Sentimenti a confronto
Autore: Kai Harn
Sentimenti d'una guerriera
Una personale rivisitazione della vita di Marin (Castalia),
raccontata in prima persona. Attenzione, buona parte dei fatti, soprattutto
nella parte finale, sono inventati da me.
Questa storia ha inizio circa quindici anni fa. Allora ero poco più di
una bambina, avevo da poco conquistato la mia armatura d'argento, ma ero
già considerata tra le più temibili guerriere del santuario. Non pochi
erano i cavalieri che avevo battuto e quelli che mi temevano, nonostante
fossi una donna.
Pur di ottenere l'investitura avevo addirittura acconsentito a tenere sul
viso quell'odiosa maschera che a volte mi soffocava e impediva a chiunque di
scorgere i tratti del mio viso, cosa poco piacevole per una fanciulla.
Non avevo pensieri, ne desideri in particolare, e la mia vita si svolgeva tutta lì in quel santuario, tra scontri, allenamenti e i compiti particolari che la mia posizione di sacerdotessa-guerriero richiedeva.
La prima svolta avvenne quel giorno, quando il gran sacerdote si recò da
me portando un bambino.
Era un normalissimo ragazzino, come tanti altri e aveva ancora l'età in cui
si gioca spensierati. Il sacerdote me lo affidò con l'ordine di farne un
cavaliere, aspirante all'armatura di Pegasus.
Quel bambino possedeva una vitalità straordinaria, me n'accorsi non appena
iniziai ad allenarlo, era capace di sopportare incredibili fatiche pur di
ottenere l'armatura; spesso gli chiedevo perché la desiderasse a tutti i
costi, ma lui, cocciuto mai aveva voluto rispondermi.
Seiya, questo era il suo nome, aveva però un grosso punto debole: non
riusciva assolutamente a colpire una donna. Durante gli allenamenti lo
malmenavo a sangue senza che lui reagisse. Tutto cambiava però se
l'avversario era un uomo. Allora la sua incredibile forza si risvegliava di
colpo ed era impossibile trattenerlo.
In tal modo trascorsero sei lunghi anni e ben presto anche l'allenamento del
mio allievo si concluse, anche se con un imprevisto. Poco prima che egli
andasse, via un'altra sacerdotessa, Shaina, lo aveva aggredito, causando
l'irreparabile: Seiya le aveva spezzato la maschera. Io sapevo cosa volesse
dire ciò. Se una sacerdotessa è vista in volto da un uomo deve ucciderlo o
amarlo per sempre e purtroppo sapevo perfettamente che Shaina avrebbe fatto
l'impossibile pur di uccidere Seiya.
In ogni modo però egli riuscì a tornare in Giappone e la mia vita
ritornò come sei anni prima. L'unico problema era che stranamente mi ero
molto affezionata a quel ragazzino turbolento, il cui addestramento mi aveva
assorbita completamente per sei anni.
In un modo o nell'altro però mi riuscii ad adattare nuovamente alla
solitaria vita di sacerdotessa, esattamente come prima che arrivasse Seiya a
sconvolgere la mia vita. Stranamente però sentivo che l'avrei rivisto e
così sapevo che la pensava Shaina che adesso non perdeva occasione di
aggredirmi, quasi a voler sfogare su di me il risentimento che provava verso
il mio allievo.
Frattanto anche al Santuario le cose iniziavano ad andare male; alcuni
cominciavano ad avere dubbi sul gran sacerdote, uomo che mai nessuno aveva
visto in viso.
In me molti pensieri si agitavano, ma non sapevo a chi confidare le pene che
agitavano il mio cuore. Avevo tanti compagni lì al santuario, ma nessuno
che potessi davvero definire mio amico, tranne, forse, una sola persona.
L'avevo conosciuto al mio arrivo in Grecia, era di circa quattro anni più
grande di me e non sapevo esattamente quale fosse la sua posizione al
santuario. Sicuramente non era un soldato, come a prima vista sembrava.
Scoprii poco tempo dopo che era uno dei temibili cavalieri d'oro.
Aiolia, questo il suo nome, era l'unico che potessi definire mio amico; era
molto gentile e generoso con tutti e sapeva sempre come tirarmi su il
morale, non so come facesse, ma riusciva a capire il mio stato d'animo. In
realtà anche lui soffriva dentro se, per il disonore che aveva colpito suo
fratello, ma non lo diede mai a vedere, occupato più per il bene degli
altri che per il suo.
Neppure a lui però osai confessare i dubbi che mi si rimescolavano dentro.
Poco dopo le mie previsioni si rivelarono giuste. Al santuario accadde il
caos. Il sacerdote, forse spaventato dagli eventi, mandò a chiamare i
cavalieri d'oro che, abitualmente non risiedevano al santuario. Io, che ero
stata appena dichiarata fuorilegge per aver aiutato Seiya e i suoi compagni,
riuscii lo stesso a vederli, tenendomi ben nascosta nell'ombra delle rupi
che costeggiavano il santuario.
Vidi così tra gli altri, Shaka della Vergine , custode delle porte dell'Ade,
e il crudele Death Mask del cancro, e ancora Camus dell'acquario, detto il
signore dei ghiacci, e Aphrodite dei Pesci, che si credeva fosse il più
bello tra tutti gli ottantotto Saint. Ben presto tutti e dodici i cavalieri
furono ad Atene, preparandosi ad accogliere i guerrieri capitanati da Atena.
