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Autore: giambo    15/02/2012    4 recensioni
Ogni volta che sua moglie lo guardava, ogni volta che incrociava i suoi occhi neri con i pozzi gelati di C18, Crilin provava un brivido di paura.
Era una paura sottile, latente. Una paura che, il terrestre, notava inconsciamente. Una paura che gli dava la piena consapevolezza del fatto che, la sua vita, la sua misera insulsa vita, non valeva più nulla ormai.
Genere: Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: 18, Crilin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ogni volta che sua moglie lo guardava, ogni volta che incrociava i suoi occhi neri con i pozzi gelati di C18, Crilin provava un brivido di paura.

Era una paura sottile, latente. Una paura che, il terrestre, notava inconsciamente. Una paura che gli dava la piena consapevolezza del fatto che, la sua vita, la sua misera insulsa vita, non valeva più nulla ormai.

Perché ogni volta che sua moglie lo guardava (ora arrabbiata, ora tranquilla, ora furiosa con lui, ora con dolcezza), il terrestre vedeva brillare, in fondo a quelle gemme azzurre, una luce inquietante. Una luce che da tempo lui aveva accettato di vedere.

Anche quando erano a letto. Anche quando sua moglie lo cercava (era sempre lei a cercarlo, Crilin non osava mai anche per paura di perdere in maniera violenta e dolorosa la propria virilità). Il piccolo guerriero non poteva fare a meno di notare che, neanche in quei momenti intimi, quella luce inquietante abbandonava gli occhi di sua moglie.

Che gli stesse baciando il collo oppure il petto, che gli stesse prendendo il suo membro tra le labbra oppure lo accettasse dentro di se, Crilin non vedeva mai scomparire quella luce. Ormai era diventata una specie di ossessione per lui vedere quel bagliore metallico luccicare negli occhi di lei. Vedere il potere che quella bellissima donna riusciva ad esercitare su di lui.

E anche quando C18 lo baciava, anche quando sentiva la lingua dell'androide incrociarsi con la sua. Anche quando gli occhi della cyborg sembravano pieni di affetto ed amore nei suoi confronti, anche in quei momenti quel bagliore metallico appariva. Nascosto forse. Ma non cancellato.

Perché quel bagliore, quella luce che ossessionava il terrestre, quella luce che faceva rabbrividire il guerriero come solamente lei era capace di fare, era la luce più terribile ma, allo stesso tempo, la più affascinante del mondo.

 

La consapevolezza del potere. La consapevolezza di avere saldamente tra le proprie mani corpo, mente ed anima della persona che si ha davanti. La consapevolezza che sarebbe bastato un niente per distruggerla.

 

Crilin lo sapeva. Sapeva che C18 lo aveva in pugno. Sapeva che, da quando l'aveva sposata (ma sarebbe stato più corretto dire da quando l'aveva incontrata), lui aveva smesso di essere una persona libera. Nell'esatto momento in cui la spietata cyborg aveva posto i suoi occhi su di lui per la prima volta, la sua indipendenza (sia materiale che mentale) era stata catturata, soggiogata ed infine piegata senza alcun problema.

Anche adesso, a distanza di anni da quel loro primo incontro, il terrestre non poteva fare a meno di provare paura. Perché sapeva fin troppo bene che era solamente per uno stupido capriccio del destino se, in quel momento, C18 gli stava accarezzando il petto con dolcezza. Sapeva che, se la bionda si fosse stufata di lui in quel preciso istante, lo avrebbe ucciso senza pensarci due volte.

Eppure, nonostante tutto, nonostante sapesse benissimo che la sua vita era appesa costantemente ad un filo molto labile, Crilin non poteva fare a meno di godere. Era un godimento che rasentava quasi il dolore. Ma forse era derivato dal fatto che era lei che glielo procurava. In fondo, anche vivere con C18 era un piacere che rasentava il dolore.

Dolore. Il dolore di sapere di non essere all'altezza di lei. Il dolore di sapere che, tutto quello, c'era solamente perché lei aveva deciso che ci fosse. Il dolore, misto però ad un piacere sadico e per nulla naturale, per aver perso la propria indipendenza. La propria libertà. Il proprio orgoglio.

Ma Crilin accettava tutto. Accettava senza ribellarsi tutto quello che C18 gli imponeva. Non che ribellandosi avrebbe cambiato la sua situazione, ma forse gli avrebbe dato l'idea di essere ancora padrone dei propri pensieri.

Errore. Era inutile ribellarsi. Era inutile illudersi. Lui non era padrone di un bel niente. Tutto quello che aveva avuto nella sua vita, ormai apparteneva a lei.

Ormai anche l'amore era diventato un mezzo, attraverso il quale, la cyborg ribadiva la propria dominanza nei suoi confronti. In quei momenti, tra baci passionali e unioni carnali, ogni gesto, ogni singolo, fottuto, maledettissimo gesto che l'androide o il terrestre compivano, servivano a rimarcare il possesso di C18 su di lui. Un possesso sottile e devastante. Un possesso che gli aveva succhiato via ogni vitalità. Ogni voglia di voler tornare indietro.

Perché, nonostante tutto, Crilin, in fondo, non voleva tornare indietro. Non voleva tornare ad essere libero. Perché quella schiavitù (perché di schiavitù si trattava) aveva un che di dolce. Di bello. Di confortevole.

E allora rimaneva là. A farsi coccolare da lei e a sperare che C18 non si stufasse mai di lui. Perché di una cosa Crilin era certo: senza di lei, senza quella schiavitù, la sua vita non avrebbe avuto più alcun senso.

Certe volte si domandava cosa ci trovava quella dea in uno come lui. Non era un mostro esteriormente. Ma neanche un grande figo. Certo, da quando si era fatto crescere i capelli era diventato più accettabile. Ma restava comunque lontano anni luce dalla bellezza che emanava C18.

Una bellezza fredda e cinica. Una bellezza crudele ma a tratti dolce. Una bellezza innaturale. Una bellezza inumana.

 

E quando la luce opaca dell'alba cominciava a far capolino dalla finestra della loro camera, quando ormai C18 aveva ottenuto da lui ciò che le interessava, quando ormai la loro passione (Ma sarebbe stato più corretto dire la passione di lei) si era spenta, allora C18 appoggiava la sua testa sul petto dell'umano e si addormentava cullata dalla sue forti braccia. Ed era in quei momenti che Crilin capiva: C18 voleva dominare. Lei era una dea ed aveva il diritto di sfruttare e dominare la gente. Lui, inutile essere umano, aveva solamente il dovere di obbedirle, almeno fino a quando lei non si sarebbe stufata. A quel punto, si sarebbe liberata di lui.

Perché non è forse così che gli dei trattano gli uomini?

  
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