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Autore: terry99    22/02/2012    3 recensioni
"Mi feci coraggio e aprii le ante dell’armadio confessando il mio reato: avevo paura che mi avrebbe negato il permesso di andare a trovare quella bambina di nome Rose. -Ciao, papà- balbettai, anche se la mia voce parve un sussurro.
Lui mi guardò stranito e osservò con attenzione il disegno dell’armadio, che ora sembrava più colorato e meno buio del solito. Rimase senza parole."
One-shot ha partecipat al contest indetto da Gra gra 96 Rose & Scorpius... write about their sweet love!
Spero vi piaccia ^^
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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                                       La dama dei pastelli.

Adorava giocare con i pastelli, anzi, quando era bambina erano il suo passatempo preferito.                          
In inverno passava ore e ore a disegnare sdraiata sul piccolo tappeto rosso a pochi passi dal camino: le piaceva sentire accanto a sé il fuoco e il suo calore,
che sembrava avvolgerla e proteggerla.                                                                                                                                                                               
Io la osservavo spesso, quando passavo con papà per “spiare i movimenti dei Weasley”.                              
O almeno, così diceva lui.                                                                                                                                            
Mentre  ammirava una giovane donna che si cullava nella sua sedia a dondolo, nel salotto della casa, io guardavo con interesse quella piccola bambina dai capelli
rossi che disegnava, sul tappeto.      
Era una bambina semplice: aveva i capelli rossi e ondulati, difficilmente spettinati  e due grandi occhi color cioccolato, che illuminati dalla luce del fuoco quasi brillavano.                        
Ricordo che da bambino invidiavo tanto i suoi pastelli e volevo averne un pacchetto uguale al suo.
All’età di cinque anni avevo incrociato il suo sguardo per la prima volta: quel giorno la bambina si era voltata per mostrare alla donna il suo bel disegno e i miei occhi
avevano incontrato i suoi.                                                                     
Prima mi aveva fissato stupita e incuriosita e infine mi aveva sorriso con molta indifferenza per poi ritornare al suo disegno.
Ne ero rimasto molto colpito perché avevo visto nei suoi occhi una luce nuova e bellissima.                                                                                                                                                 
Da allora, quella che era una semplice passeggiata con papà fu sempre animata dalla speranza di passare davanti a quella casa e di sbirciare dalla finestra,
dal cui spiraglio si vedeva quella bellissima bambina sorridente con i suoi pastelli, dai colori accesi.                                                                                           
 -Papà, se mi compro i pastelli per Natale potrai portarmi a disegnare con quella bimba?- gli avevo chiesto un giorno con innocenza,
indicando la finestra che si affacciava sul camino.                                                          
-Spero di poterlo fare, piccolo mio- aveva risposto papà, scompigliandomi dolcemente gli ispidi capelli biondi e guardando con nostalgia la donna che leggeva
sulla sedia a dondolo.                      
Da quella risposta, ponevo lui ogni Natale lo stesso quesito, conservando la speranza di poterla andare a trovare e di colorare con lei, con i miei pastelli.                                                                             
I Natali però passavano in fretta e all’età di sette anni avevo ormai perso tutte le speranze: avrebbe più colorato con i suoi pastelli quando anch’io non ne avessi sentito più il bisogno?
E quando mi ci avrebbe portato papà?                                                                                                                                
Una mattina, durante le vacanze mi decisi e gli parlai.                                                                                                 
–Papà, ma quando ci andiamo dalla bambina?E come si chiama? Io voglio andare a trovarla.- ammisi, con un po’ di imbarazzo.                                                                                                                            
Draco, un po’ sorpreso che me ne ricordassi ancora, sorrise soddisfatto e mi porse un nuovo pacchetto di pastelli.                                                                                                                                            
–Piccolo mio, la bimba si chiama Rose e andremo a trovarla il prossimo Natale- mi accontentò, continuando a sorridere: sotto quell’imbarazzo si nascondeva
la mia stessa felicità e la mia stessa voglia di incontrare quelle persone.                                                                                                        
Rose, che bel nome.                                                                                                                                 
Era bello come i pastelli colorati con cui disegnavo.
                                                              ***                                                                                    
Salii nella mia cameretta: una luce fioca illuminava le pareti verde scuro ed il parquet di legno scuro che  mi facevano sentire molto soffocato.                                                                                                        
Aprii l’armadio nero in cerca di un foglio ma, non trovandolo, mi sporsi di più per guardare meglio e ci finii dentro: era buio anche questo, e avevo tanta paura.                                           
Presi così il nuovo scatolo di pastelli di papà e afferrai i colori bianco e rosso.                                    
