Fanfic su artisti musicali > TVXQ
Ricorda la storia  |      
Autore: LucyCassiopeia    18/02/2012    2 recensioni
One Shot su Kim Jaejoong, il cantante dei JYJ (ex membro dei DBSK/TVXQ/Tohoshinki).
“Avevo chiesto del tempo e mi era stato donato, avevo chiesto l’amore e avevo
vissuto il più bello del mondo, avevo chiesto una nuova vita ed era cominciata.
Ma avevo chiesto troppo e se chiedi troppo l’ingordigia sarà la tua condanna.
Avevo distrutto con le mie stesse mani ciò che mi era stato concesso per grazia divina”
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Caramelle al mirtillo

 
 
“Avevo chiesto del tempo e mi era stato donato, avevo chiesto l’amore e avevo
vissuto il più bello del mondo, avevo chiesto una nuova vita ed era cominciata.
 Ma avevo chiesto troppo e se chiedi troppo l’ingordigia sarà la tua condanna.
Avevo distrutto con le mie stesse mani ciò che mi era stato concesso per grazia divina”

 
 
 




 
 
Quella distesa azzurro brillante appariva incolore ai miei occhi vacui. Cos’era quella pozzetta a confronto di tutto il resto del mondo? Cos’era l’Italia? Uno sputo sulla superficie terrestre.
Avevo sempre odiato quel paese e ciò non dipendeva dal fatto che non ero italiana al 100% (anche perché io non sentivo di appartenere né all’Italia né all’Argentina), odiavo l’Italia per la freddezza della sua gente, per la musica, la corruzione. In Italia non c’era ciò che desideravo.
Fin da bambina avevo sempre volato con la fantasia fuori da questo dannato paese. Ma quale bambino non aveva sognato di diventare astronauta o di andare a vivere nel Paese delle Meraviglie? Beh, io.
Non avevo mai desiderato ritrovarmi a Narnia dopo aver attraversato un armadio vecchio e polveroso, avevo sempre mantenuto i piedi su questo mondo. Io sognavo l’Asia. Avevo addirittura chiesto a mia madre di cominciare a chiamarmi Mulan, perché io volevo andare a vivere in Cina come lei.
Destino?
Sì, ci credo e deve essersi fatto delle grasse risate alle mie spalle. Mi ha sempre fatto credere che era scritto su pietra che quello fosse il mio futuro, invece mi aveva solo ingannata. E ora non mi rimaneva nulla, se non quella voce che risuonava nella mia testa. Mi facevo male da sola, continuando ad ascoltare le sue, le loro, canzoni. Eppure avrei dovuto dimenticare. Tornando indietro non stavo forse cercando di lasciarmi alle spalle tutto? Allora perché ostinavo a tormentarmi ascoltando il suo canto?
Scartai l’ennesima caramella al mirtillo, la centesima da quando ero salita sull’aereo. La osservai qualche secondo, prima di mangiarla. Forse avrei dovuto smetterla anche con quelle. Dovevo recidere ogni sorta di legame, filo rosso invisibile, che conduceva a lui.
“Questa è l’ultima” promisi a me stessa, sebbene sapessi che non sarei riuscita a mantenere la parola.
Gustai a fondo il sapore dolciastro di quella che sarebbe stata l’ultima caramella che mangiavo.
Era iniziato tutto a causa di quelle dannate caramelle. Se solo non avessi mai cominciato a mangiarle sarebbe stato tutto più semplice.
Una lacrima solitaria attraversò il mio viso, minacciando di chiamare dietro di sé tutte le altre. Mi asciugai subito la guancia, non avevo intenzione di piangere di nuovo ripensando a quel giorno. Ma ormai era inevitabile, mentre l’iPod suonava triste le note di Picture of You, la scena già scorreva davanti ai miei occhi. Limpida e fresca, come se fosse passato solo un giorno. Difficile credere che di giorni ne erano passati 1095. Tre anni. Com’era volato in fretta il tempo.
Era da poco cominciata l’estate del mio secondo anno come scrittrice. In un anno avevo scritto un libro e avevo avuto un discreto successo. Ero felice della mia vita così com’era. Ma desideravo di più. Ciò che avevo sognato in tutti quegli anni: andare in Corea del Sud. Non ci ero ancora riuscita e avevo deciso di scrivere un libro ambientato in quel meraviglioso paese. E quale metodo migliore di descrivere quel posto se non viverci?
Un anno, forse due. Mi bastava questo. Volevo viverci anche solo per poco tempo, per valutare se l’amore per quella terra, per le loro tradizioni, la loro musica, era sempre lo stesso. 
Come avevo previsto, come sapevo fin da quando avevo 14 anni, amavo quel paese più di qualsiasi altra cosa. Mi sentivo in pace, mi sentivo a casa tra quelle strade sovraffollate che in Italia mi avrebbero spaventato e istigato a rinchiudermi in casa a scrivere, vivendo una vita da nerd asociale.
 
