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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    20/02/2012    1 recensioni
[PARTECIPANTE AL COURAGE, HONOR AND NAKAMASHIP: 'CAUSE FRIENDS ARE JUST LIKE A SECOND FAMILY CONTEST E CALSSIFICATASI QUARTA]
“Tutto bene?” chiese subito il rosso, mentre aiutava Chrome, Haru e Kyoko a rimettersi in piedi: “Ci siete riusciti?” proseguì, puntando su ciascuno di loro i suoi grandi occhi verdi.
Hayato annuì, mentre teneva dritto il giovane Bovino per un braccio e lo sgridava per essere troppo imbranato e “rompicazzo!”, come era stato apostrofato aspramente dal maggiore.
“Allora?” incalzò Reborn, comparso all'improvviso alle spalle di Giannini: “Chi sono i fratelli di Tsuna?”
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tsunayoshi Sawada, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nickname Autore: SHUNDIANDROMEDA/KungFuCharlie
Titolo: WORD-KEY: “CARING”
Fandom: Katekyo Hitman Reborn!
Personaggi: Tsunayoshi Sawada, un po' tutti
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico
Rating: Verde
Avvertimenti: OneShot

PARTECIPANTE AL NAKAMASHIP CONTEST INDETTO DA ANGELSWORD

§§§

WORD-KEY: “CARING"
 

Quando il fumo rosato si fu infine dissolto, i Guardiani si misero cautamente seduti sul freddo pavimento del laboratorio, guardandosi attorno con aria frastornata: non si sarebbero mai abituati a quel modo di viaggiare.

Giannini, Shoichi e Spanner erano lì, in attesa ed evidentemente preoccupati per loro: effettivamente, non dovevano essere un bello spettacolo.

In nove che erano, nello spazio della settimana da loro trascorsa nel passato, le ore trascorse a riposare decentemente dovevano essere state una dozzina in tutto: anche Mukuro e Hibari sembravano esausti, benché non si lamentassero così platealmente come stava facendo Lambo in quel momento.

“Tutto bene?” chiese subito il rosso, mentre aiutava Chrome, Haru e Kyoko a rimettersi in piedi: “Ci siete riusciti?” proseguì, puntando su ciascuno di loro i suoi grandi occhi verdi.

Hayato annuì, mentre teneva dritto il giovane Bovino per un braccio e lo sgridava per essere troppo imbranato e “rompicazzo!”, come era stato apostrofato aspramente dal maggiore.

“Allora?” incalzò Reborn, comparso all'improvviso alle spalle di Giannini: “Chi sono i fratelli di Tsuna?”.

§§§

Tutto era iniziato nel modo più semplice, e forse più doloroso.

Era stato Hayato a ritrovare il Decimo lungo disteso per terra, in quel giorno che minacciava neve a ridosso del Natale, col respiro accelerato, la fronte che scottava, e tremiti violenti che ne scuotevano il corpo esausto.

Era stato lui a prenderlo tra le braccia per portarlo nella sua camera, che ormai da giorni non frequentava, impegnato com'era in riunioni, incartamenti e missioni cui insisteva voler partecipare fianco a fianco con i propri Guardiani.

Era stato sempre lui a precipitarsi alla ricerca dei compagni, e di Reborn, per chiedere aiuto.

§§§

Un brividino di freddo percorse la spina dorsale di Gokudera, che camminava a passo spedito nel corridoio, diretto verso l'ufficio del Decimo.

Si guardò nervosamente attorno, scorgendo una delle finestre del corridoio lasciata socchiusa, malgrado le temperature fuori si aggirassero attorno ai meno tre-quattro gradi.

Imprecando sottovoce, il Guardiano della Tempesta si precipitò a chiuderla, maledicendo tra sé e sé l'idiota integrale, chiunque fosse, che se l'era scordata: il suo sguardo indugiò un momento sulla neve che aveva ammantato il cortile della magione, si vedevano appena le sagome degli alberi spogli e imbiancati nell'oscurità che avanzava rapidamente, e a quella vista non potè non sorridere, sfregandosi le mani con soddisfazione.

Sarebbe stato un Bianco Natale il loro, quell'anno, senza alcun dubbio.

Il primo da tanto tempo.

“Non vedo l'ora di usare quell'idiota come bersaglio mobile!” sogghignò tra sé e sé, fantasticando sull'espressione di Yamamoto nell'eventualità di un attacco incrociato da parte sua e, naturalmente, del Decimo.

Già, perchè la sua intenzione era chiara: convincere Tsuna a fare squadra con lui e dare una bella ripassata all'amico/rivale/praticamente fratello di sempre; aspettava quell'occasione da una vita, lo elettrizzava semplicemente l'idea di seppellire Takeshi e il suo ghigno da Stregatto sotto minimo tre metri di neve.

Erano cresciuti, questo si, e le strambe rivalità che avevano, in qualche modo, sempre legato tutti erano diventate semplicemente amicizia e affetto, ancora più salde di quando erano ragazzi, ma la prospettiva di poter trascorrere una giornata a rotolarsi nella neve, come ai tempi della scuola, lo faceva sentire stranamente euforico.

E poi, anche se non lo avrebbe mai ammesso, neppure sotto tortura, e neppure davanti a Tsuna, doveva riconoscere che i Natali più caldi e piacevoli, belli forse era l'aggettivo più adatto per descriverli, li aveva trascorsi con quel manipolo di stramboidi che formavano il cuore dei Vongola, e forse anche un pochettino il suo.

E ciò lo riconduceva alla sua missione.

Dopotutto, si era offerto volontario per andare a chiamare il loro Boss per la cena, e non potevano tardare: ne avrebbero discusso a tavola, assieme agli altri.

Ma quando raggiunse, finalmente, la porta dello studio, si sorprese di trovarla aperta a metà.

E il cuore ebbe un ulteriore sobbalzo nello scorgere, all'interno, un'ombra stagliata per terra, deforme, che non apparteneva sicuramente a Tsuna.

In un lampo, estrasse i candelotti di dinamite, che s'accesero con uno sfrigolio sinistro, nel momento in cui la miccia aveva sfiorato la cicca di sigaretta che il giovane dai capelli argentei stringeva tra i denti, e spalancò la porta con un calcio ben piazzato: “DECIMO!” gridò, pronto a colpire chiunque stesse attentando alla vita del suo prezioso Boss e migliore amico.

Ma nella stanza non c'era nessuno, solo una figuretta tremante, dai ciuffi color cioccolato arruffati e imperlati di sudore come la fronte aggrottata in un'espressione sofferente, che mugolava e rantolava una fievole richiesta d'aiuto, circondata e ricoperta da un gran numero di fogli timbrati e pronti per essere probabilmente consegnati a uno di loro.

Disinnescare le cariche e correre al fianco di Sawada fu un momento, per la Tempesta.

Hayato infatti, con gli occhi sgranati, il panico e l'ansia che salivano fino in gola come bile amara, si inginocchiò accanto a lui, sollevandolo delicatamente tra le braccia e sfiorandogli con le dita le guance, bollenti come la fronte. Controllò il corpo, tastandolo alla ricerca di eventuali ferite, di colpi di pistola o qualunque altro accidente, ma nulla, anche le vesti erano intatte.

Non ci si raccapezzava, non era in grado di fare nulla in frangenti del genere: come poteva proteggere il Decimo da un nemico invisibile come una malattia? Poteva far esplodere intere Famiglie in pochi attimi, spazzare via truppe di sicari con un paio di candelotti, ma contro germi, batteri e piccoli bastardi della loro risma era, purtroppo, impotente.

Tsuna tremava di freddo, stringendosi al suo braccio destro alla ricerca di calore mentre, dalle sue labbra, sfuggivano parole confuse, inframmezzate di giapponese e italiano: “Non va, devo fargli scendere la temperatura...” ringhiò Gokudera, tirando su con sé quel corpo semincosciente per portarlo fuori di lì.

Si precipitò nel corridoio deserto, correndo come un forsennato verso l'ala della villa dove si trovavano le loro stanze: non sapeva cosa fare, è vero, ma il suo intuito gli gridava di portare Sawada in un luogo caldo e sicuro prima di precipitarsi a cercare aiuto, poteva fare solo quello.

§§§

Reborn, seduto all'altro capo della tavola, guardò indispettito il grande orologio a pendolo che troneggiava sul caminetto della sala da pranzo, spostando alternativamente lo sguardo ora sulla porta, ora sulla lancetta dei secondi, che continava a ticchettare beffarda, ora sui Guardiani in evidente ansia per la lunga attesa.

Il cibo nei piatti si stava inesorabilmente raffreddando ma di Gokudera e Tsuna nessuna traccia.

“Che cazzo stanno facendo quei due?” chiese il tutor con tono pericolosamente irritato: detestava aspettare, soprattutto per cenare dopo essere tornato finalmente a casa dopo settimane in missione.

“F-Forse Tsuna sta finendo di compilare qualche documento.” azzardò Yamamoto, lanciando uno sguardo inquieto al Sole seduto accanto a lui: “Giusto!” concordò questi, annuendo vigorosamente, “Dopotutto, stamattina c'è stato quell'incontro noiosissimo all'estremo!”.

