-E
così, Hector, hai una figlia-
-Prospero, per
te, mia bella Vera.-
-Come vuoi.
Rifacciamo. E così, Prospero, hai una figlia.-
La donna si
tolse i guanti di pizzo nero con un gesto elegante. Il sorriso era
lievemente sarcastico. Labbra rosso fuoco in un viso bianco e
perfettamente truccato, affondato in un mantello nero bordato dal collo
di piume di corvo.
-Così
pare.-
-Quello che
non capisco è il mio ruolo in tutto ciò.-
Lui le tolse
il mantello con la galanteria che lo contraddistingueva. Il corsetto le
lasciava impudicamente le spalle scoperte; sulla spalla sinistra e
lungo tutto il braccio, la donna aveva un drago tatuato.
Prospero le
scostò galantemente la sedia e la fece accomodare.
-Vera…
la bambina ha mostrato la scintilla. Per la precisione mi ha rotto una
tazza da tè.-
-Notevole.
Quanti anni hai detto che ha?-
-Cinque, mi
sembra.-
-Decisamente
notevole. Tuttavia continuo a non capire perché mi hai
cercato.-
Lui prese una
bottiglia di Bernier Chardonnay e due calici; versò il vino.
-Qualcuno deve
insegnare alla bambina a controllare i suoi poteri; non le si
può dare un’istruzione magica se non
saprà almeno controllare la magia.-
Vera
inarcò un sopracciglio.
-Scordatelo.
Da quando in qua sono diventata una bambinaia?-
-Non dovrai
occuparti di lei; dovrai solo insegnarle per un paio di mesi, non credo
ne servano di più. Avrai un carrozzone tutto tuo, con letto,
tavolini, paraventi, vasca da bagno, oppio e tutto il vino che vorrai.
Riceverai una ricompensa in denaro. E ti dovrò un favore.-
Lei lo
fissò.
-La bambina
non verrà nel mio carrozzone. Mi darai una di quelle vostre
tende bianche e nere per farle lezione, con tutto
l’occorrente; vino e tappeti sono compresi
nell’occorrente, occorrono a me per sopportare i bambini. E
non ti intrometterai nei miei insegnamenti, non mi interessa come
intenderai procedere con la sua educazione.-
-Non mi
intrometterò. Nemmeno io sono una bambinaia, e saranno altri
a procedere con la sua educazione, quindi il modo in cui la addestrerai
non sarà un mio problema.-
-Fammi
capire… non hai nemmeno preso in considerazione
l’ipotesi di insegnate la magia a tua figlia?-
Lui
scrollò le spalle, rivolgendole un sorriso ribaldo.
-Andiamo,
Vera, lo sai: non sono fatto per essere un padre né un
maestro. La bambina mi è capitata, me ne farò
carico, ma questo non significa che debba essere io a sobbarcarmi
l’ingrato e noioso compito, non credi?-
La donna
strinse gli occhi.
-Hector…
te l’ho mai detto che sei un dannato bastardo?-
-Ti premuri di
ricordarmelo ogni volta che ci vediamo, mia bella Vera.-
Lei
sospirò.
-Affare fatto,
Prospero l’Incantatore; in fondo non capita a tutti di poter
assistere gratuitamente a un paio di mesi di spettacoli del Cirque
des Rêves; magari stando qui
riuscirò ad assistere allo spettacolo che mi divertirebbe
più di tutti-
-Ossia, mia
bella Vera?-
Prospero le
versò il vino nel bicchiere, affascinante come sempre. Si
fissarono negli occhi. Brindarono.
-Ossia vedere
se quel maledetto cancello che si apre verso l’esterno arriva
nei denti a qualcuno, questa volta.-
Vera
sospirò impercettibilmente davanti allo sguardo della
bambina.
Non era uno
sguardo ostile, era più un qualcosa del tipo “io
non voglio essere qui e non ho nessuna intenzione di interagire con te
in alcun modo”. Lei non aveva idea di come affrontare i
bambini.
