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Autore: ferao    22/02/2012    24 recensioni
- Cos’è quello, Bunbury? - domandò a bassa voce Evangeline, vedendo arrivare Percy.
Bunbury smise di osservare un gruppo di maghi e puntò gli occhi da avvoltoio sul ragazzo. - Temo sia lo sposo, Evangeline.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una brezza lieve'
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Anticamente un racconto aveva solo due modi per finire:
passate tutte le prove, l’eroe e l’eroina si sposavano oppure morivano.
Il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce:
la continuità della vita, l’inevitabilità della morte.
(Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore)

 
 
 
 
 
 
 
- … E questo cosa significa? Che dovrei morire?
“No, Perce; te l’ho già detto, devi stare tranquillo…”
- Tranquillo? Tranquillo?! Come faccio a stare tranquillo con te? Finora non hai fatto altro che maltrattarmi e mettermi in cattiva luce, sottolineando tutti i miei difetti e le mie manchevolezze… farmi morire sarebbe davvero il minimo, per te!
“Dai, non essere paranoico. Non ti ho trattato così male, anzi ti ho reso anche più simpatico di quanto tu non sia in realtà; guarda che se qualche lettore si è minimamente affezionato a te è solo per merito della sottoscritta!”
- Sì, certo, come no… Vallo a dire alla Rowling…
“Fosse stato per la Rowling saresti rimasto borioso e antipatico, e probabilmente tua moglie sarebbe stata boriosa e antipatica come te. Non vuoi proprio mostrarmi un minimo di riconoscenza?”
- Non credo proprio, dal momento che stai per farmi morire!
“Ma non è vero! Non l’ho mai… Oh, dannazione, adesso mi hai stufato: vieni qui e leggi coi tuoi occhi, se non ci credi.”
- No.
“Come, no? Finora mi hai rotto le scatole all’inverosimile perché volevi controllare e approvare ciò che scrivevo, e adesso che si arriva al finale non vuoi più leggere?!”
- Mi rifiuto per principio, ecco.
“Ma… oh, al diavolo. Ci rinuncio. Fa’ un po’ come cavolo ti pare.”
- …
“…”
- …
“… Ma non sei nemmeno un po’ curioso di vedere come va a finire la tua storia?”
- … Beh, forse, un pochino…
“Oh! Vedi! Dai, allora, vieni qui e leggi.”
- …
“E visto che siamo all’epilogo, in via del tutto eccezionale ti permetto anche di sederti vicino a me.”
- Sul serio?
“Certo! Però devi fare il bravo e stare in silenzio.”
- Promesso! Grazie!
“Ma figurati…”
- …
“…”
- Posso giocare col mouse?
“No.”
 
 
 
 

Epilogo: Tra la fine di una storia e l’inizio di un’altra

 
 
 
 
- Perce?
La voce proveniva da qualche remoto angolo dell’universo, e non era abbastanza forte da strapparlo al suo profondo sonno.
- Perce?!
Mmm… dai, mamma, ho già finito la relazione sui calderoni, oggi dormo…
- Percy, sei ancora a letto?! Alzati subito!
… cinque minuti, poi prometto che darò una mano a papà con…
- Percy! È tardissimo!
- Scansati mamma, ci penso io.
… va bene, due minuti, poi…
- Fermo, Ron!
SPLASH!
Con uno strillo e un salto, Percy cadde dal letto e si ritrovò a terra, fradicio. Davanti a lui stava Ron, un ghigno enorme in faccia e tra le mani un catino che fino a pochi secondi prima era pieno d’acqua.
- Merlino, ho sempre sognato di farlo… - disse prima di scappare verso le scale, lontano dai rimproveri della madre.
- RON! - stava infatti urlando Molly. - Dovevi proprio… e proprio oggi?!
Le sue urla scossero ancora di più il già debole sistema nervoso di Percy; il ragazzo prese coscienza di trovarsi sul pavimento della sua stanza, e cercò di mettere in ordine i pensieri che gli ballonzolavano in testa.
Che diavolo… perché sono alla Tana? Che succede? Che giorno è oggi?
- … vedrai se non… Oh, Percy caro, come ti senti?
Come se mi avessero pestato. Che diamine…
Percy si rialzò un po’ a fatica dal pavimento, poi si strofinò gli occhi e si stiracchiò. Si sentiva la testa pesante e la bocca impastata, come se…
… come se avessi bevuto. Ma quand’è che avrei bevuto?
E di colpo ricordò tutto. Ricordò perché era alla Tana, quello che aveva fatto la sera prima e quello che avrebbe dovuto fare quel giorno.
13 marzo 1999.
Oh Merlino. È oggi.
Oggi mi sposo.
 
 
 
 
Dopo Natale e Capodanno, i primi mesi del millenovecentonovananove scorsero troppo in fretta. Non c’era quasi tempo per preparare tutte le cose necessarie; finalmente Audrey si rese pienamente conto di quanto assurda fosse stata l’idea di tenere la famiglia sua e quella di Percy fuori dall’organizzazione del matrimonio.
Insomma, come avrebbe fatto senza i consigli di sua madre e i suggerimenti di sua suocera? Come avrebbe potuto fare a meno dell’esperienza di tutte le donne della sua famiglia?
Beh, in realtà non era proprio questo che aveva pensato quel giorno di metà febbraio, quando fu costretta ad andare con tutte le donne della sua famiglia (più Fleur, che dalla sera di Natale si era dimostrata decisissima a fare amicizia con lei) a scegliere l’abito da sposa.
Esattamente ciò che volevo evitare.
Dopo la disastrosa esperienza con Fleur, Audrey aveva giurato a se stessa che non si sarebbe mai più affidata né a lei né a nessun altra persona che non fosse Ginny o Adams. Purtroppo, la prima non avrebbe potuto lasciare la scuola prima del giorno del matrimonio (data per la quale, comunque, aveva ottenuto un permesso speciale assieme a Hermione), quindi Audrey si era rivolta direttamente all’ex collega.
Il quale aveva rifiutato con decisione.
- Assolutamente e categoricamente no - aveva risposto, lasciando Audrey basita.
- Come, no?! Perché? Adams, io…
- Sono cose da donne, Aud. E poi mi sono già impegnato a dare una mano al capo, quindi…
- M-ma… no, ti prego, come faccio senza il tuo aiuto?
- Sei benissimo in grado di scegliere da sola ciò che ti piace.
- Ma questo è un caso diverso! Per favore!
- No, Aud. Per quanto i nostri gusti sessuali possano essere simili, io resto un uomo, e come tale non intendo interessarmi di frivolezze come questa.
- Frivolezze?! Ma il vestito della sposa è una cosa essenziale!
Adams aveva fatto una smorfia ironica. - Ma sentiti: e tu eri quella che odiava i matrimoni!
Audrey aveva sbuffato. - Beh, ormai sono in ballo… e comunque l’abito è una cosa seria. Cosa dovrei fare secondo te, presentarmi in accappatoio?
- Ti assicuro che in pochi protesterebbero. E comunque, lo ripeto: devo aiutare lo sposo. Mi sono impegnato prima con lui, quindi ora non posso scaricarlo per te.
Audrey aveva emesso un gemito disperato; le sembrava di parlare con Adams da ore, e sapeva che alla fine lui l’avrebbe comunque avuta vinta.
- Adams, ti imploro, - aveva detto allora con tono accorato, - non puoi abbandonarmi così! Non dopo tutto quello che abbiamo passato insieme! Lascia perdere Percy e aiuta me, ti prego!
L’uomo non aveva fatto una piega; si era limitato a grattarsi il mento e a sorridere.
- Cara, tu sei una donna e non avrai mai bisogno dei consigli di qualcuno. Il tuo fidanzato, invece, è un uomo; per questo devo aiutare lui e non te. Vedrai che alla fine mi ringrazierai.
E con quella frase aveva chiuso la discussione.
 