Fu così che iniziò la battaglia che sconvolse per sempre il santuario
d'Atene, che sinora aveva sempre vissuto una placida immobilità.
Cavalieri contro cavalieri, mai si era vista una cosa simile, eppure stava
succedendo. Tutto il mondo nel quale avevo sempre creduto mi stava crollando
addosso. Ancora non riuscivo a capacitarmi che quella lotta per il potere
stesse avvenendo davvero.
I ricordi dell'ultima battaglia vivono ancora nei miei occhi. Assistetti,
sorreggendomi a stento su Shaina, al suicidio di Saga dei Gemelli, una morte
che mi lasciò profondamente colpita. Era l'uomo che, nel bene e nel male
aveva sorretto le sorti del santuario per tredici lunghi anni e colui che mi
aveva consegnato personalmente l'armatura dell'aquila.
Ora cosa era più rimasto più del glorioso sacerdote? Nulla, se non il
cadavere di un giovane che aveva lasciato questa terra nel fiore della vita,
neppure trentenne, morto in nome di un ideale nel quale neppure credeva
davvero.
Due giorni dopo assistetti, con gli altri cavalieri, alla cerimonia
funebre in onore dei morti di quella giornata. Ora Saga e gli altri
avrebbero trovato il riposo eterno nella cripta del Santuario.
La cerimonia mi lasciò profondamente scossa, tanto che, a circa metà,
decisi di uscire fuori, per riflettere in tranquillità. Non ne volevo
sapere più di morti, stragi. Avrei voluto, se possibile, anche lasciare la
mia armatura.
Senza accorgermene le lacrime iniziarono a rigare il mio volto…la
tristezza stava nuovamente impadronendosi di me. Fortunatamente una mano si
posò sulla mia spalla e, voltandomi, mi accorsi che si trattava di Aiolia.
Come sempre riuscì a trovare le parole giuste per consolarmi.
Quel momento è ancora impresso nella mia memoria. Non so cosa lo spinse a
farlo, ma egli mi abbracciò. Mai avevo pensato che anche io potessi provare
simili emozioni. Per un attimo sentii il mio corpo mancare. Poi Aiolia mi
lasciò, scusandosi per il gesto, spiegandomi che l'aveva fatto
istintivamente. Non seppi cosa rispondere; forse avrei dovuto infuriarmi
poiché un uomo avesse osato mettere addosso le mani ad una sacerdotessa, ma
non riuscii a dire nulla e rimasi lì a guardarlo mentre tornava alla
cerimonia.
Probabilmente non lo vidi più così bello, mentre si allontanava, sotto il
sole del tramonto che gli illuminava le spalle. Quel momento rimase impresso
a fuoco nella mia mente per anni e, ancora ora lo rivedo come se fosse ieri.
Dopo quel giorno, per poco si mantenne la pace, ben presto scoppiarono nuovi conflitti, che culminarono nella battaglia al palazzo di Nettuno, al termine delle quali Aiolia decise poi di partire per un viaggio d'addestramento.
Nel frattempo al santuario la vita era tornata alla normalità. Non era
stato eletto un nuovo sacerdote e ad amministrare la giustizia pensavano i
cavalieri d'oro, primo tra tutti il saggio Mu dell'ariete, che mutò la sua
dimora, trasferendosi, definitivamente, dal Jamir alla Grecia.
Ora non era più tanto difficile vedere i cavalieri d'oro, essi, vivevano
stabilmente al Grande Tempio e ora ve n'era anche uno in più, poiché Seiya
aveva vestito l'armatura del sagittario e occupava il posto di custode della
nona casa, mentre gli altri ex bronze Saint, nonostante avessero il diritto
di fregiarsi anch'essi delle armature d'oro, avevano deciso d'indossarle
solo nei casi di pericolo e non vivere quindi al tempio.
In realtà un motivo era dietro decisione di Seiya: l'amore lo aveva spinto
a quel passo: l'amore verso Shaina, che alla fine aveva fatto prevalere il
suo cuore di donna, aprendosi ai sentimenti.
Tuttavia nulla era cambiato apparentemente, ella continuava ad attendere ai
propri compiti di sacerdotessa, ma sapevo bene che in lei albergava ora un
nuovo modo d'essere e n'avevo prova quando la sera la vedevo a volte con
Seiya.
Sarebbe ingiusto sostenere che non provassi invidia nei suoi confronti, ma
cercavo di non pensarci. Amare è una parola grossa e consideravo Seiya come
un fratello minore, lo vedevo in tutti i modi tranne che come oggetto
d'amore e pensavo in ogni modo che mai mi sarebbe capitata una cosa simile.
Intanto il tempo passava e io mi avvicinavo silenziosamente al mio
diciottesimo compleanno, che, ero convinta, sarebbe stato esattamente come
tutti gli altri.
Un giorno, mentre mi accingevo a recarmi al campo d'addestramento, mi giunse
una notizia: Aiolia era tornato in Grecia. Non seppi spiegarmi il motivo, ma
una strana fitta allo stomaco mi prese all'improvviso. Cercai di non
curarmene, ma lo stesso dolore si fece vivo il pomeriggio dello stesso
giorno, quando lo incontrai ai piedi del tempio.
Il suo saluto fu affettuoso come sempre e sembrò contento di rivedermi.
