Anime & Manga > Pandora Hearts
Ricorda la storia  |      
Autore: Neko no Yume    17/02/2012    2 recensioni
Era Ofelia e andava incontro alla morte con un sorriso spensierato rigato di lacrime che nessuno avrebbe mai visto né sospettato e che ora si perdevano nel laghetto mentre le labbra e il volto scivolavano sotto la superficie e l'ossigeno nei suoi polmoni lasciava spazio senza remore al liquido gelido che l'aveva inglobato.
(elliot/oz; angst)
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Elliot Nightray, Oz Vessalius
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ofelia

Bolle d'aria, l'ultima che gli restava nei polmoni, turbinavano veloci attorno al suo viso e verso la superficie, per poi infrangervisi contro ed evaporare.
Schiuse la labbra in un ultimo anelito, la vita che si perdeva nell'acqua e la vista sempre più annebbiata, poi il bruciore ai polmoni.
Intenso e improvviso, l'istinto di continuare a vivere premeva dolorosamente contro la sua cassa toracica, infischiandosene della sua disperazione.
Oz riemerse in una fontana di schizzi, riempiendosi di nuovo il petto agitato d'aria fresca e stringendo i bordi della vasca sino a farsi sbiancare le nocche tremanti.
Quante volte ci aveva già provato ormai?
Aveva perso il conto di tutti i tentativi di suicidarsi andati a vuoto negli ultimi mesi, si limitava a collezionare fallimenti e riprovarci appena si sentiva sprofondare troppo nella depressione, sua fedele compagna da troppo tempo.
Purtroppo era e sarebbe sempre rimasto un codardo, troppo spaventato dalle lame per tagliarsi le vene ai polsi, troppo soggetto alle vertigini per gettarsi da un tetto e ora persino troppo spaventato dalla morte per lasciarsi annegare nella propria vasca da bagno.
Percorse con iridi verdi e distaccate il suo corpo pallido imperlato di gocce d'acqua che gli grondavano dalla frangia bagnata e rotolavano verso il basso, riempiendogli le orecchie del loro tintinnio e increspando lo specchio liquido oltre il quale proseguivano le sue gambe.
Si rese conto solo in quel momento di stare tremando come una foglia e si alzò, afferrando distrattamente un asciugamano e strofinandosi quella stoffa ruvida e porosa addosso sino a graffiarsi.
Sospirò pesantemente e tossicchiò per qualche secondo, poi si annodò l'asciugamano attorno alla vita e accese il fon al massimo, la zaffata d'aria calda che gli scompigliava i capelli e asciugava lacrime che non si era accorto di aver pianto.
-Siamo ancora io e te-, mormorò con le labbra bagnate premute contro il polso dove pulsava ancora il suo sangue, imperterrito.
Se avesse chiuso gli occhi probabilmente gli sarebbe tornato in mente il suo viso, quelle iridi di ghiaccio inflessibili e traboccanti di disprezzo l'avrebbero trafitto nuovamente senza pietà, quindi il ragazzo si alzò e infilò il primi vestiti che trovò e uscì di casa.
La brezza gentile della primavera gli solleticava le braccia lasciate scoperte dalla maglietta sdrucita e il collo mentre la fendeva con ampie falcate e il solito sorriso radioso che riusciva a esibire in ogni circostanza, per quanto dentro si sentisse morire, come la maschera di una tragedia greca inenarrabile e perfettamente recitata.
