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Autore: _Ayame_    20/02/2012    4 recensioni
[Musical: Le Roi Soleil] [Personaggi: Louis XIV, Marie Mancini]
«Vi piacciono le favole?», mi chiese, interrompendo la lettura.
«E a voi?», chiesi, con un piccolo cenno del capo.
Sì, ero re e le favole non mi spiacevano. Che cosa stupida. In fondo, le favole erano piene di re e principi.
«Io le amo», mi rispose con uno dei suoi sorrisi più belli.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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erano i capei
Erano i capei d'oro a l'aura sparsi...

Malgrado l’inizio non fosse dei migliori, ero convinto,  in qualche modo, che potesse essere senz’altro divertente spendere del tempo con la piccola italiana.
A primo impatto, era stata irruente e troppo irriverente, ma era stato proprio quel piccolo errore causato dalla sua euforia a portarmi a considerarla.
Mi divertiva, anche se la piccola Marie aveva completamente occultato la mia mente, solitamente logica.
Non so ancora come, ma era riuscita a convincermi ad imparare l’italiano.
Mi dovetti ricredere, se in un primo momento avevo pensato che quella lingua fosse in qualche modo simile ed assimilabile alla mia: no, mai pensiero fu più sbagliato!
A partire dagli accenti: Marie ben presto fu costretta a spiegarmi che l’accento tonico nella lingua italiana non era solito cadere sempre sull’ultima sillaba – caratteristica della lingua francese – ma la maggior parte delle parole erano piane, ovvero, l’accento cadeva sulla penultima sillaba.
Ciò differenziava molto le due lingue: Marie, ridacchiando, disse che il francese sembrava una sorta di ninnananna, mentre l’italiano più una filastrocca.
Non era facile e mi chiesi se anche lei avesse avuto le mie difficoltà – all’opposto – nell’apprendere la mia lingua, che reputavo semplice.
Eppure, quante cose stupide feci per lei!
Durante uno dei nostri innumerevoli incontri, ella mi pose sotto il viso un libro, le cui scritte dorate erano rovinate tanto amava quel libro.
Alzai gli occhi nei suoi, e sul suo viso colsi un’espressione soddisfatta, mentre continuava a fissare il libro con una dedizione che avrei voluto dedicasse a me.
Sembrava che mi stesse rivelando un segreto mai detto ad altri, e volevo che rimanesse così.
Qualcosa, per sempre.
Forse, l’italiano mi aveva reso stupido, anche se secondo Marie – il cui nome in italiano era ‘Maria’, e mi incoraggiò a chiamarla così  – il francese era molto più … ‘smielato’.
«Questo è il Canzoniere», mi disse, mischiando inevitabilmente le nostre lingue, per mantenere il titolo intatto.
Sorrisi, come se fosse tutto ovvio anche per me.
Si sedette di fronte a me, soddisfatta, dimentica dell’etichetta e del nostro prendi, mordi e fuggi.
«È di Petrarca», chiarì, cercando di nascondere un sorriso irreprimibile ed irresistibile.
«Penso che queste letture possano aiutare la vostra comprensione della mia lingua. Trovo il suo modo di comporre liriche davvero … unico», mi disse con un piccolo gesto della mano, che portò alle labbra leggermente rosse, e sembrava che quell’uomo avesse qualcosa che a me sfuggiva.
Che sfuggiva a chiunque non fosse disposto ad accettare che la poesia conquistava inevitabilmente il cuore di una donna romantica, a chi rifiutava di ammettere che ci fosse qualcosa che non sapesse fare, ed infine – sebbene non ultimo – qualcosa di cui non fosse dotato per mano divina.
Qualcuno come me, ad esempio, anche se non era un ‘qualcuno’ qualsiasi, e forse era ancora peggiore, per questo!
«Provate a leggerle!», m’incitò con un sorriso.
Aprii il libro con un sospiro, e la guardai di nuovo, mentre il suo sorriso aumentava troppo, ma non per questo era volgare.
Sfogliai rapidamente, fino a che non iniziai a leggere qualcosa, a caso:

«Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
Che ‘n mille dolci nodi gli avolgea,
e ‘l vago lume oltre misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son si scarsi».

La guardai, mentre ridacchiava.
«Che c’è?», chiesi come un bambino!
«Il tuo italiano!», rise, piegandosi su se stessa e reggendosi il ventre, tanto si burlava di me.
In quel momento capii che le avevo lasciato oltrepassare tutti i limiti della decenza, dell’educazione e dell’etichetta. Le convenzioni si erano rotte come tanti specchi caduti a terra.
«Pensavo che ormai mi fosse concesso solo di migliorare», annuii, imbarazzato.
 