Parlammo pochi minuti e poi lui andò a discutere con Mu.
Quei pochi momenti però mi fecero comprendere una cosa. Avevo compiuto
quella che per una sacerdotessa è la più grande sciocchezza. Mi ero
innamorata di Aiolia, dell'unico uomo che aveva saputo penetrare il mio
cuore. Sapevo che era impossibile essere ricambiata, così decisi che mai
nessuno avrebbe dovuto sapere.
Fu proprio quello il mio più grande errore. Pensando di risolvere i miei
problemi lo evitai per giorni interi, fuggendo al suo apparire.
Quanto ero stata sciocca, egli si accorse subito che lo evitavo e venne un
giorno al campo. Mi accorsi del suo arrivo in ritardo e, cercando di
schivare un attacco di Shaina, gli caddi letteralmente tra le braccia.
Sarebbe difficile dire come mi sentii in quel momento. Per qualche secondo
rimasi li, senza saper che dire, poi mi riscossi, balzando lontano, fuggendo
senza dare nessuna spiegazione.
Shaina mi raccontò in seguito che sia lei che Aiolia rimasero come
interdetti per quel mio strano comportamento, anche se Aiolia li per li
parve non capire e andò via subito.
Shaina allora mi cercò, trovandomi dinanzi alla mia dimora. Avevo corso
ininterrottamente sino a li, come per sottrarmi alle mie emozioni. Il solo
contatto con lui mi aveva provocato una scossa in tutto il corpo e ora me ne
stavo li, ferma, silenziosa.
"Che ti è preso?" mi chiese Shaina.
Io non seppi che rispondere e rimasi in silenzio, muta. Shaina sembrò aver
capito tutto.
"So cosa provi" disse, sedendosi accanto a me.
"Che vuoi dire?".
"Credi che non abbia capito?"
"Cosa dovresti aver capito?"
"Avanti, sono una donna anch'io. Ci conosciamo da anni e non ti avevo
mai vista reagire così al solo contatto di un uomo".
"Shaina, io…". Come potevo controbattere? Quella che una volta
era la mia peggior nemica aveva in pochi momenti compreso tutto.
Ormai il mio segreto era stato svelato.
"Ora che pensi di fare?" mi chiese.
Non credevo alle mie orecchie. "Cosa dovrei fare?"
"Pensi che sia saggio tacere e nascondere tutto dentro? Io l' ho fatto
e sai quanto n'abbia sofferto. Parlagli e per una volta cela il tuo
orgoglio!" e dicendo così se n'andò.
Com'è strana la vita. Sino a due anni prima avevo rischiato di essere
uccisa da Shaina non so più quante volte e ora ci trovavamo insieme a
parlare amichevolmente. In ogni caso il suo consiglio era totalmente fuori
discussione. Come potevo mai andare da Aiolia e rivelargli tutto?
Decisi nuovamente di ignorare i miei sentimenti e, per cercare di
dimenticare mi feci assegnare tutte le missioni possibili. Così mi recai
per un mese in Giappone, come messaggera del tempio, credendo che con un
mese di lontananza avrei ottenuto chissà quale risultato.
Purtroppo però il mese finì e dovetti tornare al santuario.
Non avevo alcuna voglia di tornarvi, avrei preferito stare lontana da quel
luogo.
Durante quel mese mi ero illusa di poter dimenticare i miei sentimenti verso
Aiolia. Vana speranza. Mi era accaduto tutto l'opposto. Fremevo dalla voglia
di rivederlo, pur sapendo quanto n'avrei sofferto.
Decisi in ogni caso di non pensarci e mi recai alla casa dell'Ariete, dove
Mu mi stava aspettando per avere un resoconto della missione. Almeno,
durante quei momenti non avrei pensato a lui.
Quanto mi sbagliavo. Appena concluso il colloquio con Mu fu proprio
Aiolia la prima persona che incontrai.
Era li, di fronte a me, pigramente poggiato ad una colonna, con gli occhi
chiusi. Pensai che fosse li per parlare con Mu, quindi passai oltre,
sperando che non mi avesse vista.
Invece egli si riscosse da quel finto torpore e mi venne incontro.
In preda al panico lo salutai appena, allontanandomi subito in direzione
della mia casa.
Ioria però non si arrese e mi rincorse sino a li, bloccandomi un polso.
"Non ci vediamo da più di un mese e mi saluti così?" disse,
senza lasciarmi il braccio.
Non sapevo che dire. Per un attimo pensai che il mio cervello stesse per
scoppiare e sperai che succedesse qualcosa a interrompere quei momenti.
"Io…io…lasciami andare" balbettai, senza saper cosa dire.
"Ma allora non hai capito nulla…"
"Cosa….". Non capii cosa stesse dicendo. Ricordo solo il dolore
del polso che egli stringeva con forza e il martellare del mio cuore, così
forte da assordarmi.
"Mi sfuggi, mi eviti in continuazione, te ne sei andata dalla Grecia e
ora che ci rivediamo a stento mi saluti…."
Mi sentivo mortalmente confusa. Che stava cercando di dirmi? Forse, che il
mio atteggiamento non gli andava, forse che….impossibile pensai….troppa
gioia….non poteva accadere….
"Aiolia…lasciami, mi fai male!" gridai, recuperando un po'
sangue freddo.
"Scusami Marin…scusami…è solo che…per me sei troppo importante e
quando mi hanno detto che eri tornata….".