 
Cercai di bruciare il resto dei ricordi, sapevo che tra poco la mia memoria sarebbe arrivata al punto in cui avevo incontrato lui. E a quel punto sapevo che non avrei resistito e avrei cominciato a piangere. Ero ancora troppo debole. Cercavo di essere forte, di convincere me stessa che andava tutto bene, che stavo bene, ma la verità era che soffrivo come mai avevo sofferto in ventisei anni della mia vita. Mi sembrava di esser tornata la ragazzina di quindici anni innamorata del suo cantante preferito, che piangeva perché non lo avrebbe mai incontrato, perché non lo avrebbe mai sposato e non avrebbe mai avuto due figli con lui. Quei pianti irrazionali che agli altri sembravano privi di reale dolore. Eppure io avevo sofferto sul serio, sebbene quel dolore non fosse minimamente comparabile a quello provato ora, ero ugualmente debole. Quegli anni non mi avevano proprio insegnato nulla. Ma ormai mi ero rassegata, lo sapevo che non avrei mai superato l’accaduto. Mi conoscevo fin troppo bene. Per un momento mi parse di scorgere il suono della sua voce che mi diceva “Saranghae” e poi la sua risata cristallina. Non era mai stato bravo a dire ti amo. Si era sempre scusato per questa sua incapacità, ma, sebbene non me lo dicesse con espressione seria sul viso, sapevo che il suo amore era sincero, non mi servivano parole di conferma.
Un’altra lacrima. Rinchiusi tutte le altre dietro i miei occhi. Serrai le palpebre, ma non appena lo feci, le memorie ritornarono ad attanagliare la mia povera anima.
 
 
Ero arrivata in Corea del Sud, a Seoul, da ormai due settimane.
Avevo preso l’abitudine di recarmi al parco dietro casa con il mio portatile. Sedendomi all’ombra di qualche albero, scrivevo la mia storia, mentre vedevo passare davanti a me coppie, gruppi di amici, due amiche che ridevano. E mi immaginavo le loro storie, le loro vite o cosa avevano fatto durante quella bella giornata estiva, liberi dalla scuola. Con un pacchetto di caramelle al mirtillo scrivevo finché non era l’ora di pranzo. Ma quel giorno non avevo fame, ero troppo triste per aver finito l’ultimo pacco di caramelle che mi ero portata dietro da Torino.
Con il portatile dentro la tracolla avevo preso a passeggiare per una via tranquilla, con alcuni negozietti che vendevano opere artigianali. Non so per quale motivo mi fermai davanti ad un negozio di dolci [“Destino…” sussurrò la sua voce, riempiendo la mia testa di quel suono crudele].
Sgranai gli occhi nel vedere scritto in coreano “Caramelle al mirtillo” su un piccolo pacchetto in vetrina. Entrai immediatamente dentro il negozio con frenesia. Avevo quasi paura che quelle caramelle potessero sparire da un momento all’altro.
Un vecchio signore con occhiali rotondi e un viso gentile mi sorrise. Stava parlando con un uomo alto girato di spalle. Lasciai subito perdere l’uomo, ero troppo preoccupata dalle caramelle. Ero diventata dipendente da quella dolce droga da circa un anno. Le mangiavo solo quando scrivevo (vale a dire la maggior parte della mia giornata), cercando sempre di convincermi che mi aiutavano a scrivere frasi di senso compiuto.
«Salve signorina, posso esserle d’aiuto?» chiese l’uomo. Aveva una voce bassa e dall’effetto calmante.
Sorrisi cercando di placare la mia disperazione «Ho visto in vetrina delle caramelle ai mirtilli, potrei averne un pacchetto?» chiesi in un coreano dallo strano accento italiano. Purtroppo nonostante conoscessi alla perfezione quella lingua, la mia pronuncia restava drammatica. Mi sorpresi nel non veder ridere l’uomo. Anzi, lo vidi inarcare le sopracciglia in un’espressione sorpresa.
«Qualcosa non va?» chiesi curiosa della sua espressione.
«Mi scusi, è che sono in pochi che apprezzano questi dolci» disse l’uomo con un piccolo sorriso, voltandosi verso l’uomo con cui stava parlando poco prima.
Mi voltai anche io, presa dalla curiosità tipica di una scrittrice, verso l’uomo, constatando che si trattava di un ragazzo giovane ed estremamente bello e… Sì, era lui, il mio idolo fin da quando ero una ragazzina. Avevo sempre creduto che non sarebbe mai capitata l’occasione per incontrarlo. E invece era davanti ai miei occhi.
Il viso di Kim Jaejoong si illuminò in un leggero sorriso, mentre io svenivo lentamente, scivolando sul pavimento di legno.
 