Per questo, quel giorno di metà febbraio, tutte le donne Bennet più Fleur avevano invaso l’atelier del signor Daverio per cercare L’Abito.
Che non sarebbe stato bianco, ovviamente.
Dopo tre ore, tutti i vestiti che Audrey aveva indossato e scartato erano di svariate tonalità di rosa. Rosa ovunque, rosa di tutti i tipi. Rosa.
Argh!
- Vi prego, basta! Mi fanno male gli occhi!
- Non essere sciocca, Aud - borbottò sua madre, rimirando l’abito color malva che Audrey indossava. - Ne abbiamo già parlato: il bianco non…
- Ma perché! Questa è una cavolata!
- Odrì - intervenne Fleur, seduta assieme alle altre appena fuori dal camerino, - sai che la tradiscione vuole così…
- Sta’ zitta, Fleur - la rimbeccò Audrey, irritata. Si guardò allo specchio e fece una smorfia: l’abito era oggettivamente bello, ma quel colore le dava i nervi. - Se tu hai avuto un abito bianco, non vedo perché io…
- Perché tu, come tutte noi, hai avuto una vita prima del matrimonio - la interruppe Edna, che si stava limando le unghie in un angolo. - Direi che per noi è tradizione non indossare un vestito bianco al nostro matrimonio.
- Hai ragione. Ricordo che io ne avevo uno giallo…
- Il mio era grigio perla, bellissimo!
- Mio festito era ferde! - esclamò Ingeborg, felice di poter contribuire alla discussione.
Audrey sospirò e chinò il capo, affranta. Niente, non poteva fare niente: qualsiasi protesta era stata inutile – o meglio, inascoltata – e tutto ciò che poteva fare era respingere quei vestiti di un colore assolutamente non adatto a lei.
Sì, ho vissuto col mio uomo e ho avuto una figlia, ma voglio un vestito bianco. È tanto difficile da capire?
I Babbani non fanno più caso a certe scemenze, perché i maghi sì? Che diamine hanno di sbagliato nel cervello?!
Un’inattesa voce maschile la riportò alla realtà.
- Va tutto bene qui, signore?
 
Il signor Daverio, proprietario della bottega di abiti da sposa, non aveva sempre fatto il sarto durante la sua vita. Si diceva anzi che avesse imparato a cucire lavorando nell’obitorio del San Mungo, dove svolgeva l’ingrato compito di richiudere i cadaveri sventrati da esplosioni e maledizioni per prepararli a delle esequie dignitose. Sembrava che proprio questo suo lavoro giovanile gli avesse ispirato la particolare tecnica di cucitura che rendeva i suoi abiti così rinomati.
Leggende metropolitane a parte, il signor Daverio restava un tipo singolare: non più alto di un goblin, occhietti vispi nascosti dietro due enormi lenti tonde e immancabile farfallino sgargiante, aveva una pessima memoria per le clienti ma un ottimo intuito, che gli garantiva l’utile capacità di capire al volo cosa stesse meglio alla persona che aveva davanti.
Nonostante questa capacità, però, di solito il signor Daverio lasciava che le sue clienti scegliessero per conto proprio cosa preferivano, senza immischiarsi a meno che non fossero loro a chiedere consiglio.
Quel giorno nessuno aveva richiesto il parere del signor Daverio; questi però si avvicinò al camerino di Audrey spinto dalla curiosità: data la sua scarsa memoria non ricordava di aver già visto la ragazza a dicembre, ma non poteva fare a meno di chiedersi perché le sue accompagnatrici si ostinassero a scegliere per lei un colore del tutto sbagliato.
- Va tutto bene qui, signore? - domandò, sorridendo a tutte.
Prima che qualcun altro potesse rispondere, Audrey disse: - No, non va per niente bene.
Il signor Daverio divenne serio. Era evidente che quella ragazza non sembrava affatto contenta, e ne aveva ben donde: il malva? Ma andiamo, aveva al massimo ventidue anni! Povera piccina!
- Oh, mi dispiace, signorina - rispose Daverio con un piccolo inchino. - E posso sapere qual è il problema?
Battendo di nuovo sul tempo sua madre, Audrey replicò: - Il colore. Gli abiti sono tutti molto belli, ma…
- Aud, ne abbiamo già parlato - sibilò Lucy guardandola male; poi si rivolse a Daverio. - La scusi, è tesa per il matrimonio e…
Ah! Ecco qual era il problema! Finalmente Daverio capiva: la ragazza voleva un vestito bianco, ma la madre tradizionalista no; l’uomo guardò le altre accompagnatrici e dedusse che dovevano essere tutte parenti della ragazza, perché se fossero state sue amiche sarebbero accorse in sua difesa. Tutte quante, invece, guardavano la madre della giovane e annuivano convinte.
Brutta razza, le parenti delle spose. Bruttissima.
- Se posso permettermi, signora - disse allora Daverio con un altro piccolo inchino, - capita spesso oggigiorno che le ragazze indossino abiti bianchi anche se… beh, ha capito. E poi, se volete fidarvi di un sarto - e fece un altro inchino, - ammetto che la signorina è così graziosa che le starebbe bene qualsiasi abito, purché non largo sui fianchi e non cadente sul davanti, ma che il bianco sia decisamente il suo colore. Sarebbe una sposa incantevole, così.
Sorrise e fece un altro inchino. - Se posso permettermi, signora.
 
Il signor Daverio non interveniva mai quando non era richiesto. Quel giorno, però, riuscì a fare contenta una ragazza, e ne fu molto lieto a sua volta.
(Salvo poi dimenticarsene del tutto qualche giorno dopo.)
 
 
 
 
 