Anche Chrome, che sedeva davanti a Ryohei, era d'accordo.

“Oya-Oya, non è che quella testa di polpo sta insidiando il nostro adorato Boss?” sogghignò un Mukuro particolarmente su di giri ed entusiasta alla prospettiva: “Ho sempre detto che...” ma venne all'improvviso interrotto da uno scalpiccio di piedi, e dall'arrivo di un Hayato ansante e barcollante.

“Era ora, dov-” fece per dire l'Arcobaleno, alzandosi, ma Gokudera lo ignorò, afferrando Sasagawa per un braccio: “Devi aiutare il Decimo!” riuscì a dire tra gli ansimi prima di tirarselo dietro.

“Ehi! Ehi! Cosa vuol dire...?” ma ogni protesta da parte del Guardiano del Sole fu inutile, perchè l'italiano l'aveva già trascinato nel corridoio, lasciando il resto della Famiglia lì, a fissare stupefatti, e un poco sconvolti, il punto dove entrambi erano spariti.

“Ehi, sbaglio o ha detto...?” balbettò Yamamoto con gli occhi sgranati: “Che sia successo qualcosa al Boss?” sussurrò Chrome, stringendosi le mani al cuore, incerta su cosa fare.

“Il carnivoro sta male. Sembra sia svenuto.”

Fu Hibari, comparso all'improvviso sulla soglia, a confermare loro, con un'orrenda sensazione di gelo all'altezza dello stomaco, i sospetti che già le parole del compagno avevano alimentato: “Cosa vuoi dire?” chiese Reborn, rompendo finalmente il suo mutismo per rivolgersi alla Nuvola, che si ostinava a non voler incrociare il loro sguardo.

Con uno sbuffo seccato, Kyoya girò i tacchi e fece per uscire: “Quello che ho detto, Sawada Tsunayoshi è svenuto nel suo studio e ha la febbre alta. Sasagawa Kyoko è già di là a visitarlo.”.

Nessuno aprì bocca, tutti seguirono Reborn fuori dalla sala da pranzo, il cibo ormai freddo era stato dimenticato del tutto mentre i Guardiani correvano attraverso la villa per raggiungere la stanza di Sawada, e cercare di capire cosa fosse successo, sperando che tutto si potesse risolvere in fretta e senza complicazioni di sorta.

Arrivarono davanti alla camera da letto trafelati, con Leon che stava aggrappato con le sue zampine piccine al nastro del cappello del suo padrone, i grandi occhioni spalancati, e dietro di lui il resto della Famiglia, nelle stesse identiche condizioni di stupore e, forse, paura: lì, trovarono un Gokudera agitatissimo e sull'orlo di una crisi di nervi, calciato evidentemente fuori dai due fratelli per l'eccessivo chiasso che stava facendo, chiasso che stava infastidendo, e non poco, la Nuvola, poggiata contro il muro accanto a lui.

C'era anche Kusakabe, che cercava di sorridere rassicurante, e si potevano sentire le voci di Shoichi, Spanner e Giannini provenire da un qualche punto imprecisato dell'edificio, ma dai loro toni era chiaro che stessero cercando di raggiungerli.

“Che è successo?” domandò Takeshi, avvicinandosi ad Hayato con aria cupa.

Questi scosse la testa, cercando di accendersi una sigaretta, purtroppo senza successo: le mani gli tremavano troppo e la fiamma dell'accendino non riusciva a stare ferma il tempo sufficiente perchè la carta e il tabacco prendessero fuoco; con un sospiro di disappunto, la Pioggia gli strappò di mano il piccolo oggetto metallico e gliela accese personalmente.

La Tempesta inalò profondamente una boccata di fumo, poi, una volta calmatosi, gli rivolse uno sguardo pieno di gratitudine prima di voltarsi verso la Famiglia lì riunita: “Non so cosa sia successo.” ammise lui, osservando la porta della camera socchiusa con espressione colpevole, “Sono andato a chiamare il Decimo per la cena e l'ho trovato riverso a terra, svenuto e con la febbre alta. L'ho portato in camera, poi sulla strada ho incontrato Kusakabe e Sasagawa e li ho mandati da lui mentre io venivo a cercare Testa-A-Prato” spiegò sommariamente il giovane argenteo.

Nel gruppo cadde un silenzio strano, pieno di domande sì, ma evidentemente nessuno di loro sapeva bene cosa dire, nel timore che fosse qualcosa di più grave del previsto: malgrado fosse passato quasi un anno, nessuno di loro aveva dimenticato ciò che era successo e la sensazione di gelo, che aveva stretto lo stomaco di tutti come in una morsa, era la stessa di allora.

Paura, il dolore della perdita...

Non volevano sentire altro.

Fu il rumore della porta che cigolava per aprirsi a farli sobbalzare, mentre i due fratelli Sasagawa comparivano nel cono d'ombra della luce soffusa proveniente dall'interno, nel momento esatto in cui, dal corridoio, sbucavano i tre tecnici della Famiglia e Bianchi e Fuuta.

“Come sta Tsuna-nii?!” chiese trafelato il ragazzino, con la sciarpa a righe che sventolava da tutte le parti e i grandi occhi chiari lucidi.

“Tsu-kun sta male, ragazzi... Ha bisogno di riposo e tranquillità, si è strapazzato troppo in questi giorni.” pigolò lei, tormentandosi le mani avvolte dai guanti in lattice, con le spalle poggiate contro il petto del fratello maggiore: “Ha la febbre molto alta e delira...” mormorò la ragazza, visibilmente scioccata, “Continua a chiamare aiuto, e a cercare i suoi fratelli.”

Per un attimo, tutti i presenti restarono in silenzio, come se la notizia non li tangesse minimamente, come se fosse qualcosa che non li riguardava, poi fu Mukuro a rompere per primo il silenzio, e lo fece nel modo peggiore.

Scoppiando a ridere.

“Non scherziamo piccina.” flautò l'illusionista, poggiandole una mano sulla spalla: “Tsunayoshi non ha fratelli maggiori, è figlio unico.” aggiunse Hibari lapidario, “So per certo che ImbranaTsuna non abbia fratelli,” confermò l'Arcobaleno, spiando il volto della rossa da sotto la falda del cappello, “E Iemitsu non ha avuto figli, oltre a lui.”.

“L'ho sentito anch'io,” ammise Ryohei, facendo un passo in avanti: “Sawada piangeva, non l'ho mai visto in queste condizioni...” sussurrò, abbassando lo sguardo, “Mi ha afferrato per un polso, aveva gli occhi stralunati e non credo mi abbia riconosciuto... Mi ha fatto cenno di frugare sotto il materasso e... Beh, c'era questa.”.

Il Sole estrasse di tasca una piccola fotografia, consegnandola a Gokudera: attorno a loro, si assieparono tutti i presenti, che fissarono la piccola immagine con estremo stupore.

Era incredibile.

“Stronzate...” ringhiò Hayato, digrignando i denti: “Chi sono questi qui?!” sbottò, mollando l'istantanea in mano a Takeshi: questi deglutì più volte, non sapendo cosa dire.

Era innegabile che quel bimbo sorridente, seduto tra le braccia di una persona di cui non si riusciva a vedere il volto, tagliato dallo scatto sbagliato, e col pigiama addosso, fosse il loro Cielo, il sorriso, i ciuffi disordinati e soprattutto gli occhi erano gli stessi; non si vedevano i volti delle altre persone, erano stati tutti tagliati all'altezza del collo dalla macchina stessa.

“Chiunque l'abbia scattata, è più imbranato di Sasagawa.” notò Mukuro quando gli venne data in mano, e lo disse con un ghignetto sardonico sul volto pallido, tale da scatenare l'ira del Guardiano del Sole.

Reborn gliela strappò di mano senza troppi complimenti, esaminandola con attenzione: era vera, non c'era il benché minimo segno di alterazione o chissà cos'altro; la girò con mano quasi tremante, e sentì come se un blocco di ghiaccio gli fosse scivolato nello stomaco.

Il futuro è dietro l'angolo, Tsu-chan. Neppure il cielo sarà il tuo limite, perchè tu sei il Cielo”

La frase che c'era scritta dietro la fotografia, vergata in infantili hiragana, con parecchi errori, ammutolì i presenti, che guardarono alternativamente ora la porta chiusa, da cui sentivano provenire i lamenti del loro Boss, ora quella manciata di parole che, sentivano, avrebbe cambiato molte cose.

Ma la domanda, in quel momento, era: chi erano quelle persone?

§§§

“Lo scopriremo noi!”

Con passionale entusiasmo, Hayato aveva esclamato queste tre parole, una volta tornati in sala da pranzo: di mangiare, nessuno aveva più voglia, erano molto più in pensiero per il giovane dai capelli color cioccolato che riposava a qualche stanza da loro, ed erano preoccupati per l'inprevedibile piega che gli eventi avevano preso: se era vero che Tsuna aveva dei fratelli maggiori, dovevano scoprirlo, il ragazzo aveva bisogno di loro.

