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Autore: Red Fox    20/02/2012    6 recensioni
cit. / ''Il cielo di Camelot era coperto da pesanti nuvole grigie, l'aria di pioggia a gravare sul Regno. Oramai erano quasi tre mesi che il territorio non veniva colpito dalla luce rassicurante del sole, i cittadini stavano iniziando a temere un qualche sacrilegio, ma Arthur aveva tranquillizzato tutti dicendo che: ''Presto il sole tornerà, e ci daremo degli stupidi per aver dubitato.'' Già, degli stupidi. Merlin non sapeva se credere alle rassicurazioni del Principe o se andare dal Draco a chiedere consiglio. Per il momento decise di aspettare, almeno finché non fosse successo qualcosa.
E qualcosa successe.''
Genere: Fantasy, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non seguite la storia originale, vi prego XD Ho fatto un macello e mi sono inventata miliardi di cose u.u Quindi: se non amate le storie che non seguono la serie originale, non continuate con la lettura.

Ora a noi XD Ho amato questo racconto fin da quando è nata l'idea di scriverlo, mesi fa. Perciò, ora che finalmente sono riuscita a finirlo (XD), lo pubblico. Spero davvero che vi piaccia, perché io gli voglio tanto bene *^* Lo pubblico senza averlo ricontrollato, quindi potrebbero esserci errori. Scusatemi ma la voglia di farvelo leggere è troppa! :D

Soon! :3

Red Fox

 

I personaggi non mi appartengono, i diritti sono della BBC e questa storia p stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

Il sole all'improvviso

 

We live in a strange bubble.

(B. Molko).

 

Il cielo di Camelot era coperto da pesanti nuvole grigie, l'aria di pioggia a gravare sul Regno. Oramai erano quasi tre mesi che il territorio non veniva colpito dalla luce rassicurante del sole, i cittadini stavano iniziando a temere un qualche sacrilegio, ma Arthur aveva tranquillizzato tutti dicendo che: ''Presto il sole tornerà, e ci daremo degli stupidi per aver dubitato.'' Già, degli stupidi. Merlin non sapeva se credere alle rassicurazioni del Principe o se andare dal Drago a chiedere consiglio. Per il momento decise di aspettare, almeno finché non fosse successo qualcosa.

E qualcosa successe.

 

 

Merlin entrò nelle stanze del suo Signore con timore, quasi paura. Non sapeva quale sarebbe stata la reazione del Principe, ma il fatto che lo avesse fatto convocare con urgenza da Gwen non lo tranquillizzava affatto. Aprì la porta lentamente, per paura di svegliare il ragazzo che lo aveva mandato a chiamare.

Ma Arthur non stava dormendo.

-Merlin.- sibilò quando lo vide, assottigliando lo sguardo con una scintilla sadica negli occhi. Oh, no, pensò il servo, arretrando inconsapevolmente di un passo. Arthur si avvicinò a lui, sogghignando. -Ho saputo che ieri sera ti sei dato da fare insieme a mia sorella.- commentò con una tranquillità che terrorizzò Merlin più che le urla o le botte.

-Detta così sembra un'altra cosa.- mormorò il servitore, abbassando lo sguardo per nascondere un sorriso, consapevole che se il Principe lo avesse scoperto l'avrebbe messo alla gogna. E non ci teneva a tornarci ancora.

Arthur gli lanciò un'occhiataccia. -L'altra cosa, come la chiami tu, sarebbe impossibile per uno come te.-

Merlin annuì, cercando di mostrarsi pentito.

Non lo era.

-Comunque.- riprese imperterrito il Principe di Camelot, gonfiando il petto come per mostrarsi furioso, -mi è stato detto che tu e Morgana ieri avete fatto fuggire un uomo che mio padre, il Re, aveva fatto personalmente imprigionare. E' vero?-

Merlin abbassò il capo in segno di sottomissione. Sì, aveva fatto evadere un prigioniero con l'aiuto della figliastra del Re. Ma non se ne pentiva: quell'uomo non aveva fatto nulla di male, era stato stregato da uno stregone del Nord che l'aveva costretto a fare cose orribili, ma non aveva mai compiuto malvagità di sua spontanea volontà. Certo, anche lui era un mago: ma questo Uther non era riuscito a dimostrarlo. Merlin aveva discusso della situazione con Morgana, l'unica che sembrava accettare la magia.

Sicuramente non come Arthur.

-E' vero.- confermò a bassa voce, mordendosi il labbro. Cosa gli sarebbe successo ora? Lo avrebbe messo alla gogna? Fatto impiccare? Lo avrebbe decapitato?

Arthur sospirò, lasciando che la tensione tra i due scomparisse. Sembrò rilassarsi all'improvviso: Merlin poteva vederlo dalle spalle del biondo, che fino a poco prima erano rigidissime. -Meno male che esisti.- sussurrò a sorpresa l'erede al trono, lasciandosi cadere sul letto a baldacchino al centro della stanza. Merlin alzò svelto il capo, stupito. Aveva sentito bene?

-Mi scusi, Signore?- domandò confuso.

Arthur si prese la testa fra le grandi mani. -Quell'uomo,- cominciò lentamente, come se le parole che stava per pronunciare gli costassero fatica. -Quell'uomo mi ha salvato la vita.- ammise.