Non esiste cosa più noiosa che descrivere i preparativi per un matrimonio. Eppure, per chi vi è coinvolto direttamente non esiste cosa più stressante.
- Ti vedo stressato - disse Kingsley a Percy, un giorno di inizio marzo.
Percy alzò la testa e cercò di mettere a fuoco il viso del Ministro, riuscendoci per metà: aveva gli occhi decisamente stanchi. - Non dormo molto ultimamente - rispose con un filo di voce.
- Sempre per il matrimonio?
- Anche.
Kingsley fece un sorriso comprensivo, poi con un tonfo chiuse la pratica che Percy stava leggendo. - Va bene, ho capito. Vai a casa, questo lo continuerai domani.
Ormai Percy non protestava nemmeno più per le concessioni del Ministro: si limitava a ringraziare calorosamente e se ne andava dritto di filato a casa. Così fece anche quella volta; prese la borsa e scappò via, strofinandosi gli occhi.
Non aveva dormito quasi nulla per quattro giorni: una volta per colpa del lavoro, un’altra per Adams e qualcosa che riguardava il suo abito, un’altra ancora per la bambina che si era presa non sapeva quale malattia e aveva pianto tutta la notte…
… e la cosa peggiore era il giorno! Se non lavorava era in giro con sua madre, che voleva a tutti i costi coinvolgere lui e Audrey nei preparativi – il che tradotto significava: fare giri infiniti di Diagon Alley assieme a lei e alla signora Bennet, dover discutere ore su dettagli a suo dire insignificanti e veder distruggere le proprie proposte da una sola occhiataccia contemporanea di madre e suocera.
Ovvio che non dormiva bene.
Faen. Con questo sonno non arriverò vivo al tredici. Adesso mi chiudo in casa e se entra qualcuno lo Avado.
Ma era destino che non dovesse dormire nemmeno quel pomeriggio. Non appena sbucò fuori dal camino in cucina, sentì la voce di Audrey dal salotto.
- Dai, riprova: maaaaaa…
- Audrey?
La ragazza era seduta a terra davanti a Molly Seconda, che la fissava intensamente. Perlomeno non piangeva più; doveva essere passato Rhett a vedere cosa aveva e a darle una pozione, povera piccola.
- Ehi! - fece Audrey, allegra. - Sai che prima Molly ha detto qualcosa?
Percy aggrottò le sopracciglia, poi si sfilò il mantello e si sedette a sua volta a terra. - Sul serio?
- Sì, l’ho sentita! Non ne sono sicura, ma sembrava un “mamma”. Sto cercando di farglielo ripetere, ma…
Era così entusiasta che a Percy quasi dispiacque di deluderla. Quasi.
- Aud, - intonò, saccente, - lo sai, vero, che i bambini non iniziano a parlare prima di avere un anno, un anno e mezzo?
No, Audrey non lo sapeva: fece per dire qualcosa, ma si bloccò con una mano a mezz’aria; portò la mano sotto al mento e tornò a guardare la bambina, riflettendo.
Se tu non parli… cosa hai fatto prima? Me lo sono forse sognata?
“Mamma, lascia perdere mio padre: è un uomo, cosa vuoi che ne capisca della vita?”
Giusto.
- Senti Perce, prima ha detto qualcosa; e se anche mi fossi sbagliata tentare non nuoce, no?
Il ragionamento non faceva una grinza; Percy fu costretto ad annuire e lasciar stare la sua fidanzata, che rivolse un enorme sorriso a Molly.
- Allora, pulcino, riproviamo: maaaaaamma!
- Aaaaaaam - rispose Molly.
- Quasi! Dai, un’altra volta: maaaaaamma!
- Mmmmblrg.
- Uff - sbuffò Audrey. Percy trattenne una risata e le diede una lieve pacca sulla spalla.
- Bennet, te l’ho detto, è presto perché inizi a parlare…
- Silenzio, tu. Tua madre mi ha detto che tu parlavi già a dieci mesi, e se ci sei riuscito tu non vedo perché Molly non possa farlo.
Doveva esserci un velato insulto dietro quella frase, ma Percy non lo colse. Ignorando il fidanzato, Audrey tornò a rivolgersi alla bambina. - Va bene, se non riesci a dire “mamma” proviamo con qualcos’altro. Senti qui: Mooooolly.
Il suono sembrò piacere alla bambina, perché rise. - Oooooooy!
- AH! - esultò Audrey. - Hai sentito, uomo di poca fede?
- Aud, ha solo detto “Oy” - bofonchiò Percy, - non ci trovo niente di…
Ma Audrey era troppo contenta per dargli retta. La mia bimba parla, santa Helga! È bellissimo!
- Dai, tesoro, - disse, - ripetilo ancora alla mamma: Molly!
La bambina la guardò in modo strano, come se non avesse capito. Perché la sua mamma non ripeteva ancora quella parola piena di “o” che le piaceva tanto? Cos’era quel verso così breve e sgradevole?
Sapeva che spesso gli adulti che la circondavano la chiamavano così… però in quel momento non le piaceva, quella parola. Non le piaceva affatto.
Molly fece una faccia delusa e chiuse la bocca.
- Che c’è? - chiese Audrey. - Non vuoi più dirlo? Dai, riprova: Molly!
Niente. Anzi, ora la bambina sembrava quasi sul punto di mettersi a piangere. Audrey la osservò in cerca di qualcosa che non andasse, e Percy si grattò il mento.
- Magari - buttò lì - “Molly” è una parola troppo difficile. Prova a farle dire “papà”, chissà che…
- Non essere ridicolo, Perce. - Audrey tornò a guardare la piccola. - Che c’è che non va? Non ti piace “Molly”?
Qualcosa nel viso della piccola le fece capire che aveva ragione. Era davvero strano – e certe volte anche inquietante – che una bambina di quell’età potesse essere così espressiva… ma in fondo era figlia sua e di Percy, quindi non poteva essere una bambina comune.
- Non ti piace il tuo nome? - domandò Audrey lentamente. - Preferisci… Pernille?
Il visetto della bambina si riaccese all’improvviso d’interesse. Che strana, quella parola: aveva un suono un po’ duro, ma piacevole e simpatico alle orecchie di Molly. E poi la bambina sapeva che la mamma la chiamava così quando il papà non c’era, quindi doveva essere qualcosa di speciale.
Sì, quello avrebbe potuto provare a dirlo.
- Dai, tentiamo: Peeeeerniiiiille.
- Inne!
- Cosa?! - fecero in coro Percy e Audrey, mentre Molly rideva soddisfatta. Oh sì, quella parola era decisamente più divertente di tutte le altre, se non altro per l’effetto che produceva sui suoi genitori!
- Perce, hai sentito? Ha detto…
- Aspetta. Ha detto “Inne”, non “Pernille”.
- Beh, ma è già qualcosa! Prova ancora, piccola: Peeeeerniiiiille.
Stavolta Molly ci pensò su prima di ripetere. - Niiine.
- No, è così: Peeee…
- Nini! - buttò finalmente fuori, ridendo contenta.
- No, è…
- Nini!
- No…
- Nini! Nini! Nini!
Niente: ormai quella era la sua parola. La bambina si lanciò in una ripetizione infinita di quelle sillabe, ignorando del tutto le reazioni di mamma e papà.
Audrey aveva gli occhi spalancati: mezz’ora per insegnarle a dire il diminutivo del suo secondo nome?! Né “mamma” né “Molly”, direttamente “Nini”?!
No. Tu non sei decisamente una bambina normale.
Guardò Percy, smarrita, e rimase ancora più smarrita: il ragazzo aveva un sorriso euforico stampato in faccia e uno sguardo estasiato dietro gli occhiali.
Quello che pochi secondi prima era uno scettico rompiscatole si era trasformato, in un baleno, in un ragazzino assolutamente felice.
- Aud… - mormorò, emozionato - … mia figlia parla! Non è meraviglioso?!
 
In seguito Audrey tentò di ricordare a Percy che era grazie a lei che Molly aveva detto la sua prima parola, ma lui l’ignorò sempre.
 
 
 
