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Autore: HarryJo    21/02/2012    1 recensioni
Si sveglia con il cuore che le preme forte nel petto. Ultimamente ogni volta che apre gli occhi sente sempre il rimbombo dei battiti più forte del normale, ma non sa spiegarsi il perché; è come se durante l’intera notte avesse corso fino a sfinire tutte le sue energie – una parte di lei è convinta che sia così. Dopotutto, ogni notte, lei corre veramente: si ritrova a correre verso il passato, nella speranza di ritrovare qualche paesaggio perduto e qualche emozione che ora non ha più – chi l’avrebbe mai detto che riportare in vita i ricordi le sarebbe costata tanta fatica?
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di ricordi, di attese e di silenzio.



   Si sveglia con il cuore che le preme forte nel petto. Ultimamente ogni volta che apre gli occhi sente sempre il rimbombo dei battiti più forte del normale, ma non sa spiegarsi il perché; è come se durante l’intera notte avesse corso fino a sfinire tutte le sue energie – una parte di lei è convinta che sia così. Dopotutto, ogni notte, lei corre veramente: si ritrova a correre verso il passato, nella speranza di ritrovare qualche paesaggio perduto e qualche emozione che ora non ha più – chi l’avrebbe mai detto che riportare in vita i ricordi le sarebbe costata tanta fatica?
   Guarda l’orologio distrattamente e sospira vedendo che è ancora troppo presto per alzarsi. Anche il fatto di svegliarsi troppo in anticipo diventa un problema: si ritrova ad aspettare – e in questi giorni ha avuto modo di capire che aspettare è la cosa più brutta che le possa accadere. Aspettare significa pensare per occupare il tempo, ed ogni volta che cerca di trovare qualche immagine nella sua mente le spunta fuori il suo volto, il suo sorriso sghembo – così lontano, riposto nelle pieghe del passato.
   Quando si alza, però, non si sente molto meglio: per quale scopo deve vestirsi? Non c’è nemmeno motivo di truccarsi, di apparire carina, di abbinare dei colori sgargianti per essere notata. Non c’è più nemmeno un braccialetto da indossare – tutto questo lo faceva per lui e ora lui è troppo distratto per curarsene.
   I minuti che passa fuori al freddo aspettando che arrivi la corriera forse sono quelli in cui si sente, assurdamente, meglio: è da sola, pugnali gelati le attraversano lentamente ogni parte del corpo e le lacrime le si ghiacciano nelle palpebre senza scendere. In quel momento si sente giusta: in un mondo gelido come lo è lei in questi giorni. Poi, quando sale, si ritrova a sperare con tutto il cuore che l’unica persona che le si siede vicino non ci sia, perché ha cominciato ad apprezzare il silenzio, anche quello spigoloso e doloroso; non vuole sentire alcuna voce, alcuna musica, nulla – nemmeno le voci lontane dei ricordi che possiede. Quando si ritrova a pensare al passato automaticamente la sua mente annulla l’audio: le immagini l’attraversano senza parole. Forse fa meno male. Forse il silenzio la farà guarire. Forse.
   La fermata dove scende per aspettare l’autobus che la porta a scuola è un posto che le mette ansia. È il luogo dei ricordi, degli incontri, dei segreti detti nascostamente e delle risate mattutine; è il posto dove ogni cosa ha avuto inizio e fine. Non vorrebbe più scendere lì – lo fa con uno sforzo immane e solo per automatismo (anche se taluni lo definirebbero addirittura masochismo) – eppure scende, riaprendo una grossa ferita ogni giorno.
   Ci sono loro in quella fermata. Potrebbe dire che è solo lui a ferirla giusto al petto, ma tutti quei volti in qualche modo la scalfiscono; chi più, chi meno. Quei volti riportano alla mente ricordi, sorrisi, giornate intere passate accanto – quei volti hanno fatto parte della vita che lei rincorre ogni notte ma che non può riavere. Quei volti, poi, hanno anche delle voci, che le perforano le orecchie e la spingono a desiderare sempre più solo silenzio, solitudine, assenza totale. C’è anche la sua voce tra quelle. Anche il suo volto. E lei non deve guardare – né ascoltare, soprattutto ascoltare. A volte finge di leggere un libro. A volte non fa nulla, aspetta solamente – e un’altra volta l’attesa la schiaccia contro di lui.
