Questa
raccolta era inserita nelle mie bozze del 2009, credo sia tempo di toglierla
dalla naftalina. XD
Come ho detto più volte nelle risposte e in alcune mie storie, il personaggio
di Ygraine meritava più spazio e più considerazione,
che purtroppo non le sono stati dati.
Confesso che lei mi affascina, e che mi piace fantasticare su com’era, o
meglio, su come sarebbe potuta essere.
Secondariamente, credo che il rapporto di Arthur con le madri sia una cosa per
cui valga la pena riflettere.
Questa
prima storia si innesta quattro anni dopo la fine
della prima serie del TF, come un ‘what if?’, e non tiene conto degli eventi successivi alla prima
stagione (Morgana, per esempio, non è mai diventata cattiva, Morgause non esisterà).
Il seguente scritto contiene riferimenti slash merthur.
Raccolta
dedicata a chi mi segue con costanza e affetto,
a chi si entusiasma per le mie bizzarre ispirazioni e
mi sostiene.
Grazie.
Ygraine,
la madre di Arthur
(parte 1 di 2)
L’autunno, a Camelot, non era male.
Seduto
contro le radici di uno degli alberi delimitanti il bosco che costeggiava il
castello, Merlin sbuffò per rimuovere una foglia secca che gli
era planata sul naso, ma gli riuscì solo di fare una smorfia assurda, prima di
starnutire per il solletico.
Egli
allora la raccolse tra pollice e indice, e ne ammirò le screziature dorate che si irradiavano come vene nel tessuto vegetale.
Arthur
– che usava il suo addome come un comodo guanciale – ronfava saporitamente, godendosi
l’ultimo sole prima del freddo inverno.
Entro poco, avrebbero detto addio al bel
tempo e alle tiepide giornate, per accogliere la neve e il gelo.
Entro poco, Arthur avrebbe compiuto
ventiquattro anni.
Fu
forse quel pensiero di Merlin a destare l’erede al trono, perché – appena un
istante dopo averlo formulato – le palpebre del principe tremarono, preannunciando il suo risveglio.
Lo
stregone si rispecchiò nelle iridi azzurre del suo sire, e gli regalò in cambio
uno dei suoi sorrisi sghembi.
“Sveglia,
pigro fiorellino!” lo incitò, stropicciandogli i capelli biondi in una carezza
approssimativa, ma ricevendo come risposta solo un assonnato verso gutturale.
“E’
tempo di tornare a casa…” lo informò, osservando il sole ormai al declino.
“Mmmhhh…”
“Sai
a cosa stavo pensando?”
“Mmmhhh…” mugghiò Arthur, nuovamente. “Tu non sai pensare,
Merlin.”
Lo
stregone, in cambio, gli tirò le ciocche tra le dita un
po’ troppo forte.
“Ahi!”
“Oh, perdonate, Maestà. Non so pensare, e quindi non
so dosare la mia forza…” lo ripagò, guadagnandosi un’aristocratica occhiataccia.
Merlin
sghignazzò, per nulla intimorito. E Arthur cedette.
“Oh, avanti. A cosa stavi pensando?” lo esortò,
risollevandosi dal suo giaciglio privato per sedergli accanto, spalla contro
spalla.
“Riflettevo
sul fatto che presto, molto presto, festeggeremo
il vostro augusto genetliaco, Sire.” Gli rammentò il servo, ostentando
pomposità. “Ci sarà il banchetto in vostro onore e
tutta la parte barbosa del cerimoniale…”
Il
nobile fece una smorfia nient’affatto felice.
“Non
si potrebbe saltare questa parte?” domandò querulo.
“Temo
proprio di no.” Si rammaricò lo scudiero, preventivando che sarebbe toccato a
lui essere il capro espiatorio del regale malumore. Soprattutto perché… vi era anche un’altra ricorrenza da celebrare.
Il
giovane Pendragon si fece di colpo serio, quasi che,
una volta ancora, avesse intuito i suoi pensieri.
