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Autore: chaska    20/02/2012    1 recensioni
Arthur aveva preso l’abitudine di alzare gli occhi al cielo. Così, quando sentiva che stava per raggiungere il suo limite, si metteva a guardare il cielo di Londra. Era bello, il suo cielo. Grigio, con tutte quelle nuvole cariche di pioggia, non cambiava mai. Nemmeno allora, quando il passato insieme alle sue abitudini era ormai scomparso, il cielo londinese non l’aveva abbandonato. Però poi capitava. Capitava che la sua mente s’intromettesse nel suo momento d’isolamento. E puntigliosa allora, gli faceva notare che c’era comunque qualcosa di strano, di diverso.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Rating capitolo: Verde
Personaggi:  Arthur Kirkland (Inghilterra) – Nuovo personaggio

Osservazioni personali:  Hm, allora. Questa fic dovrebbe avere un’ambientazione post apocalittica. Ok, devo ammetterlo, mi è venuta uno schifo, ma ok. Credo che l’ambientazione la riprenderò più in là, forse, boh D:  Ehm, parlo di un certo Luke qui, ed è un collegamento ad una mia vecchia fic, ‘Sette notti per parlare di te’, ma è solo uno sfizio che mi sono voluta prendere nel rivangare vecchi pg, non ha nulla a che fare con la corrente fic x° Cioè, ok, che è schifosa l’ho già detto, quindi non ho null’altro da dire °-° 

 

 

 

 

 

 

 

E intanto Londra brucia
intorno a noi}

 

 

 

Arthur aveva preso l’abitudine di alzare gli occhi al cielo. Così, quando sentiva che stava per raggiungere il suo limite, si metteva a guardare il cielo di Londra.

Era bello, il suo cielo. Grigio, con tutte quelle nuvole cariche di pioggia, non cambiava mai.

Nemmeno allora, quando il passato insieme alle sue abitudini era ormai scomparso, il cielo londinese non l’aveva abbandonato.

Però poi capitava. Capitava che la sua mente s’intromettesse nel suo momento d’isolamento. E puntigliosa allora, gli faceva notare che c’era comunque qualcosa di strano, di diverso.

Puntualizzava fastidiosa che era strano come i suoi occhi non venissero catturati dal profilo della Clock Tower.

È tutto diverso, tutto perso. Rassegnati.

La sua mente glielo ripeteva sempre, come una maledizione, ma lo capiva benissimo da se. Se ne rendeva conto anche quando, esasperato da quel presente, chiudeva gli occhi. E allora si rendeva conto del silenzio che strisciava in ogni vicolo della città.

È inutile ingannarti. Hai perso tutto.

Arthur allora sospirava quell’aria malata, e abbassava nuovamente lo sguardo, come quella volta.

Quella volta, sì, in cui si era seduto su una fredda panchina, situata dinnanzi alle ringhiere sgangherate che una volta davano sulle acque turbolente del Tamigi.

L’inglese socchiuse gli occhi stanchi, e si portò una sigaretta accesa da poco alle labbra.

Rimase fermò per un po’, a guardare i rimasugli fangosi che un tempo erano il suo glorioso fiume, a farsi assorbire dall’aria grigia e malsana della sua capitale, a farsi sopraffare dal silenzio.

Rimase in silenzio, mentre il refolo di fumo della sua sigaretta si aggiungeva ai gas tossici che permeavano tutto intorno a lui.

«Sei morto? »

Una voce meccanica, offuscata quasi, ruppe quel letale silenzio.

Arthur deviò il suo sguardo verso la sua destra, vedendo un ragazzo dai corti capelli marroni e dai lerci abiti, ma la cosa che più attirava era la maschera anti-gas che indossava.

L’inglese aveva sempre odiato quegli arnesi, gli ricordavano troppo le trincee della prima guerra mondiale.

«Vorrei esserlo. »

La nazione si tolse la sigaretta di bocca, vizio preso da poco, e si portò le mani sul volto, posando i gomiti sulle ginocchia.

Voltò di nuovo il volto verso il ragazzo accanto a lui.

«Tu sei ancora vivo. »

Abbassò le mani e riportò la sigaretta alle labbra.

«Ancora per poco. »

Il ragazzo con la maschera disse quelle parole con un sospiro, quasi fosse la cosa più normale del mondo, in quel momento, e si sedette sulla panchina accanto ad Arthur.

«Se non indossi la tua maschera morirai di certo. »

Doveva essere un ghigno, quello che la nazione mostrò, ma il suo volto era così stanco che sembrò una smorfia, più che altro.

«Non importa, suppongo che morirò presto, di questo passo. »

Sembrò una risata, quella del ragazzo, mentre con le mani andava a slegare la maschera che lo proteggeva dai gas letali presenti in quel luogo.

«Bene, allora moriremo insieme. »

Arthur guardò allora il volto di quel ragazzo, mentre con la mano libera si scompigliava i capelli. Poi lo fissò indeciso, come se in dubbio, ed alla fine parlò.

«Hai una sigaretta da darmi? Sai, l’ultimo desiderio di un condannato a morte, o cazzate simili. »

Gliela passò, e la nazione ritornò a guardare dinnanzi a se, ad osservare la bellezza di Londra nella sua distruzione, con i suoi palazzi rasi al suolo e la morte che sovrastava tutto e tutti.

«Come ti chiami? »

«Io? Luke, mi chiamo Luke. »

Arthur aspirò un’altra boccata di fumo, mentre ascoltava il ragazzo tossire sempre più.

Luke, eh? Gli mancava, un’ultima sigaretta con Luke. L’aveva desiderata.

L’inglese spense gli ultimi resti della sigaretta sulla panchina, e si alzò, lasciandosi alle spalle un altro frammento di se ormai morto.

«Addio, Luke. »

E cominciò a camminare senza una meta, di nuovo.

   
 
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