Ma come scoprirlo?

Negli archivi della Famiglia non c'era nulla, e anche un rapido controllo, tramite alcuni database riservati dell'ufficio anagrafico di Namimori, aveva evidenziato che Sawada Tsunayoshi era il solo figlio di Iemitsu e Nana Sawada.

Nel silenzio che aveva seguito le ricerche, e le notizie in merito, da parte di Spanner e Shoichi, che si erano subito rituffati nei meandri della Rete in cerca di indizi, Gokudera se n'era uscito con quel suo “Lo scopriremo noi!”, deciso, che non ammetteva la minima replica.

E con quel noi, la Tempesta intendeva chiaramente sé stesso e, ovviamente gli altri Guardiani.

“Kufufufu, e come intendi fare?” chiese Mukuro, cullando Chrome sulle ginocchia: “Mukuro ha ragione, testa-di-polipo, non abbiamo il minimo indizio da cui partire!” notò Ryohei, stravaccandosi sul divano con espressione rabbuiata.

“Perchè siete stupidi e non sapete usare il cervello! Shoichi, Spanner, venite qui.” ordinò l'argenteo, facendo cenno ai due tecnici di avvicinarsi a lui: “E anche voi.” aggiunse, ripetendo la stessa azione anche per i compagni.

Quando tutti lo ebbero circondato, lui tirò fuori dalla tasca la fotografia che tanto li aveva sconvolti e spinti a cercare quelle risposte a causa delle quali stava per fare quella proposta tanto bizzarra.

“Torneremo noi indietro nel tempo e scoveremo chi sono queste persone. E che rapporto hanno veramente col Decimo.”.

Per un attimo, i presenti restarono basiti da quell'affermazione: non avevano minimamente pensato a quella possibilità che, in effetti, poteva essere fattibile. Dopotutto, se la memoria non li ingannava...

“Spanner, Shoichi. Voi avete aiutato i bambini a farlo, vero?” interloquì Reborn, accarezzando il suo camaleonte sulla testolina.

“S-Si. Tsunayoshi-kun e gli altri hanno fatto spola per ben due volte tra questo tempo e il loro, col nostro aiuto.” ammise il rosso, sistemandosi nervosamente gli occhiali: “Si può rifare,” aggiunse Spanner con serietà, “anche subito.”

“Ma come?” chiese confusa Kyoko, guardando ora il fratello ora i due tecnici che si erano messi a confabulare tra loro: “Non preoccuparti, Kyoko-nee.” la rassicurò Fuuta, “Ricordo che Spanner e Shoichi erano riusciti a rimandare Tsuna-nii e gli altri nel passato e a fare in modo che dalla loro partenza non fossero trascorsi che pochi minuti.”.

“È una mera questione di calcoli.” confermò Irie, tirando fuori dalla tasca un piccolo blocchetto

“Allora è deciso! Andremo nel passato.” concluse Yamamoto, alzandosi dalla poltrona con la custodia della spada sottobraccio: “Ma quando?” chiese Ryohei curioso, osservando la fotografia che gli era finita tra le mani.

Lambo la acchiappò: “Tsuna-nii sembra che abbia massimo 5-6 anni in questa fotografia, è un po' vago come indizio.” borbottò, avvicinandosela ancora di più al viso, “Aspettate... C'è scritto qualcosa sotto la frase...” annunciò l'adolescente, dopo aver voltato l'immagine.

A fatica, Lambo lesse una data, stampata e sbiadita sul retro.

27 Novembre 1997

Sembrava troppo bello per essere vero...

“Fate controllare a me.” si fece avanti Giannini, agguantando la fotografia: l'ingegnere la esaminò a lungo prima di dare il suo verdetto: “E' stata scattata da una macchinetta usa e getta, senza alcun dubbio. L'immagine è sgranata e di bassissima qualità, procedimenti del genere all'epoca necessitavano di almeno cinque-sei giorni.” esclamò, “Per tenerci larghi, allora, possiamo mandarvi indietro nel tempo di due settimane circa rispetto alla data della fotografia.” propose Spanner, scartando uno dei suoi lecca-lecca.

“E ciò ci porterebbe al...”

“12 Novembre 1997”

Ci fu un attimo di silenzio, poi fu Chrome a tagliare il discorso.

“Facciamolo.”.

§§§

“Hayato, è arrivata anche Haru, dobbiamo andare.”

Takeshi entrò nella stanza di Tsuna, calda e quasi soffocante, certo di trovarci lì anche l'italiano, ed effettivamente era così: con il capo chino sulla figura sofferente del suo Boss, Gokudera sembrava assorto in chissà quali pensieri, che contribuivano a lasciargli sul viso quell'aria di tristezza e dolore, e un poco di colpevolezza.

La Pioggia conosceva bene il suo pollo: dopo dieci anni, tutti i processi mentali della Tempesta erano come un libro aperto per lui, ed era facile, di conseguenza, trovare le parole giuste per scuoterlo e farlo riprendere.

Mosse qualche passo in avanti fino a trovarsi a ridosso del letto occupato dal Cielo, esattamente affianco al compagno, poi gli poggiò una mano sulla spalla: “Andiamo, prima sveliamo questo mistero, prima torniamo e aiutiamo Tsuna a guarire.” sorrise incoraggiante.

Gokudera annuì, sospirando rumorosamente, ma non si alzò: teneva lo sguardo puntato ostinatamente sul viso del bruno, sudato e trasfigurato in una smorfia sofferente.

“Non resterà da solo, lo sai. Qui restano Reborn, Bianchi e Fuuta, per non parlare di Giannini, e di Irie e Spanner, starà...” tentò di rassicurarlo, ma subito l'argenteo scrollò il capo, voltandosi di scatto verso di lui: “Lo so, non sono preoccupato per questo. È solo che...” si morse il labbro inferiore, incapace di continuare, col pugno stretto al petto con tale forza da ferirsi quasi: “Pensavo solo che ho sempre e unicamente dato per scontato ciò che mi si palesava sotto gli occhi, non ho mai pensato effettivamente a un cambiamento, per me l'abitudine è sempre stata una ed una soltanto. Quella di avere il Decimo a guidarci e a riunirci assieme. Ma forse, ho perso di vista la realtà delle cose, così come la possibilità di un profondo cambiamento, di uno stravolgimento e...”

“Hayato, ora calmati e respira.”.

Con mano ferma, Takeshi bloccò l'amico per le spalle, obbligandolo a guardarlo dritto negli occhi, calmi e tranqulli come il mare.

“Io vedo l'amicizia che ci lega tutti più come un dono, un dono che ci ha portato a essere quello che siamo adesso. Forse, in un certo senso, hai ragione tu: non lo nego, dieci anni sono tanti e noi siamo umani, forse è anche possibile che questo stato di cose, pur se idilliaco per noi, abbia contribuito ad addormentarci, a farci vivere nella certezza di un'immutabilità eterna. E può essere frainteso con l'abitudine. Ma sai cosa diceva Shakespeare?” sorrise Yamamoto.

Gokudera scosse la testa, attonito.

Quel mostro, l'abitudine, che divora ogni sentimento il quale ci metta in guardia contro i malanni che s'annidano nell'abitudine stessa, si dimostra purtuttavia un angelo in questo, che riveste d'una livrea assai facile ad indossarsi anche la pratica delle azioni buone e belle.” Takeshi era incredibilmente buffo mentre citava pomposamente, quasi stesse recitando, e la Tempesta trovava assurdo, come se il mondo stesso si fosse ribaltato, che non solo la Pioggia sapesse chi fosse Shakespeare ma anche il fatto che fosse in grado di declamarne i versi!

E difatti glielo disse.

“Yakyuu-baka, come diavolo fai a...?”

“Tu non c'eri quella volta che io e Tsuna, durante una missione, ci siamo dovuti imparare a memoria un bel po' di strofe, saggi, poesie e roba del genere, il tutto per non sfigurare a un meeting.” gemette il moro, ravvivandosi i capelli: “Questa era una delle sue, e mi sembrava adatta a una situazione del genere.” concluse, tirando poi l'amico a sé: lo abbracciò fraternamente, stringendo al contempo la mano di Sawada che spenzolava fuori dalle coperte.

Non proferì parola ma, quando si staccò, ad Hayato era caduta la sigaretta di bocca.

Semplicemente, lo spadaccino gliela raccolse, rimettendogliela tra le labbra, prima di voltarsi verso il Cielo ancora addormentato; s'inginocchiò al suo fianco, poggiando appena le labbra sul freddo metallo dell'anello Vongola: “Noi andiamo, Boss. Torneremo presto.” gli promise, prima di tirarsi dietro Gokudera.

Direzione, sotterranei.

§§§

Il laboratorio che Giannini divideva coi due ex Millefiore era tutto fuorchè piccolo e ordinato.

Occupava gran parte dei fondi della villa, giusto accanto ai garage dove erano ospitati i mezzi di trasporto della Famiglia, stipato di macchinari, computer perennemente al lavoro, rottami e pezzi di ricambio in ogni angolo, poteva essere il paradiso per qualunque esperto di meccanica e informatica.