Quando entrai, subito Marie mi fece notare il mio ritardo; ormai non potevo più correggere tutta quella confidenza che aveva preso, quindi annuii, notando come i suoi occhi brillassero divertiti, prima di tornare alla pagina che aveva davanti agli occhi.
Mi sedetti al mio posto, mentre lei si girava per sedersi di fronte a me.
«Vedo che questa lettura vi ha molto catturato», sorrise, scostando il libro dal viso.
«Quale?», sorrisi, non poco preoccupato.
Ella non disse nulla che potesse indirizzarmi a capire di quale segreto fossi stato derubato, ma spinse delicatamente il libro fino a me.
Ed eccolo, Petrarca! Prima non leggevo bene le sue poesie, e poi mi tradiva di nuovo!
Chissà dove l’avevo lasciato …
Sospirai, e lo spinsi di nuovo verso di lei, per poi sedermi meglio nella mia poltrona.
«Vi è piaciuta molto?»
Sorrisi, non volendo rispondere.
«Non mi rispondete?», chiese sorridente, sporgendosi verso di me.
«Sì, mi piace», ammisi, più per non farmi torturare che per reale convinzione. Chiusi gli occhi, leggermente stanco.
La sentii reprimere una risata: doveva essere soddisfatta.
«Ho un favore da chiedervi, se possibile», e con una sola e semplice frase, aprii gli occhi.
Appena i nostri sguardi s’incatenarono per qualche secondo di troppo, concedendoci sguardi che non c’erano usuali, Marie abbassò lo sguardo, concentrandosi su un dettaglio della mia scrivania.
«Ditemi», pronunciai, vagamente freddo, sfogliando un libro che avevo davanti, senza nemmeno notare una parola.
«Vi prego di non piegare le pagine: si rovinano. E poi, se volete leggerla, basterà aprire il libro, e troverete subito la poesia, visto che anche io la amo molto e sono solita leggerla», mi chiese, alzando appena gli occhi ad incontrare i miei.
«Allora siete sicura di non volerlo indietro?»
«Sicurissima».
Il silenzio imbarazzante che scese mi mise a disagio, e capii che se volevo finirlo, dovevo essere io a prendere iniziativa.
«Ed ora, sono io a volervi chiedere un favore», dissi con un sorriso.
Subito la vidi animarsi: «Dite!», esortò.
«Che ne dite, di leggermi voi questo componimento?», chiesi.
«Come volete», acconsentì, sebbene fosse estremamente felice di quella richiesta.
 
«Vi piacciono le favole?», mi chiese, interrompendo la lettura.
«E a voi?», chiesi, con un piccolo cenno del capo.
Sì, ero re e le favole non mi spiacevano. Che cosa stupida. In fondo, le favole erano piene di re e principi.
«Io le amo», mi rispose con uno dei suoi sorrisi più belli.
Strinsi un poco la presa sulla sua vita: «Questa è solo una scusa per non leggere più nulla?», la presi in giro.
Marie, fingendosi sdegnata, si alzò dalle mie gambe: «Come potete accusarmi di siffatta … ingiusta calunnia?», disse, cercando le parole giuste.
«Io non vi accuso»
Mi guardò incuriosita: «Non oserei mai!», mormorai, sporgendomi verso di lei e porgendole la mano.
Il suo sguardo si addolcì così tanto che vidi le sue pupille tremare tra lacrime cristalline, poi mi afferrò la mano, si voltò e si sedette di nuovo sulle mie gambe.
«Bene, riprendiamo la lettura», disse, riaprendo il libricino consunto, mentre io mi sporgevo oltre la sua spalla.
Si voltò verso di me, con un sorriso e lo sguardo che gèmmea: «Siete bellissima, Marie».
Lei rise, come se avessi detto una cosa sciocca, oppure una cosa ovvia.
E ai miei occhi era cosa ovvia. Si voltò, scuotendo la testa e ripresa la sua lettura:

«
Non era l'andar suo cosa mortale
ma d'angelica forma, e le parole
sonavan altro che pur voce umana;
uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch'i' vidi, e se non fosse or tale,
piaga per allentar d'arco non sana. »

«Marie, vi prego di rileggere ancora una volta».

