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Autore: teabox    17/02/2012    28 recensioni
Molly amava passare tempo con Sherlock. Davvero. Anche se spesso questo equivaleva a trovarsi in mezzo a situazioni strane e discorsi imbarazzanti.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: GRAZIE MILLE per le vostre parole. Non so neanche quante volte, mentre scrivevo la storia, avevo voglia di sbattere la testa al muro chiedendomi "cosa sto facendooo?!". Quindi, davvero, mille mille mille grazie.
Vi lascio all'ultimo, sperando di non aver fatto qualche scemenza catastrofica e che, in generale, vada bene. Di nuovo, grazie infinite!

*

*

*

«E’ una tecnica molto semplice da imparare, ma molto difficile da padroneggiare.»
Molly guardò Sherlock dubbiosa. «Cosa devo fare?»
«Immaginati una stanza vuota.»
«Di che colore?»
Sherlock s’innervosì. «Del colore che vuoi, non ha importanza.»
Molly cercò di fare come le era stato detto, ma era difficile con Sherlock intento a fissarla.
«Per l’amor del cielo, Molly», mormorò lui spazientito. Le afferrò i polsi e li strinse non troppo delicatamente. «Rallenta le pulsazioni. Rilassati. Chiudi gli occhi. Concentrati sul tuo respiro.»
Molly chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
«Ora immagina una stanza vuota.»
Lei cercò di creare uno spazio nella sua testa. Qualcosa di semplice, regolare.
«Ora», disse la voce di Sherlock. «Inizia con una cosa facile. Aggiungi una sedia.»
Molly immaginò una delle sedie della sua cucina.
«Ora visualizza qualcosa su quella sedia, qualcosa che vuoi ricordare.»
Un piccolo sorriso le aleggiò sulle labbra quando vide comparire Toby.
«Bene. Ora aggiungi un’altra sedia e pensa a qualcos’altro che vuoi ricordare.»
Le labbra di Molly si schiusero appena, in un’espressione indecisa tra lo stupore e il piacere.
Sherlock le lasciò i polsi immediatamente.
Molly aprì gli occhi d’impulso.
«Non mettermi accanto al tuo gatto, Molly Hooper.»
Molly arrossì.

*

«Sher-lock», mormorò Molly nel silenzio dell’obitorio vuoto. “Vuoto” se non si contava il cadavere che aspettava pazientemente l’autopsia.
«Sher-lock», ripeté a voce più alta, facendo suonare la seconda parte del nome come uno schiocco di lingua. Era strano, rifletteva, come una metà suonasse dolce e l’altra metà secca. Lei era sempre stata una parola sola, mai divisa a metà, Molly senza trattini. Al massimo Mols. Sherlock era l'unico che riusciva a pronunciare il suo nome come qualcosa di diverso, adattabile alla necessità, mai semplicemente Molly.
Prese i documenti arrivati con la salma e firmò in fondo all’ultima pagina. Si fermò un istante ad osservare il suo nome. Non sapeva per certo quando avesse iniziato a firmare così, ma doveva essere stato all’incirca due settimane dopo aver conosciuto Sherlock. Dopo aver notato che entrambi i loro cognomi iniziavano per “h”, l’eterna adolescente che aveva residenza in qualche parte del suo cervello aveva pensato che fosse semplicemente geniale iniziare a firmarsi “Molly H” - dove quell’acca nella sua testa non stava per “Hooper”, ma per “Holmes”.
Quell’adolescente va sfrattata, pensò distrattamente.

