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Autore: Gulminar    16/02/2012    9 recensioni
Tanya Cindy Larsson, nata a Londra da madre russa e padre scandinavo. Diplomata a Hogwarts con ottimi voti. Fra le più promettenti reclute dell’Accademia Auror londinese. Entrata giovanissima nella Squadra Phoenix, il corpo scelto del comandante Harry James Potter. Medaglia del Ministero della Magia per servizi resi alla comunità magica. Trasferitasi a Liverpool in seguito allo scioglimento della Phoenix. Incaricata ufficiale per il caso della Cacciatrice.
Sembrava proprio un angelo, stesa in quel letto d’ospedale. I boccoli biondi come un velo che copriva il cuscino, il volto sereno, lontano dalle preoccupazioni, nel sonno indotto dalla magia.

Liverpool, anno 2021. L'Auror Tanya Larsson si dibatte fra un passato che non riesce a dimenticare e un presente da incubo, può darsi che i vecchi amici ed ex colleghi di Londra siano i soli in grado di aiutarla.
Delirio post Doni della morte, escludendo l'Epilogo "19 anni dopo".
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Altro contesto
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Ogni volta che finisco una fan fiction, dichiaro a me stesso che sarà l’ultima, ma poi succede sempre che rimane l’ultima finché non scrivo la successiva. Questa storia mi si è piazzata in testa durante l’inverno e non c’è stato verso di mandarla via, ha preteso di essere scritta.

Per chi ha letto “Il canto dell’eroe”, non è un sequel. Troverete alcuni elementi che si ripropongono, ma ciò è dovuto al semplice fatto che le due storie vengono dalla stessa mano.

Per tutti i lettori, potrete tenere per buoni gli avvenimenti narrati in “Harry Potter e i doni della morte”, escluso l’epilogo “19 anni dopo”.