Cominciai a disegnarmi insieme a papà e mamma, poi disegnai la mia casa con i tetti pieni di neve e anche la bambina, che disegnava con quella donna.
-Scorpius, dove sei?- chiamò papà, molto preoccupato.
Mi feci coraggio e aprii le ante dell’armadio confessando il mio reato: avevo paura che mi avrebbe negato il permesso di andare a trovare quella bambina di nome Rose.                                                                                                                             
-Ciao, papà- balbettai, anche se la mia voce parve un sussurro.                                                                   
Lui mi guardò stranito e  osservò con attenzione il disegno dell’armadio, che ora sembrava più colorato e meno buio del solito.
Rimase senza parole.                                                                          
Interpretai male quel silenzio e mi difesi.                                                                                                                      
–Scusa, non dovevo, però non trovavo i fogli- continuai.                                                                                  
-Ma che dici piccolo! E’ bellissimo!- si complimentò papà, scombinandomi nuovamente i capelli.
Rimasi stupito dalla sua reazione e gli porsi la scatola, invitandolo a continuare quel gioco che avevo cominciato da solo: sicuramente in due sarebbe stato più divertente.                                                 Papà mi sorrise complice e afferrò un pastello blu dalla scatola.
Io scossi il capo.
-Perché?- chiese lui, guardandomi con aria interrogativa.
-Perché il blu è buio, e a me il buio non piace- ammisi sorridendo, indicando l’arancione con il capo.  
L’uomo ubbidì, come fosse consigliato da un grande maestro d’arte, e, afferrato l’arancione, disegnò un’enorme nuvola proprio sotto la casa della donna e di Rose.                                          
 -Bravo papà, io intendevo proprio questo!- mi complimentai, dandogli un dolce bacio sulla barba: era spinosa ma soffice.                                                                                                    
 -Papà perché hai le spine sulla faccia e io la mamma invece no?- chiesi con curiosità.                              
Mamma aveva la pelle soffice e tenera, ed era sempre bello darle un bacio affettuoso, mentre con papà era diverso e quel contatto mi faceva un po’ male.                                                                          
Draco rise divertito di quel quesito così assurdo.                                                                                    
 –Ma da dove ti vengono queste domande?- chiese, continuando a sorridere.                                             
Sorrisi anch’io, i suoi sorrisi erano contagiosi.                                                                                               
-Viene a tutti i maschietti, e anche tu la avrai quando sarai grande- annunciò con grande orgoglio. 
Mi toccai il mento più volte per accertarmi che non fosse ancora così.                                                          
–Ed è una cosa bella?- chiesi alla fine, con innocenza e curiosità.                                                                
–Molto bella, l’importante è che la sai controllare-                                                                                     
Tirai un sospiro di sollievo: chissà se a Rose sarebbe piaciuta.
                                                                           ***
I mesi passavano lentamente, uno più noioso dell’altro e stava per iniziare la primavera.                    
 Quella stagione era una delle mie preferite, e non solo perché il sole cominciava a comparire: era la stagione in cui tutto si svegliava,
i fiori sbocciavano, l’aria si faceva fresca e si respirava il profumo delle rose.
Era la stagione in cui anche gli alberi cominciavano a coprirsi di bellissime foglie verdi e quella in cui le rondini volavano nel cielo ma soprattutto, era la stagione delle fragole.                                   Le fragole erano buonissime ed io e papà ne eravamo ghiotti.
Dopo il lavoro andavamo sempre a rubarle dal giardino di qualche casa babbana.                                                                                           
“Che papà bello che ho” pensavo, sovente.                                                                                                                         
-Scorp, hai finito di studiare con mamma?- chiese un pomeriggio, facendo capolino nella mia camera.
Io al tempo ero impegnato a volare con la mia piccola scopa giocattolo per la stanza, e quando spalancò la porta gli sorrisi, abbassando il capo in segno di assenso.                                                                   
–Ho imparato a scrivere!- esultai, orgoglioso.                                                                                       
–Sicuro, Serpe? Guarda che poi chiedo a tua madre, non dire bugie- affermò papà, impassibile.                           
–Giuro papà, puoi fidarti, ho finito di studiare- mentii, orgoglioso anche della mia bugia.
Ovviamente, ero destinato ad appartenere ad una delle case più importanti della mia futura scuola e dovevo cominciare a fare un po’ di pratica.                                                                                                                               
-Beh, in questo caso potremmo andare a rubare qualche fragola sul Grimmauld Place. Che dici?- sussurrò lui, sorridendo malizioso.