Merlin lo guardò spaesato. Perché non ne sapeva niente?

-Non guardarmi così, non ti dico ogni cosa che mi capita durante la giornata.- affermò serio il Principe, sdraiandosi e guardandolo con quel suo solito cipiglio da bambino viziato. Merlin annuì. -Mi scusi.- mormorò.

Ma Arthur di nuovo lo sorprese: -Non scusarti. Mi hai salvato la vita anche tu.-

A questo punto il moro non ce la fece più: si avvicinò al letto e si sedette accanto al suo Signore.

-Chi era quell'uomo?- domandò ansioso. Odiava quando Arthur gli nascondeva qualcosa, o semplicemente quando non era a conoscenza di un fatto che riguardasse il suo Signore. In effetti, odiava semplicemente essere escluso dalla vita di Arthur.

Il biondo si girò a guardarlo, serio. -Era un mago.- rivelò, cercando negli occhi di Merlin un qualche segno di stupore, sorpresa, magari disgusto. Non ne trovò.

Sorrise.

-Come sempre, le tue reazioni sono quelle che mi aspetto.- commentò l'erede al trono, mettendosi a sedere. -Inaspettate sono solo le tue azioni.-

Merlin si rabbuiò. Cosa significava?

-Sai, Merlin. Ho sempre pensato che tu fossi solo uno stupido.- cominciò serio, senza alcuna nota derisoria nella voce. Merlin rise. -Vi ringrazio.- abozzò divertito, ma l'occhiataccia che Arthur gli lanciò spense la sua allegria. -Sei capace a stare zitto un attimo e farmi finire una sola maledettissima frase?- domandò arrabbiato il biondo, alzandosi e andando a osservare il Regno fuori dalla finestra. Quel Regno che un giorno gli sarebbe appartenuto. Merlin abbassò nuovamente il capo, mostrandosi pentito. -Cercherò di stare zitto.- promise, cercando di tenere davvero la bocca chiusa.

Arthur annuì compiaciuto. -Lo spero per te. Perché la storia che sto per raccontarti potrebbe sorprenderti.- annunciò serissimo.

Merlin alzò il viso, fissando negli occhi il ragazzo di fronte a lui. Si studiarono per alcuni istanti poi: -Merlin, tu sei un mago vero?-

 

 

 

Merlin avrebbe preferito qualunque cosa a questo: la gogna, la ramanzina di Gaius, il ritorno di Nimueh perfino. Tutto, al vedere lo sguardo tradito che Arthur aveva in quel momento.

Perché all'inizio aveva provato a negare: no, non sono un mago.

Aveva provato a ingannarlo: avete mai visto della magia uscire dal mio corpo o dalle mie mani?

Aveva provato a convincerlo: Signore, credete davvero che un idiota come me possa compiere magia?

Aveva persino provato a fingersi spaventato: Magia? Oh, no. La magia è proibita, poiché pericolosa! E' un'arte che mette terrore!

Ma niente. Arthur restava fermo sulle sue convinzioni, continuando a sostenere che il suo servitore fosse un mago e non c'era nulla che potesse fargli cambiare idea.

Alla fine, dopo che il Principe aveva elencato tutte le volte che si era stranamente salvato grazie ad un provvidenziale aiuto venuto da chissà dove, nei cui paraggi guarda caso c'era sempre il ragazzo moro, Merlin aveva dovuto confessare: sì, sono un mago, aveva ammesso abbassando il capo, pronto a ricevere la punizione che veniva data a quelli come lui: la morte.

Ma Arthur aveva solo sorriso, vittorioso. Orgoglioso di averci visto giusto. -Avevo ragione, quindi.- gongolò felice. Amava aver ragione.

Merlin rimase in silenzio. Cosa gli sarebbe capitato ora? Se lui moriva, Arthur non sarebbe mai salito al trono. Doveva farglielo presente. -Signore..- cominciò indeciso, mordicchiandosi un labbro.

Arthur gli lanciò un'occhiataccia. -Non ti ho dato il permesso di parlare.- ricordò irritato.

Dio, quel tipo era proprio arrogante. -Mi scusi.- commentò Merlin, guardandolo con quella faccia da schiaffi che al Principe faceva venir una gran voglia di picchiarlo. Merlin cercò di non sorridere, ma vedere Arthur che si fingeva arrabbiato -perché era chiaro che fingeva- lo divertiva troppo.

Il biondo alla fine, stufo di quella commedia, girò le spalle al servitore e gli concesse di parlare. Merlin lo ringraziò.

-Il nostro destino è legato.- cominciò a raccontare, serio. Doveva spiegare correttamente ad Arthur tutta la storia, non poteva perdersi dei pezzi.

Vide il biondo irrigidirsi. -Nostro?- chiese storcendo la bocca. -Cioè, mio e tuo?-

Merlin annuì, sorridendo. -Non è il massimo neanche per me, sa.- commentò divertito. Arthur gli lanciò un'occhiataccia, ma servì solamente a far sorridere Merlin di più.

 

 

 

Era stata dura: Arthur sapeva essere davvero di vedute strette. Eppure alla fine era riuscito a convincerlo della verità. Le loro vite, i loro destini, erano legati indissolubilmente. Se uno moriva, anche l'altro periva; se uno vinceva, anche l'altro ne riceveva onori. Merlin aveva spiegato al Principe tutto quanto: gli aveva raccontato la sua vita e la sua magia, narrato della comparsa di Nimueh, spiegato che tutti gli strani episodi avvenuti a Camelot negli ultimi tempi erano stati risolti da lui. Arthur lo aveva guardato con sospetto all'inizio, poi con ammirazione.