*

La leggenda dei Tulipani di Cristallo

La Cacciatrice di Liverpool

PRELUDIO

23 ottobre 2021
8 AM
Dintorni di Londra


“L’accerchiamento è completo, capitano.”
La voce del giovane alla sua destra le parve troppo alta, forse per via della sua immaginazione sovraeccitata. Era la sua prima missione da caposquadra, non avrebbe permesso a una stupida recluta di mandarla a rotoli. Stava per dire all’idiota di abbassare il tono, ma si trattenne, sarebbero stati altri rumori inutili. Fece un gesto con la mano per indicare che potevano procedere.
“La casa è circondata, non avete scampo!” Gridò. “Gettate le bacchette dalla finestra e uscite con le mani bene in vista!”
Nessuna voce o movimento giunsero a indicare che gli assediati avessero intenzione di obbedire. Lasciò passare la manciata di secondi prevista dal regolamento per casi analoghi.
“Siamo sicuri che il blocco sia attivo su tutta l’area?”
“Sicuri, signora.”
O sono molto coraggiosi, o molto stupidi.
In effetti, il blocco era visibile a occhio nudo su tutta la radura in cui sorgeva la capanna, nessuno avrebbe potuto smaterializzarsi o fuggire in qualsiasi altra maniera.
Oppure hanno qualche asso nella manica.
“Non ci sono vie di fuga!” Tentò di nuovo. “Uscite senza opporre resistenza o saremo costretti ad attaccare!”
“Non occorre, capitano.”
Merda!
L’ultima voce che avrebbe voluto sentire.
La porta della catapecchia si aprì cigolando su vecchi cardini. Tre uomini, mani legate dietro la schiena le une alle altre, furono spinti fuori, incespicarono e si abbatterono a terra in un ammasso informe.
Kendra Lightner uscì dal nascondiglio, senza impartire ordini a quanti erano con lei. In quel momento, voleva solo staccare la testa all’uomo che parlava da dentro la casupola. No, staccare la testa era troppo sbrigativo, voleva farlo morire male.
“Capitano.”
L'accolse Ronald Weasley, comodamente seduto su una vecchia poltrona al centro della stanza. Non si alzò nemmeno in piedi, le indicò invece le bacchette dei tre ricercati, disposte con ordine sul tavolo.
Kendra Lightner era da tutti considerata una persona di giudizio, oltre che un buon Auror. Per diversi secondi ebbe la Cruciatus sulla punta della lingua. Sarebbe stata la fine della sua carriera, nonché un colpo insanabile alla reputazione del Senatore Lightner, che sempre era andato oltremodo orgoglioso della sua bambina.
“Non erano niente di che, in realtà.” Proseguì Weasley.
Parlava con semplicità, non la stava deridendo, ma in quel momento Kendra non era in grado di notare la differenza. Alzò la bacchetta e l’uomo si ritrovò inchiodato alla poltrona, con un peso invisibile che gli schiacciava il torace svuotandogli i polmoni, le mani incollate ai braccioli.
“Brutto testa di cazzo!” Sibilò Kendra, andando a puntargli la bacchetta sotto il mento. “Avevo io il comando dell’operazione, ti era forse sfuggito?”
“No, ho solo velocizzato un po’ le cose.”
Ancora, non si sarebbe detto che volesse farsi beffe di lei, c’era piuttosto un’indifferenza spaventosa nel tono dell’uomo dai capelli rossi, come se tutto ciò che lo circondava non avesse avuto la minima importanza. Kendra non era in grado di rendersene conto, la sua prima missione da comandante rovinata da quel borioso rompiscatole.
“Perché ti chiami Ronald Weasley, pensi di poter fare sempre come ti pare? Io me ne frego del tuo passato! Questa la paghi! Te lo assicuro!”
Un paio di Auror erano apparsi sulla soglia e ascoltavano inorriditi, probabilmente desiderando che la terra li inghiottisse sul momento.
“Come vuoi.” Disse l’uomo accomodante.
“Dillon!” Tuonò Kendra.
“Signora!” Rispose uno degli Auror sulla porta.
“Quest’uomo è in arresto per insubordinazione, fatti consegnare le sue armi.”
Parve che Dillon fosse sul punto di scappare urlando.
“Devo… Devo arrestarlo?”
“Quale parte del mio discorso non ti è chiara, maledetto idiota?”
“Stai solo perdendo tempo.” Le fece notare Weasley. “Ed è tutta rabbia sprecata, ma se arrestarmi può farti sentire meglio…”
Si alzò per slacciarsi il cinturone, in cui teneva bacchetta e articoli magici da battaglia, lo porse gentilmente al furioso capitano, che se lo mise in spalla. Kendra gli rivolse un altro sguardo carico di disgusto, prima di avviarsi alla porta.
“Io non lo farei.”
Kendra era quasi sulla soglia, rivolse a Weasley uno sguardo omicida.
“Cosa?”
“Suvvia, non dirmi che non l’hai notato.”
No, non l’aveva notato, furiosa com’era. Il cuore parve doverle sprofondare fino alle dita dei piedi, nell’istante in cui se ne rese conto. Un circolo di protezione in polvere rossa era stato tracciato sul pavimento, rasente alle pareti. Bastava che mettesse la punta di un piede oltre il limite e avrebbero dovuto scrostare i suoi pezzi da tutta la stanza. Dillon e l’altro sottoufficiale fecero un brusco passo indietro, come se si fossero scottati. Nemmeno loro si erano accorti del pericolo.
Che figura di merda.
Non solo il bastardo le aveva rovinato la prima missione da comandante, si era anche permesso di salvarle la vita.
“Che aspettate, idioti? Spezzate il circolo!”
“Sissignora!”
Dillon e gli altri si misero al lavoro, che rischiava di essere lungo. Spezzare un circolo di quel tipo poteva richiedere ore, il pensiero di passarle prigioniera insieme a Weasley la nauseò.
“Se mi ridai la bacchetta, posso dare una mano anch’io.”
Kendra caricò tutta la forza, la rabbia e la frustrazione accumulate nel braccio sinistro e sparò alla mascella. Weasley si abbatté nuovamente in poltrona, con un labbro sanguinante.