   L’autobus è ghermito e la confusione è sempre fortissima: quella, stranamente, non le dà così fastidio. È talmente forte, le parole si sovrappongono in un modo tale che non danno spazio a immagini o ricordi precisi; il caos totale è quasi come il silenzio e le piace.
   Forse a scuola è dove sta meglio in questi giorni: chiusa cinque ore nella stessa classe senza persone che fanno parte del suo passato. Con i suoi compagni non ha niente che possa rimpiangere e sta bene. L’importante è non avere nessuna matita sottomano e nessun spazio bianco dove scrivere: le sue mani – sempre per automatismo – sono ancora troppo abituate a tracciare le sue iniziali ovunque e il dolore che ne deriva dopo – quando prova con tutta la forza che ha a cancellare ogni traccia con la gomma, ma rimane sempre il più debole segno – la annulla.
   Ha scoperto, poi, di essere senza sentimenti: non la tocca più sapere che qualcuno si preoccupa per lei o che attende sue notizie. È strano: le persone la cercano e lei non può fare a meno di ignorarle, senza curarsene troppo. Se qualcun altro sta male alza le spalle, in questi giorni. Non le importa: è diventata un mostro orribile ed egoista. E non se ne preoccupa minimamente.
   A casa studia. Dorme, se riesce. Cerca di tenere il telefono a debita distanza perché se è troppo vicino rimane anche quarti d’ora interi a fissarlo e a sperare che si illumini. E quando succede non è mai il suo nome, e un altro salto nel vuoto si fa largo nel suo stomaco. 
   Mangia moltissimo. Per il nervoso, per sopperire la mancanza di qualcosa di molto più sostanzioso di un piatto di pasta – non si sa. Ma lei mangia e non se ne preoccupa. In silenzio, però, non sopporta che la si disturbi mentre ingurgita cibo – non sopporta che la si disturbi in generale in questi giorni.
   Non ha più nemmeno voglia di controllare il suo computer, niente ha più senso. È come persa in un limbo di nostalgia, dolore, malinconia e solitudine. Fa fatica a trovare la voglia per accendere uno schermo – anche quello contiene troppi ricordi.
   E poi arriva il momento di andare a dormire. A quel punto la giornata raggiunge il punto più basso. È convinta che lui si farà ancora sentire, che le manderà la buonanotte come tutti i giorni negli ultimi tre anni – è così convinta che lei stessa rimane sveglia per ore solo per aspettarla. E poi, quando si decide a serrare le palpebre definitivamente, decide di inviargliela lei; cede, sì, perché comunque lo rivuole. E la cosa più brutta è che una parte di lei è sempre certissima che riceverà una risposta – che, ovviamente, non arriva mai.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
***
 
Volevo scrivere qualcosa e non abbandonare questo account. Non voglio commenti di nessun genere: non ditemi che ciò che ho descritto è drastico e che la suddetta ragazza è veramente troppo depressa e dovrebbe tirarsi su, per favore. Cercate solo di capirla, anche se potrebbe essere distante dalla vostra visione anni luce.
Ne approfitto per ringraziare tutti quelli che, nonostante avessi detto che me ne sarei andata per un po’, hanno continuato a cercarmi qui e a spronarmi a tornare a scrivere, anche solo con qualche piccola recensione. Siete stati tutti meravigliosi.
Certo, questa non è una fanfiction, ma piano piano ricomincerò a pubblicare anche quelle. Forse lo farò quando la ragazza di questa insensatissima One-Shot ricomincerà a voler ascoltare qualcosa di diverso del silenzio.
A presto,
 
Erica.
 
 
   
 
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