Dopo aver detto quelle parole Ioria abbassò la testa, forse
vergognandosi. Mormorando parole di scusa si accinse ad allontanarsi.
Allora capii finalmente. Anche lui provava qualcosa per me e ora stava
andando via, certo pentito della sua confessione.
Non so cosa mi prese, né quale strano demone si fosse impossessato di me,
ma, raccolto tutto il mio coraggio mi tolsi la maschera e urlai il suo nome.
"Aiolia!!"
Lui si fermò, dapprima senza girarsi, poi , forse sentendo il rumore della
mia maschera, che avevo gettato su una roccia, si voltò.
Non so bene cosa accadde dopo. Ricordo solo che Aiolia mi farfugliò
confusamente qualcosa, e che inciampai su un sasso per l'emozione cadendogli
addosso. Lui prontamente mi afferrò, prendendomi in braccio e mormorando
"per oggi sei una donna, non una sacerdotessa e io non sono che un uomo
che ha ottenuto ciò che più desiderava".
Mi risvegliai la mattina dopo, nel mio letto, confusa. Per un attimo
pensai che si fosse trattato di un sogno, ma mi accorsi subito che accanto a
me era Aiolia che mi guardava sorridente.
Biascicai qualcosa sui miei doveri e mi alzai subito, cercando la mia
maschera.
La felicità provata fino a poco prima lasciava posto ad una grande
incertezza. Mi sembrava ancora impossibile che ciò che già era accaduto a
Shaina potesse accadere anche a me.
Aiolia però dissipò ogni mio timore. Abbracciandomi mi mormorò
nell'orecchio "D'ora in poi tu vivrai con me. Per sempre!".
Beh, da quel giorno sono trascorsi quasi sette anni e io e Aiolia siamo
ancora insieme.
Certo, i problemi non ci sono mai mancati, primo tra tutti , il chiedere il
permesso ad Atena, per il quale dovemmo recarci in Giappone. Poi affrontammo
i commenti del Santuario e le calde congratulazioni di coloro cui più
eravamo legati.
Shaina mi sembrò molto felice, mentre Seiya sentenziava "sapevo che
sarebbe finita così. Solo ad Aiolia avrei permesso di prendersi cura della
mia maestra".
Gli altri, i cavalieri d'oro, specialmente Shaka, fraterno amico di Aiolia,
furono meno rumorosi, ma non per questo meno calorosi.
Che dire ancora? Sarebbe esagerato affermare che questi anni siano
trascorsi in pace e tranquillità, come per una normale coppia. Lui era
sempre un cavaliere d'oro e io una sacerdotessa ed ognuno di noi aveva
sempre un compito cui dedicarsi.
Tuttavia non mi sono mai lamentata. Ci sono giorni durante i quali ci
vediamo a stento, ma ci sentiamo lo stesso vicini. E questo per me è
sufficiente.
Sentimenti a confronto 2
E' la precedente fanfic, vista dall'ottica d'Aiolia.
Come per la precedente opera quindi buona parte dei fatti è inventata da
me.
Buona lettura!
Ricordo ancora come fosse ieri il giorno in cui giunsi al santuario.
I miei genitori erano morti da poco e io mi trovavo lì per raggiungere mio
fratello Aiolos, l'unico parente ormai rimastomi.
Strana era l'impressione che mi suscitava quel luogo, sino allora a me
sconosciuto. N'avevo avuto notizie solo da mio fratello, quelle rare volte
che era tornato a casa e ora mi trovavo li, a fissare affascinato quelle
bianche colonne che si slanciavano verso il cielo, chiedendomi dove fosse
Aiolos. Fortunatamente non dovetti attendere molto, mio fratello giunse
pochi minuti dopo il mio arrivo, scusandosi per il ritardo.
Erano almeno sei mesi che non lo vedevo, ma non era per nulla cambiato, era
solo un po' più alto e quell'espressione d'estrema bontà sul suo viso era
rimasta immutata.
Mi corse subito incontro prendendomi per mano, e mi mostrò tutti i luoghi
del santuario.
Essi ai miei occhi di bambino apparivano grandiosi e imponenti. Non sapevo
certo che avrei passato in quel luogo quasi tutto il resto della mia vita.
Invece accadde proprio ciò. Divenni cavaliere d'Atena, allenandomi
duramente sotto la guida di mio fratello, conquistando, sebbene fossi ancora
un bambino, una tra le armature più prestigiose, quella del Leone.
Così, pur trovandomi ancora all'età in cui i miei coetanei giocavano
spensierati io ero già un Saint protettore della giustizia, appartenente
alla casta più alta tra tutte.
Ormai non mi lamentavo più degli allenamenti durissimi, perché, a neppure
sette anni avevo capito qual era la mia vera missione.
Per un periodo fui l'unico cavaliere d'oro al santuario, eccettuati mio
fratello e un altro ragazzo, Saga dei Gemelli. Poco dopo, ognuno da un
diverso luogo d'addestramento, cominciarono a giungere in Grecia gli altri
Saint d'oro.
Avevano quasi tutti la mia età ma diverse nazionalità. Il primo ad
arrivare fu Milo dello Scorpione, un greco taciturno e scorbutico, poi
Aphrodite dei pesci, che scambiai a prima vista per una ragazza, terzo Camus
dell'Acquario, un francesino dal naso all'insù e poi via via gli altri.