23 ottobre 2021
11 PM
Londra, Quartier Generale Auror, ufficio del Capitano Hurch Miller.


Si diceva che il grande vecchio non dormisse mai, che ormai vivesse nel suo ufficio al secondo piano. In effetti, da quando era morta sua moglie, il capitano trascorreva ben poco tempo a casa. Era un uomo corpulento che aveva passato da tempo la sessantina, ma l’antica grinta di guerriero era ancora fin troppo intuibile, sotto la scorza della vecchiaia.
“Perché ti ostini a metterti nei guai?” Sbottò, dopo un lungo silenzio.
“Cerco solo di rendermi utile.” Rispose Weasley, all’altro capo della scrivania, con l’abituale, disarmante indifferenza.
“Non ti rendi utile a te stesso.”
Il rosso alzò le spalle annoiato.
“Quante volte ti ho detto che non potrò proteggerti per sempre, se ti ostini a comportarti in questo modo? Addirittura lo stato d’arresto, ti rendi conto?”
“La Lightner non era del tutto in sé, penso lo ritirerà.”
“Io penso invece che possa crearti seri fastidi.”
“Ha tirato in ballo suo padre?”
“No, non l’ha fatto, è una dura ma non è una carogna.”
“Capitano.” Weasley si tastò con la punta delle dita il labbro spezzato, cui non erano state prestate cure magiche. “Vi sono grato per quanto avete fatto per me, ma non c’è bisogno che corriate rischi per proteggermi.”
“Continuare a combinare casini non è un buon metodo per mostrare gratitudine.”
“No, non lo è. Quindi, come finirà?”
“Come sempre, sospeso.”
“Per quanto?”
“Due mesi almeno, in via precauzionale, poi la disciplinare esaminerà per l’ennesima volta il tuo caso. Come se dovessi spiegarti ancora queste cose.”
Sapevano entrambi cosa significassero i mesi di sospensione per Ronald Weasley.
Casa vuota, silenzio, solitudine, ricordi, pensieri, dolore… tanto dolore…
“Mi piace come le spiegate. Perché non posso agire da solo? Non avrei limiti e non creerei problemi ai colleghi.”
“Come se non lo sapessi già! Non esistono Auror che agiscono da soli, o forse questa regola non è stata stampata nella tua copia del regolamento?”
“Controllerò.”
“Finiscila di fare dello spirito e vai a casa.” Disse il capitano esasperato. “Ma non a casa tua! Va da uno dei tuoi fratelli, oppure torna dai tuoi per qualche tempo.”
“Sicuramente sarebbero felici di vedermi.” Concesse. “Ma non posso dire lo stesso di me.”
Un’ombra di amarezza si palesò nell’indifferenza. Il capitano si sentì stringere il cuore. Ronald Weasley non si comportava in quel modo perché si riteneva superiore alle regole, o perché si considerava intoccabile per via del suo status di eroe. Cercava il rischio perché desiderava disperatamente morire, ma la morte pareva non volerlo fra i piedi. Quella storia durava da anni.
“Ronald.” Era già sulla porta, si volse, il capitano era in piedi e lo osservava con preoccupazione quasi paterna. “Non fare stupidaggini, per favore.”


