulta, che mi sono ritrovata a studiare in una scuola dove, effettivamente, sapevo di non appartenere del tutto, che ho combattuto Voldemort a soli diciassette anni e che poi sono rimasta incinta. Penso abbia ragione, ma questa teoria non l’ho esposta ancora a Draco.

Comunque, tornando a prima, abbiamo parlato appena mi hanno dimessa dal St. Mungo e ho capito. Ho capito che in fondo non è tutta colpa mia, ho capito che un po’ di felicità l’ho avuta, ma non l’ho saputa sfruttare, ho capito che Draco mi amava, a modo suo, e che io non ho saputo capirlo quando è stato necessario. Provo ancora qualcosa per lui, e credo di averlo capito quando ho guardato negli occhi mio figlio per la prima volta. Di sicuro l’hai provata anche tu quella sensazione che ti parte dallo stomaco e ti riempie fino a esploderti in testa; avevo bisogno di condividerla con qualcuno che mi capisse, e quando mi sono voltata ho incrociato lo sguardo di Draco. Lì, mamma, ho capito che c’era ancora qualcosa fra noi. Mi sono sentita al sicuro quando l’ho guardato negli occhi e ho visto le stesse emozioni che provavo io: amore, soddisfazione, orgoglio, paura di sbagliare.

Io e Draco siamo entrambi d’accordo nel pensare che ci serva del tempo per ricominciare da capo, per ricominciare a frequentarci. Ci vediamo tutti i giorni, stiamo insieme, io, lui e Scorpius, ci godiamo le risate e i pianti di nostro figlio; la notte il piccolo dorme con me a casa dei Weasley, abbiamo pensato che non fosse saggio fargli cambiare letto una sera sì e l’altra pure, quindi la Tana ci è sembrato il posto più accogliente. Narcissa ha storto il naso, per quest’affermazione, ma non ha ribattuto… È una brava donna, mamma, vorrei che l’avessi conosciuta.

Bene, adesso finisco questa lettera che non leggerai mai, spero tanto che tu stia bene in Australia e, mi raccomando, stai attenta al colesterolo di papà. Io vado a parlare con un’altra persona che vorrei facesse parte del futuro di mio figlio.

 

Ti voglio bene,

 

Hermione

 

Hermione si alzò dalla sedia, guardò Scorpius che dormiva sereno nella sua culla e gli carezzò piano la testa chiara.

Uscì dalla stanza, scese in cucina e non si sorprese quando vide chi c’era seduto al tavolo che rimescolava con fare pensieroso il suo tè.

Entrò in cucina, si schiarì la gola e poi esalò: - Harry, dobbiamo parlare.

 

 

 

*

 

 

Note:

 

- Il titolo (e anche un po’ dei sentimenti di Draco ed Hermione) è evidentemente ispirato all’ultimo singolo di Ligabue: Ora e allora

- Credo che sia piuttosto chiaro il tempo in cui è ambientata la storia, ma, per qualsiasi chiarimento, sono disponibile.

 

 

Ringraziamenti:

      

       Ok, ce l’ho fatta anche ‘stavolta, nonostante maTre (sì, mia madre è Poison Spring!!!) mi abbia linkato così tante ficcyne, nell’ultimo periodo, che non so più l’italiano. Ti lovvo comunque, ma’ ♥.

Un grazie speciale alla mia Beta-Santa-Subito che mi sopporta tutti i pomeriggi (♥), legge le varie versioni di Draco (Enciclopedia, Giardino, Menù...) e viene invasa dagli alieni ogni volta che accende il microfono del suo pc. Ti adoro, Des.

E per ultima, ma non meno importante, la mia Consulente Narrativa, che ha sopportato ogni santo sclero su questa OS, che ha preteso più romanticismo – non c’è, mi spiace – e che in questi ultimi giorni sta davvero cercando di non uccidermi. I’m so sorry, honey. I ♥ U. 

Ringrazio anche tutti voi che siete arrivati fin qui, spero di avervi tenuto in piacevole compagnia per un po’!

 

Bye.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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