-Almeno un briciolo di coraggio lo devi avere, nascosto dentro di te, se hai compiuto tutte queste imprese..- disse per deriderlo. Merlin sorrise. -Anche uno stupido servitore come me può salvare la vita ad un Principe.- disse.

Arthur si rabbuiò. -Che succede?- chiese il moro, confuso. -Quante volte?- replicò svelto Arthur, con uno strano sguardo. Merlin non glielo aveva mai visto comparire sul viso. Rimase incantato per un momento, poi: -eh?-. Il Principe scosse la testa, sbuffando. -Guarda te a chi mi doveva legare il destino. Ma dico, uno un po' più furbo, no?-

-Ehi, guardi che io sono qui!- si lamentò Merlin, fingendosi offeso.

Arthur sorrise, divertito. -Lo so.- disse.

Chissà perché, Merlin arrossì.

-Allora, mi dici quante volte?- riprese il biondo, sedendosi sul pavimento e aspettando. Il giovane mago sospirò. -Qualcuna.- commentò vago, passando con una ramazza il pavimento delle stanze del Principe. -Merlin.- lo chiamò Arthur, la voce che voleva essere minacciosa.

Il ragazzo strinse i pugni. -Non lo so!- mentì urlando, improvvisamente irritato. -Qualche volta, mica le ho contate!- sbottò alzando la braccia in segno di resa.

La ramazza cadde sul pavimento con un suono sordo. Passarono minuti di assoluto silenzio, finché Merlin non sospirò e, chiudendo gli occhi,: -Mi dispiace.- affermò. Arthur rimase in silenzio, immobile. Il moro deglutì, nervoso. Perché non parlava? Perché rimaneva seduto in silenzio? Perché non faceva qualcosa, qualunque cosa?

Quel silenzio era insopportabile per Merlin, una tortura sarebbe stata più gradita, quindi: -Ogni volta che rischiavate di venire ucciso.- ammise infine, lo sguardo basso e la voce che tremava. -Cosa che accadeva con una frequenza sconvolgente.- aggiunse.

Sentiva una strana sensazione al petto, che risaliva su fino alla gola e gli impediva di respirare. Non se ne preoccupò molto, era una sensazione che aveva già provato più volte: ogni volta che pensava ad Arthur morto, o in pericolo, quella sensazione lo immobilizzava.

Angoscia.

Non si rese conto di aver cominciato a piangere finché Arthur non lo abbracciò.

-Merlin, calmati.- sussurrò dolcemente, storcendo appena il naso. Insomma, non era abituato ad abbracciare un servo, e il fatto che fosse Merlin complicava solo le cose. Il ragazzo moro iniziò a singhiozzare, scosso da violenti brividi. Afferrò la camicia bianca di lino del suo Signore e si aggrappò a lui con tutte le sue forze. -M-mi dispiace..- tentò di dire, ma ogni volta Arthur lo stingeva più stretto, impedendogli di continuare. Alla fine il moro rinunciò, sfogando le sue paure e le sue frustrazioni di quegli anni sulla camicia di Arthur.

Quando infine si calmò, il biondo lo fece sedere sul letto. Si atteggiava a uomo di mondo, che non ha paura di niente e non prova pietà per nessuno, ma il il servo poteva scorgere vera preoccupazione nei suoi occhi.

Alla fine, non riuscì a impedirsi di tacere. -Quindi perché stavi piangendo?- domandò irritato. Non era mai stato un tipo paziente, Arthur. Questo fece quasi sorride Merlin. Quasi.

Il moro abbassò il capo, vergognandosi. -....non vi è una ragione.- mentì sperando di apparire sincero e disinvolto. Ma Arthur non ci cascò. Alzò un sopracciglio e incrociò le braccia. -Merlin.- chiamò seccato.

Non gli piaceva quando il moro gli nascondeva qualcosa: non gli piaceva affatto.

-E' la verità.- provò a difendersi Merlin, senza convinzione, deglutendo più volte. Alla fine il Principe gli afferrò il mento e lo obbligò a guardarlo. -Perché piangevi.- ripeté duramente, la pazienza ormai finita. Pretendeva una risposta, d'altronde era l'erede al trono. Senza contare che il giovane gli aveva macchiato di lacrime la sua camicia di pregiato lino.

Storse la bocca. -Ti conviene rispondermi, così poi puoi andare a lavarmi la camicia. Guarda qua, sembra che un cavallo ci abbia starnutito sopra!- si lamentò scioccato, facendo ridacchiare Merlin. Il biondo si fermò: la risata del ragazzo era qualcosa che lo aveva sempre affascinato.

Alzò lo sguardo a guardare il ragazzo, il suo mento intrappolato ancora tra le mani: se ne stava seduto sul suo letto, le gambe accavallate e la schiena gobba, come pronto a scappare se lui avesse alzato la voce o dato segno di volerlo picchiare; i capelli ribelli nerissimi che gli ricadevano sul viso, incorniciandoglielo; gli occhi divertiti nascosti sotto qualche ciuffo di capelli e i denti bianchissimi.

