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Autore: Nuvola_    21/02/2012    2 recensioni
L'unico modo per ritrovare se stessi è guardare ciò che rispecchia.
Breve storia di una schiava persa nell'oscurità ma che non smette di lottare.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Ero di poco distante.
Lui ancora adagiato sul letto, quasi non volesse più alzarsi, quasi non volesse, sollevandosi, far scivolare il poco piacere che gli era ancora rimasto vivo nelle vene come un veleno ma che cominciava ad affievolire, mescolato al suo terribile sangue.
Aveva gli occhi chiusi, le labbra che compivano movimenti appena percettibili esalando nell'aria gli ultimi sospiri affannosi rimasti.
Lo guardavo, ogni volta cercavo di convincere me stessa di essere soltanto la sfortunata spettatrice di un dramma volgare, perverso e violento.
No, io ne ero la protagonista, ero la causa dei suoi sospiri e del suo piacere malsano, quel piacere che gli inumidiva la pelle di sudore, quel piacere che era capace di inebetirgli ancor di più lo sguardo, quel piacere che solo una donna prigioniera può dare, il piacere che una schiava, minacciata di morte ogni momento, riusciva a generare in un uomo che non riusciva a sfruttare che la materialità di quel gioiello così prezioso e delicato che è la donna.
Mi volto distogliendo lo sguardo da quel bruto che in quel letto che fino a poco prima era il luogo del continuo movimento, ora era diventato un luogo di riposo e falsa quiete.
Dormiva e il respiro rauco che emetteva allo svuotarsi dei polmoni lo rendeva sempre più dissimile a un umano e sempre più simile a una creaura selvatica, un animale.
La stanza era calda e l'aria era palpabile tanto l'umidità era concentrata, arrivava persino ad appannare leggermente lo specchio che si trovava dinnanzi a me.
La superficie che aveva il potere di riflettere ogni cosa, da quella materiale a quella invece impercettibile e sentimentale, lasciava intravedere le immagini ai lati e agli angoli dove la condensa non si era addensata, il mio volto si trovava al centro ed era una macchia indistinta e opaca color della pelle e della terra scura bagnata dalla pioggia, testimoniando l'abbondanza di capelli.
La ragazza nell specchio avrebbe potuto essere chiunque:
Non io, non tu,
Non tu, ma io.
Io che cercavo di intavedere il mio volto imparato a memoria per quindici anni di vita ed ora in via di trasformazione.
Non potevo interpretare la mia espressione riflessa, avrei potuto illudermi di essere felice almeno nell'immagine di uno specchio, avrei potuto conoscere nei miei tratti somatici quelli di mia madre che non vedevo ormai da mesi e senza ricevere da lei alcuna notizia riguardo la mia famiglia e la gente della mia città.
Non riuscivo più a sopportare quella sensazione d'ignoto.
Sollevai dunque una mano e tracciai con un dito una linea retta sulla superficie umida cancellando così ciò che mi impediva di vedere me stessa.
In quel piccolo tracciato lineare si riflettevano i miei occhi.
I miei occhi erano particolari, il sinistro era di un marrone scurissimo mentre l'altro, il destro conteneva un'ampia esplosione di verde, a partire dalla pupilla, si dilatava per quasi tutto l'iride lasciando non molto spazio al marrone scuro.
Ho sempre pensato che gli occhi fossero la parte di me che più mi rappresenta:
Io sono quell'esplosione verde al centro del marrone, quel verde che lotta per espandersi, sono quel verde speranza che spinge contro l'oscuro. Sono quel verde che lotta per dominare, per riempire lo spazio che è suo.
Sono donna, sono schiava e lotto per la libertà.
  
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