 
Più il tredici di marzo si avvicinava, più la famiglia Weasley si agitava. Certo, tutti avevano ormai accettato da tempo l’idea che Percy avesse una donna e persino una figlia… ma ora che stava davvero per sposarsi i suoi parenti iniziavano a stupirsi della cosa.
Cioè, non tutti ovviamente. Arthur e Molly erano al settimo cielo: non speravano che avrebbero avuto più modo di festeggiare qualcosa, dopo il due maggio… e invece era così facile, così spontaneo sentirsi contenti per quell’evento. Era come scoprire di avere ancora le mani, i piedi, il naso: sapevano ancora gioire, nonostante avessero pensato che la gioia fosse ormai uscita dalla loro vita.
No, Arthur e Molly erano felici e basta. Quelli che sogghignavano nell’ombra erano i fratelli di Percy.
Ancora il dodici marzo, vigilia del matrimonio, si facevano scommesse su chi dei due sposi sarebbe fuggito a gambe levate prima del “sì”; le maggiori probabilità per il compimento di questo gesto erano state assegnate a Audrey – e c’è da dire che qualcuno ci sperava anche.
Per fortuna nessuna di queste voci giunse ai due interessati, che passarono quindi la sera del dodici marzo alla Tana in completa tranquillità. Più o meno.
- Ancora non capisco - brontolò la signora Weasley dopo cena, servendo il caffè - perché non hai voluto che fosse Charlie a farti da testimone, Percy.
Seduto su una poltrona vicino a suo padre, Percy strinse impercettibilmente più forte la tazzina prima di rispondere. - Te l’ho detto, mamma: avevo già chiesto ad Adams di farlo…
… e comunque non avrei scelto Charlie nemmeno se fosse stato l’ultimo mago rimasto sulla terra. Oh no. Oh no no no.
- Sarà… - rispose Molly, stringendo le spalle. - Però credo che Charlie sarebbe stato una scelta migliore per…
- No, mamma.
- Va bene, come vuoi…
Tacque per un po’, mentre gli altri tornavano a chiacchierare tra loro e a bere il caffè. Come al solito la bambina catalizzava l’attenzione di tutti: da quando poi aveva detto la sua prima parola, gli zii cercavano di insegnarle i propri nomi o quelli di semplici oggetti. Ricevendo però invariabilmente la stessa risposta: “Nini!”.
La signora Weasley sorrise vedendo Fleur fare il solletico a Molly e generare risatine incontrollabili nella piccola, poi tornò a parlare con Percy.
- Per stanotte ti ho preparato il tuo vecchio letto. Credo ci sia ancora un tuo vecchio pigiama da qualche parte, ma non ho avuto tempo di cercarlo, scusami…
Il tempismo della signora Weasley era pari solo a quello della signora Bennet: il caffè che Percy stava bevendo gli si incastrò a metà gola. Tossendo rumorosamente guardò sua madre e chiese:
- C-cosa? Perché… Ma…
Sentendo quelle frasi, anche Audrey si voltò incuriosita verso la signora Weasley.
- Ma certo - spiegò questa, - non vorrete mica… dormire insieme anche la notte prima del matrimonio, no?
I due ragazzi si guardarono, spaesati. In verità avevano entrambi una precisa idea di come passare l’ultima sera da non sposati, e questa idea non includeva affatto il dormire in due case diverse. Anzi.
- Ehm… - provò a dire Audrey. - Veramente, noi…
- Oh, lo so che il vostro è un caso particolare… però, insomma, sarebbe bello se almeno per questo… le tradizioni…
Di nuovo quelle stramaledette tradizioni! A innervosirsi stavolta fu Percy: diamine, sua madre era riuscita a non fare mai storie (beh, quasi mai) sulla sua convivenza… e aveva deciso di incominciare proprio quella sera?
Cose da pazzi! Io stanotte dormirò a casa mia, questo è poco ma sicuro!
Inaspettatamente Bill venne in suo aiuto. - Mamma, - disse infatti, - le tue intenzioni sono nobili, ma… ecco… stanno insieme da parecchio e hanno una figlia, non credo che Audrey abbia ancora qualcosa da nascondergli…
- Lo so, lo so, però… Ecco…
- Molly cara - fece allora Arthur, - lasciali in pace, dai. Sono abbastanza grandi da infischiarsene di certe sciocchezze, no?
- Certo, certo, ma…
Audrey si sentì stringere il cuore. Era evidente che la signora Weasley iniziava a sentirsi dispiaciuta e in imbarazzo; la sua era stata una richiesta un po’ avventata, ma dettata da un sincero desiderio di fare le cose al meglio. Se la stessa proposta fosse stata avanzata da Lucy, Audrey sarebbe andata su tutte le furie; di fronte alla signora Weasley, invece, la ragazza si commosse.
Come, come, come faccio a negarle qualcosa? Io la adoro!
- Non c’è nessun problema, signora Weasley - disse infine Audrey, provocando un gran sorriso sul volto della suocera e lo sganciamento delle mascelle di tutti gli altri. - Percy non ha problemi a rimanere qui; vero, Perce?
Oh Godric. Che ti hanno fatto, Bennet? Ti hanno ipnotizzata? Hanno messo qualcosa nel caffè? Santo cielo!
- M-ma veramente io…
- Anzi, - Audrey guardò l’orologio, - è meglio che io vada subito, è tardi e Nini ha sonno. - Prese in braccio la bambina, che in effetti accusava segni di stanchezza da un po’, e salutò rapidamente tutti quanti. - Ci vediamo domani - disse poi a Percy, prima di dargli un bacio a fior di labbra che lasciò lui molto deluso e gli altri molto divertiti.
- Grazie mille, mamma - mugugnò Percy, non appena Audrey fu sparita nel camino.
Molly non lo ascoltò, troppo impegnata a sentirsi contenta per la brava nuora che aveva trovato. - Oh Perce, - iniziò a dire, già pronta a commuoversi, - Audrey è veramente una cara ragazza, e sono così contenta che tu…
- Sì sì, mamma, le lacrime conservale per domani - la interruppe subito George, che con passo svelto si fiondò sul bracciolo della poltrona di Percy.
- Bene, Perce, - disse poi, - questo è il momento della serata in cui offri da bere ai tuoi cari fratelli. Pronto?
- Cos…
Prima che potesse dire qualcos’altro, Percy fu Smaterializzato a forza in una stradina vuota di Ottery St Catchpole scarsamente illuminata da un lampione moribondo.
- Che diavolo state combinando? - esclamò subito, mentre attorno a lui Ron, George e Bill ridacchiavano. - Dove siamo? Questo… questo è un rapimento!
- Beh, da solo non saresti mai venuto… - rise Arthur, apparendo subito dopo.
- Papà! Ti ci metti anche tu?! Che cosa avete intenzione di fare?
- Te l’ho detto, Prefetto: bere alla tua salute e a tue spese - rispose George, avvicinandosi poi alla porta di un pub. - Suvvia, - fece poi, - l’addio al celibato si fa una sola volta nella vita! O almeno, tu di sicuro lo farai una volta sola, dato che non credo tu abbia una fila di pretendenti…
Sospirando in modo melodrammatico, Percy chinò il capo e si dichiarò sconfitto; poi si lasciò trascinare malvolentieri in quella che si preannunciava una lunga bevuta notturna tra uomini.
Fortuna che non mi ubriaco mai: almeno domani non starò male, a differenza di questi incoscienti.
Che seccatura, però: dovrò trascinarmeli sbronzi fino a casa. Uff.
 
Tre ore dopo, Percy era il più sbronzo del gruppo. Dovettero trascinarlo fino a casa.
 
 
 
 
 
 
 
Oggi mi sposo.
Oggi mi sposo.
Oh merda.
- Che ore sono?! - strillò Percy il mattino del tredici, non appena la sua mente confusa si snebbiò.
- Sono le dodici passate, ci sono ancora…
- … quattro ore, maledizione!
Molly lo osservò mentre si rimetteva in piedi e scattava verso il bagno come se avesse un drago alle calcagna; sorrise tra sé e scosse la testa.
- Valeva la pena averti un’ultima volta qui… - sussurrò, prima di iniziare a fare il letto.
 
Non appena scese, Percy trovò gli altri Weasley malconci quanto lui; le uniche facce pimpanti appartenevano alle ragazze – Ginny e Hermione dovevano essere arrivate quella mattina.
- Toh, guarda chi si vede! - esclamò Ginny per salutarlo, mentre versava altro caffè a Ron.
- Maledetto Salazar, Ginny, devi proprio fare tutto questo chiasso? - la sgridò George, la testa appoggiata sul tavolo e coperta dalle braccia.
- Genio, quand’è che ti decidi a inventare un anti-sbronza? Sarebbe più utile di tante stronzate che riesci a rifilare ai gonzi… - biascicò Bill, che si lasciava massaggiare amorevolmente le tempie da Fleur.
George alzò a fatica la testa. - Ehi, io non rifilo stronzate… e ora che ci penso, ho inventato un anti-sbronza. - Puntò un dito verso l’attaccapanni. - Guarda, se non ci credi ce l’ho proprio lì, nella… diamine, nella tasca del mantello!
Non finì nemmeno di dire la frase: con un salto più agile di quanto si aspettassero, Charlie si fiondò sul mantello e prese la bottiglia di ricostituente, dividendola poi tra tutti i presenti.
Quella pozione fu provvidenziale; senza di essa nessuno di loro avrebbe avuto le forze di star dietro agli ordini di Molly, che aveva abbandonato l’atteggiamento tranquillo dei giorni precedenti e stava iniziando a dare di matto: più si avvicinava l’ora dell’arrivo degli invitati, peggio era.
In verità c’era ben poco da fare ancora: il tendone era montato da giorni, i tavoli già disposti… bisognava solo apparecchiare, fare gli ultimi aggiustamenti, lavarsi e vestirsi.
Eh. Detto così sembra semplice.
 
