Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
Ricorda la storia  |      
Autore: Aleena    21/02/2012    4 recensioni
Estratto dal testo:
“Eri felice anche allora? Non lo ricordo.
Gabriele diceva che era ingiusto ed immorale, Jehudiel si limitava ad alzare le spalle, io chinavo il capo accettando le Sue decisioni; in fondo, chi ero per confutarne la giustezza? Così ti dissi addio e tu, poggiandomi un’incorporea mano sul petto, sussurrasti in mio nome come se fosse l’unica cosa che realmente contava – e poi distogliesti lo sguardo, e le tue labbra indugiarono sul tuo ultimo desiderio.
«Dimenticami» “

4a Classificata al contest "Forse un angelo" indetto da EmmaWright98 sul forum di EFP. Vincitrice del premio speciale "Angel" al medesimo contest.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Kyrie Eleison'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Piccolo Spazio-Me: Ho voluto riportare i pensieri del mio personaggi, così come devono essergli venuti in mente lì, seduto su quella altalena, in preda alla nostalgia. Sarà caotico, immagino, ma quando i pensieri non lo sono?
L'idea di base era di creare un racconto basato sullo stile "flusso di pensiero", ma sarebbe stato pesant eper me e per voi; ci va abbastanza vicino, in ogni caso ;)
Alla fine della storia è riportato il giudizio ottenuto al contest.
Come al solito, occorre il mio permesso per riportare/copiare/prendere spunto/qualunque cosa da questa storia. 
Buona lettura :) 

 RAPHAEL

   