Ultimi furono colui che sarebbe divenuto il mio migliore amico, Shaka della
Vergine e infine un ragazzino , proveniente dalla Spagna, il cui nome era
Shura del Capricorno.
Il periodo successivo alla mia investitura fu tra i più felici della mia
vita. Il tempo scorreva veloce e mi sembrava che nulla avrebbe mutato quei
tempi.
Invece, quando meno me lo aspettavo, il mondo mi crollò letteralmente
addosso.
Il mio adorato fratello Aiolos, l'essere che più amavo ed idolatravo, il
mio maestro, l'unico parente che mi fosse rimasto, fu dichiarato traditore.
Si diceva che si fosse macchiato di una colpa gravissima, e pertanto fu
ucciso, e proprio da un altro cavaliere d'oro.
Fu un gravissimo choc. Mai mi sarei aspettato una cosa simile proprio da
lui, per il quale la fedeltà ad Atena era una regola ferrea, anzi di più,
era la base di tutta l'intera sua esistenza.
Rimasi sconvolto, ma presi una decisione, avrei fatto di tutto per espiare
la colpa di mio fratello e così, mentre gli altri Saint d'oro avevano a
poco a poco lasciato il santuario, io rimasi li, senza ostentare il mio
grado di cavaliere, ma vivendo invece come un semplice soldato.
Così continuai a vivere li, servendo fedelmente il gran sacerdote.
In tal modo trascorse un buon numero d'anni.
Non vi erano stati vistosi cambiamenti. Il sacerdote apparentemente era lo
stesso. Unica novità: adesso il santuario era più popolato, poiché altri
cavalieri, facenti parte della casta rinnovata dei Saint d'argento, erano
giunti dai vari luoghi d'addestramento.
Tra tutti mi rimasero impresse due ragazzine, piuttosto giovani, di circa
quattro-cinque anni più piccole di me. A quanto mi avevano detto, erano di
forza temibile, nonostante il sesso e la giovane età.
Tra le due subito si fece notare Shaina, italiana, dotata di un carattere
apparentemente spietato. Già poco dopo il suo arrivo era riuscita a crearsi
una schiera di fedelissimi pronti ad eseguire ogni suo ordine.
L'altra ragazza si chiamava Marin, era d'origini giapponesi, e aveva la
stessa età di Shaina. Tuttavia, nonostante ciò era d'indole ben diversa.
Conscia certo delle sue radici orientali, sapeva che non sarebbe mai stata
ben accetta; così era piuttosto taciturna e silenziosa, ma in ogni caso
ligia al suo dovere di sacerdotessa. Istintivamente provai molta simpatia
per lei e, quasi senza accorgermene iniziai ad osservarne la vita.
Divenni suo amico e mi accorsi che, sebbene cercasse di non darci troppo
peso, la solitudine in lei era un fardello molto pesante da sopportare.
Marin mi raccontò che neppure aveva provato a cercarsi degli amici, le
bastava essere rispettata ed essere lasciata in pace.
Poco tempo dopo al tempio giunse una nuova presenza, destinata in qualche
maniera a cambiarne le sorti. Era uno dei pretendenti all'armatura di Pegaso;
era ancora un bambino, scuro di capelli, piccolo di statura, ma agile e
veloce come un fulmine. Fu assegnato come allievo proprio a Marin.
Ben presto mi accorsi che anche Seiya, condivideva lo stesso destino di
solitudine di Marin, anch'egli discriminato per i suoi tratti orientali,
sicuramente ben più visibili di quelli della sua maestra, ben celati dalla
maschera che impediva di distinguerne i tratti.
Già, la maschera. Talvolta mi chiedevo cosa mai provassero le sacerdotesse
a dover essere costrette ad indossare quel fastidioso accessorio sul viso. A
volte mi sorprendevo a fantasticare sulle sembianze della mia giovane amica
e delle altre donne del santuario. Poi subito cercavo di pensare ad altro,
conscio dell'inutilità di quei miei pensieri. Del resto conoscevo bene le
usanze del tempio. Per una donna-guerriero è infamante essere vista in
volto da un uomo e se il fattaccio accade lei deve assolutamente ucciderlo o
amarlo. Ad ogni modo all'epoca non mi interessavo più di tanto a quei
discorsi e così quelle strane fantasie svanivano presto, come neve al sole.
Il giovane Seiya, così com'era stato per la sua insegnante, attirò le
mie simpatie. Potrei dire con orgoglio che, durante i sei anni del suo
addestramento fui uno dei suoi pochissimi amici.
Molti, e specialmente la fazione guidata da Shaina lo avevano preso
notevolmente in antipatia.
In ogni modo Seiya riuscì però a completare la sua istruzione e divenne
cavaliere di Pegasus, non senza intoppi e problemi però. La selvaggia
Shaina, infuriata per la sconfitta del suo allievo Cassios aveva giurato a
Seiya di vendicarsi, prendendosela anche con la malcapitata Marin.
Fortunatamente Seiya riuscì a fuggire in tempo e se ne tornò in Giappone
con la sua armatura, senza sapere che di lì a poco si sarebbe scatenata una
terribile guerra che avrebbe visto scontrarsi cavalieri contro cavalieri.
Sembrava impossibile che la placida esistenza del santuario fosse scossa.
Invece accadde proprio così.
