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Autore: Reminiscenza    15/02/2012    2 recensioni
In onore del giorno di San Valentino, ho pensato di scrivere questa one-shot incentrata sulla coppia(?) Elena/Damon. Spero vi piaccia! :)
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Damon/Elena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ogni luce si spense, l'unica superstite fu la tenue fiammella di una candela che spruzzava la propria luce lungo una serie di pareti bianche, ricoperte qua e là da alcuni quadri, impreziositi da cornici d'oro.
Conosceva ogni dettaglio, ogni particolare di quella stanza che fino a poco tempo prima era attorniata da un velo di assoluto mistero. L'unico dettaglio, se così può esser definito, che ora attirava la sua attenzione, era l'incarnato diafano della persona che le stava davanti: Damon. Era lì, immobile, con il petto nudo e un sorriso sardonico stampato sul volto; le labbra leggermente incurvate, la pelle pallida in continua lotta con i capelli neri, scompigliati ora più che mai. 
Senza nemmeno rendersene conto, Elena si ritrovò a far scrivolare le proprie dita sul suo petto, disegnando ghirigori nel vano tentativo di provocare in lui qualche reazione. Avrebbe voluto urlare, fargli male, stringere quei capelli fra le dita e strapparglieli, avrebbe fatto di tutto pur di allontanare quel sorriso tronfio dal suo volto.




Così, incominciò. Fu un attimo: la sua mano si fermò, per poi salire - repentinamente - fino al suo collo; lo strinse ed urlò.
Urlò in silenzio, urlò premendo le proprie labbra contro le sue. Quell'attimo si spezzò, frustrato più e più volte dai suoi lunghi capelli castani lasciati liberi di muoversi intorno alle sue spalle nude. Finì d'essere Elena e, per quelle ore divenne ombra, sinuosa e rapida, pronta ad avventarsi su un pezzo di carne. Quell'unica candela assistette a tutta la scena, dimenandosi nell'aria che veniva continuamente sconvolta dai respiri che diventavano sempre più affannosi.


< Damon. >

Fu l'unica parola che riuscì a pronunciare prima di perdere il controllo.
Lasciò la mano libera di dimenarsi, di passare dal petto al basso ventre del vampiro che, piacevolmente coinvolto, non batteva ciglio davanti a tanta intraprendenza. Si lasciò cullare dai movimenti della giovane, sentendo il suo corpo caldo a contatto con il suo, sentendo il suo respiro affannoso causato da una nuova consapevolezza. Era lì, per lui, con lui. 
E mentre i suoi pensieri si facevano strada tra le mille sensazioni recepite dal suo corpo, le dita di Elena si muovevano rapide, volte ad aprire un bottone, una cintura, con l'intenzione di eliminare ogni ostacolo, ogni freno. Era come se quella sua decisione potesse svanire da un momento all'altro, ma non lo fece; crebbe come una belva nel profondo del suo corpo, per risalire in tanti piccoli gesti: la lingua che si muove avida sulla bocca di lui, il bacino che ondeggia, gli occhi che si chiudono.
Non era più lei e questo fece sì che lei si conobbe come mai aveva accettato di fare in questi lunghi mesi; ora era più sè stessa, con un nuovo volto. 
Le lenzuola di cotone si aprirono come le acque, dando il loro benestare a quell'unione; i vestiti scapparono come spaventati da tanta irruenza e si distesero sul pavimento, immobili, spaventati a morte da quella scena perfettamente sbagliata.
Lei poteva sentire le mani di Damon che cercavano il suo corpo, come fossero cacciatrici pronte ad afferrare la preda. Sbagliato, stanotte era lei la cacciatrice e lui il vampiro caduto in trappola. 
Eppure, non c'era tempo per riflettere, nè per tirarsi indietro: i loro corpi nudi si pretendevano, si stuzzicavano a vicenda con il contatto, si plasmavano l'uno contro l'altro. E lì, contro ogni volontà, quei respiri li incastravano, perchè trasudavano piacere, desiderio, passione, erano le ben distinguibili urla di tutti quei sentimenti che non avevano il coraggio di ammettere.

< Mordimi. >

Sussurò Elena all'orecchio accaldato del vampiro, graffiandogli la schiena e muovendo il proprio corpo in una danza suadente. Non ci fu risposta, non ci fù diniego, solo un freddo contatto proprio sopra la clavicola. 
Sentì la pelle lacerarsi sotto quei denti, immediatamente macchiati dal presioso sangue color porpora della ragazza.






Elena si svegliò di soprassalto, spaventata dalla pesantezza del suo stesso respiro. La penombra della stanza che aveva appena sognato, era stata subito sostituita da un sottile velo di luce che penetrava dalle tende leggermente scostate.
Era sola, lì, e - nonostante tutto - il suo corpo reclamava quella compagnia perduta.
Girò il capo, ancora stranita, lasciando che gli occhi girovagassero su tutti gli oggetti della propria stanza. Non c'era alcun dubbio: l'immaginazione è uno strumento potente e, quella notte, si era presa gioco di lei, facendole sognare quella scena; sorrise, spaventata.
Nel frattempo, nel silenzio di casa Gilbert, il cellulare di Elena vibrò sul mobile della cucina, provocando un tenue rumore.
 
< Buon S. Valentino, Elena. >
 
Nessun nome, nessuna risposta.
  
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