Ti sento.
Respiri piano per non rompere l’idillio, per assaporare il primo barlume di questa infante primavera silente che fa capolino attraverso la foschia ed il vento gelido come a rammentarci che, eccola! c’è, dolce e fresca al pari del nostro più bel ricordo. Taci, rimirando silenziosa attorno a te la luce che s’affievolisce, gli arabeschi d’ombre al suolo, la nitidezza dell’aria; guardi con meraviglia e timore come se anche tu sapessi, in fondo, che si deve del rispetto a questo tempo, a questo momento così simile ad un barlume d’infinito.
Ci sono giorni in cui anche io sorrido; ed ore che reputo liete e minuti in cui in cui il mio cuore batte più forte nel rendermi conto dell’immensa fortuna che ho avuto, del caso benevolo che m’ha voluto qui ed ora; ma sono sporadici casi, barlumi di primavera nell’inverno che perenne regna nella mia anima.
Eppure, non è forse il rigore dell’inverno quello che più d’ogni altra cosa fa apprezzare la dolcezza della primavera? Così io vivo nell’attesa speranzosa di quei momenti, quegli attimi d’eterno che mi riportano ad una vita che, man mano, sembra sempre più vissuta da altri, come se ne fossi solo il narratore – ed allora chiudo gli occhi e ti cerco, sorella mia.
Eccoti Uriele, bellissima come ti ricordavo, immensamente diversa da quella che eri. Sorridi più spesso ora, di quel riso genuino che viene dall’anima e che si strugge nel tentativo d’avvolgere ogni cuore, desiderando di far provare ad ognuno quella perfetta, piccola gioia che essa stessa ora prova. Così diversa, mutevole e viva, all’apparenza un viso fra molto: intorno ai tuoi occhi ci sono piccole rughe che di giorno in giorno si allungano, si marcano; ma non te ne curi, o almeno in tale modo m’appare.
Felice. Ecco come sei.
Felice del tuo lavoro, dell’uomo sul cui petto riposi ogni notte, della vita che hai generato. Felice del calore del sole, del peso del tuo corpo, del battito opprimente nel tuo petto.
Eri felice anche allora? Non lo ricordo.
Gabriele diceva che era ingiusto ed immorale, Jehudiel si limitava ad alzare le spalle, io chinavo il capo accettando le Sue decisioni; in fondo, chi ero per confutarne la giustezza? Così ti dissi addio e tu, poggiandomi un’incorporea mano sul petto, sussurrasti in mio nome come se fosse l’unica cosa che realmente contava – e poi distogliesti lo sguardo, e le tue labbra indugiarono sul tuo ultimo desiderio.
«Dimenticami»
Eppure ti ho seguita, osservandoti cadere e rinascere in una forma che avrebbero potuto capire, accettare – ridicola, piccola bambina, troppo saggia per la tua età. Soffristi della malvagità dei tuoi coetanei? Non lo davi a vedere. Sola, chiudevi la porta della tua stanza dietro di te ed in silenzio a Lui recitavi una preghiera fin troppo simile ad un resoconto, nascondendo a noi ogni pensiero, ogni emozione. Chiedevi il paradiso? Non posso saperlo.
Poi un giorno l’estate della vita ti aveva avvolta e mutata ed io avevo visto quel sorriso vago illuminare il tuo volto nella mia memoria troppo austero, così chiuso; e infine era stata la vita, quella di ogni essere umano comune, con le sue preoccupazioni e piccoli dolori, le scaglie di gioia e quei rari, preziosi momenti di beatitudine, a mutarti. Fu per questo che acconsentii? Per quella scintilla che t’avevo vista nello sguardo, per la spensierata calma che altrimenti, ne ero convinto, non avevi mai avuto?
Forse ero solo troppo abituato a servire e quella guerra, sottile ed infinita, mi aveva logorato: perché non cercare un po’ di pace, un attimo di respiro?
Chiudo gli occhi e sorrido, facendo leva sulle gambe per darmi la spinta. Quanto errati sono i giudizi, perfino quelli più vicini al divino. Non avevo sfuggita la guerra ma solo il dolore di saperti prossima alla catastrofe, una fine annunciata e sconosciuta. Quanti angeli erano rinati prima di te? Nessuno, perché nessuno era caduto per suo ordine. Ti avrei rivista? Non c’erano certezze perciò scelsi di cercarti laggiù, in quel mondo malato e lontano nel quale eri stata mandata.
Caddi.
Ed ora qui, seduto su quest’altalena cigolante nel parco vuoto e freddo, devo apparire quanto mai ridicolo: un ragazzino tale solo nell’aspetto, con gli occhi di un marrone così fondo da rievocare le radici stesse della terra - fertile ed antica, greve al pari di me. Un uomo fatto ma solo nello sguardo, che sorride senza divertimento, che alza il capo e scruta attonito il gocciolare lento – principio della fine - della neve accumulata accanto ai piloni che sorreggono l’altalena, bagnata da una luce che sa di primavera.