Non si scompose neanche quando li vide, seduti all'ombra di un faggio nel parchetto del quartiere che leggevano e scherzavano come sempre, ma rimase impassibile e si avvicinò trotterellando, consapevole che si sarebbe fatto solo altro male ma come ipnotizzato dalla scena.
-Buongiorno~!-, cinguettò a voce alta, agitando una mano nella loro direzione.
Elliot Nightray alzò lo sguardo verso di lui e il sorriso appena accennato che gli incurvava le labbra si sgretolò, lasciando posto alla solita smorfia contrariata con cui affrontava il mondo e, in particolare, quel piccolo seccatore del giovane Bezarius.
-... Shorty-, esalò scostante nella sua direzione.
-Ciao Oz~!-, rispose invece allegramente Leo Baskerville da dietro gli enormi occhiali, chiudendo il libro nel quale era immerso e rivolgendogli uno sguardo allegro e smaliziato almeno quanto il suo -Come va?-.
Era sempre così, arrivava e si univa a loro, scambiando i soliti convenevoli e chiacchierando di nulla, magari a volte riusciva a esasperare Elliot più del solito o intrattenere una conversazione intelligente ed esistenziale con Leo su qualche libro letto da entrambi, ma non si andava mai oltre.
Per quanto si sforzasse, finiva sempre con lo sbattere il naso contro la cupola invisibile che si ergeva attorno a loro due, intessuta di sguardi carichi di tenerezza e sottintesi della durata di un istante, colpetti leggeri, carezze casuali e risate allegre, rimanendo a osservare da lontano la loro chimica così perfetta quanto irraggiungibile.
A volte si chiedeva se il suo vero problema non fosse il masochismo, qualche pulsione interna che lo spingeva a farsi del male, come per esempio l'aveva spinto ad innamorarsi perdutamente e senza via d'uscita della persona più irraggiungibile che conoscesse, nonché acerrima nemica della sua famiglia, Elliot Nightray, e che ora lo stava manovrando come un burattino impotente, facendolo sedere accanto a lui.
-Che state leggendo?-, chiese in tono innocente, il busto sporto in avanti e le iridi brillanti di curiosità.
Prima che l'oggetto dei suoi desideri avesse il tempo di berciargli contro che non erano affari suoi, Leo gli posò una mano sulla spalla e cinguettò con lo stesso timbro di voce -Più che una lettura di piacere, studiamo Shakespeare. Elliot è un somaro quando si parla di interpretare qualcosa, quindi lo sto aiutando a tirar fuori il suo lato romantico inesistente-.
-Non è affatto vero!-, protestò indignato il compagno di studi, facendo sollevare in volo alcuni passeri dalle fronde del faggio e scatenando le risatine ironiche degli altri due.
-Letteratura è la materia in cui vado meglio, posso dare una mano?-, si offrì Oz, il sorriso più umile e conciliante che riuscisse a fare dipinto sulle labbra.
-Se proprio ci tieni...-.
-Ne saremmo onorati~, Ofelia e le sue fantasticherie suicide ci stanno dando parecchio filo da torcere-.
Il giovane Bezarius rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva nell'udire quelle parole pronunciate con tanta noncuranza, maledicendo se stesso, William Shakespeare, Amleto e chiunque gli capitasse in mente al momento.
-D-davvero? Ma dai, leggi un po'-, biascicò una volta riprese le funzioni respiratorie di base.
Leo gli lanciò un'occhiata preoccupata, poi si strinse nelle spalle sottili e iniziò a decantare ad alta voce i meravigliosi versi della tragedia di una donna che scivolava inesorabilmente nell'abisso della follia.