*

Molly era ancora sorpresa di come nessuno se ne fosse ancora reso conto. Che esistevano due Sherlock Holmes, s’intende.
In un brillante momento di illuminato sarcasmo Molly li aveva battezzati “Sherlock a.C.” e “Sherlock d.C.”, in omaggio soprattutto a quella vena di onnipotenza che, francamente, era una delle caratteristiche più evidenti dell’uomo in questione.
Sherlock avanti-Caduta era quello che compariva quasi sempre. Era il Sherlock che non conosceva la fine arte del comportarsi in modo “normale” con altre persone, che non sapeva quando smettere, che non capiva perché certe cose non si potevano dire e/o fare.
Sherlock dopo-Caduta compariva raramente, ma compariva. E quei momenti Molly li trasformava in ricordi da mettere al sicuro nel suo “monolocale della mente”. Era la tazza di caffè che una volta Sherlock le aveva portato. Era una mezz’ora in cui con pazienza l’aveva ascoltata parlare di suo padre. Era la volta in cui le aveva appoggiato una mano sulla spalla prima di lasciare il laboratorio.
C’erano due Sherlock o forse ce n’era uno solo. Non le importava davvero molto, in fondo. Le piacevano entrambi.

Per quanto Sherlock a.C. sapesse essere terribilmente scortese.

*

Quando si trattava di analizzare i caratteri, Sherlock leggeva le persone come libri aperti. Ma quando si trattava di cogliere le cose più semplici, quelle più ovvie, era praticamente dislessico.
Ovviamente Molly non se n’era resa conto solo quel giorno. Quella era storia antica, una delle prime cose che aveva capito di Sherlock.
Eppure quel giorno particolare, entrando nel laboratorio e trovandolo in compagnia di una donna, la cosa fu ovvia più del solito.
Quando per la prima volta vide Irene Adler dal vivo - aveva ovviamente già cercato il suo nome su Google e trovato il sito e visto le foto - il primo pensiero di Molly non fu “allora questa è Irene Adler”. Molly pensò, questa è la donna che Sherlock ha riconosciuto da nuda.
Pensava che fosse morta. Così le era stato detto. Ma immaginò che con Sherlock non si poteva essere sicuri di nulla, nemmeno della morte. E lui era il primo a darne esempio.
Molly notò che Irene Adler l’aveva guardata con un’espressione deliziata e divertita, prima di dedicare lo stesso sguardo a Sherlock. «Introducimi a questa giovane dottoressa, Sherlock.»
«Non ce n’è bisogno», replicò lui secco. «Lei non è nessuno che ti riguardi. Andiamo, abbiamo finito qui.»
Irene scosse la testa con finta esasperazione. «Questi uomini», disse a Molly con pretesa complicità.
Sherlock afferrò Irene per un braccio e la spinse fuori dal laboratorio. Non salutò Molly. Non la guardò nemmeno.
Un attimo più tardi, quando sentì le porte del laboratorio chiudersi alle sue spalle, Molly aveva ancora nelle orecchie la risata divertita di Irene.

Fu un’ora dopo che Irene Adler fece nuovamente ingresso nel laboratorio.
Non era nella natura di Molly essere scortese, quindi fu la prima a sorprendersi quando si trovò ad usare un tono di voce freddo. «Come posso aiutarla?»
Irene sorrise, composta e rilassata. «Non ho bisogno di nessun aiuto, ma grazie comunque. Ero solo curiosa.»
«Curiosa di cosa?», domandò Molly difensiva.
«Ma di te, ovviamente. Ho sempre pensato che fossi un pezzo interessante, nella scacchiera di Sherlock.» Le sorrise di nuovo. «Non ti nascondo che la prima impressione è stata ben diversa da quello che mi ero aspettata. Ma del resto il caro Sherlock è quasi sempre imprevedibile.»
Molly iniziò ad irritarsi. «Ho del lavoro da sbrigare. Quindi, se non le dispiace, dovrei chiederle di andarsene.»
Irene rise. «Ma che cosina carina che sei, Molly Hooper. Mi sono domandata perché Sherlock avesse tutta questa premura nel tenerti nascosta al resto del mondo...o quanto meno, al resto del suo mondo. Ma ora vedo. Vedo bene.»
«Non so di cosa stia parlando», rispose Molly infastidita. «Ma le posso dire due cose. Non sono una “cosina carina” e Sherlock non mi tiene nascosta al mondo, suo o di chiunque altro.»
Le labbra di Irene si piegarono in un sorriso ironico. «Oh, tesoro, io non ne sarei così sicura. Non ti sei chiesta perché non ha voluto presentarmi, prima? Probabilmente teme che ti infetti, o chissà cosa. E poi, cara, come ti spieghi che so tutto di Mrs. Hudson, del caro dottor Watson, perfino di Lestrade, ma quasi nulla di te?» Fece un gesto noncurante con la mano. «Comunque ho visto quello che volevo vedere, quindi vado e ti lascio al tuo...lavoro da sbrigare.»
Si avvicinò all’uscita, ma sulla soglia del laboratorio bloccò la porta prima che si chiudesse. «Un’ultima cosa, Molly tesoro. Non so se lo sai, ma Sherlock protegge sempre quello che gli appartiene, anche quando si tratta di pezzi minori. Anche quando si tratta di un pedone come te.»