Uriele, così mi hanno chiamato, senza sapere che non fu certo il mio nome ma il tuo, sorella mia lontana; ti ricordo ogni istante e più quando qualcuno mi chiama, all’appello a scuola o scritto in bella grafia sui miei quaderni; ti rivedo e qualche volta, lo sai, desidero poterti incontrare, anche se attraverso la nuda terra ed il legno. Gli uomini lo fanno sovente, sai? Spesso senza sapere realmente cosa significa, a volte senza credevi.
Ma i morti possono sentirci, non è vero? Così come gli spiriti ed i guardiani, come le ombre del passato e dell’affetto, anche le spoglie mortali conservano in se una scintilla di noi, talmente sottile e radicata da pervadere ogni cosa, la carne prima, i muscoli poi, le ossa infine – ed il pensiero, e l’anima, le più importanti!
Dunque un giorno verrò da te, sorella mia, e ti parlerò; ti racconterò di ciò che provo e della mia paura, del senso opprimente che mi mozza il respiro e pare pesare, gravido di aspettative, sul mio animo già affaticato dalla pesantezza di vivere. Ti dirò tutto quel che ora solo a Lui posso dire e saprò se anche per te fu così.
Intanto, una fitta a cuore, l’ennesima.
Decaddi in un giorno d’autunno, la stagione in cui tutto sfiorisce e muore lasciando le proprie spoglie a testimoniare la trascorsa grandezza ed a prometterne di nuova; accettai la missione e Lui mi baciò la fronte, dicendomi un addio che suonò quanto mai definitivo prima di lasciarmi andare con una lacrima ed una benedizione. In un letto d’ospedale vidi la luce, filtrata attraverso il velo di lampadine ed elettricità, così diversa da quella che pervadeva la nostra casa. Piansi a piena voce quando sentii per la prima volta l’aria filtrare nei polmoni, scorrere ad irrorare gli arti ed arrivare al cuore. La prima pulsazione, il primo battito doloroso e quella coscienza di me, radicata ed indelebile.
Nacqui in una triste giornata di novembre bagnata da un sole freddo e da un’aria mite e mentre io cadevo tu morivi, stesa sul lettino metallico di un’ambulanza, colpita da quelle stesse forze ch’eri caduta per osservare.
Mi duole il cuore come se fosse lacerato, come se piangesse lacrime di fiamma e ghiaccio in ogni singolo instante in cui il tuo ricordo torna a ferirmi. Caddi per te, ma non sapevo che era un desiderio impossibile; ed ora al tuo posto combatto, spia infiltrata dal destino segnato. Saremo uccisi tutti? Me lo domando sempre.
Vorrei averti incontrata, anche solo per un istante, per poterti stringere ancora una volta, per poterti chiedere di qui, perché tu potessi dirmi cosa c’era da aspettarsi dalla vita. Ma in fondo nessuno lo sa, no? E poi, non più di uno alla volta può cadere e risorgere, questo l’ho imparato; ed allora mi faccio forza, serro le gambe e spingo ancora una volta quest’altalena che è così simile alla mia vita, un susseguirsi di alti e bassi scanditi da un ritmo costante e veloce che sono io stesso a dettare e che mi trasporta, inesorabilmente, alla fine: l’unica, la tua, ironicamente comune all’intero genere umano che ozia nel parco della vita, che soggiace su questo puerile gioco di forza e che alla fine della corsa scende, lasciando il proprio posto ad un altro.
Una fitta.
Ho paura. Paura della morte , paura del poi in modo così stupido ed infantile, incredibilmente simile a quell’essere umano che non sono, col quale condivido la forma e di sentimenti ma non la natura più profonda.
Perché questo sono: un uomo creato angelo, intrappolato al suolo* - ed un bambino di otto anni con una coscienza troppo antica e la paura della morte nel cuore, che si sta lentamente lasciando morire.
Respira, mi blocco un attimo, espiro.
Sono solo, come volevo, come ho paura di rimanere; lentamente il cuore riprende a battere ad una velocità costante, troppo veloce – aghi che mi si piantano nella carne, nell’anima – ed a poco a poco mi rendo conto che non so davvero cosa succederà una volta che quell’ordigno infido che alimenta il mio corpo cesserà di battere; sarò in paradiso, di nuovo? O cadrò ancora, attraverso strati infiniti di vite l’una identica all’altra? Qual è il Tuo piano per noi?
Posso solo sperare – perché il paradiso è per gli angeli nati uomini, ma tale io non sono mai stato.
Quali certezze, allora? Anni ed anni di alti e bassi, nel parco immenso che è la piccola vita di ogni essere umano, seduto ancora su questa altalena trattenuta dal destino ed in bilico sul vuoto, con la sola certezza di doverne discendere, volente o nolente, un giorno, quando il mio cuore si fermerà; una condanna vergata col primo respiro ed addolcita da quegli sprazzi di primavera che sono speranza ed amore e pace, che illuminano le giornate come fari e distolgono il pensiero dalla convinzione che ciò che ci tiene in vita lentamente ci avvicina alla morte.
 