In Giappone accadevano cose incredibili: i cavalieri di bronzo avevano
ingaggiato strane battaglie per compiacere i desideri di una misteriosa
fanciulla che si diceva possedesse l'armatura del sagittario, che da ormai
13 anni era scomparsa.
Il sacerdote, dopo una serie d'inutili tentativi aveva mandato i cavalieri
d'argento a punire quegli sconsiderati ragazzini, dichiarati cavalieri
fuorilegge.
Ciò che accadde dopo fu il caos. Per giorni non giunsero notizie, poi si
seppe che i cavalieri d'argento erano stati quasi tutti uccisi.
Marin era introvabile, ma si sapeva per certo che avesse tradito il
santuario.
La notizia mi scosse più del dovuto; mi sembrava strano che Marin, così
fedele fosse davvero una traditrice, non riuscivo a crederci assolutamente.
Ci pensai per un'intera giornata, ma non riuscivo a capacitarmi di ciò e mi
chiedevo continuamente dove fosse, se stesse bene e se fosse ancora viva.
Marin era sì un cavaliere, di forza e poteri eccezionali, ma io mi ostinavo
a vederla sempre come una fanciulla, sebbene fosse chiaro che lei la sua
femminilità se la fosse lasciata alle spalle da anni ormai.
Furono però quei momenti a spingermi a chiedermi perché avessi così
spesso pensato a lei negli ultimi giorni. La risposta fu molto semplice,
evidentemente ciò che sentivo per quella ragazza dai capelli rossi, che mai
avevo visto in volto, non era solo amicizia, istinto di protezione. Era una
sensazione non molto lontana dall'amore.
Mi chiedevo se quello che io sentivo fosse davvero quel nobile sentimento.
So che sembrerà strano sentire queste parole sulle labbra di un giovane
all'epoca ventenne, eppure mi sentivo mortalmente confuso.
Questo è l'unica cosa che credo di ricordare bene. Di ciò che accadde dopo ricordo ben poco, poiché, dopo il mio viaggio in Giappone dovetti subire un lavaggio del cervello a causa del sacerdote e mi scontrai con il mio amico Seiya, risvegliandomi poi dinanzi ad un cadavere. Quello di Cassios, l'allievo di Shaina, che si era tolto la vita per evitare la morte di Seiya.
Rimasi lì esterrefatto, osservando il corpo di Cassios, che diveniva
freddo, ad opera della morte che si era impossessata di lui.
Capii che ero stato usato come un burattino dal sacerdote che, mi era ormai
chiaro, era solo un impostore, mentre la memoria di mio fratello era ormai
riabilitata.
Non molte ore dopo la dea Atena, quella fragile giovane che mi aveva
affrontato in Giappone salì le scale della quinta casa, seguita dai
cavalieri di bronzo e da Mu e Aldebaran. Con lei iniziai a proseguire verso
le stanze del sacerdote.
Lì intanto avveniva la strenua lotta di Seiya e degli altri Saint contro
Saga.
Rimasi sconvolto, ma non dal combattimento; girandomi poco più in la vidi
due figure che si sorreggevano vicendevolmente. Una era sicuramente Shaina,
ma l'altra…era lei, si, era proprio lei, Marin; ancora viva dunque, ma col
corpo segnato da decine di ferite, alcune anche gravi, che dimostravano che
durante la sua lontananza non era certo rimasta inattiva.
La battaglia finì, ma il dolore per la perdita di tanti compagni rimase
in me, come negli altri. Appena due giorni dopo organizzammo una cerimonia
funebre per i morti, nel tempio principale.
Durante quelle quarantotto ore non avevo avuto il tempo per parlare con
Marin, ma mi ripromettevo di farlo al più presto.
C'incontrammo alla cerimonia e lei mi sembrò triste come non mai.
Evidentemente quella tragedia l'aveva scossa più del normale, tanto che a
circa metà funzione la vidi allontanarsi verso l'esterno.
Provai subito l'impulso di seguirla e così effettivamente feci, attirandomi
uno sguardo di disapprovazione da Mu e uno d'approvazione di Shaka, mio caro
amico che, come sempre intuiva tutto ciò che mi riguardava.
Cercai Marin fuori e la osservai mentre se ne stava in piedi, su una
roccia che sporgeva nel vuoto. Istintivamente sentii la sua sofferenza e mi
avvicinai, posandole una mano su una spalla. La consolai, con parole che mi
sgorgarono dal profondo del cuore. Parlai, parlai tanto da sembrare un fiume
in piena, le feci capire che era inutile reagire al dolore con altro dolore.
Tutti li eravamo tristi per la prematura fine di tanti giovani ma bisognava
guardare al futuro ora, facendo tesoro di tutto ciò che quella sanguinosa
battaglia ci aveva insegnato.
Sentii il flusso delle sue lacrime diminuire e me ne sentii profondamente
sollevato. Eppure non ero ancora davvero soddisfatto, volevo che tutta la
sua tristezza andasse via. Istintivamente tesi le braccia verso di lei e la
strinsi a me.