Lo guardava e non capiva cos'era quella morsa che gli prendeva allo stomaco quando i suoi occhi si posavano sul servitore. Non comprendeva le sensazioni che si scatenavano in lui quando Merlin sorrideva, e capiva ancora meno il sentimento di protezione che provava verso quel ragazzo. Insomma: era un servitore, eppure Arthur lo aveva appena abbracciato per consolarlo. Gli aveva salvato la vita ed era legato al suo destino, sì. Ma rimaneva un servo.

Non era normale, sicuramente.

Abbassò lo sguardo, confuso. Proprio non si spiegava quei sentimenti d'affetto verso Merlin. E cos'era, poi, Merlin? Solo un servitore? Un compagno d'avventure? Un amico? Non sapeva dargli un nome.

L'unica cosa che sapeva era che quando quel ragazzino gli era intorno, succedeva sempre qualcosa.

Sempre.

 

 

Alla fine, Merlin cedette. Un Arthur offeso era mille volte peggio di un Arthur arrabbiato. Se ammettere la verità sarebbe servito a non indignare il Principe, allora lui l'avrebbe ammessa.

-Non mi piace pensare a voi come... morto.- confessò esitante, mordendosi il labbro. Poi: -Per me voi siete importante.- confidò, la voce poco più di un respiro. Sperò con tutto sé stesso che il biondo non avesse sentito l'ultima parte, anche lui avrebbe voluto non sentirla. Perché sapeva che Arthur era fondamentale, per lui: però non aveva capito in che modo, fino a quel momento.

Deglutì a disagio, spostando lo sguardo sulla spada lucente di Arthur. Se il biondo avesse scoperto i suoi sentimenti, quella spada lo avrebbe senza dubbio ucciso. Merlin decise che avrebbe finto di non provare nulla per il suo Signore, a costo di passare la vita a soffrire.

-Ora posso andare?- domandò, fissando con insistenza la porta della stanza, l'unica via d'uscita. Arthur annuì, incerto.

Aveva sentito perfettamente la frase che Merlin aveva pronunciato, ed era rimasto interdetto. Confuso dai suoi stessi sentimenti. Perché il cuore aveva preso a battere più velocemente, quando il moro aveva pronunciato quelle parole?

E perché, ora che Merlin era letteralmente scappato dalla stanza, si sentiva terribilmente svuotato?

Scosse la testa violentemente, massaggiandosi le spalle. Non doveva fare certi pensieri, non doveva neppure avere certe sensazioni.

Lanciò un ultimo sguardo alla porta, spaesato.

Alla fine, non aveva neppure raccontato a Merlin la storia del mago.

 

 

Le giornate si susseguirono normalmente: Merlin serviva rispettosamente Arthur, il biondo si divertiva a fargli fare qualunque cosa gli passasse per la testa in quel momento, Gwen rimproverava Arthur per i suoi modi bruschi e il ragazzo le rispondeva presuntuosamente che lui poteva fare quello che voleva visto che era il Principe. Normale quotidianità, insomma. Non fosse stato per le fugaci occhiate che Merlin lanciava al ragazzo biondo, per il silenzio innaturale e imbarazzato che si creava quando Arthur decideva di cambiarsi di fronte a Merlin, per le occhiate irritate che l'erede al trono gli lanciava quando gli tornava in mente quello che era successo nelle sue stanze quel giorno. Non ne avevano più parlato, dopo che Merlin era fuggito via. A volte Arthur provava ad attaccare discorso, altre volte lo sottoponeva ad assillanti interrogatori: ma Merlin riusciva sempre a evitare la conversazione. La prima volta era arrivato a salvarlo Gaius, che gli aveva chiesto aiuto per una crema curativa; la seconda volta Merlin aveva ricordato al Principe che Uther gli aveva ordinato pulire la stalla; la terza era comparsa Ginevra proprio nel momento in cui Merlin stava per parlare: il moro l'aveva considerato un aiuto provvidenziale dal Cielo, Arthur l'ennesimo tentativo fallito.

L'episodio aveva così profondamente turbato l'erede al trono, che quella sera neppure si presentò a cena, e il giorno dopo Gwen non andò a lavoro. Morgana sostenne che la ragazza si era ammalata, ma Merlin non credette alla storia, visto lo sguardo divertito e sadico di Arthur. Aveva avuto l'impulso di chiedergli cos'aveva combinato, ma il timore che il Principe cogliesse l'occasione per fargli domande lo frenò dal chiedere spiegazioni. Alla fine, comunque, il viso spaventato, dispiaciuto e pentito di Gwen (quando alla fine la giovane tornò a corte) fu abbastanza eloquente.

Poi successe che Merlin decise di farla finita: i tentativi di ''convincerlo a parlare'' di Arthur -quali imboscate, furtive visite e attacchi a sorpresa- erano abbastanza patetici. Era ora di chiudere quella faccenda, e il modo per farlo era solo uno: mentire.

Merlin non era bravissimo a farlo, e la sua faccia mostrava sempre la verità: ma diamine, ci avrebbe provato. Perché andare da Arthur e raccontargli la verità era impensabile. Non poteva semplicemente andare lì e dirgli: ''sono scoppiato a piangere perché vi amo e l'idea di perdervi mi logora l'anima.'' No, piuttosto avrebbe subito la più terribile delle torture. Tutto, al dover affrontare la rabbia e il disgusto che sicuramente sarebbero apparsi sul volto dell'erede al trono.