“Mi
recherò in visita sulla tomba di mia madre.” Esalò, sentendo uno strano nodo in
gola, come ogni anno, a quel pensiero. “E come sempre, mio padre non verrà.”
“Arthur…”
lo chiamò Merlin, condensando in quell’unica parola dolenza, consolazione e biasimo
per quel discorso già sentito mille volte, e che ogni volta
feriva il principe un po’ di più.
“Verrai
con me?” si sentì chiedere, con un tremolio di voce malcelato.
“Verrò
dovunque vorrai.” Rassicurò. “Lo sai.”
Il
principe gli restituì un lungo sguardo di gratitudine, perché tra loro le
parole non servivano.
E
il silenzio li avvolse, cullandoli un altro po’.
Uno
stormo di anatre selvatiche attraversò il cielo sopra le loro teste starnazzando,
attirando la loro attenzione. Disposti in ranghi serrati, come buoni soldati, quei
volatili si accingevano a migrare verso lidi più confortevoli
dove svernare. E i due ragazzi, segretamente,
li invidiarono.
“Cosa desideri che ti regali?” gli chiese lo stregone, di
punto in bianco, ritornando al discorso originario.
“Ho
già tutto.” Rispose Arthur, chinandosi repentino su di lui, per coglierlo di
sorpresa e rubargli un bacio a fior di labbra. “Merlin.”
Il mago ridacchiò contro la
sua pelle e se lo trascinò addosso, per approfondire il discorso.
***
“Vorrei
conoscere mia madre.” Disse Arthur una sera, qualche sera dopo, mentre accarezzava distrattamente
la schiena nuda di Merlin, accoccolato accanto a lui sul letto. “Tu credi di poter…?”
azzardò, cercando di trattenere la speranza che gli vibrava in gola.
Il mago non ebbe neppure il
tempo di aprir bocca.
“No, lascia
stare. E’ qualcosa che va oltre
persino alle tue possibilità.” Lo prevenne,
schernendolo, per proteggersi dalla delusione.
Ma Merlin lo conosceva e non si lasciò ferire.
“Vorresti che io cercassi di
evocarla?” domandò, raddrizzandosi pensieroso.
“Ci riusciresti?”
“Non lo so, dovrei cercare
nei miei libri… L’evocazione di un’anima è un incantesimo complesso, e talvolta
ci sono Spiriti Erranti che assumono le sembianze della
persona che cerchiamo. Non potresti avere la certezza che sia lei…”
“Potrei correre il rischio…
cos’avrei da perdere?”
“Gli Spiriti Erranti sono crudeli e menzogneri; per loro definizione,
non hanno pace a causa delle loro malefatte e si divertono a ferire gli umani
che incontrano. E io non voglio che tu soffra.”
Il principe lo guardò con un’espressione
di stoico dolore. “Non importa, dimentica quest’assurda
richiesta.” E soffiò sulla candela affinché potessero dormire. Ma nessuno dei due riposò bene quella notte.
Merlin, in particolare,
rimuginò a lungo, realizzando che Arthur,
probabilmente, non aveva smesso un istante di pensare a quel desiderio folle,
da quando lui, nel bosco, gli aveva chiesto – adesso pentendosene – cosa
volesse come dono per il suo compleanno.
Il mago sapeva quanto gli fosse
pesato dare voce a quel sogno gravido di aspettativa; con
tutta certezza, il suo compagno l’aveva accarezzato nell’animo, veglia dopo
veglia, prima di trovare il coraggio (la disperazione?) per chiederglielo.
Ma davvero lui temeva che da
questa smania non ne sarebbe uscito niente di buono, e
ancor più temeva che al principe potesse costare una nuova cicatrice sul cuore,
un cuore nobile e puro, e che tuttavia ancora sanguinava per dei sensi di colpa
ingiusti e rimpianti illegittimi.
Arthur non aveva colpa della morte di sua madre. Ma niente lo avrebbe mai persuaso di ciò.
Lo stregone si rammaricò una
volta in più per quell’iniquità, e cercò di infondergli calore e affetto abbracciandolo
stretto, in quel letto troppo grande, per loro, quella sera.