 
Alle due in punto arrivò Adams, già pronto e con l’abito di Percy appoggiato su un braccio. Un’ora dopo iniziarono ad arrivare gli ospiti: prima i Bennet, ovviamente tutti insieme, poi, pian piano, tutti gli altri.
Un’ora dopo Percy si stava vestendo e contemporaneamente stava entrando nel panico.
- Adams… - disse con un singulto, quando si rese conto che la paura iniziava ad essere proprio tanta. Si trovavano, lui e il suo testimone, nella sua vecchia camera da letto, e tutto gli parlava di passato.
Dopo essersene andato di casa, aveva dormito lì soltanto durante la convalescenza di Audrey nell’ospedale Babbano e la notte prima; in quel momento, guardandosi attorno, si rese conto per la prima volta che non sarebbe davvero tornato mai più a stare lì.
A meno che Audrey non mi cacci di casa, ovvio.
Non sarebbe tornato, mai più. Certo, questa era un’idea che aveva già accettato secoli prima senza la minima difficoltà; era stupido, davvero stupido farsi venire certi pensieri dopo essersene andato di lì per orgoglio, aver trovato una compagna e avuto una figlia: non aveva più un legame con quella stanza e con quella casa già da moltissimo tempo.
Eppure… eppure sentiva che adesso si sarebbe realmente separato dalla sua vecchia vita. Dal tradimento si può tornare indietro, dal matrimonio – per come lui lo concepiva – no.
Stava davvero cambiando tutto.
Sì, lo so, fino a un minuto fa ero felice di questo. Che mi è successo?
Perché devo avere paura proprio ora, maledizione?! Perché?!
- Adams…
- No, capo.
Percy aggrottò le sopracciglia. Adams si stava aggiustando la veste davanti a uno specchio, e osservò il riflesso del ragazzo sopra la propria spalla. - Non ti aiuterò a scappare via, se è questo che vuoi.
Percy respirò forte, poi si sedette sul letto, improvvisamente depresso. - Adams… sto facendo una sciocchezza, vero?
Finito che ebbe di sistemarsi, Adams si preparò mentalmente a svolgere uno dei compiti più ingrati del testimone: confortare lo sposo e impedirgli la fuga.
Si sedette accanto a Percy sul letto e prese fiato. - Perché lo pensi adesso?
- Perché… non lo so. - Percy sospirò e si mise una mano tra i capelli. - Insomma… io ho già una famiglia con Audrey…
- Vero.
- … nonostante non ci fossimo sposati prima…
- Giusto.
- … però… che succede se poi non va bene? Che succede se poi… cambia qualcosa e non posso tornare indietro?
Adams si lisciò il pizzetto. - Percy, qual è la differenza tra un uomo libero e uno sposato?
Percy lo guardò. - Ehm…
- Che lo sposato, nel migliore dei casi, rimane sposato. Giusto?
- Ehm… giusto.
- Mentre il libero è libero. Non ha vincoli che lo tengano legato a una persona, una casa o altro.
- Sì, però…
- Aspetta, fammi finire. Mettiamo che tu oggi decida di non sposarti. Non pensare a quello che potrebbero dire i tuoi, o Audrey… immagina solo che oggi non ti sposi. Ci riesci?
- Io… s-sì.
- Bene. Immagina ora di tornare a vivere come un uomo libero, senza vincoli, senza niente. Ci riesci?
Percy non discusse, e tentò di immaginare ciò che Adams voleva.
Non ci riuscì. Non riusciva proprio a pensare di tornare indietro, a quando non c’era Audrey nella sua vita, né la bambina. Non poteva nemmeno immaginare come sarebbe stato, adesso, essere solo come una volta, senza legami, senza equilibrio. No.
D’improvviso capì cosa voleva dirgli Adams: matrimonio o no, lui era già vincolato; si era già impegnato, impegnato per sempre, e per quanto potesse definirsi libero esisteva già una differenza abissale tra lui e qualsiasi altro scapolo.
Lui si era già sposato, in un certo senso.
- No, Adams, - rispose allora, - non ci riesco.
- Esattamente ciò che volevo sentirti dire.
Adams si alzò e lo osservò dall’alto. - La mia conclusione è: se per te non esiste differenza tra come sei adesso e come sarai tra un’ora, tanto vale dare alla tua famiglia un’occasione di gioia. Non trovi?
Oh sì. Decisamente.
Del tutto rinfrancato, Percy sorrise e si alzò a sua volta. Come, come avrebbe fatto senza Adams?
- Bene, capo, sei pronto?
- Quasi. Io… - pesò bene le parole prima di continuare. - Io… volevo ringraziarti. Mi hai sempre aiutato, più di quanto chiunque abbia mai fatto, e… beh, grazie.
Il sorriso di Adams si fece ancora più largo; diede una pacca sulla spalla a Percy e rise. - A me basta che chiami il tuo prossimo marmocchio Ernest; dopodiché sarò felice.
Risero ancora insieme, poi tornarono seri. Dovevano ripassare le battute di Percy, e questi se le era dimenticate tutte.
 
 
Saul?
 
Mh?
 
Chi è quella biondazza lì?
 
Mmmh… non so, non mi pare una parente. A Natale non c’era.
 
Okay. Sai, vorrei evitare figure imbarazzanti.
 
Capisco. Uh, guarda quella vecchia!
 
Quale v-AHAHAH! Oh Merlino, avrà tremila anni!
 
Sai che mi ricorda un po’ nonno Bunbury?
 
Hai ragione! Speriamo che siano al tavolo assieme, sarebbe bello osservarli mentre si scambiano le dentiere…
 
… e le parrucche…
 
… e i pannoloni!
 
Che diavolo state combinando, voi due?
 
Oh, tranquillo Rhett, ci guardiamo solo un po’ attorno. Vero, Saul?
 
Vero, Oleg.
 
Badate a non mettervi nei pasticci. Se rovinate il matrimonio di Audrey vi Crucio fino a spellarvi.
 
… e TU saresti il nobile ex-Grifondoro? Vergogna su di te!
 
 
Rhett sospirò e si allontanò dai fratelli, che rimasero a ridere tra loro. Mancava mezz’ora all’inizio della cerimonia, e gli ospiti continuavano ad arrivare. Non che fossero molti, a dir la verità: gli invitati di Percy erano limitati ai parenti (comunque numerosi), a qualche vecchio compagno di scuola e a uno scarso numero di colleghi; quelli di Audrey comprendevano un maggior numero di ex studenti di Hogwarts, ma sarebbero stati di più se la ragazza avesse potuto invitare anche i suoi conoscenti Babbani.
Gli unici esseri umani non magici ammessi, invece, erano i nonni Bennet, anche se non sembravano molto contenti di questo privilegio. Fin dal primo istante la nonna Evangeline non fece altro che lamentarsi di qualsiasi cosa, dal sole agli insetti alle scarpe troppo strette, passando per l’aspetto sgradevole degli altri invitati. (Non che criticasse, attenzione! La critica era un’arte riservata esclusivamente a Muriel Prewett. Evangeline Bennet si lamentava e basta.)
Il nonno Bunbury, invece, era un elemento ancora più singolare: di vent’anni più vecchio della moglie, si era subito messo seduto e aveva iniziato a scrutare torvo chiunque capitasse nel suo campo visivo. Lo si sarebbe potuto dire innocuo, se non fosse stato che le sue occhiate erano davvero inquietanti.
Quando Percy e Adams uscirono dalla Tana, una gran folla si riversò su di loro: tutti i Bennet abbracciarono il ragazzo, e una raggiante Lucy in abito turchese lo trascinò a conoscere i nonni adottivi di Audrey.
- Cos’è quello, Bunbury? - domandò a bassa voce Evangeline, vedendo arrivare Percy.
Bunbury smise di osservare un gruppo di maghi e puntò gli occhi da avvoltoio sul ragazzo. - Temo sia lo sposo, Evangeline.
La donna si sistemò meglio il cappellino color vinaccia – intonato al suo tailleur – e sospirò.
- Signori Bennet! - esclamò Lucy contenta. - Che bello vedervi!
- Piacere nostro, cara… - bofonchiò Evangeline, che aveva tutta l’aria di chi ha visto un Ippogrifo fare i bisogni sulla propria Firebolt. Era evidente che non amava molto la sua eccentrica nuora.
- Volevo presentarvi Percy, il mio futuro genero. Percy, loro sono i nonni di Audrey, Evangeline e Bunbury.
Bunbury? Oh faen, è quello che somiglia a zia Muriel! Speriamo bene…
- Molto lieto di conoscervi, signori - disse Percy, sinceramente contento. La sua contentezza si smorzò quando capì che i due anziani non erano intenzionati a rispondergli, o almeno non senza averlo prima esaminato da cima a fondo.
Evangeline iniziò dall’alto: squadrò il ragazzo dalla cima dei suoi capelli – cielo, tutto quel rosso! – alla punta delle scarpe – dozzinali, come minimo di seconda mano! – prima di esalare un sospiro drammatico.
- Perlomeno, sei alto - esalò poi, con l’aria di chi acconsente a concedere un favore a qualcuno con grande sforzo.
Percy deglutì, improvvisamente a disagio. Si volse verso Bunbury, e fu ancora peggio: gli occhietti da rapace del vecchio lo trapassavano senza pietà, e sembrava che quell’esame non dovesse avere mai fine.
Aiuto.
- Bene - trillò Lucy, - è bello che finalmente vi siate conosciuti. Ci vediamo dopo!
E subito trascinò via Percy tirandolo per una manica.
- Non ci credo… - commentò il ragazzo appena furono distanti. - Quelli lì hanno cresciuto Roman e suo marito?
- Oh, non sono sempre stati così. Credo sia stata soprattutto la delusione di essere tagliati fuori dalla vita dei loro figli a renderli… come dire…
- … odiosi?
- Sì.
Lucy guardò Percy e scoppiò a ridere. - Comunque non è andata male, sai? Gli piaci molto.
- Cosa?!
- Ma sì… Bunbury non ha detto una parola, è un buon segno!
E ridendo ancora raggiunse gli altri Bennet, lasciando Percy più spaesato che mai.
 
