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Autore: Nocturnia    21/02/2012    1 recensioni
Le claymore aderiscono ad un codice che nessun'altro potrebbe mai capire, azzerando la propria umanità e facendo ringhiare per loro bocche di fuoco e cannoni mugghianti.
Sopportano colpe che sono cancrene insanabili, cicatrici che diventano dimostrazione di coraggio e vigliaccheria, stupidità e felina intelligenza, paradossi viventi.
Non sono più femmine, ma ne possiedono la protervia e la forza uterina.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Galatea, Milia
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La cecità degli illusi Disclaimer: Galatea, Miria del Miraggio e tutti gli altri personaggi appartengono a Norihiro Yagi, al suo editore ed a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell’autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.

"Niente ispira il perdono quanto la vendetta."
- Scott Adam -


La cecità degli illusi


La crudeltà è un sentimento trasversale.
È il bisogno radicato dell'essere umano di percuotere l'altro, nella mera esibizione di un potere vacuo, più debole di quanto si creda.
Preme dagli argini della mente, inchiodandoti davanti ad uno specchio troppo piccolo per contenere il mostro che ti erompe dal petto.
È fauci grondanti sangue e bile, occhi cavi e grida mute, incapaci di dare sostanza ad un'emozione che pare solo nebbia e che diventa polvere tra le parole.
Striscia sotto la pelle, adducendo giustificazioni che sanno di fiele, vergando condanne ancora prima che assoluzioni.
Non sempre si nasce crudeli.
Non sempre si espettora un grumo solido di livore e rabbia fin dalla nascita: alcune volte, si viene semplicemente infettati.
E la tua, di infezione, possedeva un cappello nero ed il sorriso tagliente del boia.

"E così adesso ti fai chiamare Sorella Latea."
Avevi stirato le labbra in una piega sottile, rivolgendole uno sguardo carico d'ironia, nonostante lo sfregio che ti deturpava il volto.
"Il vestito non cambia la sostanza."
Miria aveva alzato un sopracciglio, prendendo la sedia vicina e buttandocisi sopra.
"Motti e frasi ad effetto non cambiano il motivo per cui siamo qui, Galatea." aveva iniziato, pronunciando il tuo nome con una strana cadenza, un misto di sconforto e fremente ira.
Eri rimasta in silenzio, ruotando il capo verso il punto da cui proveniva la sua voce.
"Dio Galatea...sei arrivata a tanto? Voglio dire..." aveva mormorato Miria schiudendo le mani e rivolgendole verso l'alto "accecarti? Eri così disperata da non..."
"No!"
Era stata una singola parola, ma aveva avuto lo stesso impatto di una lama.
Avevi sospirato, prima di passarti le dita tra i capelli e continuare:
"Non ero così disperata. Ero oltre. Per anni sono stata l'occhio dell'Organizzazione, vendendo le mie compagne come fossero libbre di carne. Quando ho cominciato a mentire, ero ben consapevole dei rischi e li ho accettati. "
Ti eri fermata un attimo, i denti che si conficcavano nel labbro inferiore alla ricerca di un punto solido da cui partire.
"Dopo la battaglia del Nord, non potevo più tornare. La mia posizione era troppo compromessa e non potevo più servire un tale padrone. Prima o poi..." avevi sibilato battendo il pugno sul tavolo "anche l'agnello si fa lupo, Miria. E quel giorno era arrivato. Rabona è stata la scelta più logica: nessuno mi avrebbe cercato in una città che odia le claymore, come nessuno avrebbe cercato una guerriera senza occhi."
"Hai pagato un prezzo molto alto."
"Tu credi? " il fischiare acuto del serpente, i cordoli delle cicatrici che si corrugavano in un cipiglio oltraggiato "Ho venduto il mio orgoglio, la mia dignità. Ho vomitato i pezzi di un ego che non tornerà mai più. Sono diventata un fantasma tra i fantasmi, Miria." avevi concluso stornando lo sguardo "Come voi."
"Noi siamo insieme, tu sei sola, Galatea. Siamo state addestrate per essere un gruppo, un insieme ben coordinato di braccia e spada, eppure hai scelto la solitudine. Avremmo potuto aiutarti, avremmo potuto essere una squadra. Come una volta."
Per un attimo, ma solo per un attimo, accarezzi l'idea: poi, la lasci scivolare via, come il tuo passato.
Non era più tempo di sperare.