***
Alcuni giorni dopo, fu Merlin
a riprendere il discorso, presentandosi una mattina nelle stanze del giovane Pendragon con due occhiaie profonde.
“Ma
hai dormito, stanotte?” gli fu chiesto, mentre l’erede al trono faceva
colazione.
“Non molto, a dire il vero.”
Ammise l’altro. “Però ho la soluzione al tuo problema.”
“Quale problema?” s’insospettì
il cavaliere. “Cos’hai combinato, stavolta, Merlin?” l’interrogò, scettico.
“Uomo di poca fede!” ghignò
il compagno. “Ho studiato con Gaius fino a mezz’ora
fa e credo di poterti accontentare…”
Arthur lasciò cadere la
posata nel piatto con un tonfo sonoro, mentre realizzava il significato di quei
discorsi.
“Se è uno scherzo, ti metterò
alla gogna fino a quando sarai vecchio!”
“Non dirai sul serio!”
sbottò, scandalizzato.
“Non mettermi alla prova!”
gli intimò. “E ora spiegami!”
Merlin sospirò, armandosi di
pazienza. Stare con quell’Asino non era
mai semplice.
“Esiste un incantesimo che
può trasportare le persone nel tempo.” Premise, sollevando però le mani per
anticipare le obiezioni dell’altro. “Non l’ho mai fatto e non so molte cose, ti
avverto.”
Il principe si limitò ad
annuire.
“Quel che è certo è che, attingendo
a tutto il mio potere, potrai assentarti per al
massimo pochi minuti. Il tuo corpo sarà avvolto dal torpore e sembrerai
addormentato.
Non so dire se comparirai nel
passato come se fossi uno spirito o con tutte le membra. Non so neppure se ti
potranno vedere.
Ciò che è di fondamentale
importanza – devi giurarmelo, Arthur – è che tu non debba assolutamente mutare il passato, non puoi e non devi interferire con esso.
Potresti averne la
tentazione, ne sono consapevole. Ma, per
quanto siano dolorosi gli avvenimenti, la storia non può cambiare.”
Merlin attese che il nobile
annuisse, nuovamente, dandogli la sua parola.
“Sul mio onore.”
E poi il
mago riprese: “Alcuni particolari passaggi dell’incanto sono ancora da stabilire. Non ho cognizione neppure se il tempo al di là sarà
uguale a questo. Se sarà giorno o sera, se rimarrai là per il tocco di una
campana o un’intera veglia.
Non mi è dato di saperlo.
Solo il luogo e il momento. Questo puoi deciderlo tu.”
Il principe lo ascoltò
attentamente. “Tu… verrai con me?”
Il valletto scosse la testa,
negando. “Io devo restare per assicurarmi che il passaggio resti
aperto e che tu possa tornare indietro.”
“Lo comprendo.”
Il silenzio li avvolse,
mentre ognuno sembrava perso nei propri pensieri.
“Sarà pericoloso?”
“Se non ti fai ammazzare in
un duello, non dovrebbe esserlo.”
“Io mi stavo chiedendo se lo
fosse per te, idiota.”
Merlin
sorrise sghembo. “Credo che non
farò giochetti di luce per un po’. Ma riprenderò le forze…”
Dietro quelle parole, Arthur
comprese il sacrificio che l’altro stava per fare.
La magia di Merlin era
pressoché infinita. Se doveva rimanerne privato per giorni, era evidente che l’incantesimo
era potente e lo avrebbe prosciugato di ogni energia.
“Grazie.” Si ritrovò a dire,
ed era serio.
“Ogni tuo desiderio è un
ordine, Mio Principe.” Rispose il servo, altrettanto seriamente.
***
Il castello era tutto in eccitazione
per l’approssimarsi dei suoi solenni natali, ma l’erede al trono e lo stregone
erano in fermento per ben altra ragione. Con l’andar delle veglie – a mano a
mano che il progetto prendeva corpo e alcuni accorgimenti, ancora da valutare, venivano chiariti –, il senso di aspettativa e le ansie di
entrambi si potevano quasi tagliare col filo della spada del nobile Pendragon.