Quell'abbraccio mi chiarì molte cose. Avevo pensato giusto, il sentimento
che si era impadronito di me qualche tempo prima era davvero amore. Amavo
quella fanciulla coraggiosa e forte come una tigre, ma di una dolcezza
impareggiabile, capace di commuoversi per la morte di un uomo che in fondo
non le aveva arrecato che guai. Sentii istintivamente che le avrei voluto
bene per tutta la vita, ma contemporaneamente mi accorsi che in quel preciso
istante stavo commettendo un gesto gravissimo. Avevo messo le mani addosso
ad una sacerdotessa, cosa imperdonabile per un cavaliere. Stranamente però
Marin non si mosse, rimase senza dir nulla. Io mi scusai subito, e tornai
nuovamente al tempio, in tempo per assistere alla fine della cerimonia.
Mi pentii profondamente di quel mio gesto istintivo, anche se non
riuscivo a comprendere bene la mancata reazione di lei. Shaina al suo posto
mi avrebbe certamente staccato le braccia a morsi se solo avessi osato.
Riflettei molto a lungo ma non riuscii a darmi una spiegazione per molto
tempo.
Frattanto, la pace che da poco si era ristabilita sembrò destinata a
finire.
Una nuova minaccia si prospettava; il dio dei mari, Poseidone si era
risvegliato e una serie di nuove sciagure funestarono il mondo. Noi
cavalieri d'oro non combattemmo, dietro ordine del più anziano tra noi,
fummo costretti a lasciare i Saint di bronzo alla mercé dei nemici, uomini
di forza spropositata.
La battaglia finale fu molto cruenta, ma da essa derivarono la sconfitta di
Poseidone e un altro avvenimento che lasciò molti di noi sconvolti.
Scoprimmo che la terribile Shaina possedeva un cuore e che per difendere
l'uomo che amava era disposta anche a morire. Il risultato fu che Seiya
piantò in asso tutto, Giappone, casa sul porto e orfanotrofio e si
trasferì al Santuario, occupando con Shaina la nona casa.
Sinceramente non sapevo se esserne contento. Si trattava pur sempre del
posto che prima aveva occupato mio fratello e vederci ora un estraneo…la
gelosia è pur sempre un sentimento umano e io purtroppo ero umano, dalla
testa ai piedi, con tutti i miei difetti.
Ma vedevo Seiya felice, forse come non lo era mai stato e decisi che era
inutile fasciarsi la testa con tanti problemi; così lasciai stare e iniziai
ad occuparmi dei miei, che non erano certo da poco.
Avevo naturalmente visto Marin più volte, ma avevo deciso di non dirle
nulla dei miei sentimenti. Perché? Difficile dirlo, forse non volevo
rischiare di essere rifiutato o semplicemente desideravo evitare di
complicare la vita già difficile di una sacerdotessa.
Decisi di allontanarmi dalla Grecia per un po' di tempo, per cercare di
chiarire i miei pensieri e, se possibile, dimenticare Marin.
Stetti via per almeno tre mesi, girai molti luoghi e conobbi molte donne.
Era raro che fossi rifiutato da qualcuna, e così, tentando di dimenticare
Marin, la cercavo invece in altre fanciulle; in realtà non ottenevo nulla,
se non un fuggevole piacere, che svaniva all'alba, quando mi chiedevo tutte
le mattine "ma che stai facendo Aiolia del Leone?".
Mi allontanavo in tal modo dalla conquista di turno, sentendomi sempre più
miserabile.
Ben presto mi stancai di quella vita e, persuaso di aver accumulato un
numero più che sufficiente d'esperienze feci sapere in Grecia del mio
arrivo.
Tornato decisi subito che non avrei in ogni caso rivelato i miei sentimenti
a Marin e l'avrei semplicemente considerata una compagna di lotta.
Più difficile a dirsi che a farsi ovviamente. La incontrai di pomeriggio,
mentre mi recavo al tempio e dimenticai in pochi secondi tutti i miei buoni
propositi. Chiacchierai con lei per qualche minuto, poi, con un tremendo
sforzo riuscii ad allontanarmi.
Nei giorni seguenti la cercai spesso per parlarle, ma senza risultato.
Sembrava mi avesse preso in antipatia, appena mi avvicinavo subito se
n'andava, trovava sempre pretesti per starmi lontano, senza che io capissi
il motivo di tanto astio. Le avevo forse fatto qualche torto senza
accorgermene?
Dopo una settimana d'inutili rimpiattini mi recai direttamente al campo
d'addestramento. Lei era lì effettivamente, intenta a lottare con Shaina.
Mi avvicinai; Marin, che non si era accorta del mio arrivo tentò di
schivare un calcio, mi vide e…me la trovai letteralmente tra le braccia.
Prontamente la rimisi in piedi e lei per tutta risposta se n'andò via
correndo.
Chiesi a Shaina i motivi di quello strano comportamento ma neanche lei
riuscì a darmi una spiegazione, o almeno così mi disse.
Non avevo altro da fare li, così me ne tornai a casa, con il morale sotto i
piedi e la testa piena di confusione.
Il giorno dopo mi svegliai pieno d'entusiasmo. Quello era il gran giorno.
Le avrei rivelato i miei sentimenti a qualsiasi costo.
Corsi al campo, all'alba, poiché sapevo che era molto mattiniera e la
aspettai. Invano purtroppo, Shaina mi comunicò che era partita per il
Giappone, con l'incarico di messaggera del Santuario.
Una rabbia selvaggia mi montò dentro, proprio quando io avevo finalmente
chiarito i miei sentimenti ora lei se n'andava. Avrei dovuto attendere un
altro mese adesso. Me ne tornai alla quinta casa infuriato come non mai,
pronto a scannare anche il mio migliore amico pur di scaricare quel
ribollire d'ira che mi trovavo dentro.
