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Autore: TheTsundere_Miharu    17/02/2012    5 recensioni
«N-non farlo!»
Aveva davvero sentito una voce sconosciuta urlargli queste parole? Si portò una mano all’orecchio sinistro, convinto di essersi sbagliato.
{ Flippy/Flaky. }
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You found me.



Passi lenti, appena accennati, confusionari.
Uno sguardo verso il cielo, riempito da grigie nuvole preannuncianti la pioggia. Non che gli importasse, in fondo la cosa peggiore che poteva capitargli era un piccolo raffreddore. E probabilmente sarebbe tornato presto a casa, quindi non c’erano problemi.
Abbassò di nuovo lo sguardo, osservando i suoi anfibi, nuovi di zecca. Aveva risparmiato duramente per comprarseli, e finalmente li aveva tutti per sé. Accennò un sorriso fra sé e sé e continuò a passeggiare lungo quel sentiero, andando chissà dove.
Vide un albero.
Era spoglio per metà, le foglie stavano cominciando a cadere. Una semplice folata di vento poteva staccarne una manciata, facendole volteggiare con l’eleganza di una ballerina, per poi permettergli di posarsi dolcemente a terra, senza rumori inutili e movimenti bruschi.
Del resto, le foglie rimaste ancora attaccate a quell’albero rappresentavano i suoi ultimi indumenti, e gli davano quel tocco di vita e di colore che presto sarebbero state strappate via dall’inverno.

Qualcosa, però, attirò la sua attenzione.
Di foglie ce n’erano a bizzeffe, ma proprio ai piedi del tronco, vicino alle radici, c’era un mucchietto isolato molto sospetto.
Si avvicinò lentamente, un po’ diffidente. Poteva esserci qualunque cosa lì sotto… anche una bomba!
Corrucciò il viso, fissando intensamente in quel punto con i suoi occhi verdi, rimuginando sul da farsi.

«Mi siederò!»
Esclamò infine a gran voce, stringendo i pugni. In fondo lui sarebbe diventato un militare, non poteva permettersi di tentennare per qualcosa di così insignificante!
Fece per sedersi, ma si bloccò giusto a qualche centimetro dal mucchietto. Fortunatamente.

«N-non farlo!»
Aveva davvero sentito una voce sconosciuta urlargli queste parole? Si portò una mano all’orecchio sinistro, convinto di essersi sbagliato.
Si girò verso quella che avrebbe dovuto essere “un qualcosa di pericoloso ma dove avrebbe dovuto sedersi per dimostrare il suo coraggio”, e vide le foglie agitarsi, librarsi di nuovo in aria e danzare ancora, fino alla fine di quel magnifico e lento balletto, che arrivò quando toccarono il terreno.
L’unica cosa che rimanè in quel punto fu una piccola figura.
Tremava, ma lui non riusciva a vedere la sua faccia.
Pensò subito che fosse una ragazza. Indossava una gonna nera che le arrivava fino ai ginocchi, abbinata ad un maglione di lana beige. Teneva il capo chinato – proprio per questo non poteva vederla bene – e questa angolazione evidenziava anche di più i suoi lunghi capelli rossi. Lui ridacchiò appena, guardandoli: erano assolutamente arruffati, sembrava che non li pettinasse da giorni, ormai.

«N-non dovevo urlare. S-scusami.»
Aveva parlato di nuovo – o meglio, sussurrato, dato che lui a stento l’aveva sentita – e, finalmente, aveva alzato il volto.
La guardò attentamente: era sicuro di non averla mai vista. O forse si, ma non aveva una gran memoria per i volti. Era sicuramente molto più piccola di lui, lo poteva costatare dalla sua altezza – o meglio, “bassezza” – e dai tratti decisamente più infantili dei suoi.
Terminò subito dopo di osservarla, perché una domanda ben più importante gli si affacciò nella mente. Si portò una mano ai capelli, grattandosi lievemente la nuca, nervoso.