 

* “A man made angel trapped upon the ground”; piccola citazione tratta dalla canzone “Trapped upon the ground” dei Planet Funk. 

Giudizio ottenuto:

4^ classificata. Raphael - di Releeshahn
 

Grammatica e lessico: 10/10 (+0.5/1) 
Errori trovati e segnalati: 
- “Quel riso genuino che viene dall’anima”. In questa frase hai ripetuto due volte il pronome relativo. 
- Hai aggiunto due spazi tra le ultime due parole in “non lo davi a vedere”. 
- Dunque un giorno verrò da te sorella mia e ti parlerò. Qui avresti dovuto aggiungere qualche segno d’interpunzione, suona decisamente meglio “dunque un giorno verrò da te, sorella mia. Ti parlerò […]”. (NdA: Ebbene si, questo passaggio necessitava di una sistemata, tuttavia ho preferito non optare per quella suggerita in quanto la correzione non mi sembrava molto corretta; ho per questo aggiunto l'inciso che avete trovato nel testo).
Avrei assegnato un punto in più per via del lessico, che era sinceramente uno degli aspetti migliori, davvero perfetto; tuttavia avevi già ottenuto un punteggio alto (9.5), perciò mi sono limitata a farti raggiungere il massimo. 

Stile: 9.5/10 
Lo stile è qualcosa di stupendo, semplicemente. Forse a tratti mi è sembrato troppo pesante, proprio per via della gran quantità di termini ricercati, precisi, poco comuni, ma si è trattato di piccoli momenti in cui non riuscivo a raccapezzarmi in mezzo a quel fiume di parole splendenti, perdonami per questo, ma sono stata costretta per amor d’imparzialità a penalizzare un po’. ma, credimi, non ho mai letto qualcosa di simile, davvero sensazionale. Avevo come l’impressione di assistere a qualcosa di superiore leggendo, e sembrava fossi una presenza di troppo, estranea. I miei complimenti. 

Originalità: 10/10 
È davvero molto originale, per diversi motivi. Innanzitutto, la storia raccontata. È tragica ma non in maniera scontata e ovvia, non offre la lacrima gratuita: per trovare il senso bisogna andare a fondo, personificarsi nell’angelo caduto, cercare di capire cosa dev’essere successo davvero. 
Un’altra cosa molto particolare è il modo di raccontare: descrivendo in maniera diretta e dettagliata ciò che pesa, senza lasciare spazio alla riservatezza: è una cosa che non ho mai trovate, e attribuisce un’atmosfera quasi surreale alla storia. 

Riferimento al contest: 10/10 
La realtà degli angeli non traspare in modo diretto, nella tua storia, ma attraverso i pensieri disordinati di Raphael, che vanno a formare nell’insieme un mosaico di avvenimenti, vicende, storie e tanto altro. 
Questo modo di raccontare, distaccato ma interiorizzato al massimo, mi ha dato un’idea di angelo sottintesa a tratti, ma perfetta. 

Gradimento personale: 9/10 
Sinceramente, come hai spiegato anche tu nelle note d’autrice, non l’ho trovato molto chiaro. Credo però di aver colto l’essenzialità di questa storia. C’erano due angeli, Uriele e Raphael, lui l’amava. Un giorno Uriele però è caduta sulla terra, rinascendo bambina, e dopo molto tempo anche Raphael ha deciso di fare questa scelta così drastica, ma il giorno in cui lui rinasce come uomo l’altra muore. E resta un bambino di otto anni; mentre si dondola sull’altalena questi sono i suoi confusi pensieri. La sintesi dovrebbe essere quella qui sopra, se ho ben capito. Mi ha colpita soprattutto la… confusione che c’è nella testa di Raphael, così caotica, una mente saggia e antica in un corpo da bambino. La qualità del racconto era altissima, come la valanga dei sentimenti che vi hai inserito, hai descritto splendidamente ogni piccola emozione del ragazzo in quell’andare avanti e indietro, di continuo, sull’altalena. 

Punti bonus: 2/2 
Pacchetto orchidea: parco, altalena, si stava lasciando morire. Tre elementi inseriti. 

Premio speciale: 3/3 – premio Angel 

Totale: 53.5/55 
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni / Vai alla pagina dell'autore: Aleena