Io assentii ricambiando il sorriso, con gli occhi che mi brillavano, tanto era l’interesse per quel piano malefico.                                                                                 
Mi piaceva, perché era proprio come entrare in un’avventura.                                                                                                                                            
Adoravo quando facevamo qualche bravata di nascosto a mamma e al nonno.                                                                                                                                        
Papà lo faceva per vendicarsi di nonno e di tutto ciò di cui lo aveva privato, lui voleva essere diverso da quello scemo di un mangiamorte.
Ed io lo appoggiavo in pieno, quando questa scusa andava a mio favore.                                                                                                                                               
 –Tu preparati, io torno subito- mi avvisò lui.                                                                                                 
Scesi dalla scopa, infilai il piccolo cappotto e mi stesi sul letto, attendendo papà tornare.                              
–Andiamo- mi sussurrò da dietro la porta.                                                                                                          
Io mi alzai in piedi e  scesi fino all’uscio della porta di casa, anche se lì qualcuno mi fermò.                                
–Ehi mascalzone, dove credi di andare tutto solo? E per di più, se non hai nemmeno iniziato a studiare?- mi richiamò mamma,
alzando un sopracciglio e incrociando le braccia, a pochi passi da me.                                                                                                                                                              
Il mio corpo si paralizzò in una frazione di secondo: mi aveva beccato. La guardai sforzandomi di avere lo sguardo più dolce e affettuoso .                                                                                                                  
–Ma io non c’entro nulla, è stata un’idea di papà- le sorrisi quanto meglio potevo scaricando la colpa sul mio dolce papà.                                                                                                    
In quel momento, quando il piano sembrava funzionare, sbucò dietro le spalle della mamma il diretto interessato che le cinse i fianchi.                                                                                       
–Tesoro, io non c’entro nulla, gli ho solo chiesto se avesse finito di studiare-                                                   
Si giustificò con poche semplici parole, scoccando un dolce bacio a mamma che accettò l’offerta della sua bugia, rivolgendosi poi a me, con aria severa:
papà mi aveva fregato, di nuovo.                                                                                                                                                                       
Gli invidiavo molto il suo modo di fare per ottenere le cose, la sua astuzia e la sua furbizia, degne di una Serpe.                                                                                                                      
–Signorino, tu e papà stasera non uscirete finché tu non avrai finito i tuoi compiti, intesi?- comandò con aria severa mamma, indicando la camera con un gesto veloce della mano.                                       
Pensando che avrebbe potuto usare quella mano per fare cose molto pericolose abbassai lo sguardo al pavimento, e strascicai i miei piedi su per le scale, dove mi aspettavano quei compiti noiosissimi lasciando papà a baciare nuovamente sua moglie.                                                                                    
Arrivai in camera e mi misi a sedere sulla piccola sedia bianca, poi aprii un libro.                                        
A che mi serviva studiare se tra pochi anni sarei andato ad Hogwarts a studiare magia?                       
Impiegavo il mio tempo male e non trovavo scuse su tal proposito. Sicuramente nemmeno papà avrebbe potuto giustificare tale tortura.                                                                                                
Cominciai a studiare, chiedendomi se anche Rose studiava alla mia età e sperando di poter studiare insieme a lei, un giorno. 
                                                                 ***
Erano passati pochi giorni da quando papà mi aveva fregato, e in quei pochi giorni non ci eravamo ancora parlati.                                                                                                       
Aspettavo la sua prima mossa, anche se sapevo che eravamo entrambi troppo orgogliosi per chiedere scusa.
Io però ero il suo piccolo Scorp e non volevo che quel legame si sciogliesse, non almeno così tanto.                                                                                                                                                     
-Piccolo mio, posso entrare?- chiese papà.                                                                                                          
-Certo- risposi singhiozzando.                                                                                                                         
–Non piangere piccolo, io ti voglio tanto bene, e lo sai- mi abbracciò lui, carezzandomi dolcemente il capo.                                                                                                                                                           
Mi gettai tra le sue braccia e respirai di nuovo il suo profumo di dopobarba: fortunatamente era ancora il mio papà e anche io gli volevo tantissimo bene.