«Perché eri nascosta in quel modo?»
In effetti era quella la cosa più ovvia che potesse chiedere. Non succede tutti i giorni di incontrare una ragazzina nascosta in modo così sospetto, o almeno lui pensò in questo modo, al momento.
Le puntò ancora gli occhi addosso, e notò che lei non riusciva a fare lo stesso.
Aveva le gote arrossate, e sembrava sul punto di scoppiare a piangere. Aveva anche gli occhi gonfi.
Continuava a tremare, e anche le sue labbra lo facevano. Che avesse timore di parlargli? Gli sembrava una cosa un po’ stupida. Certo, era uno sconosciuto, ma probabilmente si passavano solo qualche anno di differenza. O forse era semplicemente troppo timida.
Anche se quegli occhi che si muovevano rapidi, guardandosi attorno in maniera violenta, gli ricordavano di più… una persona realmente spaventata. Ma da cosa?

Lei indietreggiò improvvisamente. I suoi passi erano tentennanti e ricoprivano breve distanze.
Dopo qualche attimo, raggiunse il tronco e ci si appoggiò. Si portò le mani davanti a quel piccolo volto, accasciandosi quasi di botto.
Lui rimase stupito da quel comportamento. Senza pensarci le si avvicinò di nuovo, anche lui in modo lento – magari così si sarebbe fidata – e cercando di sorridere come meglio poteva. Si piegò sulle ginocchia, incerto sul da farsi.

Forse fortunatamente, fu lei a rispondergli, dopo tutto quel silenzio.
« C’-c’erano dei pulcini. Mi sono spaventata. M-mi fanno tanta paura. Sono cattivi e mi odiano.»
Lui spalancò gli occhi. Non credeva di ricevere una risposta del genere.
E nel frattempo, quella strana bambina aveva davvero cominciato a piangere; nonostante avesse di nuovo abbassato il capo, la sentiva singhiozzare sommessamente.
Non sapeva bene come comportarsi. Era una perfetta sconosciuta, ma non poteva abbandonarla in quello stato, per quanto lo desiderasse.
Storse lievemente la bocca, sbuffando. Già, si era cacciato proprio in un bel guaio. E pensare che, solitamente, era molto riservato e non amava parlare con nessuno che non conoscesse bene.

Quando questo pensiero gli attraversò la testa, si chiese perché si fosse fermato.
Perché le avesse rivolto la parola. Perché si preoccupava per una cosa talmente idiota. Non era da lui.
E si alzò.
Si sentiva stranamente in imbarazzo, come se avesse commesso qualcosa di sbagliato e dovesse fare qualcosa per far tornare tutto a posto. Si sentiva tremendamente innaturale.

«Tu.»
Fu solo un sussurro, pronunciato con un tono stranamente comprensivo.
La vide stropicciarsi gli occhi freneticamente, mentre tirava sul col naso, ed alzarsi di nuovo, nonostante le gambe tremanti e l’espressione stupita. Rimosse l’ultima lacrima dal suo viso arrossato, cercando di guardare l’altro negli occhi. Si chiedeva cosa volesse, e sperava che non l’avrebbe presa in giro.
Tutti la prendevano in giro.

Il ragazzo si girò, il braccio disteso in avanti.
Puntò tutta la zona che li circondava, girandosi da una direzione all’altra senza troppa svelta, così che lei potesse seguire tutti i suoi movimenti. Sbuffò ancora una volta, rivolgendole un sorriso timido.
«Vedi? Quegli animaletti che ti facevano paura ora non ci sono più. Puoi stare tranquilla.»
Quella paura era infondata, andava tutto bene, e lei non avrebbe dovuto essere spaventata. Questo pensava, ma preferì tenerlo per sé.
Chinò il capo. Anche quello era un comportamento insolito.
Lui era coraggioso, forte e sapeva come rispondere in ogni circostanza, ma… Per quanto si sforzasse di ricordare, non aveva mai incoraggiato qualcuno. Non aveva mai cercato disperatamente di consolare qualcuno.
Perché in verità – se ne accorse solo in quel momento - era quello che stava cercando di fare fin dall’inizio.
Consolarla.
Senza nessuna ragione apparente.