Aveva fatto male, sarebbe stato inutile negarlo.
Sanguinante, ti eri nascosta nella fitta boscaglia, aspettando che la ferita si rimarginasse.
Un risatina isterica ti era scappata dalle labbra dischiuse, il cambiamento che ti attraversava come un scossa, quasi un terremoto.
Eri stata così vanitosa, così superba nella tua vita, da non riconoscere più il confine tra boria e stima.
Ti eri sentita donna ancor prima che mostro, non capendo che rinnegare ciò che eri non sarebbe servito a niente, neppure a rallentare quella discesa che tanto temevi.
Ed eccolo lì, tutto il tuo abisso.
Una città che era solo un pugno di case in pietra bianca ed orfani, i rinnegati del mondo.
Un buco nero, il cui fiato ti lambiva i fianchi e le membra, paralizzandoti nella lugubre mimica dei dimenticati.
Eppure, quando avevi trovato il coraggio di attraversarne le strade, erano state le mani tiepide di quei bambini a sorreggerti, indicandoti la via.
Erano stati i suoi abitanti ad accoglierti, facendoti sentire nuovamente umana.
Viva.

Triste, tuttavia, che fosse solo una menzogna.
Non eri come loro e non lo saresti mai stata.
Potevi esserti cavata gli occhi, coprendo l'infame marchio della bestia, ma essa non rimane nascosta in un paio d'iridi argentate divelte.
È il cupo ringhiare che ti percuote il costato, l'uggiolio disperato con cui brami la lotta ed il sangue.
È l'orgasmo dissennato della forza, quella che ti squarcia pelle ed anima, per catalizzarsi nella tua lama.
Eri stata Galatea, la numero tre.
Eri stata quasi una dea, crini dorati e l'eleganza innata di un predatore.
Eri stata ciò che avevi voluto essere.

"Le claymore sono una spada ed uno scudo. Noi siamo la spada e lo scudo di questo mondo."

Tradire, era stato un atto di giustizia.
Mentire, la lingua della verità.
Perdere la vista, l'unico modo plausibile per riacquistare un orizzonte.
Un futuro.

"Vuoi davvero farlo?"
"Sì."
"Sarà l'inferno, ma credo che tu lo sappia."
Miria non aveva risposto, poggiandole una mano sulla spalla e lasciando che il silenzio urlasse quelle parole per loro.
Quando se n'era andata, eri rimasta ad ascoltare il suo yoki in lontananza, tra le guglie della piccola fortezza di Rabona.
Vibrava, quasi fosse lava, ed ardeva dell'intensità bruciante dei martiri.

"Uccidilo per me." le avevi detto prima di aiutarla a mettersi il mantello "Uccidilo, senza pietà."
Miria aveva ombreggiato il volto con le lunghe ciglia, sorridendoti.
"Lo farò."
"Deve cadere. L'uomo in nero deve morire. E con lui tutti gli altri."
Era un rancore antico a farti da maestro, i denti della belva che affilano una crudeltà coltivata negli anni.
Possedevi la delicata bellezza delle statue, sebbene tra le tue dita stringessi un spada più alta di te ed un passato da lavare nel sangue.
"Se lo ammazzo, mi prometti una cosa?"
Le avevi allacciato lo spallaccio dell'armatura, annuendo.
"Prenditi cura di loro."
Non avevi avuto bisogno di girarti per capire che stesse parlando dei fantasmi di una guerra combattuta tra le nevi del nord.
Di sei guerriere fasciate nel nero di un lutto che gridava di una libertà ritrovata.
"Lo farò."
Ed era stata una timida alba ad ingoiare la tua risposta.

Ci sono guerre che non hanno un vero perchè.
Alcune avvengo per vendetta, altre per la libertà.
Altre ancora vengono corrotte dal denaro o dal potere, i principi su cui si erano basate trasformarsi infine in cenere, roghi furiosi su cui bruciano certezze e domani.
Le claymore aderiscono ad un codice che nessun'altro potrebbe mai capire, azzerando la propria umanità e facendo ringhiare per loro bocche di fuoco e cannoni mugghianti.
Sopportano colpe che sono cancrene insanabili, cicatrici che diventano dimostrazione di coraggio e vigliaccheria, stupidità e felina intelligenza, paradossi viventi.
Non sono più femmine, ma ne possiedono la protervia e la forza uterina.
Ma quello che nessuno si aspetta mai è che un bellator scelga di tradire tutti questi postulati e preferisca accompagnarsi ad un'anima ormai persa, lottando per il miraggio di una vittoria insperata.

"Se c'è una donna che può farcela contro l'Organizzazione, quella è Miria del Miraggio."

La guerra comprende e si esprime in un'unica lingua: quella della violenza.
La guerra si nutre di figure retoriche, dolore e torture, bisogni inconfessabili e catene che chiamano "lealtà".
La guerra trova il suo empio pasto in vicende scontate, viste e riviste, assurdi teatrini in cui tutti si muovono al passo di una puttana dalla falce affilata.
È un dissacratore dallo sguardo trasparente, un bambino mai nato, una famiglia distrutta.
È assenza, è solitudine, è vita.
Ma la guerra trova anche la sua espiazione in occhi ciechi che hanno conosciuto molteplici universi e ne hanno scelto solo uno.
Quello in cui il futuro è ancora tutto da scrivere.



Nota:
"bellator", ovvero "guerriero" in latino.
   
 
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