Era un sogno ricorrente.

Dal suo lettino guardava la finestra e scorgeva una luce intensa ma molto delicata. Entrava piano piano, ma senza remore nella stanzetta rosa, pieni di specchi che la riflettevano sui tanti volti di orsacchiotti di peluches, i quali spalancavano gli occhietti di bottoni in segno di stupore. Lei sussurrava al suo preferito, che teneva tra le braccia, “non avere paura piccolo mio, adesso voliamo”.

Si lei lo sapeva già, per cui allungava le braccia fuori dalle coperte rosa e le spalancava come un angelo stiracchia le sue ali. La luce la portava in alto, nel cielo. Il suo piccolo amico volava con lei, ma solitamente sentiva troppo freddo e la luce lo riportava nel lettino rosa, ad aspettarla.

La piccola invece non batteva un brivido di freddo, seppure avesse solo un vestitino leggero leggero, da notte: era il suo sogno, tutto era meraviglioso e fantastico.

La luce la portava attraverso le nuvole scure, le stelle la abbagliavano. Quando c’era la luna ci passava accanto e le accarezzava la faccia rugosa, per salutarla.

Arrivava infine alla grotta delle janas, le piccole fate dalle dita sottili, per tessere i capi d’oro. Lì, la luce la posava su uno scoglio sul mare. Allora la piccolina volgeva il viso verso l’alba, perché nell’orizzonte potesse vedere le magiche creature dispettose e golose che abitavano la grotta. Eccole, in controluce, le vedeva arrivare verso casa, correre veloci nel cielo che si rischiarava: la notte si dissolveva e non dovevano farsi cogliere all’improvviso dal sole, per non  tradire l’incanto.