E dato che lei sembrava non voler parlare, cercò di incoraggiarla ancora di più.
Fece qualche passo in avanti – quella volta non fu timoroso, sapeva che l’altra non sarebbe scappata – e allungò la sua mano verso quella massa di ciuffi rossi che volevano ostentarsi come “capelli”.

Prese una foglia. In effetti era rimasta impigliata in quella massa incolta da quando l’aveva “scoperta”.
La rigirò fra le dita, pensieroso. Le rivolse l’ennesimo sorriso. Sempre più timido, a dire il vero.

«Sembri un albero, sei davvero buffa.»

In effetti, lo ricordava.
Tremava come quando uno di essi veniva colpito da una grande folata di vento. Tremava, si piegava, ma poi tornava nella posizione iniziale.
I suoi movimenti ricordavano quelle foglie aggraziate che aveva visto muoversi tanto elegantemente.
Il suo sorriso – apparso per la prima volta sul suo volto dal momento in cui si erano visti, nonostante durò solo un attimo – ricordava i colori autunnali. Era gentile, dolce, ma delicato, quasi velato e nascosto.

Lei afferrò un lembo della sua maglietta. Non tirò, voleva solo attirare la sua attenzione.
Aveva il viso in fiamme – sì, anche più di prima – lo sguardo sempre basso, sfuggente. Sembrava aver paura anche solo di fiatare, di muoversi e commettere qualche sbaglio.
« Puoi rimanere un po’ con me? Ho paura che possano tornare a spaventarmi. »
Una richiesta disperata, nonostante lei fosse intimorita, uscì da quelle sottili labbra dal colore delle ciliegie.

Un abbraccio.

















« Sta per tornare l’autunno, eh, Flippy? »

Quanti anni erano passati da quel giorno? Tanti, davvero tanti, non riusciva a contarli con precisione. Ma in fondo non era quello che importava, almeno per loro due.
Dopo tutto quel tempo erano tornati sotto quell’albero.
Era lo stesso di tanto tempo prima.
Certo, forse un poco più piegato, rovinato dagli anni e dalle intemperie. Anche il legno sembrava essere stato modificato, ma nel complesso riuscivano a scorgerlo come tanto tempo prima.

Lei sorrise, avvicinandosi ad esso.
L’altro rimase in silenzio.
… Quanto tempo era che non si parlavano. Un giorno? Due? Una settimana? Forse una settimana.
Eppure lo aveva tenuto vicino, nonostante tutto. Non gli aveva permesso di fuggire.
Flaky aveva la testa fasciata, ma non sembrava più dolerle.
Continuava a sorridere, serena, sfiorando con quelle dita di porcellana la superficie instabile del tronco. Finalmente l’aveva rivisto, con lui.

Si girò.
« Stai ancora piangendo, Flippy? » pronunciò.
Era così.

La guerra in Vietnam era ormai terminata. I soldati americani rimasti vivi avevano potuto far ritorno nelle loro case, dopo tutto quel tempo fra odore di sangue e cadaveri.
Il suo sogno si era finalmente avverato: era diventato un militare, aveva combattuto delle guerre.
Aveva voluto solo quello, fin da quando era bambino, da sempre.
Ma tutto questo l’aveva desiderato solo prima del loro incontro.

Prima di partire, in quegl’ultimi giorni passati in sua compagnia, nessuno dei due si era mostrato triste.
“E’ il tuo sogno, devi realizzarlo. Io ti supporterò sempre, in qualunque circostanza. Credo in te.”
Flaky era in lacrime mentre pronunciava queste parole, poco prima che lui si allontanasse per poter partire.
Ma allo stesso tempo aveva sorriso, perché sapeva che anche quella guerra sarebbe terminata, era solo questione di tempo, e lui… sarebbe tornato vivo.