Perciò era lì: a camminare incerto per i corridoi del castello, alla ricerca del giovane Principe. Lo sapeva che i luoghi dove poteva trovarsi non erano poi molti: Arthur quando non si trovava nelle sue stanze era o ad allenarsi con la spada, o in armeria, o a caccia. Non tanti posti, a ben pensarci. Dal Principe ci si aspetterebbe una giornata sfiancante, fatta di imprese eroiche, viaggi massacranti per allacciare nuove alleanze, piani di guerra e salvataggi incredibili.

Già. Peccato che la realtà fosse ben diversa: Arthur poltriva gran parte della giornata. Certo, si allenava molto, ma dopo due, tre ore di lotta con la spada, l'allenamento si concludeva. Lui e Merlin avevano avuto i loro problemi e loro avventure, ma dopo la scomparsa di Nimueh sembrava che Camelot non importasse più a nessuno. Poco male, almeno Merlin avrebbe potuto riposarsi un po'.

Lanciò un'occhiata al cortile, per vedere se Arthur si stava allenando.

Niente.

Sospirò. Arthur poteva essere solo a caccia, e questo significava che doveva attenderlo fino a quando non fosse tornato, il che richiedeva più pazienza di quanto ci si aspetterebbe: Arthur aveva l'abitudine di intrattenersi a caccia molto più tempo di quanto richiesto. Tornava a corte con tante prede quanto grande era la sua presunzione. Uther era molto restio a mandare qualcun'altro a cacciare: quando ci andava suo figlio le scorte di cibo faticavano a scarseggiare.

Merlin si prese la testa tra le mani, frustrato. Chissà quanto avrebbe dovuto aspettare per poter parlare ad Arthur. Solo una cosa era certa: dovevano chiarirsi. Ad ogni costo.

Quei silenzi, quelle occhiate e quella rabbia stavano letteralmente uccidendo Merlin.

Poi: -Merlin!- esclamò una voce, agitata. Il ragazzo si girò, trovandosi davanti una Gwen affannata, sul viso un'espressione angosciata. -Cos'è successo? Gaius sta bene?- si preoccupò immediatamente, guardando verso l'ala est del castello, verso le stanze dove risiedevano lui e il medico di corte. Ginevra annuì, dicendo che l'anziano stava bene. Merlin stava quasi per sospirare di sollievo, quando: -E' Uther.- lo informò la ragazza, con le lacrime agli occhi. -Uther sta morendo.-

L'unica cosa a cui pensò Merlin, mentre correva dietro a Gwen verso le stanze personali del Re, era una sola: Arthur.

 

 

 

-Cosa diamine è successo?- tuonò Arthur quando entrò nelle stanze del padre. Sul viso un'espressione che Merlin non gli aveva mai visto: paura.

Quando Lancelot lo aveva raggiunto correndo mentre lui scendeva da cavallo, aveva capito immediatamente che era successo qualcosa. Si era guardato intorno per cercare un indizio che lo avrebbe aiutato a comprendere, e aveva visto il viso di Gwen ad una finestra. Non si sarebbe preoccupato minimamente se lo sguardo della ragazza non fosse stato terrorizzato e la finestra non fosse stata quella delle stanze del padre. Aveva attraversato il cortile correndo, e si lanciato su per le scale ad una velocità folle.

Quando poi aveva scoperto che nella stanza di suo padre c'erano Gwen, Merlin, Gaius, Morgana e tutti i Cavalieri, aveva capito: suo padre stava male, davvero male.

Uther quasi sorrise, dal letto sfatto in cui si trovava. Aveva la fronte imperlata di sudore, il volto pallido e stanco. Arthur dovette deglutire più volte, prima di poter mormorare un: -Come vi sentite?- L'uomo steso nel letto lo guardò dispiaciuto, prima di rispondere. -Arthur, sei un grande guerriero.- cominciò Uther, facendo segno al ragazzo si avvicinarsi e sedersi accanto a lui sul letto. Il giovane lanciò un'occhiata indagatrice a Merlin, chiedendogli silenziosamente come Uther avesse potuto ridursi in quello stato in così poco tempo. Il servitore abbassò lo sguardo, impotente. E allora il ragazzo tornò a guardare suo padre, preoccupato: aveva le braccia stese lungo i fianchi, l'aria stanca di uno a cui... restano poche ore di vita.

Ne aveva viste tante, anche troppe, di persone come Uther in quel momento. E non voleva crederci.

Si sedette sul letto lentamente, come per paura di fare rumore, e afferrò la mano del padre, tremando. Quando Uther gli sorrise, Arthur ebbe l'impulso di vomitare.

-Sarai anche un grande Re.- terminò l'uomo, fissando suo figlio negli occhi. Arthur ci mise un po' a metabolizzare le parole, nonostante avesse capito perfettamente quello che stava succedendo. Non poteva, non voleva crederci. Uther Pendragon non poteva morire. Non doveva: da morto non avrebbe potuto governare, non avrebbe potuto aiutarlo, dargli consigli, assistere alla sua Camelot. Uther Pendragon non poteva abbandonarlo.

