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Autore: Serith    19/02/2012    2 recensioni
Raphael, gli intrighi dell'alta società francese, la fuga in Romania, un unico obiettivo: la Soul Edge. La sua vita è come una parabola: è ascendente... ma anche discendente.
5. Congiure: Doveva restare fedele al piano. Era una donna, non aveva molte possibilità di scelta.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Amy Sorel, Raphael Sorel
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’ascesa e la caduta

 

 

1.

 
Il piccolo Raphael, della casata Sorel, nacque il 27 novembre del 1559, dando la prima di una lunga serie di soddisfazioni alla sua famiglia. Sua madre Hèloise, appena ripresasi dal parto lo prese in braccio, ed ebbe l’occasione di tirare un sospiro di sollievo: era un maschio sano e robusto, un perfetto erede della casata. Era un bimbo bellissimo, con le guance paffute e le manine che si aprivano e chiudevano nell’aria. Aveva degli occhi vispi e curiosi, di un’incantevole sfumatura cerulea, ma probabilmente nel giro di qualche mese avrebbero cambiato colore. Per non parlare dei suoi polmoni poi: che potenza! Tuttavia Hèloise non sentiva alcun attaccamento nei suoi confronti, come ci si sarebbe dovuto aspettare da una madre: si, l’aveva cresciuto nel suo ventre, l’aveva desiderato… eppure non lo sentiva suo. Forse perché era ancora sporco di sangue, ed un legame così profondo doveva crescere lentamente… probabilmente perché riusciva già a scorgere nel suo visino dei tratti per nulla simili ai suoi, e questo la fece sentire nel peccato. Come sarebbe stato orgoglioso, lui, di quella scoperta!

Dopo una breve poppata il piccolo si addormentò sereno tra le sue braccia. Quasi tutte le serve che l’avevano assistita durante il parto se n’erano andate, fatta eccezione per la governante ed una giovane ragazza che raccoglieva in una tinozza impacchi e garzine usati durante il travaglio.
-E’ un bellissimo bambino.- disse la donna più grande, chinandosi in avanti per osservarlo meglio, ma non troppo. Madame Hèloise era una donna gentile, con cui pur rispettando i limiti delle loro classi sociali era possibile sostenere un dialogo -Come lo chiamerete, se posso permettermi?
Uscita improvvisamente dai suoi pensieri, la risposta della giovane fu incerta e leggermente irritata. –Non… non lo so. Suppongo che sarà suo padre a decidere.

La governante si afferrò i lembi della gonna ed accennò un inchino. –Vogliate scusarmi. Vado ad informare Monsieur Sorel delle vostre condizioni e di quelle del piccolo.- Uscì dalla stanza senza attendere una risposta. Apparte Hèloise e suo figlio era rimasto solo il dottore che accingeva a rimettere gli strumenti nella sua borsa da viaggio e la serva che andava avanti indietro per la stanza a rassettare. Il silenzio fu ben presto interrotto dalla porta che si spalancava, lasciando entrare un uomo elegante e raffinato. Non era più molto giovane, sebbene risultasse ancora piuttosto attraente. Nonostante ciò, la caratteristica che risaltava maggiormente in lui era il portamento: fiero e orgoglioso, lo sguardo freddo di chi ha sempre guardato dall’alto in basso tutti. Un nobile per sangue e per natura.

La prima cosa che notò Albèric Sorel fu la donna al centro del letto, con i capelli spettinati e la faccia ancora congestionata, e il fagottino che teneva sulle braccia. La seconda era che l’aria era impregnata dell’odore del sangue e della fatica, non esattamente un’essenza piacevole. Odiava gli odori. La terza era la serva che si aggirava qua e la, a fare non si sa cosa. La sua vista, in un momento così importante lo irritò.
-Lasciaci.- disse bruscamente. La sciagurata si inchinò, ed uscì frettolosamente.

Alla sponda destra del letto, il dottore si mise sull’attenti, pronto ad essere congedato. –Signore.

Questa volta il suo tono fu cortese, non scevro però di una nota autoritaria:-Attendete fuori, più tardi discuteremo della paga.
L’uomo annuì con calma, afferrò la borsa e se andò.