Ma era notoriamente l'inferno per i Guardiani, i quali temevano a ogni passo di trovarsi lunghi distesi per terra, inciampati in qualche mefistofelico macchinario o in qualche subdolo cavo abbandonato sul pavimento: ciononostante, erano tutti lì riuniti, pronti a partire.

Anche, con stupore del Guardiano della Tempesta, Hibari.

“Siete estremamente in ritardo!” li rimproverò Ryohei, sbracciandosi verso di loro, i due notarono che avevano smesso del tutto gli abiti formali a cui nessuno era più abituato, tranne forse Kyoko e Haru, che stavano ritte in piedi accanto a una Chrome visibilmente cupa.

“Verranno anche le ragazze stavolta, per precauzione.” dichiarò Reborn, sbucando all'improvviso da dietro un impianto: “Saranno l'assicurazione che non facciate eccessivo casino nel passato. Diciamo che vi terranno d'occhio.” sogghignò l'hitman, passando ai due ritardatari alcuni abiti e un borsone a testa, “Cambiatevi appena potete. Gokudera, tu sei il braccio destro del Decimo, sarai tu a guidare i tuoi compagni in questa missione.” affermò con estrema serietà.

L'italiano annuì, gli occhi gli brillavano di decisione.

“In ciascuna delle vostre borse c'è una somma di denaro sufficiente per permettervi di stare senza problemi nel passato. Il vostro compito sarà capire chi siano le persone nella foto e scoprire che legame hanno con Tsuna. Non fate colpi di testa.” aggiunse, scoccando un'occhiata severa verso Mukuro e Hibari.

Spanner si fece avanti, seguito da Giannini e Irie.

“Siamo pronti!” annunciò il rosso trionfante: “Non abbiamo mai tentato un viaggio così, questo è vero, ma siamo certi che ce la farete.” aggiunse, armeggiando con un piccolo telecomando: “Abbiamo messo Fiamme sufficienti nel dispositivo per equilibrare la vostra presenza nel 1997 per una settimana, è il massimo che l'apparecchio può sopportare al momento.” s'intromise il paffuto meccanico, “Dopodichè, in qualunque luogo vi troviate, qualunque cosa stiate facendo, verrete riportati qui. Data la necessità di agire rapidamente, siamo riusciti a impostare la macchina di modo che, per noi, sia trascorsa al massimo un'ora, quindi andate tranquilli. In questo periodo, ci occuperemo noi di Vongola” concluse Spanner.

I Guardiani e le ragazze si scambiarono uno sguardo: erano pronti.

“Buon viaggio. E vedete di tornare interi.” mormorò Reborn mentre scomparivano in uno scintillio verde smeraldo.

§§§

“Dico io, di tutti i posti possibili, proprio sul tetto della Nami-chuu dovevano farci atterrare?!”

Sotto un cielo plumbeo che minacciava pioggia, coi visi esposti alla furia dei venti, i nove viaggiatori si erano ritrovati sulla terrazza che, nel loro passato, era il cuore dell'amicizia che li legava, il palcoscenico di alcune delle loro disavventure.

Assieme alla loro scuola, che aveva ricoperto forse il ruolo più importante.

“Ahhh, sono anni che non veniamo più qui!” esclamò Ryohei, saltando sul basso muretto che delimitava i comignoli: “Hibari, non osare filartela!” gridò il pugile, agitando le braccia in direzione della Nuvola, “Il fratellone ha ragione, dobbiamo restare uniti, ed evitare di farci notare troppo.” concordò Kyoko.

Pur sbuffando con evidente irritazione, Kyoya restò dove si trovava.

“Che facciamo adesso?” chiese Lambo, stringendosi nella giacca a vento verde che lo proteggeva dal freddo: “Da dove cominciamo a cercare?”.

“Perchè non proviamo a chiedere direttamente al Boss?” propose Chrome, aggrappata al braccio di Mukuro: “Se ha dei fratelli, è probabile che solo lui possa darci le informazioni che ci servono.”.

“L'erbivoro non è qui allora.” notò la Nuvola con tono glaciale: “Vero, dobbiamo andare alla Nami-gakuen, ricordo che Tsu-kun frequentava la classe accanto alla mia.” Kyoko si sporse dal parapetto, osservando il cortile dell'istituto deserto.

“Oya-oya, senza di me sareste persi.” sospirò l'illusionista della Nebbia, infiammando il proprio Anello: “A meno che Sasagawa-chan non voglia spalmarsi sull'asfalto, useremo delle illusioni per nasconderci e passare attraverso l'edificio senza farci vedere da nessuno. Hibari-kun, cerca di non tentare di ucciderci mentre scendiamo.” flautò lui, avvolgendo tutti e nove con le Fiamme della Nebbia.

Tra lo stupore generale, Hibari non aveva spiccicato parola, anzi, sembrava quasi remissivo, e più tranquillo del normale, cosa insolita e a tratti inquietante; si lasciò avvolgere dall'illusione creata ad arte da Rokudo e seguì, pur se scostato rispetto al gruppo, il resto della Famiglia prima lungo i corridoi pieni di studenti poi fuori dall'edifico scolastico, e infine lungo la breve strada intensamente trafficata che conduceva alla scuola elementare.

Non parlarono durante il tragitto, nessuno di loro sembrava dell'umore adatto per scambiare qualcohe parola, anche perchè la sensazione di gelo che li aveva attanagliati nell'esatto momento in cui avevano messo piede fuori sulla strada era sufficiente a tenerne la mente e l'attenzione impegnate: sentivano che c'era qualcosa di sbagliato, che di lì a poco qualcosa sarebbe accaduto, e non erano certi che fosse qualcosa di positivo.

Fu Kyoko a riscuotere tutti, una volta arrivati davanti al cancello dell'istituto elementare.

E anche lì, non c'era nessuno.

Ma che ore erano?

In lontananza, il suono di una campana annunciò lo scoccare delle cinque pomeridiane.

“Siamo sicuri che sia ancora qui?” azzardò Lambo, guardandosi attorno con vivo interesse: “Non mi sembra ci sia molta gente in giro.” sbuffò, lasciando che lo sguardo saettasse un po' ovunque.

Se possibile, l'ansia si fece più forte e vividamente presente in loro.

Decisamente c'era qualcosa che non andava.

Poi, all'improvviso, il pianto di un bambino ruppe il silenzio, rimbombando nelle loro menti con l'intensità di un'esplosione, facendoli trasalire, Chrome e Haru ebbero un vero e proprio sobbalzo mentre Kyoko impallidì, e i Guardiani scattarono istintivamente in avanti, attraversarono il cancello a passo di corsa e si dispersero per tutto il piazzale, col vento che scompigliava loro i capelli, fattosi più forte e intenso di punto in bianco, a tal punto che gli alberi più vicini vennero scossi con tale violenza da far scricchiolare perfino i rami più alti e robusti

“Correte!” la voce di Hayato sovrastò quell'ululato assordante: “Muovetevi!” ordinò la Tempesta, rivolta alle ragazze ancora paralizzate; un gemito di dolore riscosse Haru e Kyoko dal loro torpore, con Chrome che si era accasciata a terra, scossa dai singhiozzi.

Premurosamente, le due amiche la sorressero, vedendo con somma inquietudine il suo volto solcato da fiumi di lacrime.

“Il Boss è qui e sta male...” balbettò lei.

§§§

Infreddolito e tutto bagnato, con i muscoli delle gambe indolenziti e i graffi sul viso che bruciavano per il fango che li aveva coperti e gli spifferi gelidi che entravano dalle fessure della porta di legno, il bambino singhiozzava, stringendo le ginocchia al petto per tentare disperatamente di scaldarsi.

Era chiuso lì, e non sapeva se e quando quei prepotenti che lo avevano buttato lì dentro lo avrebbero fatto uscire.

Voleva tornare a casa, stava male...

Voleva la mamma...

Tentò di asciugarsi il viso con la manica della giacca della divisa scolastica, ma era tutta stracciata e sporca di terra anch'essa: lasciò perdere, avrebbe solo peggiorato la situazione.

Non sapeva quantificare da quanto fosse rinchiuso là dentro, ma a giudicare dal borbottio del suo stomaco, doveva essere tardi... Lo avevano buttato lì dentro poco dopo pranzo, dopo averlo spintonato fino a farlo cadere nel piccolo stagno dietro la palestra: tutte quelle ore al buio e in balia del freddo l'avevano logorato.

Il bambino non lo sapeva, ma la febbre stava salendo inesorabile, non gli avrebbe dato tregua alcuna, ed era del tutto senza forze per urlare e chiedere aiuto...

Per un attimo, il terrore prese possesso di lui, ma cercò di richiamare alla mente la voce gentile del nonnino che era venuto così spesso in visita quell'estate, che faceva quei buffi giochi con le fiamme e sorrideva sempre, soprattutto quando lo baciava sulle guance coi baffi ispidi a fargli il solletico.