Arthur batté più volte le palpebre, violentemente. Il suo battito cardiaco accelerò, il suo respiro si fece più veloce, gli occhi si inumidirono e la gola gli si seccò. -S-sì.- confermò esitante, cercando in tutti i modi di non affrontare la realtà. -Sarò un grande Re, e tu mi sarai accanto mentre Camelot si espanderà e...- Ma Uther gli poggiò un dito sulle labbra, lo mise a tacere sorridendogli.

-Fuggire dalla realtà non è mai la scelta migliore, credimi.- consigliò dolcemente, deglutendo rumorosamente. Sul viso di Arthur cadde una lacrima, pesante e silenziosa. Aprì la bocca e fece per parlare, ma non uscì alcun suono. Quando altre lacrime si unirono alla prima, dolorose, i presenti decisero che era ora di lasciarli da soli, e se ne andarono. Solo Merlin lanciò un ultimo impotente sguardo alle spalle scosse dai singhiozzi di Arthur.

Sii forte, pensò.

Ma anche lui cominciò a piangere.

 

 

 

Quando Uther morì, su Camelot si abbatté la pioggia, che pesante e triste, cadde incessante sui tetti del borgo, trascinando con sé tutta l'allegria e le risate che quel posto aveva visto.

Camelot, in quel momento, era solo una triste città in lutto.

 

 

 

Arthur non si era fatto vedere per tre giorni, dopo il funerale. Si era letteralmente chiuso in sé stesso, rifiutando qualunque contatto con altre persone: né Merlin, né i cavalieri della tavolo rotonda riuscirono a convincere Arthur ad uscire dalla sua stanza.

Nemmeno i cittadini di Camelot stavano bene: avevano avuto tutti le stesse reazioni, alla morte di Uther. Chi piangeva, chi rifiutava di mangiare, chi urlava che su Camelot c'era qualche maledizione e la morte di Uther era stata solo la prima di una lunga serie di misteriosi decessi -quest'ultima teoria perché era morta una bambina, in bassa corte, che però era deceduta per cause naturali come aveva inutilmente tentato di far presente Gaius-. E poi c'erano quelli che non erano particolarmente toccati o affranti dalla morte del sovrano, ma che vivevano rispettosamente il lutto per rispetto ad Arthur.

Tra tutti questi, quello che stava peggio era Merlin. Sapeva che la morte di Uther non era stata colpa sua, ma si sentiva comunque tremendamente in colpa.

Se fosse stato più vicino ad Arthur, se avesse fatto e non fatto quello: mille dubbi lo tormentavano. Eppure sapeva di non poter fare niente.

Voleva anche scusarsi e chiarire le cose con Arthur, ma dopo quello che era successo importava qualcosa? Probabilmente il ragazzo neanche ci pensava più. Anche se però gli sembrava strano, d'altronde gli aveva rivelato di essere un mago, gli aveva raccontato che il loro destino era legato indissolubilmente e che tutti i fatti misteriosi avvenuti a Camelot erano stati risolti da lui. Gli sembrava assurdo che Arthur avesse dimenticato, ma in un momento del genere, chissà?

E si sentiva in colpa, Merlin.

Arthur era lì con lui, quando suo padre era morto. Certo, il Principe non aveva mai saputo che l'ultimo Signore dei Draghi in realtà era suo padre, però era presente. A suo modo e senza neanche saperlo, gli era stato persino vicino. Perciò lui avrebbe fatto lo stesso. Arthur aveva bisogno di sostegno, di qualcuno che lo aiutasse a superare il dolore del lutto: lui ci sarebbe stato.

 

 

 

-Arthur, apritemi.- disse deciso, bussando alla porta delle stanze del suo Signore. Dall'interno si udì un grugnito, poi un rumore secco. Probabilmente Arthur aveva lanciato qualcosa nella sua direzione, per farlo desistere del tentativo di rompergli le scatole. Ma Merlin non sembrò farci caso, e bussò nuovamente. -Arthur, se non vuoi che chiami Lancelot per sfondare la porta ti conviene aprirmi subito.- avvertì serio. Poi sorrise, quando sentì un gemito frustrato provenire dall'interno. Aveva giocato la carta giusta: d'altronde Arthur non voleva rimanere senza porta e rischiare di essere disturbato ogni cinque minuti. E poi la porta si aprì, come per magia, e davanti a Merlin comparve Arthur, il viso arrossato per colpa del braccio su cui probabilmente il ragazzo aveva dormito, la faccia assonnata e i vestiti stropicciati. -Buongiorno.- salutò allegro Merlin, deciso a tirare su di morale il giovane. Sapeva che Arthur in quel momento lo avrebbe volentieri messo alla gogna, ma non gli importava. Non voleva vedere l'erede al trono depresso.

-Merlin, cosa vuoi?- sibilò Arthur, lanciandogli un'occhiata assassina, che Merlin ignorò bellamente. -Su, vestitevi.- lo incitò il servo, sorridendogli divertito. Arthur fece una smorfia e si buttò sul letto. -Perché?- barbottò sul cuscino, affondando la testa sul materasso. Merlin rise. -Andiamo a fare una gita, siete contento?- commentò ironico, sorridendogli divertito. Arthur alzò la testa giusto per lanciargli un'occhiataccia. E Merlin sorrise di più.