Erano rimasti soli, lui, sua moglie e suo figlio. Nelle ore precedenti, mentre dalla porta chiusa sentiva le urla della donna che aveva sposato aveva fatto in modo che dai suoi lineamenti non trapelasse alcuna emozione, ma in realtà era stato preoccupato per il sesso del suo erede. Se si fosse trattato di un maschio, molti dei suoi problemi si sarebbero risolti. La casata Sorel sarebbe stata nelle mani sicure del suo diretto erede, allentando così la morsa in cui lo costringeva suo fratello minore Adrien, con i suoi figli Alexandre e Sebastièn. La sua precedente moglie non era riuscita a dargli degli eredi, così quando era diventata troppo vecchia per rimanere incinta era stato costretto a ripudiarla. Se non l’avesse fatto alla sua morte tutti i suoi averi sarebbero passati ad Adrien, sancendo così la fine della sua dinastia.

Albèric si avvicinò al letto, le mani intrecciate dietro la schiena. Hèloise lo fissava di sottecchi per capire come avrebbe reagito, ma lui non la degnò di alcuna attenzione. Il suo sguardo era fisso su ciò che contenevano le sue braccia magre, una promessa di salvezza per la sua casata, la garanzia che un  giorno sarebbero diventato così potenti da entrare nelle grazie di re Francesco.

Hèloise trattenne il fiato, sapendo che le prossime parole di suo marito avrebbero determinato il suo futuro. Era stata abbastanza forte da partorire senza complicazioni un maschio sano, ma sebbene l’avesse generato con quell’uomo, non riusciva a liberarsi dall’aura di soggezione che le incuteva. Era una donna e quindi considerata inferiore, ma capiva che una nascita nella nobiltà implicava molti interessi, non sempre piacevoli.
Albèric si sporse per guardare meglio suo figlio. Era profondamente addormentato, come se non gl’importasse nulla di essere appena uscito dal ventre di sua madre, ne di dove si trovasse o chi fosse. I primi anni della sua esistenza sarebbero stati gli unici felici, perché presto sarebbe cominciato il suo addestramento. Era bene innanzitutto instillargli il seme dell’odio, in quell’età in cui si era particolarmente fragili e vulnerabili. Una volta cresciuto, il desiderio di rivalsa l’avrebbe spinto a fare qualunque cosa pur di migliorare la sua condizione, e quindi quella della casata.

Il seme dell’ambizione.

Albèric sorrise.

Era identico a lui. Era dell’opinione che i neonati, per quanto ne avesse visti pochi, si somigliavano un po’ tutti, e suo figlio non faceva eccezione. Eppure l’ombra del suo volto era lì, nei suoi lineamenti immaturi.

Presto avrebbe cominciato la sua opera. L’avrebbe plasmato come un pittore plasma un’immagine nella sua mente, riproducendola fedelmente su tela. E il suo erede avrebbe plasmato gli altri a sua volta, corrompendo, distruggendo, creando alleanze. Con un unico scopo: diventare il favorito del re.

La sua vita sarebbe stata la sua opera d’arte.

Raphael.

Finalmente Albèric distolse il suo sguardo da lui, concentrandosi su sua moglie. Non aveva smesso di tenerlo d’occhio, ma era rimasto talmente assorto da dimenticarsene.

Hèloise lo guardò, in attesa del suo giudizio. L’aveva soddisfatto come moglie? Gli occhi dell’uomo, in genere freddi e assorti per un momento di distesero, lasciando intravedere un barlume di calore.

-Sei stata brava.- disse accarezzandole la testa, -Sono fiero di te-.

I lineamenti sul volto di lei si distesero per il sollievo. Aveva compiuto gran parte del suo dovere. In futuro era preferibile che gli desse altri figli, ma considerato che il loro primo erede era un maschio, probabilmente non l’avrebbe mandata in convento.

Albèric era soddisfatto, ma la sua giornata non era terminata. Aveva ancora alcuni impegni da assolvere; tra questi il redigere una lunga, esaustiva lettera in cui informava suo fratello Adrien della felice nascita del suo primogenito Raphael, e che quindi i suoi figli non avrebbero ereditato nulla dallo zio.

-Ti lascio riposare. Manderò una balia a prendere il bambino. Dormi bene, mia cara.

Le poso un bacio sulla fronte, che Hèloise accettò silenziosamente. D’un tratto si sentiva esausta; non solo per il parto, ma anche per la pressione vecchia di mesi che sentiva di non aver più sulle spalle. Abbandonò la posizione seduta per distendersi, tendendo il bambino sul ventre. Quest’ultimo aprì gli occhi, ma non pianse.

Albèric uscì. Mentre la porta si chiudeva alle sue spalle, un sorriso più simile ad un ghigno si formò sulle sue labbra, allargandosi come una ferita.

L’ascesa della famiglia Sorel era appena cominciata.
   
 
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