Avrebbe voluto saperli fare anche lui, quei giochettini con il fuoco: gli sembrava così caldo e bello che, ne era sicuro, lo avrebbe aiutato a non sentire il freddo attanargliargli le membra e a non avere paura del buio che lo circondava; però era un imbranato, un “fallito!” come l'avevano chiamato quei ragazzi più grandi e non era in grado di fare nulla.

In fondo, com'era che lo chiamavano tutti fin dall'asilo?

Ah si, “Dame-Tsuna”.

E a chi importava di un Dame-Tsuna qualunque?

Le forze lo abbandonavano sempre più, non riusciva più a stare sveglio, neppure quando la sua mente registrò il rumore di passi concitati fuori da lì, e alcune voci, preoccupate, che chiamavano a gran voce il suo nome con evidente e palpabile affetto nel tono: non le sentì discutere davanti alla sua porta per decidere cosa fare e non riuscì a stare sveglio neppure quando un'esplosione di discreta intensità la fece saltare, permettendo alla luce di penetrare lì dentro e avvolgere il tutto, esattamente come quell'abbraccio pieno di calore e amore lo aveva tirato fuori da quel maledetto magazzino.

§§§

Quando Gokudera, agitato come mai l'avevano visto in vita loro gli altri Guardiani, fece saltare per aria senza troppi complimenti la porticina dietro alla quale avevano percepito chiaramente la presenza del loro piccolo, e futuro, Boss, Chrome non aspettò neppure che il fumo si fosse diradato: semplicemente, si precipitò all'interno.

Con gli occhi sgranati, distinse subito la sagoma piccina rannicchiata in un angolo, tutta tremante, le divisa stracciata e sporca, l'aspetto miserabile e quasi irriconoscibile rispetto a quello cui era abituata.

Ispirava un innato senso di protezione.

Senza pensarci, gli si inginocchiò accanto, sfiorandogli la pelle gelata prima di accoglierlo tra le proprie braccia per portarlo fuori, al sicuro, finalmente; la ragazza uscì fuori con cautela, sempre tenendolo stretto a sé, e venne circondata all'istante dai compagni, cui non sembrava vero che la persona per loro più importante versasse in tali condizioni.

Semplicemente, trovavano profondamente ingiusto che un bambino così piccolo avesse dovuto soffrire cose del genere.

“Bastardi...” ringhiò Gokudera, avvolgendo Tsuna con una coperta e pulendogli il viso dalla fanghiglia: “Guardate cosa gli hanno fatto!” sbottò l'argenteo, mostrando il visetto pieno di tagli del bambino, che si lamentava e delirava.

“Dobbiamo portarlo da Nana-mama, lei saprà cosa fare!” esclamò Lambo in preda al panico: era sempre stato abituato a vedere Tsuna come il fratello maggiore che non aveva mai avuto, come la persona su cui contare sempre, e assistere a uno spettacolo così terribile lo terrorizzava e lo faceva sentire impotente.

Eppure, per la prima volta, sentiva che il suo ruolo di Guardiano del Fulmine, che pure da bambino aveva preso così alla leggera, era qualcosa di veramente importante: sentiva che il suo dovere gli imponeva di proteggere quel piccolo, come la sua controparte adolescente prima, e adulta poi, aveva fatto con lui.

“Non possiamo andare da lei, ricordate cos'ha detto Reborn?” notò in quel momento Ryohei con espressione atona: “Non fate colpi di testa.” continuò, osservando il volto sofferente di Sawada, “E' vero che abbiamo una missione da compiere e che dobbiamo cercare informazioni, ma stiamo parlando di Tsuna, ragazzi. Non possiamo lasciarlo qui, e neppure presentarci da Nana-okaasan e dirle che l'abbiamo trovato! Ci chiederebbe di sicuro spiegazioni, spiegazioni che non possiamo assolutamente darle.”.

Yamamoto aveva assolutamente ragione.

“Allora cosa pensi di fare, eh?! Siamo nella stessa, identica situazione che abbiamo lasciato indietro, forse anche peggiore perchè il Decimo, ora come ora, non è forte come lo sarà in futuro. Non possiamo permetterci che peggiori.” Gokudera era frustrato, se fosse stato per lui, avrebbe portato il suo preziosissimo Boss al sicuro e l'avrebbe accudito e curato fino a quando non si fosse ripreso, e al diavolo il resto!

“Occupiamocene noi allora!”.

Con il suo solito e innato ottimismo, Haru aveva mosso un passo in avanti, col pugno alzato in un segno inequivocabile di decisione: “Kyoko-chan è infermiera, noi siamo la sua Famiglia. Tsuna non può essere in mani migliori che le nostre!” esclamò con passione, saettando con lo sguardo tutto attorno.

Nessuno replicò: era chiaro che la pensavano esattamente allo stesso modo, perfino il viso di Mukuro era trasfigurato in un'espressione a metà tra il furibondo per ciò che era accaduto e la preoccupazione per le condizioni del bambino.

Non si poneva neppure più il perchè del suo comportamento, da un po' di tempo a quella parte, forse era anche cambiato negli ultimi anni, da quando aveva conosciuto Swada Tsunayoshi, e sentiva che era giusto ciò che stavano facendo. Anche se non l'avrebbe ammesso mai.

“Portiamo via l'erbivoro da qui. Subito.” la voce di Hibari sembrava la solita, priva di qualunque inflessione o tono, eppure un orecchio allenato non avrebbe faticato a distinguere un velo di disappunto; e la Nuvola, d'altra parte, non si curava più di tanto di nasconderlo, così come non si sarebbe fatto alcun scrupolo, appena ne avrebbe avuto la possibilità, di rifarsi a dovere le unghie sui responsabili di tutto quello.

“T-Troviamo un albergo.” propose Chrome.

Tutti si voltarono verso Gokudera, che non aveva mollato un attimo il corpicino tremante di Tsuna e sembrava del tutto assorbito dalla sua presenza; Takeshi lo scosse gentilmente, facendogli alzare la testa per fargli notare che erano tutti lì, che toccava a lui decidere cosa fare, e che erano in attesa di un qualunque ordine.

“Chrome ha ragione.” disse infine, dopo parecchi minuti di ulteriore e pensieroso silenzio: “Sasagawa, Haru. Andate a procurarvi dei medicinali per far scendere la febbre del Decimo, poi raggiungeteci.” ordinò l'argenteo.

“D'accordo, penseremo noi a tutto.”.

“Ci rivediamo tra un'ora davanti alla scuola, vi verrò a prendere io.” si offrì subito Lambo, cercando di mostrarsi il più possibile ottimista; le due ragazze annuirono, inginocchiandosi poi all'altezza delle guance paffute e arrossate del bimbo privo di sensi: gli scoccarono un bacio ciascuna prima di dileguarsi.

“Andiamo.”.

§§§

Una stanza può benissimo essere il centro del mondo, se al suo interno vi è custodito qualcosa di sufficientemente prezioso per cui lottare.

Ed era quello che ronzò nella mente dei nove giovani uomini e donne nei giorni seguenti, mentre si alternavano nell'accudire quel frammento del loro cuore, a cavallo del tempo tra il passato e il loro futuro, così lontano all'apparenza, ma stranamente vicino ogniqualvolta le loro mani sfioravano il volto imperlato di sudore di Tsu-chan, come avevano deciso di comune accordo di chiamarlo, per distinguerlo dal loro Tsunayoshi. Dormivano poco, infaticabili, e avevano riscoperto la gioia di stare veramente assieme, come in una piccola parentesi di tranquillità dopo tanto tempo.

Gokudera e Lambo si erano resi conto che, pur bisticciando ogni tre per due, ogni volta che toccava a loro occuparsi di Tsu-chan, se uno dei due crollava, l'altro si prodigava perchè non prendesse freddo.

Yamamoto si era reso conto che la compagnia silenziosa di Hibari, nottetempo, era una garanzia di protezione, che non poteva accadere loro nulla finchè “l'allodola” li avrebbe vegliati.

Kyoko e Haru si erano rese conto di quanto Tsuna avesse faticato per loro negli anni passati, ed erano decise più che mai a ripagare almeno in parte quel debito nei suoi confronti: e un pomeriggio, di ritorno dalle compere, si erano presentate con un bellissimo orsacchiotto di peluche, dal pelo dorato e morbido, come regalo per il bambino.

Il sorriso che, nel sonno profondo dovuto alla malattia, Tsu-chan rivolse loro fu la cosa più dolce mai vista.

Ryohei aveva imparato a tenere la voce bassa, il che era già di per sé una conquista: si era anche autonominato responsabile dei pasti per la truppa al completo!

La missione sembrava dimenticata, nella loro bolla di pace, e intanto che le ore e i giorni passavano, si avvicinava sempre più il momento del ritorno, eppure non avrebbero mai scambiato quei momenti con nient'altro.

Non li avrebbe scambiati Chrome: il legame con tutti loro era la cosa più preziosa che aveva, e poter vedere dentro i suoi compagni, riuscire ad afferrare le loro mani e aiutarli, se necessario, l'aveva fatta avanzare di parecchi passi nel lungo percorso della sua esistenza, facendola sentire, una volta di più, a casa.