Si diresse verso l'armadio dove Arthur teneva i vestiti -che lui riponeva per conto del biondo-, e ne tirò fuori un pantalone marrone che l'avrebbe protetto in caso di pioggia e una camicia di lino. Poi andò a prendere il mantello che il ragazzo teneva sulla sedia. Quando vide cosa c'era sulla sedia, fece una smorfia. -Arthur, insomma!- si lamentò seccato. Si girò a squadrare il biondo che lo guardò con la faccia più innocente che possedeva. Merlin gli indicò con il dito la pila di vestiti sporchi che stava sulla sedia e incredulo: -Tre giorni! Spiegatemi come avete fatto a mettere così in disordine la stanza in tre giorni!- esclamò indignato guardandosi attorno. Quel posto era un porcile. Incredibile. Senza Merlin a controllarlo, Arthur sapeva mettere in disordine perfino una stanza vuota.

Il moro si avvicinò alle finestre e le spalancò, ancora incredulo. -No, da qui non usciamo finché la stanza non è pulita e ordinata.- lo informò con tono grave, scuotendo la testa. Si girò a guardare Arthur e: -State su quel letto finché potete, perché non appena avrò finito qui andremo a fare una passeggiata!- lo avvisò serissimo, poi: -Santo cielo, guardi lì per terra! E' un panino?!- strillò indignato. Arthur alzò gli occhi al cielo e ricacciò la testa tra i cuscini. Ma Merlin poté vedere un sorriso divertito stampato sulla sua faccia.

 

 

 

-Merlin, sto bene.- ripeté per la millesima volta Arthur, alzando gli occhi al cielo. Possibile che quel ragazzo potesse essere così assillante? Da quando erano partiti per la ''gita'', come Merlin si ostinava a chiamarla, il servo non aveva fatto altro che preoccuparsi per lui. ''Siete sicuro di stare così bene da uscire?'', ''Riuscite a camminare?'', ''Siete stanco?'', ''Porto io la vostra sacca?''. E pensare che una volta avrebbe fatto carte false per non dover portare le borse che Arthur si portava dietro.

Poi Merlin sbuffò, attirando l'attenzione del Principe. Arthur si mise ad osservarlo, attento. Il moro stava tentando di attaccare un filo da cui pendeva un pezzo di mela ad un ramoscello, per cercare di prendere qualche pesce, visto che si erano fermati sulla riva di un lago. I movimenti di Merlin erano aggraziati, nonostante fosse estremamente goffo e incapace. Le mani si muovevano veloci sul ramo, facendo un nodo per legare l'estremità del filo al legno. Sul viso aveva un'espressione seria, concentrata: la lingua fuori dalla bocca come per concentrarsi meglio. Arthur rise, facendo sobbalzare il moro, che fece cadere il ramoscello in acqua. -Dannazione, ora dovrò ricominciare daccapo.- commentò con disappunto Merlin, lanciando un'occhiataccia al povero ramo che giaceva nell'acqua cristallina. Quando si voltò a guardare Arthur, rimase a bocca aperta: l'erede al trono se ne stava sdraiato a guardare il cielo, e sorrideva.

Aveva dipinta sul viso un'espressione serena e tranquilla, com'erano giorni che non vedeva. Era bellissimo.

Poi Arthur girò girò la testa e lo fissò, pensieroso. Merlin si sentì immediatamente a disagio, e arrossì un po'. -Che c'è?- chiese nervoso, guardandolo. Arthur era serissimo, e la cosa lo preoccupava alquanto. Poi: -Grazie.- disse il biondo, e nella sua voce Merlin poté sentire vera gratitudine. Gli occhi gli si inumidirono, e spostò lo sguardo verso il lago. -Vi ho solo portato a fare una passeggiata.- ricordò minimizzando, felice oltre ogni misura.

Ma Arthur scosse la testa, si allungò ad afferrargli il braccio e lo costrinse a guardarlo negli occhi. -Grazie di tutto.- precisò serio e grato, forse per la prima volta in vita sua.

E Merlin capì. Arthur non aveva dimenticato, sapeva benissimo chi era. Ricordava perfettamente che il suo servitore era un mago: semplicemente non gli importava. Sapeva che avevano un destino in comune, e gli stava bene.

Lo accettava, semplicemente. Lui, il suo essere, la sua magia.

E Merlin seppe che stava per scoppiare a piangere un'altra volta.

 

 

 

-Arthur Pendragon, vi nomino Re di Camelot.- Le parole pronunciate dal vescovo risuonavano nella mente di Merlin come un'eco assordante. Re di Camelot.

Merlin si era avvicinato ad Arthur, la corona appartenuta a Uther stretta tra le mani.

Era stato semplice, naturale poggiare la corona sui suoi biondi capelli. Con la morte di Uther, era scontato che il suo unico figlio ne ereditasse il Regno. Era quello che tutti si aspettavano, quello che Merlin cercava di far avverare da quando aveva messo piede a Camelot, parlando con Kilgharrah: ''Arthur è l'unico e futuro Re che riuscirà ad unire la terra di Albion. Senza di te, Arthur non potrà mai avere un futuro, senza di te non esisterà mai alcuna Albion.''

Questo era il momento che in teoria aspettava da una vita, l'istante per cui aveva lottato tutto quel tempo: e allora perché le mani gli tremavano, mentre incoronava il suo Signore?