*

Sherlock entrò nel laboratorio. Molly non disse nulla.
Sherlock dichiarò che aveva bisogno di analizzare alcuni campioni di terra e vegetazione. Molly non disse nulla.
Sherlock annunciò che lui e John avevano tra le mani un caso interessante. Molly, di nuovo, non disse nulla.
Fu a quel punto che Sherlock realizzò che c’era qualcosa di sbagliato. «Sei più silenziosa del solito, Molly. Quale sembra essere il problema?»
Lei fece passare un istante, prima di rispondere. «Nulla.»
Lui la guardò vagamente annoiato. «Non te lo chiederò una terza volta. Cosa c’è?»
«Nulla», disse di nuovo lei.
«Bene», fu la risposta secca di Sherlock.
«Bene», fu la risposta indispettita di Molly.

Un’ora più tardi John, trafelato, incontrò Sherlock in uno dei corridoi del Barts. «Qual’è il problema?», domandò con il fiato ancora corto. «Nel messaggio hai detto che era urgente.»
«E’ Molly», rispose Sherlock con un tono di voce che John riuscì a definire solamente come lamentoso.
«Le è successo qualcosa? Sta bene?»
«Sì e no. Per questo sei qui.»
John lo guardò confuso. «Come?»
«Sì, le è successo qualcosa e no, non sta bene. Ma si rifiuta di dirmelo. Anzi, si rifiuta di parlare», disse Sherlock irritato. «Si sta comportando in modo irragionevole. Ho bisogno che tu vada lì dentro e le parli. Risolvi la cosa. Non posso lavorare così, è snervante.»
John si prese un attimo per assorbire la notizia. «Le hai detto qualcosa, Sherlock? O le hai fatto qualcosa?»
«Oh, per l’amor del cielo, John!», esclamò lui arrabbiato. «Non mi sono comportato né più né meno di come mi comporto tutti i giorni! Ora vai dentro e fai qualcosa!»

Quando John uscì dal laboratorio, Sherlock capì immediatamente che la situazione non era stata risolta. Caso mai era solo peggiorata. I messaggi inviati dal corpo di John erano inequivocabili. Quanto meno lui non si chiudeva in silenzi irrazionali, preferiva di gran lunga dirgli le cose in faccia.
«Irene Adler era qui?», domandò John freddamente.
Ah, pensò Sherlock.
«Irene Adler, viva, era qui», continuò John. Gli sfuggì una breve risata sarcastica. «Perfetto. Geniale. Posso almeno sapere come ha intenzione di rovinare le nostre vite, questa volta? Dato che non hai ritenuto importante dirmi che è ancora viva.»
«Era una questione di sicurezza», rispose Sherlock pacato.
Di nuovo, John rise sarcastico. «Non dovrei più stupirmi con te, eppure continuo a farlo. E sai una cosa, Sherlock? Molly ha perfettamente ragione ad essere arrabbiata. E vuoi sapere anche qualcos’altro? Questo è un tuo problema e lo risolvi da te.»
Con stupore, Sherlock guardò allontanarsi un John molto, molto arrabbiato.
Dislessia, ecco cos’era. Dislessia comportamentale.