Non li avrebbe scambiati Mukuro: prendere in giro Hibari-kun era diventato un hobby, quasi, e anche se aveva fin da subito precisato che avrebbe preteso un premio, alla fine, per aver fatto da baby-sitter, in fondo era soddisfatto; doveva ammettere che i bambini non erano così male...

Tutti loro stavano bene così.

§§§

Fu però nel tardo pomeriggio del sesto giorno di permanenza che il perchè del loro viaggio fece nuovamente capolino, affiorando alla memoria di un Hayato mezzo addormentato con Tsu-chan tra le braccia: si era lamentato tutto il giorno, malgrado la febbre fosse considerevolmente scesa, complici anche e soprattutto le loro assidue cure.

Svegliatosi di soprassalto, con il fiatone e la fronte imperlata di sudore, la Tempesta si morse un labbro: cosa avevano fatto?

Con cura, ridepositò il piccolo tra le coperte, rimboccandogliele fino al mento prima di gettarsi su Yamamoto, che gli dormiva accanto con aria soddisfatta e la testa poggiata sul materasso; lo scrollò violentemente fino a svegliarlo: “Nuota fuori dall'oceano dei sogni, yakyuu-baka! Abbiamo un problema!” esclamò l'argenteo, frugandosi in tasca alla ricerca di qualcosa.

“Fammi indovinare, la missione...” brontolò nel dormiveglia lo spadaccino, sfregandosi gli occhi assonnato: “Non essere così tranquillo! Siamo nei guai, non abbiamo concluso nulla!” lo rimproverò l'italiano.

Come già era accaduto poco prima della loro partenza, Takeshi afferrò l'amico per le spalle, osservandolo in volto per farlo calmare.

In fondo, era o non era la prerogativa della Pioggia?

“La missione non è compromessa, erbivoro.” Hibari sbucò alle loro spalle dal nulla nella stanza avvolta dalla semioscurità: “Ma di questo ne parleremo dopo. Venite con me, sembra sia successo qualcosa.”

Benché fossero ancora entrambi mezzi addormentati, i due non avevano fiatato e avevano seguito la Nuvola prima fuori nel corridoio, poi nella stanza accanto a quella che occupava il piccolo: all'interno, trovarono il resto del gruppo mentre Hibari stesso se la filava via alla chetichella, senza neppure salutare.

Oh beh, ordinaria amministrazione.

Rivolgendo brevi cenni di saluto ai compagni, tra uno sbadiglio e l'altro, entrambi andarono a sedersi sul fondo del letto, giusto accanto a un Lambo nervosissimo: “Era ora che arrivaste,” notò lui con aria spaventata, “Siamo nei pasticci!” aggiunse.

“Lambo-chan, calmati e spiegaci, ok?” Kyoko cercò di essere il più possibile rassicurante verso il più giovane di loro, ma doveva ammettere che cominciava a preoccuparsi.

“Non posso calmarmi! Il Nonnino è in città!” sbottò il ragazzino, scattando in piedi come una molla: “Stanno cercando Tsu-chan! Ci sono membri della Famiglia dovunque, li ho visti stamattina. E Nana-mama era col Nonnino.” aggiunse, tormentandosi le mani.

“Per Nonnino... Non intenderai mica...?”

“Si, parlo del Nono. Ci siamo messi contro la nostra stessa Famiglia!” annunciò platealmente l'ex Bovino, scrollando il capo.

Un silenzio preoccupato serpeggiò nel gruppo: effettivamente non avevano minimamente pensato a quello visto che, per loro, prendersi cura di Tsuna era qualcosa di normale, quasi quotidiano, su cui non avevano quasi minimamente riflettuto: avevano agito unicamente per istinto.

Nel futuro più vicino o nel passato più lontano, la loro missione, la loro vita era una sola: poter stare, assieme, sempre sotto un unico Cielo.

Tutto qui.

Non era un qualcosa dettato da un mero calcolo d'interesse... Per loro era assolutamente tutto.

Che condividessero tale pensiero uguale tra loro era palese.

“Hayato, ti ricordi quella frase che ti dissi prima di partire?” sorrise all'improvviso Yamamoto, rompendo il silenzio; tra un grugnito di disappunto e l'altro, l'interpellato annuì: “Si, qualcosa riguardo all'abitudine...” borbottò l'argenteo in risposta.

Quel mostro, l'abitudine, che divora ogni sentimento il quale ci metta in guardia contro i malanni che s'annidano nell'abitudine stessa, si dimostra purtuttavia un angelo in questo, che riveste d'una livrea assai facile ad indossarsi anche la pratica delle azioni buone e belle.” completò per lui lo spadaccino, abbracciando sia lui che il Sole, che stava seduto loro accanto: “Sapete a cosa ho pensato, o meglio, a cosa ha pensato Tsuna quando ci siamo imbattuti in lei?” chiese il moro, godendosi le espressioni piene di curiosità dei compagni.

“Secondo lui, era un po' il nostro caso. Nel senso che il nostre essere perennemente assieme può essere, col passare degli anni, assimilato appunto con l'abitudine, ma ci porta a coprirci vicendevolmente le spalle e a prenderci cura a vicenda di ciascuno di noi”.

Tutti rimasero ammutoliti: non sapevano cosa dire, cosa rispondere, ma era innegabile che quelle parole avessero scaldato loro il cuore.

“Abbiamo ancora tutto oggi per risolvere il mistero e tornare a casa, ma non rimpiango nulla di quello che abbiamo fatto, se lo abbiamo fatto per lui” concluse lo spadaccino, alzandosi poi in piedi; mosse qualche passo verso la porta, che però si spalancò prima che potesse anche solo poggiare la mano sulla maniglia, facendo entrare una Chrome agitata e col fiatone.

La ragazza declinò qualunque aiuto, perfino quello di Mukuro, mentre sorrideva con le lacrime a percorrergli il viso: “Tsu-chan s'è svegliato.” annunciò.

§§§

I grandi occhioni bruni del piccolo Tsuna erano puntati sulle espressioni buffe di tutti quei fratelloni che lo circondavano, premurosi, sentiva che erano gli stessi che lo avevano tirato fuori da quel brutto pasticcio, che si erano presi cura di lui mentre stava male e che sentiva di voler semplicemente vicino tutta la vita.

In quel momento, rintanato tra i cuscini del grande lettone matrimoniale che gli aveva fatto da rifugio in quei lunghi giorni e con una grande scodella di zuppa di pollo sulle ginocchia, si sentiva più felice che mai.

“Non hai più febbre, Tsu-chan!” annunciò Kyoko, col termometro in mano: “Sei guarito!” precisò lei: “Eravamo in pensiero per te.”

Il bimbo, ravvolto nel suo pigiama azzurro, guardò rapito la sorellona davanti a sé: sapeva che era stata lei a cantargli la ninna-nanna, così come era conscio che fosse la sorellina più timida ad averlo salvato, l'odore di buono che emanava era lo stesso che ricordava.

I fratelloni invece... Era certo che lo avessero vegliato continuamente, soprattutto quello con gli occhi verdi e i capelli argentati come la Luna.

“Grazie... Per tutto...” pigolò il bambino, gettandosi tra le braccia di Hayato e aggrappandosi a lui con tutta la – poca - forza che aveva: “Siete i fratelloni migliori del mondo...”.

Ingenuità, dolcezza e tanto, infinito amore...

Tutto in una frase.

E il riallacciarsi dei fili del tempo esattamente davanti ai loro occhi nella forma di una fotografia, comparsa come per magia sul copriletto dove tutti si erano accomodati per stare il più possibile vicino a quello scricciolo che avrebbero amato sempre e comunque, nel passato, nel presente e nel futuro.

“Vuoi che ne facciamo una?” chiese Ryohei con voce tremante, indicando l'immagine abbandonata tra le coltri.

Con entusiasmo, Tsu-chan annuì, arrampicandosi sulle ginocchia di Hayato mentre Haru si occupava di sistemare la macchinetta in un punto sufficientemente alto.

“Ci penso io.” dichiarò Hibari all'improvviso, prendendo l'apparecchio dalle mani della ragazza e facendole cenno di raggiungere gli altri.

E la Nuvola scattò, facendo particolare attenzione a tagliare del tutto i visi degli altri Guardiani, e a lasciare unicamente quello del piccolo, sorridente e pieno di vita.

La missione era conclusa.

§§§

All'alba del giorno seguente, erano stati svegliati da Mukuro, piombato nelle stanze con aria insolitamente allegra, mentre annunciava che i Vongola li avevano trovati e che forse era meglio filarsela al più presto.

“Effettivamente, dare spiegazioni potrebbe rivelarsi ancora più difficile, in questo caso.” aveva notato la Nebbia, appollaiatasi subito dopo su una delle poltrone con Chrome sulle ginocchia.

“Allora alzati e dacci una mano a sistemare le cose!” gli gridò dietro Hayato.