Perché sentiva un peso gravare sul suo cuore, schiacciandogli lo sterno? Perché sentiva come un groppo alla gola, aveva gli occhi lucidi e una paura fottuta?

Perché non voleva vederlo salire al trono?

Forse la risposta stava nel passato, al tempo in cui aveva salvato il bambino druido da morte certa. Forse l'unica paura che aveva era quella del tempo, che scorreva troppo velocemente. Merlin l'aveva sempre saputo: più il giorno dell'incoronazione di Arthur si avvicinava, più prossima era la sua morte.

No, quello non era il momento per fare certi pensieri. Arthur era lì, era vivo: e Merlin avrebbe fatto in modo che restasse così per molto tempo.

Gli angoli della sua bocca si alzarono in un forzato sorriso, quando la corona aderì sulla testa di Arthur. Ecco, è fatta, pensò il servitore, inchinandosi di fronte al nuovo Re di Camelot. Sentì i movimenti degli altri uomini nella sala, cavalieri, cittadini e servitori: tutti si stavano inchinando dinnanzi al loro Re.

E fu allora che Merlin alzò il volto, sicuro di non essere visto, e incrociò lo sguardo di Arthur, che lo stava aspettando. Vide negli occhi del suo Signore tante emozioni, che caotiche vi correvano attraverso: timore, di non essere all'altezza di un ruolo tanto importante; felicità, per poter essere d'aiuto a tutte gli abitanti del suo Regno, per avere amici tanto importanti accanto a lui, per avere così tante persone che ponevano in lui fiducia; orgoglio, per essere il figlio del Re che prima di lui aveva regnato su Camelot, cercando di portare solo gioia ai suoi cittadini, purtroppo fallendo; speranza, di poter essere lui colui che finalmente unirà la terra di Albion. E allora Merlin gli sorrise, facendogli capire che non era solo, che lui lo avrebbe sempre sostenuto e aiutato.

Arthur capì perfettamente i pensieri del servitore, e lo ringraziò con lo sguardo. Non era solo, non lo sarebbe stato più.

In quel momento, un raggio di sole colpì il viso del Re, sorprendendo il ragazzo per primo. -Il sole..- soffiò Arthur, stupito e meravigliato. Il sorriso di Merlin si allargò a dismisura, raggiante. -Per voi.- affermò fiero, gonfiando il petto e deglutendo rumorosamente, sul punto di scoppiare a piangere dalla felicità.

Gwen corse alla finestra, incredula. Lanciò uno sguardo al cielo e: -E' uscito il sole!- dichiarò spaesata, meravigliata. -E' uscito davvero!- continuò guardando Arthur e Merlin.

Nella sala si levarono urla di gioia, fischi e incitazioni ad uscire. Gli abitanti erano in festa una seconda volta, troppi sollevati per darsi un contegno. Arthur ridacchiò, fingendosi offeso: non gli riuscì per niente, questa volta. -Si suppone che i cittadini debbano festeggiare il loro Re, non la comparsa del sole.- barbottò fintamente indignato. La credibilità spazzata via dal sorriso ironico e felice che si aprì sul suo viso. Merlin rise. -Sarà che il nuovo Re è talmente idiota da non meritare una vera celebrazione.- ipotizzò divertito.

Arthur gli lanciò un'occhiata scandalizzata. -Osi farti beffe del tuo Re?!- sibilò assottigliando gli occhi. Il moro rise, allungandogli una mano. -Usciamo a festeggiare, Signore?- domandò cortese, senza smettere di sorridere. Ormai nella sala rimanevano solo il vescovo, poche guardie e due cavalieri che non se l'erano sentita di lasciare solo il nuovo sovrano, offendendolo. Arthur lanciò un'occhiata a ognuna delle persone rimaste, indeciso. Poi ghignò. Perché Arthur aveva capito cos'erano quei sentimenti che provava quando vedeva Merlin: ora poteva finalmente dargli un nome.

Afferrò il braccio del servo e lo tirò a sé, facendo aderire i loro corpi. Merlin sgranò gli occhi, imbarazzato e confuso; i presenti cercarono di nascondere un sorriso.

Il sovrano finalmente si era deciso.

Quando Arthur abbassò il viso e sfiorò le labbra del giovane, Merlin: -Siete pazzo..- soffiò, guardandolo incantato. Arthur sorrise sfacciato, per poi baciarlo.

Appena si separarono: -Di te.- concesse divertito, godendosi il rossore che si fece strada sul volto di Merlin. Poi gli posò un bacio sulla fronte e lo allontanò un po', giusto lo spazio per potersi levare il lungo mantello rosso che lo avevano obbligato ad indossare, la cotta di maglia e la spada appesa al suo fianco. Si arruffò un po' i capelli e: -Ora possiamo andare.- confermò divertito.

Merlin lo fissava estasiato: Arthur era di una bellezza accecante. Arrossì e abbassò lo sguardo, annuendo. -Bene.- disse umettandosi le labbra. Il giovane Re sorrise, afferrandogli la mano e uscendo, le guardie e due cavalieri subito dietro di lui.

La vita non gli era mai sembrata più bella.

Aveva tutto: un Regno da governare, amici fidati al suo fianco, cavalieri pronti a combattere insieme a lui, sudditi fieri e Merlin.

Il suo sole personale.

  
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