Promisi a me stesso che non avrei più litigato con quel Serpe di mio padre, perché mi sarebbe mancato troppo.                                                                                                                      
–Beh, ti va di salire sulla mia scopa, stasera?  E’ una bellissima notte,  non c’è vento e poi ci sono la luna e le stelle che ci fanno compagnia- propose lui, sorridendo.                                                           
–Solo se mi farai toccare la luna- risposi sorridendo complice.                                                                          
–Ci proverò- acconsentì papà. Poi aprì la finestra, montò sulla scopa e mi fece segno di avvicinarmi. –Avanti, salta su Scorp!- mi spronò, indicando il manico di scopa.                                           
–Papà, ho paura- sussurrai, guardando il vuoto.
Effettivamente morivo di paura, avevo quasi le vertigini e ovviamente non avrei parlato, ma visto che lui è papà, dovevo confessargli le mie paure.                                                                                 
–E come puoi se giochi con quella giocattolo ogni giorno?-                                                                     
-Beh, è un po’ diverso, papà-                                                                                                                             
-Invece non è vero, e te lo dimostrerò- disse, prima di caricarmi come un bambolotto sulla scopa: chissà da dove la trovava tutta quella forza.                                                                           
–Posso tenermi stretto a te mentre voliamo?- chiesi, riluttante.                                                                      
–Se proprio devi- sbuffò lui, con rammarico: non gli era mai andato giù che suo figlio fosse un vigliacco, tantomeno che abbia paura di volare.
Voleva che diventassi un cercatore, tale quale a lui. Pochi minuti dopo volavamo velocemente: sentivo il vento attraversarmi con quella forza che non lo avrebbe mai fermato, vedevo la luna che mi illuminava accompagnata dalle stelle e sentivo il calore di papà, che mi portava sicurezza.
 -Possiamo toccarla allora, la luna?- chiesi con curiosità, molto più sicuro.
-Sfortunatamente la luna è troppo lontana-
-E anche Rose è lontana?- chiesi di nuovo, ripensando a quanto mi piaceva.                                               
Papà tirò un sospiro di nostalgia e mi guardò intensamente: chissà cosa pensava in quel momento.
-No, non è Rose quella lontana- ammise, sospirando nuovamente: si vedeva che era rimasto colpito da quella donna che guardava ogni Natale dalla finestra.
                                                                      ***
Finalmente era Natale.
Le luci colorate erano ovunque nella Londra babbana, i tetti erano coperti di neve e soffiava un fortissimo vento invernale.
Anche i negozi di Diagon Alley erano coperti delle più svariate decorazioni dai diversi colori e tanti maghi e streghe si avventuravano nella via più
importante della città di Londra per fare i loro acquisti: io adoravo quell’aria di festa che si respirava e quell’atmosfera di pace che si viveva, perché si sa,
tutti a Natale sono un po’ più buoni.                              
Io e papà ovviamente, aspettavamo con ansia questa festività per bussare a casa della mia futura fidanzata: sì,
perché avevo deciso che glielo avrei chiesto un giorno di diventare la mia fidanzata, perché era carina.                                                                                                                                             
–Papà, quando andiamo?- gli chiesi, il giorno prima della vigilia di Natale.
-Quando sarò pronto-mi rispose serio lui, guardando il vuoto. Chissà perché lo guardava, il vuoto. Io ci avevo provato più volte ma, non ci ero mai riuscito perché non sapevo dov’è che si trovava.                 
–D’accordo papà, però non è necessario essere così preparati per essere pronti. Posso prenderti io il cappotto…- obbiettai, con un po’ di imbarazzo.                                                        
 Papà rise, ma con una malinconia e una paura che non erano mai comparse sul suo volto: era più strano del solito.
                                                          ***
-Avanti Scorpius, preparati che usciamo tra dieci minuti- mi avvisò papà, il giorno dopo.                    
Rimasi paralizzato dal tono pacato della sua voce ma, corsi ugualmente a prepararmi.                                      
Mi spruzzai il profumo che avevo rubato a mamma il Natale prima: era puzzolente, ma se a lei l’odore era sempre piaciuto, forse anche Rose lo avrebbe apprezzato.                                                                                          
Poi  infilai nella tasca del cappotto la nuova scatola di pastelli, regalatomi da papà l’anno prima per l’occasione tanto attesa.                                                                                  
Mi guardai allo specchio: sembravo proprio un damerino, come diceva sempre lei.                                     
Poi presi il cappotto di papà e glielo porsi: era tutto pronto.
-Papà, possiamo andare- sussurrai guardando per terra, con imbarazzo.
                                                            ***
Pochi passi ci dividevano dalla casa di Rose, ma papà camminava molto lentamente, nonostante il freddo e la neve che scendeva dal cielo costantemente. Lui rimaneva fermo, teso e molto stanco, sembrava quasi gli mancasse l’allegria. Decisi di fargli cambiare umore.