Le sue vesti, gonfiandosi sull'acqua,
l'han sostenuta per un poco a galla,
nel mentre ch'ella, come una sirena,
cantava spunti d'antiche canzoni,
come incosciente della sua sciagura
o come una creatura d'altro regno
e familiare con quell'elemento.
Ma non per molto, perché le sue vesti
appesantite dall'acqua assorbita,
trascinaron la misera dal letto
del suo canto a una fangosa morte.

Finita la lettura, Elliot e Leo scrutarono Oz impazienti, in trepida attesa delle parole del preferito della professoressa di lettere, famosa per la sua discendenza da un'arpia e per l'abitudine di fare i gargarismi con l'acido muriatico.
Il ragazzo si schiarì la gola resa arida da quello sguardo azzurro fisso su di lui e quelle parole scritte quattro secoli prima ma che rispecchiavano la sua situazione come lo specchio d'acqua dov'era annegata Ofelia, poi gonfiò il petto e lasciò che dalle sue labbra fluisse il fiume di parole che si celavano dietro la pazzia della ragazza e le sue canzonette senza senso, mischiandovi i propri sentimenti a poco a poco, macchiandole e rimodellandole senza sosta nel disperato tentativo di dare un senso a come si sentiva, all'annegamento continuo.
Appena la sua voce si fermò l'aria si riempì di un silenzio quasi spiazzante, colto di sorpresa da qualche rivelazione e rotto solo dallo scribacchiare della penna di Elliot sulla carta e da un tenue ma sentito applauso da parte di Leo.
Sentì le guance avvampare e le lacrime pizzicargli a tradimento gli angoli degli occhi, che coprì prontamente col braccio fingendo di asciugarsi del sudore immaginario e approfittandone per alzarsi in tutta fretta, la vista che esplodeva in un buio punteggiato di accecanti luci colorate per colpa dello sforzo improvviso.
-Beh, se non avete più bisogno di me io andrei!-, esclamò con voce camuffata e il viso rivolto altrove.
-Di già?-, si lamentò Leo arricciando le labbra -Sei stato un ottimo insegnate!-.
Oz gli rivolse un sorriso tirato, poi gli occhi gli ricaddero su Elliot come due magneti, per quanto facesse male.
-Forse nella tua testa c'è qualcosa oltre alla segatura-, borbottò lui -... Grazie-.
Temette seriamente di collassare sotto il peso di quelle iridi così azzurre e improvvisamente sincere, mentre il cuore sembrava determinato a risalirgli fino alla gola, lo stomaco a torcersi su se stesso e le labbra a schiudersi in un'espressione quasi estatica. Meglio andare, probabilmente sembrava solo un'idiota.
Rivolse ai due un cenno di saluto col capo e iniziò a correre nella direzione opposta, il battito cardiaco che gli rombava sempre più forte nelle orecchie e le mani strette a pugno sino a conficcarsi le unghie nella carne.
Un misero ringraziamento non avrebbe di certo cambiato le cose, l'aveva illuminato per un attimo ma Oz era destinato a ripiombare nell'oscurità, l'anonimato e il disprezzo che lo avvolgevano sempre davanti a Elliot, era solo questione di tempo.
Era come se la lucerna del faro che avrebbe dovuto guidarlo attraverso il mare in tempesta della sua mente fosse perennemente fulminata e il guardiano si ricordasse di cambiarla solo poche volte, troppo poche per tenerlo a galla.
La porta di casa gli si parò davanti all'improvviso, non si era accorto di aver corso così tanto.
Infilò le chiavi nella serratura con mani tremanti per la fatica e si richiuse la porta alle spalle, accasciandosi sul pavimento del salotto con gambe tremanti e il fiato corto.
In quel momento notò un piccolo post-it giallo canarino attaccato sullo stipite all'altezza dei suoi occhi, come se chiunque ce l'avesse messo sapesse perfettamente dove si sarebbe rannicchiato una volta tornato. Sopra la carta erano vergate in una grafia tonda e ariosa parole che ormai conosceva sin troppo bene.

"Fratellino, spero che tu stia bene e non stia mangiando solo pizza e cibi precotti. Sono passata a rimetterti un po' in ordine casa, sembra la tana di un troll come sempre! Il bucato pulito è sopra il tuo letto, ora devo andare o papà si insospettirà. Sai com'è fatto. 

Ti voglio bene, Ada"