In meno di mezz'ora, nonostante litigi e battibecchi, avevano raccolto tutto, e affidato al piccolo Tsu-chan la macchinetta: “Ricordati di far sviluppare la tua fotografia.” si raccomandò Yamamoto, abbracciandolo forte, “E un'altra cosa. Se anche accadranno cose spiacevoli, ricorda che ti aspetteremo da qualche parte perchè il futuro è dietro l'angolo, Tsu-chan e neppure il cielo sarà il tuo limite, perchè tu sei il Cielo.”

Il bimbo annuì, rintanandosi sotto le coperte: “Non dimenticherò nulla di voi, oniisan. Fingerò di dormire mentre voi andate via, e manterrò il segreto. Ma voi promettete che ci rivedremo.” sorrise il piccolo, socchiudendo gli occhi e abbracciando l'orso di peluche.

Lambo, di guardia, li raggiunse giusto l'attimo prima che cominciasse il processo di ritorno e l'ultimo saluto che quel passato diede loro fu il sorriso di Tsu-chan.

§§§

“È tutto?”

Il tono di Reborn tradiva una certa curiosità nel porre quella domanda ai Guardiani appena tornati, una curiosità che non era stata del tutto soddisfatta dalle loro pur esaustive spiegazioni: c'era ancora qualcosa che lo punzecchiava.

I nove annuirono, alzandosi finalmente in piedi: “Allora perchè Tsuna non ha mai parlato di questo avvenimento? Neppure il Nono ne ha mai fatto parola, eppure voi avete detto di averlo visto in città, e in compagnia di Nana-okaasan Senza contare che avrebbe dovuto riconoscervi lo stesso Tsuna, avendovi visti in faccia.” domandò Reborn, fissando ciascuno di loro negli occhi.

“Non ne abbiamo idea.” ammise Takeshi, dopo parecchi minuti di silenzio: “Sappiamo solo che quella fotografia ci rappresenta, anche se i nostri visi sono tagliati, che il messaggio sul retro è nostro, e che Tsu-chan ha detto che non si dimenticherà mai di noi, che siamo i suoi fratelli” concluse, con voce appena appena tremolante.

“Quindi è tutto risolto, vero?” interloquì Giannini, alzandosi dalla postazione di controllo del dispositivo: “E come stava Tsunayoshi-kun quando siete andati via?” si preoccupò Irie, “Era felice!” annunciò Kyoko allegra, “Ha promesso che non avrebbe detto nulla a nessuno e che avrebbe finto di dormire mentre noi tornavamo indietro.”.

“Abbiamo dovuto lasciarlo in albergo, stavano salendo gli uomini del Nono. Se ci avessero trovato lì, sarebbe stata la fine.” spiegò Ryohei, visibilmente abbattuto.

Takeshi se ne accorse e, con uno dei suoi soliti sorrisi, andò ad abbracciare il compagno: “Su, senpai, non fare quella faccia! Tsu-chan sta bene, e il nostro Tsuna è giusto dietro l'angolo, non c'è nulla per cui essere depresssi.”

Sasagawa però si rabbuiò ancora di più.

“Fratellone, cosa succede?” chiese Kyoko con tono preoccupato.

Il pugile sgusciò via dalla presa della Pioggia, allontanandosi di qualche passo dal gruppo, tenendo lo sguardo basso e i pugni stretti: “Stavo solo pensando...” borbottò, circondato dalla Famiglia che lo osservava, incerta e cauta, “Tsu-chan era chiuso dentro quel magazzino, ricordate? L'abbiamo lasciato da solo e probabilmente, una volta tornato a scuola, i bulli riprenderanno a punzecchiarlo.”.

Le sue parole fecero trasalire i presenti, perfino Mukuro e Hibari, che stavano più scostati rispetto alla calca, intenti a fissarsi in cagnesco e trattenendosi dall'azzannarsi violentemente alla gola: non avevano effettivamente pensato a quell'eventualità, avevano relegato nel profondo dei ricordi le sensazioni spiacevoli suscitate dal ritrovamento del piccolo ammalato rinchiuso in quel deposito buio e umido in funzione della concentrazione sulle sue condizioni di salute, più importanti in quel momento.

Ma era vero che non avrebbero dovuto lasciarlo in quel modo, non era giusto, ora che sapevano a cosa effettivamente era andato incontro il loro preziosissimo Boss e amico nella sua infanzia.

“Smettetela di fare le comari.” li apostrofò duramente l'Arcobaleno, mollando un coppino piuttosto forte sulla nuca del Sole e della Pioggia: “Non potevate farci nulla, gli avvenimenti accaduti nell'infanzia di Tsuna hanno forgiato il suo carattere e il suo presente, se foste intervenuti, è probabile che il futuro sarebbe stato modificato, e di conseguenza anche la storia stessa dell'umanità.”.

“Non pensi di esagerare un pochettino?” mormorò un Lambo annoiato e indolente come al solito.

La pallottola che gli sfiorò l'orecchio fu più che sufficiente per farlo tacere.

“Credo sia meglio per voi andare, ora.” annunciò Spanner all'improvviso: “Sembra che Vongola si sia svegliato. E sembra che si stia dirigendo qui.”

Ci fu un attimo di vero e proprio panico, mentre i Guardiani e le ragazze si assiepavano attorno allo schermo, che rimandava le immagini delle telecamere disposte in tutta la Villa: non ci volle che un attimo, a tutti loro, per riconoscere la figura barcollante e assonnata, col pigiama ancora addosso, che percorreva il corridoio del laboratorio a piedi nudi, ancora meno ci volle per far sfrecciare i Guardiani come molle in direzione della porta.

Quando Hayato spalancò la porta, per poco Tsuna non gli svenne tra le braccia.

Sorreggendolo con attenzione, malgrado il giovane cercasse con tutte le sue poche forze di divincolarsi, la Tempesta lo accompagnò sino alla sedia più vicina, facendogli indossare la propria giacca sdrucita e impolverata sopra il pigiama.

Tutti gli si assieparono attorno.

“Tsu-kun, non dovevi alzarti!” lo rimproverò Kyoko, tirando fuori dalla tasca il fazzoletto, ancora umido per le lacrime della controparte bambina dell'amico d'infanzia: “Kyoko-chan ha ragione! Tsuna doveva stare a letto!” si infervorò Haru, guardandosi attorno alla ricerca di qualcosa.

“Smettetela di agitarvi, sto bene...” bofonchiò il Boss, alzando il viso con aria stanca e piccata: “Non urlate, che mi scoppia la testa...” borbottò, reclinando il collo all'indietro contro lo schienale, “Vi stavo cercando, Kusakabe-san mi ha spiegato sommariamente tutto e volevo scusarmi per la confusione che ho contribuito a creare.”.

Stupefatti, i Guardiani si scambiarono un'occhiata mentre Sawada riprendeva a parlare: “Mi ha detto lui che vi eravate nascosti qui nel laboratorio a discutere di qualcosa. Cos'è, stavate organizzando qualcosa senza di me?” scherzò, tossendo subito dopo con discreta violenza.

“Non stavamo organizzando nulla, davvero Tsuna. Ma ora dovresti tornare in camera a riposare.” notò Takeshi, osservandone con attenzione il viso arrossato e saggiandogli la temperatura con la mano tutta graffiata; Sawada la notò subito, e il suo cuore mancò un battito.

Divincolatosi appena dalla sua stretta, osservò con un groppo in gola gli altri Guardiani, che recavano graffi e lividi più o meno vistosi, non sapeva perchè ma si sentiva in qualche modo responsabile per quelle ferite, pur se leggere: “Che è successo?” chiese, prendendo la mano della Pioggia tra le proprie dita, “Cosa sono quelle ferite? Vi siete accapigliati tra di voi, vero?” borbottò, notando solo in un secondo momento la loro stanchezza, e il tocco incredibilmente dolce e familiare di Kyoko mentre gli asciugava il volto...

Perchè gli sembrava che qualcosa del genere fosse già accaduto?

Perchè ricordava con estrema vividezza i muri color panna di una stanza sconosciuta, l'odore di latte caldo e di sigaretta che non lo abbandonava mai, mentre scivolava nel sonno, e il sommesso borbottio di alcune voci familiari che lo incitavano a guarire, a stare meglio...?

Il futuro è dietro l'angolo, Tsu-chan. Neppure il cielo sarà il tuo limite, perchè tu sei il Cielo.”

Sgranando gli occhi, il bruno sentì le tempie pulsare assieme al suo cuore: cos'era quella sensazione di incredibile calore nell'udire quelle parole, pronunciate da una voce così simile a quella di Takeshi?

E chi era che gli rimboccava sempre le coperte, in quel sogno vago e lontano nella nebbia dei suoi ricordi di bambino, ridendo con la stessa potenza dei raggi solari?

E di chi erano le braccia che lo avevano tirato fuori da quello sgabuzzino umido e buio, coccolandolo e proteggendolo da tutto e da tutti?

Ma soprattutto...

Perchè ricordava ora tutte quelle cose?

“...na-nii... una-nii... Tsuna-nii!”

La voce di Lambo lo raggiunse, riportandolo alla realtà con la forza di uno schiaffo sul volto.

Perchè il quindicenne lo fissava dall'alto?