All’esterno era scoppiato un grosso temporale e l’aria sotto i portici era satura di umidità. A Ron era sempre piaciuto camminare negli spazi circostanti la caserma, quando c’era poca gente. Con quel tempaccio non c’era nessuno, escluso lui e…
“Kendra.” La salutò con rispetto.
La luce dei lampioni risaltava sull’impermeabile, sulla cascata di ricci rosso scuro che le incorniciava l’ovale severo del viso.
“Mi dispiace per quel pugno.” Disse, senza tergiversare.
“Lascia stare, me lo meritavo. Non sapevo che era la tua prima missione da comandante.”
“Questo non ti giustifica.”
“È vero, non mi giustifica.”
“Comunque, grazie per il cerchio di protezione. Sono stata molto stupida.”
“Ci sta, vista la situazione. Sei un ottimo Auror, devi solo imparare a controllare i nervi. Te lo dice uno che ci ha messo un sacco di tempo per riuscirci.”
Nel ricevere quel complimento da un eroe tanto celebrato, parve che l’atteggiamento glaciale di Kendra fosse sul punto di attenuarsi, ma fu l’impressione di un momento.
“Ho ritirato l’ordine d’arresto.”
“Grazie.”
“Solo perché me l’ha chiesto il capitano.”
“Grazie lo stesso.”
“Perché un uomo che ha combattuto contro la peggior feccia magica della storia, che è considerato uno dei più grandi eroi di tutti i tempi, dovrebbe comportarsi così?”
Diritta al punto.
A Ron venne in mente un’altra persona con quella capacità, anche se non così brutale.
“Se vuoi conoscere la storia…” Fu la sua indifferenza ad andare in pezzi. La voce gli divenne severa, tagliente, al punto che Kendra ne fu intimorita, quando si rese conto di avere davanti il vero Ron Weasley. “Chiedi al capitano, io non ho voglia di raccontarla.” Le diede le spalle. “Mi è bastato viverla.”
Sparì nel sipario di pioggia torrenziale, senza preoccuparsi di sollevare il cappuccio. In quel modo, le lacrime che gli rigavano il viso si sarebbero confuse con quelle che scendevano dal cielo.

24 ottobre 2021
2 AM.
Periferia ovest di Liverpool.


Dolore.
Atroce, lancinante, non poté fare a meno di urlare.
Volse faticosamente la testa verso sinistra, la lama di cristallo arancione era affondata sotto la clavicola. L’aveva passata da parte a parte, inchiodandola al legno della cassa su cui poggiava la schiena. Il resto del corpo era altro dolore, troppo per essere recepito nella sua interezza, la mente ormai funzionava a sprazzi confusi. Alzò lo sguardo e lei le era china di fronte, la mano destra sull’impugnatura della Tonfa Blade che gli aveva piantato nella spalla.
Lei ha tanti nomi.
Assassina di Auror.
Flagello del Merseyside.
Tulipano di Cristallo.