 
 
Come Merlino volle, mezz’ora dopo la cerimonia ebbe inizio. Prima ancora di poter salutare tutti gli invitati Percy fu nuovamente trascinato via, stavolta da Adams, e portato sotto il tendone.
- Bene, capo, ci siamo. Tutto ciò che devi fare è stare dritto, non vomitare e rispondere di sì a qualsiasi cosa. Chiaro?
- Ehm… sì?
- Ottimo. Audrey sta per arrivare.
Ecco. Quello non andava bene. All’improvviso lo stomaco di Percy decise che non voleva più starsene tranquillo e disteso, e iniziò una serie di volteggi e capriole da far invidia ai migliori atleti Babbani.
No no no. Dai. Sta’ calmo. Eri tu quello che insisteva, no? Eri tu quello che sognava questo momento, no? Ecco, allora adesso sta’ buono e sorridi. Sorridi. Lascia perdere lo stomaco, dannazione.
… mi fa male la gamba.
Con un gesto nervoso Percy si massaggiò la coscia sinistra. Non gli piaceva starsene lì impalato mentre tutti gli invitati si sedevano; gli sarebbe tanto piaciuto fare da spettatore, mescolarsi con la piccola folla – lui, che non amava la folla – da cui invece era escluso.
Tutti che lo guardavano, sorridevano e lo salutavano. Fece una smorfia, abbassò gli occhi e cercò di calmarsi ripetendo tra sé le formule di Aritmanzia immagazzinate anni prima.
Il che lo rese solo più nervoso, quando capì di aver dimenticato anche quelle.
Faen!
 
 
 
- Non ce la faccio.
- Invece sì.
- No, ti dico che non ce la faccio.
- Io ti dico che ti stai comportando da stupida.
Audrey sospirò e si torse le mani. - No, Ginny, non ce la faccio.
Ginny alzò gli occhi al cielo. - Ripeti un’altra volta che non ce la fai e me ne vado.
- No, ti prego! Ho bisogno di te!
- Allora smettila.
- … va bene.
Seduta sul tavolo dell’ingresso, a mezzo metro di distanza, Judith Bennet osservava le due ragazze inarcando un sopracciglio. Se quello doveva essere l’effetto del matrimonio su una donna, tanto valeva rimanere single.
Audrey inspirò ed espirò più volte, camminando avanti e indietro, poi si fermò davanti a Judith.
- Jud… secondo te faccio bene a sposare Percy?
Ahahahahahahahahahahahah! Non smetterò mai di ridere! Ahahahahahahahahahahahah!
- Aud, - rispose la ragazzina, lugubre, - non dire sciocchezze: certo che non fai bene. Io te l’ho detto sin dal primo istante, quel tipo è pazzo e pericoloso e…
- Allora, ci siamo?
Roman si affacciò nel salotto, teso ma sorridente. Audrey lasciò stare Judith e rispose al sorriso.
- Sì zio, sono pronta.
Nessuno fece caso a Judith che, rassegnata, si sbatté una mano sul viso.
 
 
 
 
Bisogna proprio dirlo?
Beh, allora diciamolo: nessuno dei due sposi scappò via, né pensò di farlo.
Lo stomaco di Percy smise di fare salti carpiati nel momento in cui Audrey in abito bianco – comparve nel tendone; lei smise di pensare “non ce la faccio” nell’istante in cui lasciò il braccio di Roman e si mise di fronte a Percy, sorridente come non mai.
Da lì in poi, andò tutto perfettamente.
 
 
 
 
 
Percy conservò ben pochi ricordi precisi di ciò che avvenne immediatamente dopo il suo matrimonio. Non era sposato nemmeno da cinque minuti, che già una folla immensa aveva iniziato a fargli complimenti e a porgli domande cui, lì per lì, non sapeva rispondere.
Si sentiva felice e frastornato, decisamente non lucido; fortuna che accanto a lui c’era Audrey, a stringergli la mano e a rispondere al posto suo, perché da solo non sarebbe riuscito nemmeno a capire cosa gli dicevano tutte quelle persone. Ci pensò lei a parlare del loro viaggio di nozze alle Svalbard, della casa nuova in cui sarebbero andati a vivere di lì a poco (in un nuovo paese magico di recente fondazione, vicino Leeds), della bambina e di un sacco di altre cose; al contrario di Percy, Audrey sembrava più attiva che mai, piena di energia.
- Percy!
Si voltò, trovandosi poi stretto in un abbraccio di suo padre; Arthur sembrava commosso quanto sua moglie, e questo era un evento più unico che raro. Vicino a lui c’era Kingsley, che strinse la mano a Percy e gli fece le congratulazioni per almeno una decina di volte prima di lasciarlo.
Una volta spariti i due, fu il turno di un’altra persona di avvicinarsi al ragazzo.
- Beh, lille, non salutti?
Percy sobbalzò e si voltò subito, raggiante. Grete Skjalgsson era davanti a lui, contenta come non mai.
Non fece in tempo a rispondere al suo saluto, che subito Audrey si materializzò vicino a lui.
… ma come diamine fa? Sente l’odore delle mie ex a distanza?
- Sono così felicce per voi, Percy. E tu…
- Sì, Grete, questa è Audrey. Aud, lei è la signora Skjalgsson, quella che ha mandato il tuo albero genealogico dalla Norvegia.
Il viso di Audrey si illuminò. Finalmente conosceva quella donna! Erano secoli ormai che chiedeva di lei a Percy, di come fare per contattarla; aveva insistito affinché fosse invitata anche lei al matrimonio, e ora… eccola. La persona che, senza chiedere niente in cambio, l’aveva salvata.
- Oh! Signora, io… - iniziò a dire, ma fu subito fermata da un gesto della mano di Grete.
- Niente, kjære, fatto con piacere. Amici si aiutano, no?
E sorridendo felice abbracciò entrambi gli sposi, prima di addentrarsi nei balli.
 
 
 