Dannato
Hector. Quella bambina aveva i suoi stessi occhi.
-Ti chiami
Celia, quindi.-
Lei non
rispose. Vera si versò un bicchiere di vino.
-Sarebbe
d’uopo rispondere “sì, maestra
Vera”, o “no, maestra Vera” nel caso in
cui non fosse così. Ma lo è. Sei uno scherzo!-
Inaspettatamente
la bambina reagì. –Cosa?-
Vera sorrise.
–Uno scherzo. Celia in italiano vuol dire scherzo. Non sai
nemmeno un po’di italiano, suppongo…-
-Quel
signore… mio
padre
ha detto che dovevo chiamarmi Miranda. Ma io mi voglio chiamare Celia.-
-Fai bene,
cara. Tieniti stretto il tuo nome, cambialo solo se decidi tu di farlo,
non lasciare che qualcun altro ti dica chi sei, nemmeno se è
tuo padre. Questa è la prima lezione; nella magia il nome
è importante, dagli valore. Forse ti diranno che anche con
un altro nome una rosa è sempre una rosa, ma non credergli:
il suono dei nomi fa parte dell’essenza stessa
dell’oggetto che viene chiamato. Oh, ma sto complicando le
cose, lascia stare… Miranda, perché
lui si fa chiamare Prospero. Fossi nata maschio avrebbe suggerito
Astianatte?-
La bambina
sgranò gli occhi; non parlò solo
perché non avrebbe saputo come ribattere.
-Niente
italiano, ma anche niente Shakespeare né Omero, noto. Oh,
beh, non è un mio problema… sai perché
sono qui, Celia?-
La bambina
annuì. Poi tacque.
-Non essere
maleducata, Celia. Se ti faccio una domanda, rispondi.-
Lei si
sentì punta sul vivo; evidentemente sua madre teneva molto
all’educazione, perché ribattè:
–Io non sono maleducata-, e incrociò le braccia.
Quando Vera aggrottò le sopracciglia, si decise a
rispondere: -Sono qui perché tu sei l’amica
di… di mio
padre
e mi devi insegnare la magia.-
-Quasi. Io ti
insegnerò a controllarla. Poi sarà qualcun altro
a insegnartela. Dimmi, Celia… pensi che ti possa piacere,
imparare la magia?-
Lei la
guardò come se le avesse fatto una domanda ovvia.
–Sì, maestra Vera-, rispose. In questo almeno era
una bambina come tutte; a quale bambino non sarebbe piaciuto imparare
la magia?
Poi
però la facciata strafottente di Celia crollò
all’improvviso, rivelando tutto lo smarrimento di una bimba
di cinque anni rimasta orfana e finita d’un tratto in un
mondo che le era completamente estraneo; la fissò con gli
occhi lucidi e le chiese: -Ma che posto è questo?
Perché so fare quelle cose? Cosa sono io?-
-Questo
è il Cirque
des Rêves, tesoro, e tu sei
fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni-,
sospirò Vera, versandosi un bicchiere di vino.
-La magia
è volontà, Celia. All’inizio esce
incontrollata, ma tu devi imparare a sentirla. Senti da dove passa, da
dove ha origine, come fare per provocarla: è un
po’ come quando si fa l’amore, le prime
volte… oh, cielo, no, dimentica questa parte, tesoro.
Dicevo. Impara a richiamarla. Quando hai rotto la tazza a tuo padre,
cosa sentivi? Rabbia, immagino.-
-Lui ha detto
che la mamma era una stupida. Ha riso di lei.-
Vera
alzò gli occhi al cielo. Prospero l’Incantatore,
delicato e sensibile come un tritasassi.
-Bene. Tesoro,
lo so che fa male, ma devi ripensarci. Richiama quello che hai sentito,
la rabbia, il dolore, lo smarrimento, ma stavolta stai attenta: segui
la magia.-
Celia
aggrottò le sopracciglia fissando intensamente la sfera di
cristallo di Boemia appoggiata sul tavolino di fronte a lei, ma non
accadde niente. Si arrese. Poi riprovò.