Era sempre così: da quando, appena un anno prima, aveva confessato a suo padre di essere innamorato di un ragazzo nella vana ricerca di suggerimenti, era stato ripudiato seduta stante dalla famiglia e spedito a vivere da solo come un apolide, un reietto.
Sua madre era morta dandolo alla luce e l'unica persona che gli fosse rimasta vicina e che andasse a fargli visita di straforo era sua sorella.
Non poteva andare peggio, davvero.
Incassò la testa tra le spalle, il respiro che si faceva sempre più lento, quasi inesistente, mentre le parole di Ada si mischiavano ai versi di Shakespeare letti poco prima in una tempesta d'inchiostro che gli offuscava la vista e lo trascinava nell'oblio.
Si risvegliò dalle braccia di Morfeo che il sole era già tramontato e con la schiena che gridava pietà a ogni movimento che provava a fare.
Dopo qualche tentativo andato a vuoto, riuscì finalmente ad alzarsi e trascinarsi sino alla camera da letto; il bucato era stato accuratamente stirato e piegato dalla sorella e troneggiava sulle lenzuola perfettamente rifatte sprigionando nell'aria un piacevole odore di pulito e detersivo.
Sulla pila ordinata troneggiava persino un mazzetto di fiori di campo miracolosamente ancora intatti e rigogliosi.
Improvvisamente un'idea, probabilmente la più malsana e sbagliata che avesse mai avuto, si impossessò della sua mente e Oz si svestì con una fretta quasi febbrile, per poi scostare con cura i fiori dai vestiti e indossare una maglietta e dei pantaloni, completamente bianchi. Riprese in mano il mazzo e si avvicinò allo specchio appeso alla parete, sistemandosi fra i capelli e le punte delle orecchie le infiorescenze colorate, una pioggia di colori a imperlargli il capo in gocce profumate.
-Sembro proprio Ofelia-, ridacchiò tra sé e sé in un tono troppo smorto e tetro per il sorriso che l'aveva pronunciato.
Fece una piroetta su se stesso e uscì nuovamente di casa, avviandosi verso il parco e beandosi delle carezze dell'erba sulle piante dei piedi scalzi e pallidi.
Il laghetto riluceva lì vicino come un'enorme chiazza scura dotata di vita propria e pronta a risucchiare gli incauti che si fossero avvicinati alle sue rive sotto la tremula luce della luna e le stelle che punteggiavano un cielo blu di Prussia, fitto e impenetrabile.
Oz affondò fino alle caviglie nella rena fredda e scura della sponda, l'acqua schiumosa che iniziava a lambirgli le gambe e a gonfiare la stoffa bianca attorno a loro, e chiuse gli occhi, procedendo passo dopo passo e cercando di ignorare i brividi che gli percorrevano la spina dorsale.
Ormai era immerso sino al petto, i vestiti ondeggiavano come alghe spettrali, fantasmi che si affollavano attorno a lui come avvoltoi, e il fondo del lago continuava a degradare dolcemente sotto di lui.
Si ritrovò presto con l'acqua alla gola, ma neanche in quel momento si fermò.
Era Ofelia e andava incontro alla morte con un sorriso spensierato rigato di lacrime che nessuno avrebbe mai visto né sospettato e che ora si perdevano nel laghetto mentre le labbra e il volto scivolavano sotto la superficie e l'ossigeno nei suoi polmoni lasciava spazio senza remore al liquido gelido che l'aveva inglobato.
Le ultime bolle d'aria gli turbinarono davanti al viso come ogni volta, ma non le avrebbe più seguite verso la vita, no, sarebbe semplicemente caduto in un torpore ovattato e libero dalla sofferenza che si trascinava addosso da troppo tempo.
Sorrise un'ultima volta, prima di perdere conoscenza del tutto e per sempre.
O almeno finché non sentì un tonfo sordo in lontananza e una corrente improvvisa sferzargli il viso e il corpo, improvvisamente più leggero e caldo.
Avvertì qualcosa di ruvido graffiargli la nuca e le braccia, mentre il petto sobbalzava sotto il peso di colpi violenti e ripetuti e tutta l'acqua che aveva ingerito gli risaliva bruciante la gola e prorompeva dalle labbra livide.
Sgranò gli occhi e tossì con violenza, le mani protese verso l'alto di riflesso e il corpo scosso da convulsioni.
Sbatté le palpebre più volte prima di riuscire a mettere a fuoco con gli occhi che pizzicavano ancora e si lasciò sfuggire un basso lamento strozzato quando quel volto così inconfondibile gli si delineò davanti.
-Ugh, credevo che il Paradiso fosse un po' più piacevole...-, riuscì a biascicare con voce impastata e raschiante.
-Ma che cazzo stai dicendo!? Anzi, che cazzo stavi facendo!-, berciò Elliot fuori di sé scuotendolo per le spalle -Sapevo della tua stupidità congenita ma... Cercare di annegarsi nel laghetto va ben oltre!-.
-Per essere una visione angelica sei abbastanza rude, lasciatelo dire-.