Per gli Auror era la Troia.
Per il Regno Unito era ufficialmente La Cacciatrice di Liverpool.
Un movimento della lama le strappò un altro urlo. Chiuse gli occhi e strinse i denti, cercando di impedire alle lacrime di uscire.
La Cacciatrice le puntò un piede contro il torace e sfilò l’arma con calma, dandole il tempo di assaporare. La sentì allontanarsi e armeggiare da qualche parte alle sue spalle. Qualcosa di pesante cadde sul pontile, percepì vibrazioni lungo le assi sulle quali era seduta.
“Tanya.” Una voce flebile, raschiante, appena udibile.
Il cuore sprofondò mentre metteva a fuoco l’uomo disteso a pochi passi da lei, il volto tumefatto che pareva rivolgerle una tacita richiesta d’aiuto.
“Erik.” Rispose, non poté fare altro.
La Cacciatrice puntò un ginocchio sulla schiena dell’uomo, gli incrociò le Tonfa Blade sotto il collo e le fece scattare lateralmente. Tanya sentì, più che vedere, la gola di Erik squarciarsi. L’uomo si abbatté di faccia sulle assi del pontile e non si mosse più, rimase solo il borbottio del sangue che gocciolava nell’acqua sottostante.
“NO! MALEDETTA!” Non le riuscì più di trattenere le lacrime.
La Cacciatrice impresse alle Tonfa Blade un colpo laterale per liberarle dal sangue e le ripose nel cinturone. Si chinò a fianco del cadavere e depose delicatamente a terra il tulipano di cristallo.
La firma della Cacciatrice.
Alla quale si doveva uno dei suoi soprannomi.
Era stato trovato accanto ad ognuna delle sue vittime.
“Che aspetti, brutta troia! Ammazza anche me!” Stridette Tanya.
“Se lo facesse, finirebbe il gioco.”
La voce più odiosa che Tanya conoscesse.
Fu uno sforzo doloroso voltarsi nella sua direzione, tutto il corpo era un focolaio di dolore. Un uomo, avvolto in un abito da Arlecchino e il volto celato da una maschera da clown, era appollaiato come un grosso rapace su una pila d’imballaggi. Tanya lo immaginò sorridere.
Juggler.
“Vedi, Tanya.” Proseguì l’uomo. “Lei ti ha scelto come sua avversaria, le piace il tuo modo di fare. Apprezza la tua caparbietà nel darci la caccia, la tua determinazione e il tuo coraggio. Si diverte un mondo a sgozzare i tuoi colleghi, ma se ammazzasse te sarebbe la fine del gioco. Un giorno lo farà, ma deciderà lei quando.”
Tanya non rispose, sopraffatta dall’orrore. L’istante successivo Juggler era sparito.
La Cacciatrice parve considerare l’avversaria abbattuta ancora una volta. Era quasi più nera della notte, nella tuta aderente che lasciava intuire un corpo femminile dalle forme armoniose, il cranio avvolto da una maschera priva di lineamenti. Si avvicinò a una grossa cassa di legno abbandonata sul pontile e vi depose quella che Tanya riconobbe come la sua bacchetta. Il tempo di un battito di ciglia e anche lei non era più lì.
Oltre al braccio sinistro, che si muoveva a stento, le gambe erano spezzate. Afferrò con la mano sana il bordo della cassa e riuscì a franare in avanti. Il dolore che veniva dal basso era annichilente e la squassava con ondate di nausea.
Cerca di ragionare con calma.
Trascinarsi con una mano, raggiungere la bacchetta e chiamare aiuto.

Una penosa odissea di pochi metri.
Il corpo di Erik era lungo il percorso, dovette aggirarlo, mormorando fra le lacrime che le dispiaceva. Si spezzò le unghie artigliando vecchie assi consunte, usò persino i denti per aver l’impressione di consolidare la posizione raggiunta, quasi si stesse arrampicando. Avrebbe voluto urlare, ma ogni stilla di fiato residua era finalizzata allo sforzo.
Toccata la cassa, fu colta da un pericoloso moto di soddisfazione per l’obiettivo raggiunto e rischiò di perdere conoscenza. Rimase boccheggiante, con la mano sul bordo di legno, per alcuni minuti. Con uno sforzo di volontà richiamò la mente, che già inseguiva qualche sogno bizzarro. Allungò il braccio verso l’alto e la sommità della cassa parve crescere, cercare di sfuggirle.
Annaspò a lungo senza vedere dove la mano si muoveva. Quando finalmente la sentì stringersi intorno alla bacchetta, le sorse il dubbio di essere nella sua cucina e di avere in mano un semplice cucchiaio di legno.
Sentì qualcosa di freddo contro il palmo, c’era un piccolo oggetto circolare intorno alla bacchetta, sembrava un orecchino. Ormai incapace di ragionare, lo ripose in una tasca interna del soprabito. Prima di svenire, riuscì a lanciare verso il cielo il segnale d’emergenza.

*

Per tonfa si intende un'arma tradizionale delle arti marziali cinesi e giapponesi. È composto da un’impugnatura (tsuka) lunga 12 cm, e da un corpo (yoka) di lunghezza variabile dai 50 ai 60 cm circa. La misura ottimale varia da persona a persona ma in generale, una volta impugnato, deve sporgere all'incirca di 3 cm dal gomito. [Fonte: Wikipedia]
La versione utilizzata dalla Cacciatrice di Liverpool è una variante in cui lo yoka è composto da una lama e non da un bastone, per questo detta Tonfa Blade.

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