 
Mi presi la testa tra le mani, mentre la mia mente ribelle riportava a galla quell’immagine che avevo cercato di soffocare nei meandri della memoria. I suoi occhi grandi e sinceri, le labbra piene e rosa, i capelli di seta, il sorriso abbagliante. Stavo morendo, sentivo che ogni dettagli del suo viso compariva fin troppo nitido e dettaglio dopo dettaglio la morsa del serpente stretta attorno al mio cuore si stringeva sempre più. Dilaniava il mio cuore. Ma me lo meritavo. Ero stata io ad ucciderlo, era colpa mia. Meritavo tutto quello.
 
 
Riaprì gli occhi su una visione celestiale. Per un momento temetti di esser morta e di essermi ritrovata nel Paradiso. Il viso di Jaejoong accigliato che mi fissava con leggera preoccupazione riempì il mio cuore di incommensurabile gioia. Lui era la mia musa ispiratrice. Scrivevo solo ascoltando le sue canzoni, solo ascoltando la sua voce (e mangiando caramelle al mirtillo) riuscivo a scrivere al meglio.
«Tutto ok?» chiese tendendomi una mano per aiutarmi a tornare in piedi.
Con la mano che tremava e il cuore che galoppava come un cavallo all’ippodromo, posai la mia mano dalle unghie corte e poco curate, su quella liscia e calda del ragazzo che avevo sempre guardato con ammirazione.
«Kim Jaejoong?» chiesi con voce mozzata dall’emozione.
Lui sbatté le palpebre un paio di volte «Sì, sono io» sorrise.
Ma non gli diedi il tempo di parlare nuovamente perché mi portai una mano sulla bocca, cercando di impedirmi di urlare dall’emozione «Io… Sono una tua fan da sempre!» ammisi fissandolo negli occhi scuri.
«Ne sono onorato» disse facendo un piccolo inchino. Si tirò immediatamente su con un sorriso «Anche tu mangi questa roba?» disse agitando leggermente un sacchetto di caramelle al mirtillo che teneva in mano.
Sorrisi imbarazzata della leggerezza con cui rivolgeva la parola a un’estranea che parlava un coreano strascicato quasi incomprensibile «Purtroppo ne sono dipendente» ammisi
E così cominciammo a parlare. Ci intrattenemmo in quel negozio per una o forse due ore, chiacchierando del più e del meno.
Ci ritrovavamo in quella bottega ogni mercoledì pomeriggio alle quattro. Compravamo le nostre caramelle e chiacchieravamo. Era diventata un’abitudine. Ormai non mi sentivo più a disagio a parlare con lui come se stessi parlando con un qualsiasi amico. Era tutto così stranamente naturalmente familiare che quasi mi spaventava.
 
 
Con le mani tremanti presi dalla tasca un’altra caramella ai mirtilli. Ormai i ricordi avevano cominciato a scorrere, tanto valeva uccidermi fino in fondo, gustando quelle caramelle che eravamo soliti condividere.
 