In tutto ciò, Audrey non aveva dimenticato un dettaglio fondamentale.
Si era più o meno ai due terzi della festa, e l’attenzione generale era concentrata un po’ sui ballerini, un po’ sui parenti degli sposi che, a quanto pareva, avevano deciso di dirimere l’annosa questione del “qual è l’etnia superiore tra quella scandinava e quella celtica” sfidandosi in una competizione alcoolica in cui, al momento, non c’erano né vinti né vincitori.
Il tutto sotto lo sguardo severo di Aberforth, che controllava attentamente l’uso che stavano facendo dei suoi alcoolici.
Fu in quel momento di distrazione generale che Audrey decise. Si avvicinò quatta quatta a Adams e lo trascinò a qualche metro di distanza, vicino alla casa.
- Ehm… Aud…
- Parla piano, o ci sentiranno!
Adams iniziò a ridere. - Senti, so cosa si dice in genere della sposa e del testimone dello sposo, ma sono costretto a declinare l’offerta…
Audrey si fermò vicino al muro della Tana, guardò Adams con tutta la serietà che le riusciva in quel momento e disse: - Allora, adesso vuoi dirmi cosa c’è stato tra te e Ben?
Trattenne una risata quando vide la faccia di Adams: aveva assunto un’espressione di orrore-misto-panico ineguagliabile.
- Ca. Co. Cu. Co. Cosa?!
- Hai capito benissimo. Stavolta devi dirmelo!
Istintivamente Adams si guardò attorno cercando vie di fuga, ma Audrey lo prevenne. - Sappi che questo abito ha una tasca e che in questa tasca ho la bacchetta: posso legarti e torturarti se non mi rispondi di tua volontà.
Adams sospirò. - Audrey, è passato un sacco di tempo! Come vuoi che me ne ricordi?
Dal tendone iniziavano a venire i primi cori ubriachi dei Weasley e dei Bennet. I am going, I am going any which way the wind may be blowing…”
- Beh, tu non ricordi, forse, ma io so benissimo cosa mi hai detto quasi un anno fa. Com’era, aspetta? Ah sì: “quando ti sposerai col capo te lo dirò”. Beh, io ho fatto la mia parte, ora tocca a te!
- La tua p… non mi dirai che ti sei sposata solo per questo!
“I am going, I am going where streams of Firewhiskey are flowing!
- Diciamo che è stato un buon incentivo. Ora sono sposata col capo, quindi posso sapere tutto.
Adams si allargò il collo della veste. Diamine, che situazione.
E dire che Audrey gli era sembrata così… cresciuta, matura. L’aveva vista cambiare dopo la guerra, la maternità e persino nelle poche ore dopo il matrimonio, come se le fosse stato fatto un incantesimo. Invece no.
Era sempre una ragazzina di ventidue anni curiosa come una scimmia.
Diamine. Stavolta non mi mollerà facilmente.
- … non ho più quei ricordi. Sai, i Dissennatori…
- I ricordi succhiati dai Dissennatori riaffiorano non appena si è fuori dal loro raggio d’azione. Allora?
L’uomo sospirò. No, non l’avrebbe mollato.
- Va bene, hai vinto. Saprai ogni cosa.
Guardò un attimo indietro verso il tendone: al coro degli uomini si erano aggiunte alcune coraggiose donne.
If I should fall from grace with Godric and no Healer can relieve me…
- Dunque. Era la notte di Natale del 1996, e…
- Sì, questo lo so. Dimmi di quando ti sei baciato con Ben.
Adams avvampò. - Chi ti ha detto che mi sono baciato con Ben?
Audrey aggrottò le sopracciglia. - Non… non ricordo. So che una mia conoscente vi ha visti insieme e lo ha detto a sua madre, che l’ha detto a mia madre che l’ha detto a me… credo.
- Godric, dammi forza… ecco perché continuavi a insinuare che noi due stessimo insieme!
La ragazza iniziò a non capirci più nulla. - No, frena, aspetta. Se tu davvero non stavi con Ben, perché ti imbarazzava parlarne?
- Perché quella sera è stata imbarazzante!
Adams prese fiato e si decise a raccontare. - Ero in un locale, sai, uno di quelli che a Natale organizzano festicciole e simili, quando ho riconosciuto Ben. Sai, no, ce lo avevi presentato al Ministero… ecco. L’ho salutato, e anche lui si ricordava di me. Abbiamo iniziato a chiacchierare…
- … Lo hai abbordato!
- No! Insomma, vuoi farmi parlare? Dunque, abbiamo chiacchierato, e basta. Il fatto è che quando sono arrivato era già un po’ brillo, e dopo un po’ si è ubriacato del tutto. Capisci?
- … e ci ha provato con te?
- Salazar ballerino, perché pensi sempre a quello? Certo che non ci ha provato! Era solo molto molto malconcio, e… beh, a un certo punto era così ubriaco che mi si è addormentato su una spalla. E russava, capisci? Dev’essere allora che qualcuno ci ha visti, perché in effetti potevamo sembrare una coppietta.
Parlando, il disagio di Adams non era scomparso, anzi. Sembrava vergognarsi sinceramente della situazione in cui era stato coinvolto.
Audrey era sconcertata: quindi lei aveva tribolato per mesi… per sapere che Ben si era solo ubriacato?
- Visto come stavano andando le cose, ho pensato che non potevo lasciar lì quel poveretto; così l’ho preso e l’ho accompagnato fuori, ma al primo vicolo si è dovuto fermare a vomitare. Poi non riuscivo a farmi dire dove abitasse, quindi ho dovuto portarlo a casa mia e metterlo a letto.
La frase avrebbe potuto scatenare svariati doppi sensi, ma Audrey ormai ci aveva rinunciato. Iniziava a capire di essere stata coinvolta in un grosso malinteso.
- Quindi… - mormorò. - Tu… insomma, l’hai solo aiutato? Non è successo nient’altro?
- Beh, no, nient’altro, a parte il fatto che ho dovuto occuparmi di Ben per il resto della notte. E che poi al mattino non ricordava nulla, quindi temeva che l’avessi rimorchiato e sedotto la sera prima.
Santa Helga! Tutto qui?!
- Ora, capirai che una circostanza del genere è difficile da vivere e impossibile da raccontare, ma…
Adams si zittì, perché Audrey aveva cominciato a ridere, ridere, ridere senza ritegno.
Oh cielo! Amico mio, non cambiare mai, perché sei perfetto così!
Rise ancora e ancora, tenendosi la pancia, finché Adams non si arrese e scoppiò a ridere a sua volta.
I don’t care for Muggleborn, I don’t care for Purebloods, I don’t care for Halfbloods too, I don’t care at all!
 
 
 
 
 
Nessuno dei partecipanti lo avrebbe mai ammesso, ma tutti quelli che erano stati presenti anche al matrimonio di Bill non riuscivano a fare a meno di ricordare il modo catastrofico in cui quella festa era terminata.
Alcuni, addirittura, sembravano sorpresi che a fine serata non fossero ancora comparsi Patroni, tipi incappucciati e altre simili amenità; seduta a fianco di Bunbury, zia Muriel non aveva mancato di descrivere al povero Babbano i dettagli più truculenti di quella sera ormai lontana, spiegandogli di come aveva quasi perso un braccio nel tentativo di Smaterializzarsi lontano da lì. Dall’altra parte, Evangeline era assediata da un non più molto sobrio Arthur, che da ore ormai cercava di farsi raccontare con precisione l’uso delle più strampalate invenzioni Babbane.
- Sembra che i nonni si stiano divertendo - commentò Audrey, ricomparsa poco prima al fianco di Percy.
A questi venne da ridere: se era vero, doveva ammettere che i Babbani avevano uno strano concetto di divertimento…
- Nini dov’è? - chiese ancora la ragazza.
- L’ha presa Jarne poco fa. Ormai la chiami solo Nini, eh?
- È lei che l’ha chiesto.
Risero piano. Era tutto così… strano. Perché diamine ci avevano messo tanto per arrivare a quel punto?
Non era evidente fin dall’inizio il modo in cui quella storia sarebbe finita?
Audrey ripensò un momento alla prima volta che aveva visto Percy, alla sua antipatia, al suo scarso senso dell’umorismo…
No, non era evidente. E nemmeno per lui, ne sono certa.
Ad ogni modo, ci erano arrivati. Erano lì, tra la fine di una storia e l’inizio di un’altra. Magari non sarebbe cambiato assolutamente nulla, magari invece già il giorno dopo si sarebbero svegliati diversi… chi poteva dirlo.
Dovevano solo aspettare e vedere cosa sarebbe successo.
Avevano tutta la vita, ormai.
 