*

Era difficile spiegare come si fossero chiariti. O se lo avessero fatto del tutto, a dire il vero.
Il giorno in cui Sherlock si era ripresentato al laboratorio, lui e Molly erano rimasti chiusi nel rispettivo silenzio per almeno cinque minuti. Poi Molly, improvvisamente, aveva detto  qualcosa, ma l’aveva detto tutto d’un fiato ed era quindi risultato incomprensibile.
«Scusa?», aveva domandato Sherlock confuso.
«Non sono uno dei tuoi pedoni», ripeté lei più lentamente. «O una cosa carina
«Non ho mai pensato che tu lo fossi», replicò Sherlock lentamente.
«Non avevo finito», disse Molly seccata. Ignorò il nodo alla gola che la risposta di Sherlock aveva creato. «Non sono uno dei tuoi pedoni. O una cosa carina. Non ho bisogno di essere protetta o nascosta. Non sono alta e fatale e...e qualsiasi altra cosa Irene Adler può essere. Io non sono lei. Non voglio essere lei.»
Sherlock non rispose subito. In parte stava ancora analizzando le sue parole, in parte voleva essere sicuro che Molly avesse finito. «Non potresti mai essere lei, comunque.»
Dallo sguardo ferito che le comparve negli occhi, Sherlock capì che Molly aveva frainteso. O forse era lui che non era stato nuovamente capace di spiegarsi. «Quello che voglio dire», disse piano, quasi misurando le parole, incerto su quali usare e dove trovarle. «Tu sei una persona completamente diversa, Molly. Quello che fa di Irene Adler quello che é, non troverebbe mai spazio dentro di te.» Si lasciò sfuggire un tono frustrato. Sembrava incapace di arrivare dove voleva. «Irene Adler é una donna con priorità diverse. Per lei tutto è un gioco o un’opportunità da girare a suo vantaggio, o entrambe le cose. Anche un bacio verrebbe contorto e manipolato fino a trovare il modo di usarlo per qualche scopo. Tu, invece, sei all'estremo opposto. Tu non faresti mai nessuna delle cose che Irene Adler é capace di fare. Come ti ho già detto, mi fido di te. Nella tua vita, forse, ci sono troppi sentimenti, ma io non sono la persona giusta per dirti se é sbagliato oppure no. E comunque immagino che se i sentimenti sono abbandono, allora sia più saggio abbandonarsi ad essi con qualcuno che ne avrà cura. Qualcuno come te.»
Molly rimase in silenzio per qualche istante. Cercò di dire qualcosa un paio di volte, ma i pensieri sembravano essersi incastrati in qualche angolo della sua testa. «Grazie», riuscì a mormorare alla fine.
Forse non era quello che avrebbe voluto davvero dire, ma era sicura che Sherlock avrebbe capito. Capiva sempre.

*

In seguito, Molly ripensò alle parole di Sherlock spesso. Probabilmente anche troppo spesso, per il suo stesso bene.
Ma a parte questo particolare, tutto il resto era tornato a scorrere in maniera normale. Sherlock e John passavano dal laboratorio o dall’obitorio ogni qualvolta avevano bisogno. Molly continuava ad accettare appuntamenti, che spesso non andavano oltre il primo o che Sherlock trovava modo di farle cancellare. Ogni tanto lui diceva qualcosa che la feriva o la faceva arrabbiare, ma la maggior parte delle volte trovava anche il modo non tanto di farsi perdonare, ma piuttosto di far scordare a Molly l’incidente.
C’erano state altre feste, compleanni e nuovi motivi per festeggiare tutti insieme. Alcuni erano andate bene, altri meno bene.
Non c’erano stati, però, altri baci tra Molly e Sherlock.
Da qualche parte nelle teste di entrambi, la cosa era stata dovutamente chiusa, sigillata e archiviata per sempre. Punto e fine. 

O almeno fino ad un glorioso giorno di pioggia, mesi e mesi dopo.

  
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