 
Da quel giorno diventammo amici e quel soggiorno in Corea del Sud che sarebbe dovuto durare appena un anno, venne prolungato di un anno ancora.
Poi un giorno successe l’impensabile, quello che speravo da tanto ma che mai avrei pensato potesse diventare realtà.
Ero appena arrivata a casa di Jaejoong, gli avevo portato le caramelle al mirtillo che lui non era potuto andare a comprare quel mercoledì. Come al solito ci eravamo persi in chiacchiere sul grande divano in pelle nero. Avevo bisogno di aiuto per il seguito del mio libro. Mi ero bloccata.
Era una storia romantica che volevo finisse in modo tragico. Fino a quel momento mi ero limitata a riportare la storia tra me e Jaejoong, la nostra amicizia, ma come potevo far sbocciare l’amore tra i miei due protagonisti?
«Quando ci si innamora, non sempre mostriamo i nostri sentimenti. C’è chi si comporta come al solito, come se fosse rimasto tutto uguale» mi disse Jaejoong.
Mi accorsi in quel momento che anch’io ero così. Sì, ero irrimediabilmente innamorata di Jaejoong, eppure continuavo a comportarmi con lui come se fossi la solita amica.
«Mi hai descritta» mugugnai incrociando le braccia sul petto. Ero infastidita dal mio stesso comportamento. Perché non riuscivo chiaramente a dimostrargli che lo amavo e quanto io desiderassi essere abbracciata da quelle braccia forti e baciata da quelle morbide labbra?
«Allora abbiamo un’altra cosa in comune» disse porgendomi una caramella al mirtillo.
Alzai lo sguardo su di lui, rimanendo paralizzata dal suo sguardo morbido e dolce che si posava su di me. E commisi l’errore più imperdonabile. Allungai una mano, la posai sulla sua guancia liscia e calda. Per l’ennesima volta mi persi nel suo sguardo, un mondo nuovo che ancora non avevo scoperto completamente. Sembrava che dietro quegli occhi ci fosse un altro mondo. Quante cose nascondevano ancora? Quanti segreti c’erano dietro quelle iridi marrone scuro?
Li osservai attentamente, imprimendo nella mia mente quell’immagine, quegli occhi colmi di quel sentimento che non avevo mai riconosciuto. Amore. E i miei occhi trasmettevano lo stesso sentimento, lo sapevo. Sentivo di amarlo dal più profondo del mio cuore.
Finalmente quelle labbra morbide e calde si posarono sulle mie, rendendomi la persona più felice sulla terra. Non avevo mai provato qualcosa di simile baciando un ragazzo. Era una sensazione completamente diversa dalle altre, indescrivibile, se non con due semplici e pure parole: vero amore.
Jaejoong era l’eccezione della mia intera vita, era l’unico ragazzo mai riuscito ad infrangere le stesse regole che io mi imponevo: rigido autocontrollo in pubblico, niente più amore. E lui aveva cambiato tutto. Mi aveva intrappolata in quel mondo dentro ai suoi occhi e non ero più riuscita a uscirne.
 
 
Versai ancora lacrime, ricordando il sapore dei suoi baci, la morbidezza delle sue labbra, il suo sorriso felice quando, dopo, mi aveva guardato negli occhi e aveva stretto le mie mani tra le sue.
Il calore del suo sorriso fece più male di ogni cosa. Faceva troppo male ricordare quel viso d’angelo. Ma era la mia punizione, non potevo pretendere di vivere in pace dopo aver lasciato morire il ragazzo che sarebbe diventato mio marito, padre dei miei figli.
Ero colpevole, colpevole, colpevole.
 
 
I giorni si susseguivano, troppo veloci perché io riuscissi a terminare il mio libro. Rinviai la mia partenza ancora di un anno. Sapevo che rinviare non sarebbe servito a nulla. Tanto il giorno della partenza avrei perso l’aereo a posta, sarei rimasta in Corea del Sud per sempre.
Ero certa che accanto a Jaejoong sarei stata felice per sempre.
Ma poi successe ciò che mai sarebbe dovuto accadere: avevo cominciato a voler più di quello che già possedevo.
Non mi bastava più essere la ragazza di Jaejoong, io volevo sposarlo, avere due figli, due gatti e vivere per sempre felice e contenta.
Avevo chiesto del tempo e mi era stato donato, avevo chiesto l’amore e avevo
vissuto il più bello del mondo, avevo chiesto una nuova vita ed era cominciata.
 Ma avevo chiesto troppo e se chiedi troppo l’ingordigia sarà la tua condanna.
 
Avevo distrutto con le mie stesse mani ciò che mi era stato concesso per grazia divina.
 
