Celeste. Due occhi neri e i capelli da cinese. Pelle di bronzo. Sguardo duro.

Non aveva niente di celeste, Celeste. Anzi no, una cosa ce l'aveva.

Un fiore. Piccolo. Petali fitti. Celeste.

Seccato tra le pagine di un libro.

Poi ancora vedi il cielo.

Sono le 19. Celeste rientra a casa. A terra sua madre e suo padre senza vita.

Celeste non parlò più. Muta.

Aveva un fratellino, Celeste. Rodolfo aveva quattro anni. Celeste ne aveva quattro per quattro più uno per due.

Rodolfo era bellissimo. Nasino all'insù, boccoli d'oro, pelle di porcellana. L'avevano adottato.

La sera del funerale Celeste torna a casa. Rodolfo le corre incontro nel portico. Le regala un fiore. Piccolo. Petali fitti. Celeste. Lei lo ripone con cura in un libro, per conservarlo per sempre.

Si amavano molto Rodolfo e Celeste. Poi, un giorno, lei pensò di capire tutto.

Seduta in cucina guarda fuori dalla finestra. E' così che si inizia: guardando fuori da una finestra. Prima vedi il vetro, magari un po' sporco, poi quello che ci sta dietro. Due fili tesi e la biancheria stesa.

Poi ancora vedi il cielo.

Ed è li che pensi di capire tutto.

Si alza, Celeste. Fruga nel pensile in basso della dispensa. Veleno per topi. Versa metà della boccetta in un bicchierone di tè fresco. E' estate.

Lo porge a Rodolfo che lo beve tutto d'un fiato.

Verso sera, al tramonto, Celeste svuota la boccetta di veleno nell'annaffiatoio con l'acqua per le piante. Esce nel portico e annaffia i fiori. Piccoli. Petali fitti. Celesti.

Ma era sempre lei. Non aveva niente di celeste, Celeste.