 
 
 
... Eh no, aspetta. Qualcosa non deve cambiare affatto.
- Percy…
La musica si era spenta, la festa scemava. I cugini di Audrey iniziarono a salutare tutti e a riportare i bambini a casa, la signora Weasley e la signora Bennet si abbracciarono ridendo e piangendo assieme per darsi la buonanotte, e molti si erano già congedati dai due sposi.
- Percy…
- Sì?
- Posso chiederti una cosa?
- Tutto quello che vuoi.
La spontaneità di quella risposta commosse Audrey più di tutto il resto; era in quei momenti che sentiva maggiormente l’amore che le portava, di cui non avrebbe mai smesso di dubitare.
- Ecco… io adesso non sono più Audrey Bennet, giusto? Sono Audrey Weasley.
- Sì, lo so.
Audrey lo guardò. Quello che stava per dire poteva suonare molto stupido o molto serio. Sperò che lui capisse.
- Quello che voglio chiederti è questo: potresti… non smettere di chiamarmi Bennet, per favore?
Percy restò sorpreso per un istante, poi scoppiò a ridere: la risata più forte e lunga che Audrey avesse mai sentito da lui.
- Aud… non smetterò mai di chiamarti Bennet. Rassegnati.
Un’ultima risata, poi la festa si concluse davvero.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Percy e Audrey vissero insieme ancora per molti, molti anni. La loro prima figlia, Molly – chiamata sempre e comunque Nini, anche da adulta – crebbe sana e felice; fu Caposcuola, come suo padre, e Battitore, come i suoi zii.
Quando Nini compì sei anni, i suoi genitori decisero di regalarle una sorella: fu così che, esattamente due mesi dopo il suo settimo compleanno, nacque la piccola Lucy, destinata a diventare la prima Tassorosso della famiglia e a coltivare un’enorme passione per la Babbanologia – seconda solo a quella di suo nonno Arthur, ovviamente.
Entrambe le figlie di Percy e Audrey, nate dalla strana unione di due persone ancora più strane, ebbero vite piene di momenti più e meno felici, gioie e litigi, amicizie e rivalità…
… ma questa, cari amici, è un’altra storia. La nostra finisce qui.
 
O forse incomincia.































Note del capitolo:
1) Il signor Daverio è ispirato, almeno per il nome e per l’aspetto, a questo signore qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Philippe_Daverio
Non so perché, ma quando ho immaginato il proprietario dell’atelier mi è subito venuto in mente lui. Boh.
2) “Salazar ballerino” è una rivisitazione di “Giuda ballerino”, di cui Dylan Dog detiene il copyright
3) Le canzoni che i tipi ubriachi cantano sono versi modificati di queste canzoni:
Streams of whiskey
If I should fall from grace with God 
The grat song of indifference
4) La vera storia di Ben e Adams è una cazzata… ma ehi, cosa vi aspettavate? ^_^
5) Non scriverò mai più un finale così zuccheroso e vomitevole. Mai più.
 
 
… fine?
… ebbene sì!
E allora… vai con la sigla! http://www.youtube.com/watch?v=MrOsHfZsVLk (cliccate con la rotella del mouse oppure click destro e “Apri in un’altra scheda” per ascoltare mentre leggete!)
 
 
 
Eccoci qui. Ho aspettato e temuto questo momento così a lungo che mi sembra strano esserci, finalmente.
Davvero, non ho ancora realizzato che questa long è finita. Probabilmente non lo farò nemmeno quando spunterò la casella “Completo” accanto ad essa.
Forse lo realizzerò domani, o dopodomani, quando penserò “Adesso inizio a ideare qualcosa per il nuovo capitolo!” e mi renderò conto che no, non c’è un nuovo capitolo da pubblicare, e che ho già detto tutto ciò che volevo dire.
Cavolo.
Messa così è piuttosto drammatica. Vediamo allora i lati positivi della vicenda: questa ff, per come la vedevo io, era pronta a restare un aborto incompiuto nel mio profilo autrice, una storia che avevo iniziato e non più terminato.
Invece, un anno fa, spinta da non so cosa l’ho ripresa in mano; ho trovato nuovi lettori che mi hanno incoraggiata e sostenuta, mi sono impegnata di più e… beh, ora sono orgogliosa di questa storia, con tutti i suoi pregi e difetti.
Non è perfetta, non è eccellente, ma le voglio bene. Questa long mi ha accompagnata attraverso molti momenti, mi ha vista ridere e scoraggiarmi, crescere sia come scrittrice sia – e soprattutto – come persona. Ha visto così tanto di me che forse mi conosce meglio di chiunque altro.
No, okay, sto esagerando. Scusatemi, sapete, è l’emozione.
Comunque, voglio bene anche a voi. No, non è un modo per fare la simpatica o la ruffiana: è esattamente ciò che sento.
Sapere che in questi mesi, in questi anni avete letto, aspettato, riso e purtroppo qualche volta pianto assieme a me e ai miei personaggi, mi fa sentire davvero vicina a voi.
Sto scrivendo un mucchio di cazzate, scusatemi. È la prima volta che termino una storia così lunga, e non so esattamente cosa dire.
Spero che l’epilogo abbia soddisfatto le vostre aspettative (se trovate errori fatemelo sapere, anche via messaggio privato se volete). Per me è davvero troppo smielato, ma amen.
Vi ringrazio, dal profondo, per il sostegno che mi avete dato. Credo che avrei abbandonato davvero la storia se non avessi trovato così tante persone che credevano in lei e in me. Grazie, a ciascuno di voi.
 
 
 
 
Bene, miei cari, dopo questo sproloquio Percy ed io siamo pronti a prenderci una luuuuuuunga vacanza (in posti separati, ovviamente!), ma torneremo quanto prima con il seguito, anzi, I SEGUITI a questa long.
Uno è già stato pubblicato, e lo troverete qui: Fuoco fatuo
Ci sono poi un paio di one-shot pronte e una mini-long work in progress, quindi non sarete abbandonati a lungo. Per trovarle vi basterà cercare tra le ff che hanno come protagonista la coppia “Percy/Audrey”, oppure, se volete essere avvisati da me, scrivetemi un messaggio e vi avvertirò appena posto.
E sì, con calma scriverò anche i missing moments. YEAH!
Ora, però, è il momento di congedarsi davvero, miei cari.
Mi inchino dinanzi a voi e vi ringrazio ancora una volta dal profondo del mio cuoricino bisognoso d’affetto, insieme alla miriade di personaggi inventati apposta per questa storia e a quelli che sono stati coinvolti nella strag-ehm, che hanno deciso di intervenire a loro volta.
In particolare voglio ringraziare coloro che hanno ispirato determinate parti di questa long:
 
Jane Austen e il suo “Orgoglio e pregiudizio”: per il cognome di Audrey e le parti citate nel capitolo 15;
Jules Verne e “Viaggio al centro della Terra”: per il cognome Saknussem;
I White Stripes: per il giro di basso iniziale di “Seven Nation Army” (capitolo 4)
Andrea De Carlo e il suo “Due di due”: per la metafora della vetrina (capitoli 8 e 10)
Baden-Powell e il suo “Libro dei Capi”: il capo deve dare l’esempio (capitolo 9)
Alfred Hitchcock e “Psycho”: per la citazione nel capitolo 15
I Queen, i Pink Floyd, i Clash e Chuck Berry: per le citazioni nel capitolo 15
Andrea Camilleri: per il proverbio “Avere un cuore d’asino e uno di leone” (capitolo 17)
Marco Tullio Cicerone: per il detto “mala tempora currunt, sed peiora parantur” (capitolo 18)
Il maestro Socrate: “Il vero sapiente è colui che sa di non sapere” (capitolo 19)
Daniel Defoe e la sua “Moll Flanders”: per avermi dato una spiegazione razionale al perché la prima figlia di Audrey e Percy si chiami Molly che sia diversa da quella, bella ma troppo inflazionata, dell’omaggio alla signora Weasley (capitolo 20);
Fata Blu: per la segnalazione per le Scelte (capitolo 21)
Fred Penner: per la sua versione di “The cat came back” (capitolo 22)
Charme: per “Medieval Struggle” (capitolo 27)
aGNeSNaPe: per la fanart di Adams e Nini (capitolo 27)
Italo Calvino: per la citazione all’inizio di questo capitolo;
Oscar Wilde: per il nome di Adams, nonno Bunbury e molto, molto altro (anche se per anni non abbiamo fatto altro che litigare);
Douglas Adams: per il cognome di Adams e, a prescindere, per la sua Guida Galattica per gli Autostoppisti che mi ha insegnato a “non farmi prendere dal panico” e a non avere paura di creare personaggi folli.
 
Dimentico qualcuno?
Ah, ma certo:
J.K. Rowling, a cui (purtroppo) appartengono tutti i personaggi non originali di questa ff, nonché il background e la storia.
 
 
 
Ciascuno di voi, in verità, meriterebbe una dedica… ma mi conterrò ^^
Di nuovo grazie, e spero di ritrovarvi presto.
Grazie, grazie, grazie.
 
Sempre - sempre! - vostra,
Fera




... merda, lo sto realizzando. HO FINITO!!!
   
 
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