-Non sono un angelo!-.
Oz non rispose e socchiuse le palpebre lasciandosi invadere dal freddo che gli intorpidiva le membra, già appesantite dai vestiti zuppi, ma la sua quiete fu interrotta da nuovi scossoni da parte del suo salvatore.
-Senti, non so cosa i frulli per quella testa contorta, ma non ti ho salvato dall'annegamento solo per lasciarti assiderare-, decretò lui in tono militaresco -Quindi adesso vieni a casa mia e poche storie, capito?-.
Anche se avesse voluto, di storie non avrebbe potuto farne comunque in quello stato, quindi si lasciò tirare su a peso morto da Elliot e si appoggiò a lui per provare qualche passo incerto e smarrito.
-Sei fortunato Shorty, abito proprio qua davanti-, lo sentì borbottare nel suo orecchio coi denti che battevano per il vento freddo che li sferzava -E collabora un minimo, maledizione!-.
Finalmente si trascinarono sino all'ingresso di casa del Nightray, una piccola villetta dipinta di un azzurro tenue e incuneata in tante simili disposte a schiera, dove si intrufolarono più velocemente possibile.
Oz si ritrovò raggomitolato sul letto dell'altro a osservare come in trance le sue dita affusolate e decise che gli sfilavano di dosso la stoffa impregnata di morte, acqua e gelo e lo avvolgevano stretto in un plaid, strofinandogli poi con un asciugamano di spugna i capelli bagnati e il petto ancora scosso da tremiti spezzati.
Mentre sentiva il sangue tornare a scorrere e formicolargli sotto la pelle e teneva lo sguardo fisso su Elliot che si liberava come lui dei vestiti fradici e si gettava un altra coperta sulle spalle nivee, realizzò di non trovarsi in nessuno strano Paradiso ma ancora tra i vivi.
Fu come ricevere un pugno dritto all'altezza della bocca dello stomaco.
Non aveva funzionato.
Non c'era riuscito neanche quella volta.
E a impedirgli di morire era stata la causa primaria del suo desiderio di farla finita.
Dalle labbra ancora violacee proruppe una risata dapprima sommessa, poi sempre più forte e violenta mentre Oz gettava la testa all'indietro e si lasciava cadere sul materasso con un tonfo leggero.
Sapeva che l'altro in quel momento gli stava lanciando un'occhiata stralunata, carica di sconcerto e rabbia per un gesto che aveva sempre disprezzato, riusciva a vederlo con la coda dell'occhio assieme al suo corpo tanto sognato e libero di essere ammirato sotto la luce artificiale di una lampadina ma inesorabilmente distante.
-E ora che ti prende?-, si sentì chiedere in tono aspro.
-Rido dell'ironia della vita-, riuscì a rispondere tra uno scoppio di risa e l'altro -Il nostro caro palcoscenico che si diverte a farci cadere e inciampare-.
La voce gli si incrinò in maniera innaturale, forzata, mentre alle risate si mischiavano singulti disperati e le lacrime tornavano a rigargli le guance.
Notò in quel momento qualcosa brillare sul comodino accanto al letto, la lama affilata di un tagliacarte d'argento riluceva maliziosa promettendogli la fine di tutto quanto, di nuovo.
Lo afferrò con impeto e se lo portò al petto senza esitazione, deciso a trafiggersi il ventre e dissanguarsi davanti all'uomo che amava, ma ancora una volta Elliot glielo impedì, balzandogli addosso in una frazione di secondo e bloccandogli i polsi in una morsa ferrea.
Il tagliacarte cadde con un tintinnio sul pavimento mentre le dita di Oz si schiudevano per la sorpresa e il dolore e la testa gli sbatteva contro la testiera del letto.
-Non. Ci. Provare-.
La voce del Nightray era un ringhio basso, furioso, nel suo orecchio destro, il suo corpo fremeva contro di lui dalla voglia di prenderlo a pugni fino a frantumargli il setto nasale e fargli sputare a sangue quella vita salvata due volte e distrutta infinite.
Suo malgrado, si sentì attraversare da un fremito elettrizzato e schiuse le labbra in un sospiro vibrante di tensione, intrecciando le dita con quelle affusolate e forti che lo stavano bloccando e strusciando appena i piedi sulla coperta.
Elliot se ne accorse e si scostò di qualche centimetro da lui per potergli piantare in viso le iridi ghiacciate e venate di sconcerto.
Era troppo, sostenere uno sguardo così senza vacillare era davvero troppo, riuscì a pensare Oz prima che gli occhi gli si appannassero nuovamente di pianto.
-Si può sapere perché l'hai fatto?-, gli gridò esasperato tra i singhiozzi -Ero felice finalmente, ma no! Hai dovuto rovinare tutto e sbattermi nuovo in questa vita schifosa, tu!-.
Non gli diede neanche il tempo di replicare, sporgendosi verso di lui e chiudendogli la bocca con un bacio affamato e disperato che sapeva di sale.