Ero stata io a distruggere il mio futuro con Jaejoong con il mio egoismo, con il mio “voler di più”.
E non lo avevo salvato. Ero stata troppo occupata a preoccuparmi per me stessa per accorgermi dello stato d’animo di Jaejoong. Sentiva che la vita stava andando troppo velocemente per lui, aveva paura di ritrovarsi vecchio dall’oggi al domani. Voleva sposarsi anche lui, avere una famiglia sua. Diceva che ormai a ventotto anni era impensabile che non si fosse ancora sposasse, che non avesse un figlio.
I preparativi per la cerimonia erano in corso. Eravamo entrambi estremamente nervosi in quei giorni. Jaejoong si aggirava per casa come una povera anima in pena. Aveva cominciato addirittura a fumare, più spesso di quanto già non facesse. Era passato da due sigarette al giorno a quasi un pacchetto. Vederlo in quello stato di panico mi faceva sentire in colpa. Eppure me lo aveva chiesto lui di sposarlo.
Io odiavo il fumo, proprio per quello cercavo di stare il meno possibile in casa, giusto il tempo di fare le pulizie e preparare il pranzo e la cena (cose di cui abitualmente si occupava Jaejoong, ma che con tutta quell’ansia aveva smesso di fare).
Anche quel giorno stavo cucinando. In realtà avevo solamente acceso il fornello, mi mancavano alcuni ingredienti per preparare il pranzo. La casa era un disastro sotto la mia direzione. Uscì quindi di casa, ma mi dimenticai di un piccolo particolare. Me ne ricordai quando ormai era troppo tardi.
Avevo appena messo nel carrello della spesa un nuovo accendino che mi aveva pregato Jaejoong di comprare. E fu in quel momento che mi ricordai.
Afferrai il cellulare che tenevo per comodità nella tasca dei jeans. Composi velocemente il numero di cellulare di Jaejoong.
«Sì?» chiese dall’altra parte del telefono la sua voce piena di tensione.
Tirai un sospiro di sollievo nel sentire la sua voce.
«Jaejoong, per favore, spegni il gas e non fumare» lo avvisai un po’ più rassicurata del fatto che non avesse ancora fumato una singola sigaretta.
«Eh?» chiese, distratto.
Clic, il suono dell’accendino premuto.
«Jaejoong!!» urlai. E in quel momento il mio cuore morì, così come tutto il resto del mondo per me.
Il tremendo botto per un secondo investì le mie orecchie, per poi spegnersi nel nulla.
Uscì trafelata dal negozio, correndo fino a casa con le lacrime agli occhi. Correvo tra i passanti che mi guardavano con scherno se li urtavo. Ma ero troppo disperata per fermarmi a chiedere scusa.
Davanti al nostro appartamento le mie gambe cedettero. Rimasi in ginocchio, senza forze, presa dalla disperazione e dal dolore. Fissavo il palazzo in rovina.
Era colpa mia. Perché ero stata così stupida? Perché ero stata presa da quella follia pre – matrimonio?
Non lo avevo salvato, non avevo fatto in tempo.
Perché avevo dovuto uccidere io il mio amato?
Era morto, così come i miei sogni, le mie speranze, morto come me. Se almeno non avevo potuto salvarlo, perché non far morire anche me? Che Dio crudele era quello in avevo creduto fino a quel momento.
 
 
In piedi sopra il tetto di casa mia fissavo quei puntini indistinguibili che si vedevano di rado. Pedoni che la sera non avevano altro da fare se non passeggiare per una via deserta.
Il tempo passato su quell’aereo mi aveva aiutata a capire cosa volevo farne della mia vita.
Alzai gli occhi al cielo, osservando le stelle. Ero salita sul tetto per vederle meglio. Per vederle un’ultima volta in tutta la loro bellezza. Sorrisi, mentre una piccola brezza di inizio autunno accarezzava il mio viso rigato dalle lacrime.
Non avevo paura di morire. In fondo dietro quella porta invisibile avrei trovato il mio Jaejoong, no?
 
 
“Arrivo, amore mio” pensai, lasciandomi cadere otto piani più giù, senza esitazione, senza paura.
Riservai un addio speciale ai miei amici e ai miei genitori che mi avevano sempre supportato.
Ma ormai la vita in quel mondo per me non aveva più senso. Tanto valeva morire.
Pensavo dopo la morte ci fosse il Paradiso, ma quello che trovai fu solo la mia memoria. Jaejoong, ritrovai Jaejoong nella morte. Non mi trovavo nel paradiso, stavo rivivendo la mia vita, le mie memorie. Avevo cancellato il ricordo della sua morte, avevo tenuto per me solo ciò che di più bello c’era stato tra di noi.
 
 
“Saranghae” mi sussurrò, per la prima volta in tutti quegli anni, con espressione seria.
Mi porse una caramella al mirtillo, quelle che avevano dato l’inizio al nostro amore.
 
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > TVXQ / Vai alla pagina dell'autore: LucyCassiopeia