Alla fine, organizzarono
la partenza il primo pomeriggio in cui Arthur era libero da impegni e regali
doveri, in un momento in cui erano certi che nessuno sarebbe venuto a
disturbarli.
“Puoi guardare, ma non
intervenire né modificare gli eventi, mi raccomando!” gli aveva ingiunto il
mago, per l’ennesima volta, posandogli l’indice destro sulla fronte,
nascondendo il nervosismo dietro ad un sorriso tirato. “E non combinare guai,
te ne prego!” lo implorò.
L’erede al trono sbuffò in risposta, fingendo una padronanza che era ben lungi dal
provare.
“Sei… pronto?” gli chiese
Merlin, insicuro, osservando il corpo teso del cavaliere adagiato sulle coltri
del letto. “Se ci hai ripensato, non-”
“Non vado a morire, idiota.” Lo interruppe, perché il tempo
dei ripensamenti era finito. “Tornerò.” Promise.
“E ci mancherebbe altro!”
sbottò il mago, di rimando.
Arthur gli afferrò le dita
della mano libera che sostava vicino al suo fianco e gliela strinse con
delicatezza.
“Starò via poco, e poi sarò
di nuovo con te.”
“La cosa buffa è che, tra noi
due, dovrei essere io a tranquillizzarti sulla buona riuscita della missione.”
Borbottò, arrossendo.
Il principe gli sorrise.
“Ma
io ho cieca fiducia in te… anche se sei un servo idiota e incompetente!”
Merlin scoppiò in una fragorosa
risata liberatoria. Poi fece un lungo respiro per raccogliere la determinazione
che gli mancava e, dopo un cenno del capo, radunò la concentrazione per
formulare il complicato incantesimo.
“Chiudi gli occhi.” Comandò,
pigiando sulla nobile fronte e stringendo un po’ di più l’altra mano che li
univa.
Arthur rilasciò un sospiro
tremulo ed eseguì l’ordine.
Nel silenzio della stanza,
un’antica nenia si elevò, congelando il tempo, mandando in frantumi il vetro
della clessidra posta sopra lo scrittoio dell’erede al trono: mille frammenti
di vetro schizzarono ovunque, brillando come tanti piccoli diamanti, e un lampo
di luce azzurra avvolse ogni cosa…
Continua...
Disclaimer:
I personaggi di Merlin, citati in questo racconto,
non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel
fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da
parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio a
Note: Ho
scelto di dividere in due la oneshot,
perché questo capitolo è una sorta di prequel del momento vero e proprio, che
sarà un capitolo molto lungo e corposo.
Come ho anticipato, la raccolta non contiene eventi successivi alla prima stagione,
ma ho usato alcune informazioni delle serie successive.
“Sveglia, pigro fiorellino!”,
per esempio, è un riferimento diretto alla medesima scena nella puntata 3x07 “Il
castello di Fyrien”, quando Merlin sveglia il
principe addormentato. So che la frase originale e la traduzione italiana si
discostano leggermente, ed io ho scelto la seconda.
Gli “Spiriti Erranti” sono un
concetto presente in varie religioni; la spiegazione l’ho già data per bocca di
Merlin, perciò soprassiedo ora.
Piccola anticipazione del prossimo capitolo:
La regina fece un altro cenno
del capo, dimostrandosi d’accordo. Poi allungò, con un gesto soave, la mano
ingioiellata verso di lui.
Era davvero tempo di dirsi addio.
“Non
conosco nemmeno il vostro nome, Messere. E sono in debito con voi.” Si scusò lei, spostandosi una ciocca
bionda dietro l’orecchio con la mano libera.
“Sono Sir Arthur, Milady” le
rivelò infine, prendendosi il tempo di stringerla un istante più del
consentito, prima di baciarle la pelle candida con devozione. “Eternamente vostro servitore.”
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elyxyz