Si voltò verso di me, enigmatica, ma acconsentì: «Come volete».
Rilesse una seconda volta, lentamente, lasciandosi trasportare da quelle parole che spesso aveva sognato in notti troppo fredde per essere scaldate da una tazza di the.
Mi parve di intuire che lei avesse capito ciò che le carpivo.
Dopo alcuni minuti di silenzio, dissi: «Sapete …», e le spostai una ciocca bionda di capelli dalla tempia, « … sai, la prima volta che ti ho visto, ho pensato proprio così, mia regina d’Italia!».
Marie rise, ricordando il nostro incontro: «Se fossi davvero regina d’Italia, mio caro, sareste davvero fortunato, perché potrei farvi vedere come padrona un Paese che ho lasciato per servirne un altro», mi disse, forse dimentica del fatto che il Paese cui accennava alla fine era quello di cui ero re.
Mi sorrise, un poco tristemente, accarezzandomi dolcemente il profilo della mandibola e la guancia.
«Io vi amo, Marie», rise, del mio tentativo di parlare nella sua lingua natia.
«Vi ringrazio, Maestà …», disse, fingendo stanchezza per allontanarsi e alzarsi da quella situazione che stava diventando troppo intima ed informale, «ma se dovete parlarmi in italiano, vi prego di chiamarmi Maria».
«Come volete, Maria!», le risposi, per nulla deciso a lasciar cadere la questione, e la abbracciai, ridacchiando nel suo orecchio destro.
All’inizio la sentii divincolarsi sotto la mia presa, poi però lasciò correre la situazione, si rilassò contro il mio petto ed iniziò a ridere, prima delicatamente, poi sempre più forte.
 
 
«Perdonatemi, perdonatemi»
«Non è colpa vostra», disse, cercando di convincerci, stringendoci le mani.
«Non dite così, sapete che non è così!», le risposi, quasi isterico. Nei miei confronti, certo!
«Vi prego, non crediate che sto cercando di alleviare solo la vostra pena!», strinse ancora più forte le mie mani, che mi ritrovai a guardare: le sue, così piccole, cercavano di contenere le mie, così grandi rispetto alle sue, e mi sorreggevano. Mi sostenevano.
Incredibile.
«Maria, cosa posso fare?», chiesi, cercando qualsiasi cosa che potesse alleviare il mio tormento ed il mio caos interiore.
Lei scosse la testa, chinandola e poggiandola sulle nostre mani congiunte.
«Nulla, Louis. Nulla. Cosa potete fare o non potete fare non sono io a dirvelo. Moi, je ne suis pas la reine d’Italie», disse, alzando gli occhi lucidi di lacrime nei miei, in un vano tentativo di scherzare.
Abbozzò un sorriso, a cui risposi per riflesso.
Mi si avvicinò un poco, mormorando poche parole confuse, in un italiano troppo veloce e impastato perché potessi capirlo perfettamente, e più passava il tempo, più nella memoria perdevo le tracce delle sue parole, come piccoli tasselli che lentamente perdevano la loro forma, e di conseguenza, il loro posto.
«Ricordatevi sempre, e dico sempre, che vi amo e vi amerò», mormorò al mio orecchio, per poi poggiare la sua guancia contro la mia, e accarezzare l’altra con una mano.
Mi scostai di poco, chiedendole: «Cosa avete detto?».
In quell’attimo, vidi nei suoi occhi la luce della comprensione: non avevo recepito le sue parole, anche se il significato mi era chiaro lo stesso, in qualche modo.
Come quando si sa qualcosa, ma non la si sa spiegare.
«Niente», mi rispose, «niente. È solo una sciocca filastrocca».
Mi disse così, sebbene sapesse che non ci avrei creduto.
Continuò ad accarezzarmi per qualche altro secondo, fissandomi e percorrendomi con lo sguardo, come per fissare nella memoria ogni particolare legato a me.
Mi cantò una ninnananna senza parole in quella lingua che lei aveva definito come una filastrocca, e mi lasciai cullare, forse per l’ultima volta, dalla sua voce.
 
Non era l'andar suo cosa mortale
ma d'angelica forma, e le parole
sonavan altro che pur voce umana;
uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch'i' vidi, e se non fosse or tale,
piaga per allentar d'arco non sana.
 
Qualcuno, più tardi, avrebbe detto che le favole si scrivono anche da adulti, e forse è proprio così: il re e l’orfana, l’italiana e il francese, il padrone e la serva.
Alcune favole finiscono bene, così piene di buoni propositi; altre rimangono tragicamente sospese a metà, senza il lieto fine che tanto agognano, come un affogato il cui ultimo sospiro rimane bloccato in gola per sempre.



Storia scritta per la Maritombola di Maridichallenge con il prompt  73. "Le favole sono la cosa più importante della nostra vita. Anche da grandi si scrivono favole." (Roberto Benigni).

 

   
 
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