Per fortuna non feci nulla di tutto ciò e soprattutto evitai di azzuffarmi
col mio migliore amico, anche perché, se ci avessi provato sarebbe stato
inutile. Come si fa a provocare uno che predica la calma interiore come
principio di vita?
Quel lungo mese fu una specie d'incubo. Avevo inseguito Mu per mezzo santuario per farmi dire il preciso giorno del ritorno di Marin e forse avevo dato troppo nell'occhio. Gli altri cavalieri si erano accorti subito del mio repentino cambio d'umore, e riuscii a farmi prendere in giro persino da Kiki (che iniziava ad essere piuttosto popolare tra le piccole sacerdotesse).
Finalmente quelle dannate quattro settimane passarono, seppur troppo
lentamente.
Il giorno dell'arrivo di Marin era arrivato. Decisi però di non farmi
prendere dal nervosismo e andai ad attenderla sotto la casa dell'ariete,
dove sapevo che si sarebbe recata per fornire a Mu un resoconto del viaggio.
Mi poggiai ad una colonna e chiusi gli occhi con atteggiamento indifferente.
Aspettai per ore, o almeno così mi parve.
La vidi uscire dalla prima casa e, vedendola ora, dopo 30 giorni di
lontananza, mi accorsi di quanto mi era mancata. Le andai subito incontro
ma, lei mi salutò senza guardarmi e se n'andò velocemente.
Stavolta però non mi sarei fermato. La rincorsi, sino alla sua piccola
abitazione, deciso in modo definitivo a chiederle spiegazioni per il suo
comportamene e soprattutto per confessarle i miei sentimenti.
Marin era ferma davanti alla porta. Per evitare che scappasse di nuovo le
bloccai un polso
"Non ci vediamo da più di un mese e mi saluti così?" dissi,
senza lasciarla.
Per qualche secondo non mi rispose, poi balbettò "Io…io…lasciami
andare".
"Ma allora non hai capito nulla" gridai in preda all'ira.
"Cosa…" disse lei, evidentemente sconcertata dal mio
atteggiamento, mentre io continuavo a stringerle il polso.
"Mi sfuggi, mi eviti in continuazione, te ne sei andata dalla Grecia e
ora che ci rivediamo a stento mi saluti….".
"Aiolia, lasciami, mi fai male" urlò lei cercando di
divincolarsi.
Mi resi conto che forse non era quello il modo di dichiararsi, ma non ero
riuscito a dominarmi stavolta. Ero conosciuto come un uomo molto calmo e
riflessivo. In quest'occasione mi ero però comportato male e lo sapevo. Che
diritto avevo di aggredirla così?
"Scusami Marin…scusami…è solo che…per me sei troppo importante e
quando mi hanno detto che eri tornata…."
Le lasciai il polso, mormorando parole di scusa e me n'andai avvilito,
sentendomi sempre di più un verme. Ero fermamente convinto: mai più
l'avrei importunata, non avevo più speranze.
Invece non andò affatto così. Non avevo percorso ancora pochi metri che
mi sentii chiamare. Non mi voltai subito, poi udii un tonfo. Qualcosa di
metallico era caduto su una roccia. Mi girai e la vidi. La vidi in volto,
con i suoi dolci occhi che mi fissavano, con i capelli che ondeggiavano al
vento e capii che ricambiava i miei sentimenti.
Mi precipitai verso di lei immediatamente. La scena che seguì è tra le
più strane che abbia vissuto. Io dissi qualcosa di non ben definito e Marin
perse l'equilibrio e mi cadde addosso.
Quanto avevo aspettato quel momento; la presi tra le braccia e, mormorandole
dolci parole nelle orecchie la deposi sul suo letto.
La mattina dopo mi risvegliai di buon umore, felice come non mai e rimasi
a guardare Marin che dormiva beatamente, nonostante la notte quasi insonne.
Erano le prime luci dell'alba quando si svegliò, scattando subito alla
ricerca della maschera e mormorando confuse parole sui propri doveri di
cavaliere.
Capii che forse si aspettava che io me n'andassi dopo quella notte. Sapevo
che non era così e dovevo farglielo capire a tutti i costi.
Mi avvicinai silenziosamente, la abbracciai da dietro, e le dissi, in un
soffio "Tu d'ora in poi vivrai con me. Per sempre!".
Pochi giorni dopo andammo in Giappone, allo scopo di ufficializzare il
legame con Atena. La dea non trovò nulla da obbiettare, purché
mantenessimo inalterata la fede verso il santuario. Noi promettemmo
ovviamente e ce ne tornammo in Grecia, contenti come non mai.
Annunciammo la nostra relazione a tutti gli altri, anche se, come ci disse
Milo, uomo senza peli sulla lingua : "eravamo tutti sicuri che sarebbe
finita così", mentre Seiya ammise che solo a me avrebbe permesso di
occuparsi di quella che considerava come una sorella maggiore.
Questa è la conclusione di questa lunga storia.
E' notte ora e tra poco so che la mia Marin ritornerà alla quinta casa come
sempre. Non ci vediamo da due giorni ma non m'importa. Sarò felice, sino al
giorno in cui potrò continuare a vederla qui, accanto a me, mentre si
toglie la maschera e mi si siede accanto, strusciando la testa sulla mia
spalla.