L'aveva sognato infinite volte, aveva fantasticato su come sarebbe potuto essere assaporare quelle labbra, morderle, leccarle, ma non aveva mai osato raggiungerle davvero, limitandosi a seguirne le forme morbide con gli occhi.
Sentì Elliot irrigidirsi ancora di più a quel contatto e si staccò a malincuore da lui, lo sguardo ferito e ancora assetato.
-Sai, fa male quando la persona che ami neanche ti chiama per nome-, sussurrò con voce spezzata, mentre nella mente gli si affollavano tutti i momenti in cui era stato apostrofato, trattato con indifferenza o disprezzo, tutti gli "Shorty" o "Bezarius" che gli erano stati rivolti.
Non si rese neanche conto di essersi dichiarato finché l'altro non balzò all'indietro sul letto come se si fosse bruciato e lo scrutò in tralice, le dita premute contro le labbra e il fiato corto.
Avvamparono entrambi e Oz interruppe il contatto visivo reclinando la testa all'indietro e poggiando la fronte contro la testiera senza sapere se sentirsi esausto, imbarazzato o sollevato.
-Sei libero di odiarmi ancora di più ades...-, si interruppe bruscamente nell'avvertire il lieve solletico del fiato del Nightray sul collo scoperto e rimase immobile, senza quasi osare respirare o chinare il capo.
-Lo stavi davvero facendo per colpa mia?-, lo sentì bisbigliare in tono che sembrava incredibilmente contrito, spaventato.
Deglutì a fatica e si limitò ad annuire impercettibilmente mentre Elliot risaliva sino al suo volto e lo prendeva delicatamente tra le mani, come qualcosa che si potesse rompere in mille pezzi da un momento all'altro, costringendolo a guardarlo in faccia.
-La tua vita vale molto di più-, asserì -E lasciarsi calpestare così non ha senso, capito? Non puoi basarti solo su una persona!-.
Un pesante silenzio calò tra di loro e nessuno dava segno di volerlo spezzare, l'uno troppo shockato e l'altro troppo inadeguato.
Passarono diversi secondi, pesanti e lenti, in cui nessuno si arrischiò a dire niente, poi il padrone di casa sbuffò contrariato e contrasse le labbra in una smorfia inacidita, aprendole e richiudendole alla ricerca della forza per dire ciò che gli premeva in gola.
-... Oz-.
Era quasi un sussurro inudibile ma il suo sguardo non lasciava spazio a dubbi, l'aveva appena chiamato per nome.
-Posso chiamarti per nome quante volte vuoi, perciò ti prego-, continuò mentre si chinava ad asciugare con la punta delle dita le lacrime che ancora imperlavano le gote dell'altro -Continua a vivere-.
-Ripetilo-.
Le sue corde vocali si erano mosse da sole, vibrando di un impulso rimasto segregato tra di loro per troppo tempo.
La schiena si sollevò verso l'alto e le braccia si intrecciarono dietro la nuca di Elliot alla ricerca di equilibrio, di contatto, le dita che si aggrappavano a lui come a uno scoglio.
-Ti prego-.
L'altro sembrava indugiare in bilico sull'orlo del verde dei suoi occhi, ma vi si lasciò precipitare in silenzio con un bacio, le labbra schiuse contro quelle di Oz a mormorare di nuovo il suo nome, più e più volte.
Disseminò quella pelle così candida e scoperta, ancora umida dell'acqua che aveva provato a inghiottirla, di tocchi lievi, sfiorandola, baciandola, carezzandola, mordendola, imprimendole addosso sempre le stesse due lettere, mentre lei si lasciava esplorare fremente sotto di lui.
Le loro gambe si intrecciarono, i bacini strusciarono l'uno contro l'altro, i corpi si urtarono e si diedero l'uno all'altro con fretta assetata e disperata nella notte che non apparteneva a nessuno e dove tutto era consentito, almeno per una volta.
E finalmente, mentre il pianto si dissolveva sulle sue guance arrossate e le palpebre si chiudevano stanche nell'abbraccio di Elliot, così più caldo e rassicurante di quello di Morfeo, Oz si sentì per la prima volta dopo troppo tempo vivo.




Yu's corner.
Sono una persona cattiva~!
Sono pessima, sfogo il mio malumore su uno dei miei personaggi preferiti e oltretutto pubblicare qualcosa su Oz dopo gli spoiler sull'ultima retrace è terribilmente crudele.
Whatevah, a mia difesa posso dire di aver iniziato questa cosa terribilmente depressiva e (forse) OOC settimane fa.
Spero di non aver indotto nessuna povera anima al suicidio o al mio linciaggio, sono sempre persa per la elliot/leo, ma a volte questi momenti elliot/oz molto angst e oneside che hanno bisogno di sfogo.
Grazie comunque a chi leggerà o recensirà, bye bye!
Yu.

 



















 























 

 



  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pandora Hearts / Vai alla pagina dell'autore: Neko no Yume