Chi avrebbe immaginato cosa sarebbe successo dopo?


« Ora sto bene. »
Quella stessa voce lo riportò alla realtà.

Non voleva più ascoltarla.
Doveva scappare via, andarsene per sempre.
Avrebbe dovuto dimenticarla, cancellarla per sempre dalla sua mente.
Non era più degno di starle accanto.
Indietreggiò, quasi di scatto.
Si portò una mano al volto, l’altra al petto. Aveva dei conati di vomito terribili.
Era… terrorizzato.
Sapeva di essere diventato un mostro.
Ed era consapevole del fatto di essere diventato estremamente… pericoloso.
Per lei, per tutti.
Doveva andarsene, per sempre.

Da sempre aveva voluto fare il militare per proteggere le persone a lui care.
… Ed ora? Non avrebbe più potuto farlo, al contrario, era lui il pericolo.

La sentì avvicinarsi. Voleva venirgli incontro, ancora? Dopo tutto quello che le aveva fatto?
« Vattene. Non avvicinarti. »
Lo mormorò forzatamente, quasi in un grugnito.
Il tono era stato basso, ma Flaky si era improvvisamente fermata, quindi lo aveva sentito.
Ma non andò come aveva immaginato.
Dopo quel momento di incertezza, aveva cominciato a riavvicinarsi.

Flippy non sapeva più che fare. Nella sua mente non riusciva più a sentire nulla: né i passi di lei, né il fruscio del vento, né il rumore del torrente lì vicino.
Solo un vuoto profondo e totalmente buio, quello della sua pazzia.
« SONO UN MOSTRO, NON AVVICINARTI! »
In una situazione normale non avrebbe mai avuto una reazione del genere, non lui.
Ma non trovava nessun’altro modo per poterla allontanare.
Voleva che lo odiasse, così non si sarebbe sentita triste.
Doveva odiarlo, al più presto possibile.

Ma lei non l’avrebbe fatto. Lo sapeva, e proprio questo lo faceva star male.
Quelle sue parole avevano ottenuto l’effetto contrario.

Ora, loro erano uno di fronte all’altra.
Flaky sorrideva.
« Non sei un mostro. Andrà… tutto bene. Vedrai che… riusciremo a trovare una soluzione e… »
Qui cominciò a tremare. Nonostante stesse facendo di tutto per nasconderlo, era impaurita.
La ferita che Fliqpy le aveva procurato sembrava bruciarle, ma evidentemente era solo quel ricordo che le faceva male. Ma non se ne sarebbe andata.
Non lo avrebbe lasciato da solo. Si fece coraggio, unendo le mani, guardandolo con quegli occhi supplichevoli.
« Io… ho davvero paura di quella parte di te, ma… non me ne andrò, quindi… voglio continuare a stare con te. Nonostante… tutto. Perché sei l’unico che… mi abbia mai protetta. Ed io… »
Lei allungò il suo braccio, nascondendo il suo tentennamento, ed afferrò una foglia che si era appena posata sulla testa dell’altro.
La strinse energicamente, per poi poggiarla sul suo petto.
« … voglio proteggere te.
“Vedi? Quel che ti fa paura ora non c’è. Puoi stare tranquillo.” »

Un abbraccio.


Non si era già verificata quella scena?
Sotto quello stesso albero, durante gli anni della loro infanzia?
Probabilmente, era destino. O un caso. O l’avevano voluto loro, in qualche modo.
Lui l’aveva trovata quando nessun’altro si era preoccupato di una paura tanto infantile.
Lei era stata trovata, e ora l’aveva trovato. Aveva trovato il vero Flippy.

Ed in quel momento, Flaky promise a sé stessa di rimanergli sempre accanto, in ogni occasione. Voleva davvero quello.


Non sapeva ancora che quel suo volerlo proteggere avrebbe sviluppato in lei l’ennesima fobia, e che non avrebbe potuto continuare a stargli accanto proprio come in quel momento, per quanto lei lo desiderasse.

  
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