-Papà, ti piace la neve?- chiesi sorridendo.                                                                                                      
–Certo, Scorp, ma non mi sembra la domanda giusta, in questa situazione- mi zittì lui, con freddezza.
Io così gli lanciai una palla di neve proprio sul naso.                                                                   
Risi e tremai contemporaneamente: adoravo fargli scherzi, ma non sapevo come l’avrebbe presa, questa volta.
Papà rimase immobile per una frazione di secondo e poi prese a lanciarmi a raffica palle di neve.                                                                                                                                                            
Io risi e la battaglia cominciò: quasi avevo dimenticato quanto era bravo papà a giocare con la neve.
Tra una risata e l’altra passarono le ore e si fece più freddo. Alle sette circa, entrambi gelavamo.
Non sapevo cosa avremmo fatto, sinceramente: se fossimo tornati a casa saremmo arrivati ghiacciati e saremmo stati scoperti sulla scena del delitto dalla mamma e
dal nonno e se avessimo bussato dalla bambina avremmo fatto solo una figuraccia.
-Papà, che facciamo?- balbettai, tremando.
Proprio in quel momento la porta della casa di Rose si aprì e una donna fece cenno di avvicinarci: era la donna che guardava sempre papà.
Seguii papà e pochi secondi dopo eravamo di fronte alla casa della bambina.                                                                                                                                         
–Vieni Draco, sembri un ghiacciolo- scherzò la donna, invitandoci in casa.
Entrai: sentii subito avvolgermi  un forte calore, proveniente dal fuoco e dai suoi colori accesi.                                           
–Sedete pure in salotto vado a prepararvi qualcosa di caldo- sorrise lei, continuando.                                      
–Hermione, ma Ron?- balbettò papà, spaventato.                                                                                                               
–Ronald non c’è, esce tardi dal lavoro- sussurrò la donna, che sembrava chiamarsi Hermione.
Intanto eravamo entrati nel salotto: era più bello di come lo vedevo dalla finestra.                                 
Guardai sul tappeto e vidi Rose. Mi avvicinai a lei con imbarazzo.                                                                
–Ciao- sussurrai, per attirare la sua attenzione.                                                                                         
Rose si voltò di scatto e mi osservò, come rapita.
Anch’io la guardai: era proprio bellissima, come una dama.                                                                                                                                                                     
–Ciao, come ti chiami?- mi rispose a sua volta lei, che non aveva smesso di fissarmi con le sue grandi iridi scure.                                                                                                                                                       
–Scorpius. Ti piace disegnare?- chiesi, come se non fosse una cosa ovvia.                                                     
Come previsto, abbassò il capo indicando il foglio bianco ed i colori, sparsi sul tappeto.                                                        
I suoi colori erano tutti rovinati, ormai piccoli, e per lei era difficile disegnare.                                              
Io ero proprio fortunato ad averne così tanti a casa.                                                                                        
  –Li vuoi scambiare con i miei?- chiesi, estraendo dalla tasca del cappotto i nuovi pastelli  con il mio sorriso mimetico.                                                                                                 
–Mi prendi in giro? I tuoi sono tutti nuovi-affermò lei, senza perdersi in giri di parole.                          
Rose aveva le idee chiare e mi piaceva anche questo.                                                                                     
–No, davvero tienili, io ne ho tanti a casa- dissi  senza smettere di sorridere.                                            
–Grazie- mormorò lei, sorpresa di tanta gentilezza, incurvando gli angoli della bocca verso l’alto, sorridendo.                                                                                                                             
–Posso disegnare con te? – le chiesi ancora.                                                                                                     
–Certo- rispose lei, porgendomi un foglio con gentilezza. Io lo afferrai e cominciammo a disegnare: a volte ci guardavamo, per poi distogliere lo sguardo quando il primo dei due se ne accorgeva.                     
–Sai, nessuno dei miei compagni di scuola è mai stato tanto gentile con me- ammise qualche minuto dopo, Rose.                                                                                                                              
–Vuol dire che nessuno di loro ti merita-  sorrisi, carezzandole una mano involontariamente.                    
 Rose non sembrò turbata da quel gesto e sorridendo accarezzò la mia dolcemente.                                       
–Sei proprio un buon amico- sussurrò a poco dopo. E così rimasi lì, in quella casa, mentre papà parlava, a disegnare con la mia Rose, o meglio con la mia dama dei pastelli.
Sì, perché grazie ai pastelli adesso ho la mia bellissima dama.
 
 
 
 
 
 
 

  
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