“Stai bene, Sawada?” chiese Ryohei, comparendo nello spazio visivo del Boss, che si accorse solo in quel momento di essere caduto per terra, con Hayato sotto a fargli da cuscino e materasso.

“S-Si...” riuscì a dire, muovendosi cautamente fino a mettersi seduto, con Gokudera che lo sorreggeva il più possibile: “D-Devo essere scivolato mentre cercavo di alzarmi...” balbettò, osservando ciascuno di loro negli occhi.

Scrollò subito dopo la testa, cercando di non pensare: era un'eventualità così impossibile...

“Carnivoro, non fare quell'espressione da debole e inetto. Non ti si addice. Non sei più un bambino.”

Dal suo angolo, il sussurro - Tsuna conosceva abbastanza bene il suo Guardiano da riconoscerne la preoccupazione nella voce - di Hibari gli giunse forte e chiaro, ancora più chiaro del mellifluo tono di Mukuro, che aveva proposto di usare le fiamme della Nebbia “per dargli dolci sogni”.

Decisamente, Sawada non aveva voglia di vedere cosa Rokudo avesse in serbo per lui.

“Juudaime, se la prossima volta si sente male, ce lo dica prima, non arrivi al punto di collassare.” intervenne in quel momento un Giannini con le lacrime agli occhi e la tuta da lavoro sporca: “Ci siamo spaventati.” piagnucolò l'uomo, mentre Spanner e Irie, alle sue spalle, sorridevano affettuosamente all'indirizzo del Cielo.

“Basta chiacchiere, Tsu-kun deve riposare!” annunciò Kyoko con severità: “Qui fa freddo e può peggiorare ancora. Gokudera-kun, riportalo in camera sua, per cortesia. Io passo in infermeria a prendere un paio di cose poi vi raggiungo. Haru-chan, mi daresti una mano?” sorrise la giovane donna, facendo cenno all'amica di sempre di seguirla fuori di lì.

I Guardiani, invece, rimasero accanto al loro Boss.

E'ora di fare la nanna, Tsu-chan~” flautò Mukuro, venendo colpito senza pietà sulla nuca dall'elsa della katana di Yamamoto, trafugata con la rapidità di un razzo dalla Tempesta: “Bastardo, il Decimo non è più un bambino da coccolare e vezzeggiare! Rispettalo!” sbottò lui, “Dai, Hayato. Mukuro vuole solo aiutare.” cercò di sdrammatizzare la Pioggia, pur sapendo che non sarebbe stata così semplice la cosa.

Mentre i suoi fidatissimi compagni battibeccavano tra loro, e Tsuna aveva ancora indosso la giacca dell'argenteo, il Cielo continuava a ricordare, i frammenti della memoria non cessavano di bussare alla sua mente, assieme alla nebbia fluttuante attorno ai visi di alcune persone, che l'osservare i suoi Guardiani gli faceva tornare in mente...

Persone che aveva conosciuto tanto tempo prima, che forse si erano anche prese cura di lui...

Ma perchè non ne ricordava i visi, e a loro si sovrapponevano quelli dei suoi uomini, di quei ragazzi e ragazze che per lui erano quasi e forse più che fratelli?

“Basta con le chiacchiere!” tagliò corto Reborn all'improvviso: “Portate via quell'imbranato, e assicuratevi che guarisca. Credo non vi sarà difficile occuparvi di lui, non avete fatto altro per una settimana!”

E così dicendo, l'Arcobaleno del Sole afferrò il suo allievo per la manica del pigiama e lo gettò senza tanti complimenti tra le braccia di Ryohei, che riuscì a prenderlo al volo per un pelo, prima di caricarselo in spalla, tra le proteste veementi di Hayato, e sparire nel corridoio, tallonato dagli altri.

§§§

La buffa sensazione di deja-vù che il bruno ebbe nel venir depositato tra le coperte mentre gli altri, attorno al suo letto, si affannavano a cercare ora la borsa dell'acqua calda, ora un “fottuto termometro”, ora tutta una serie di medicinali di dubbia utilità, lo fece sorridere.

Senza dubbio, qualcosa del genere lo aveva già vissuto.

Ma non disse nulla.

Si limitò a chiudere gli occhi, conscio del fatto che non era solo e che a tutte le domande ci sarebbe stata una risposta nel futuro, o nel passato, dipende dai punti di vista.

E che, forse, i suoi angeli custodi erano con lui da molto più tempo di quello che credeva.

 

Quarta Classificata: KungFuCharlie con Keyword: "Caring"
 
Lessico e Grammatica: 9/10 
Non molto da dire su questo punto. Ottimo lessico e grammatica! L’unico problema sono stati gli errori di battitura e qualche terminuccio qua e là. Un’altra piccola nota: prima di un discorso diretto va sempre messo un punto, non i due punti (fatta eccezione per frasi del tipo: si ricordò le sue parole: “Io amo i cavoli” oppure, "Dopo un interminabile momento di silenzio, Fifi parlò: “Io sono tuo padre” ") 

Stile: 7/10 
Confesso che è stato proprio questo che ha rallentato molto la mia lettura. Tendi a mettere troppo in una sola frase, troppi incisi che distolgono l’attenzione dal concetto principale della frase. Personalmente, proverei e spezzettare un po’ di più il periodo, senza strafare con le virgole. Prendo come esempio questo piccolo paragrafetto: 
E così dicendo, l'Arcobaleno del Sole afferrò il suo allievo per la manica del pigiama e lo gettò senza tanti complimenti tra le braccia di Ryohei, che riuscì a prenderlo al volo per un pelo, prima di caricarselo in spalla, tra le proteste veementi di Hayato, e sparire nel corridoio, tallonato dagli altri. 
Ecco, da come è messa non riesco a capire chi si carica in spalla Tsuna (se Ryohei o Reborn) e chi sparisce nel corridoio (se è Reborn allora il verbo dovrebbe essere “sparì”, quindi credo sia Ryohei a compiere l’azione...) Per come l’ho interpretata io, è Ryohei che si prende Tsuna in spalla e che sparisce nel corridoio, ma per farla più chiara avrei spezzato la frase. 
Poi magari sono io che sono abituata ad usare un stile molto più “diretto”, quindi quello che ti sto dicendo ti sembrerà strano ed inutile x) 

Originalità: 14.5/15 
Hm! Io personalmente sono rimasta molto sorpresa dall’evoluzione della storia! All’inizio non mi sarei mai aspettata una cosa del genere, davvero! *^* Complimenti per avermi presa alla sprovvista! XD Non do comunque il punteggio pieno perché il trucchetto dei viaggi nel futuro/passato l’ho già visto in giro molte altre volte, non solo in EFP x) Comunque, davvero, è una storia alla “jack-in-the-box”, come le chiamo io XD Proprio per questo ce la vedrei meglio come una Long divisa in capitoli, piuttosto che come One-Shot: contribuirebbe molto alla suspense della storia. 

Caratterizzazione: 9.5/10 
Trovo che siano tutti estremamente IC (persino Hibari che non è un tipo molto socievole!), fatta eccezione per Lambo. Se ho capito bene, la fic è ambientata in un ipotetico futuro del manga, quindi Tsuna, Gokudera, Yamamoto e co. sono tutti adulti. Ergo, Lambo ha più o meno 17-18 anni come minimo. In tutta onestà, non credo che un adolescente andrebbe dietro a Tsuna piagnucolando in quel modo ^^” Ma questa poi è solo un’impressione personale eh! XD 

Aderenza Alla Traccia Data: 13/15 
Mi piace molto il modo in cui hai interpretato ed inserito la citazione. L’abitudine l’hai interpretata come la routine che i Guardiani compiono sia nella vita quotidiana (nel loro presente, per capirci) che nel periodo della malattia del piccolo Tsuna. E le azioni “buone e belle” è il loro prendersi cura del Boss, perfetto =3 L’unica cosa è che non hai prestato molta attenzione al lato negativo della citazione, la parte del “mostro”, per capirci x) Personalmente, avrei cercato di bilanciare ciò che c’è di positivo (il bene che provano nei confronti di Tsuna) e ciò che c’è di negativo (non so, la monotonia di ogni giornata, la fatica, la stanchezza...) nell’”abitudine”, non so se mi sono spiegata x) 

Punti Bonus Citazione: 1/1 
Hai fatto pure il bis, wow!! XD 

Punti Bonus Colonna Sonora: 0/1 

Gradimento Personale: 9/10 
La storia nel complesso mi è piaciuta molto, specialmente per le emozioni che trasmette. Mi sono quasi sentita parte dei Vongola! ^.^ Solo che non saprei mettere bene in parole il perché mi sia piaciuta... Nel senso, hai presente quando ti piace qualcosa ma non sai precisamente il perché? Come coi colori, che qualcuno ti chiede “Perché ti piace il rosso?” e tu non sai come rispondere? Ecco, stessa cosa XD Complimenti per avermi lasciata senza parole! =D 
Non do il punteggio pieno perché l’ho trovata un po lenta (forse questo è anche legato al “problema” dello stile che dicevo prima) ed, in alcune parti, leggermente ridondante. 

Totale: 63/72

 
   
 
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