-Sai che
quella sfera l’ho presa tra le cose di tuo padre? Ci
è anche affezionato. Se gliela rompi ci rimarrà
male-, buttò lì Vera.
Crack.
Come volevasi
dimostrare. Celia sorrideva; era strano vedere la stessa piega ribalda
del sorriso di Hector sul viso di una bambina di cinque anni.
-Sei stata
attenta?-
Celia si fece
seria.
-È
partita da qui-, le disse, indicandosi il centro della fronte. Dal
terzo occhio. Notevole.
-Bene. Direi
che per oggi la lezione è terminata, cara… oh,
non avere fretta. Io ho finito. Tu passerai la giornata a esercitarti.-
Sorrise, e le
strizzò l’occhio.
-Rompi cose,
Celia, e se ti sgridano mandali da me. Sfogati, perché
domani dovrai farlo al contrario: usare la magia per rimetterle
insieme. Oh, un’ultima cosa.-
La bambina
sbuffò.
-Mi si dice
che sei sempre da sola, e questo non va bene. So che qui non ci sono
bambini della tua età, ma la magia è anche
conoscenza; parla con le persone del circo, mentre vai in giro. Fagli
domande. Impara a conoscerli. E non sbuffare mai più davanti
a me. D’accordo?-
Celia
annuì, con il visetto contrito.
-Non
è vero che sei un’amica di mio padre: tu sei stata
la sua amante e ci andavi a letto.-
Vera
rischiò di sputare il vino che aveva in bocca, in maniera
molto poco signorile.
-E questo chi
te lo ha detto, signorinella?-
-Me
l’ha detto Ivy!-
Vera
sospirò. Pensare che le era sembrata così una
buona idea spingere la bambina a frequentare i colleghi del padre.
-Tesoro,
capita che i grandi dicano “amica” per indicare una
relazione di tipo… più intimo.-
-Quindi andavi
a letto con mio padre quando non ero ancora nata?-
-Ma certo che
eri nata, tesoro. Quanto credi che sia vecchia?-
In
realtà Vera era meno giovane di quanto appariva, e di certo
era già adulta quando Celia non era ancora nata; ma non le
piaceva dire la sua età, e poi la sua relazione con Hector
risaliva più o meno a cinque anni prima. Quindi
sì, Celia doveva essere già nata, supponeva.
La bambina
strinse gli occhi.
-Quindi tu
stavi con mio padre al posto della mia mamma!-
Lei rimase
interdetta.
-Celia, mia
cara… tuo padre e tua madre non sono mai stati insieme. Tua
madre non ha mai rivelato la tua esistenza fino a quando…
cielo, fino a quando non ti ha mandata qui, mi risulta. Tuo padre non
sapeva di te, per questo non lo conoscevi.-
La bambina
rifletté intensamente.
-Perché
la mamma non gliel’ha detto?-
-Non saprei,
tesoro. Suppongo non lo ritenesse né un buon padre
né un buon compagno.-
Avrebbe voluto
rimangiarsi quelle parole, ma le erano sfuggite. Oddio, decisamente non
era abituata a trattare con i bambini, lei.
Celia la
fissò intensamente.
-Allora
perché si è uccisa e mi ha lasciato a lui?-
Vera
sospirò.
-Non ne ho
idea, cara, credimi. Forse era molto triste.-
Capì
di nuovo di aver detto la cosa sbagliata. Perché
a me?
Si chiese.
-Mio padre non
mi vuole, la mamma era triste e si è uccisa…
perché non mi voleva nessuno?-
-Ma no, cara,
è che…-
Sospirò.
Celia la guardava con uno sguardo talmente serio che la commosse. Anche
se era solo una bambina non si meritava pietose bugie.
-Celia, ti
dirò la verità, almeno la verità che
so io. Ma tu devi ascoltarmi molto attentamente, capito?-
Lei
annuì, grave.
-Bene. Tesoro,
probabilmente no, non ti volevano. A volte i grandi fanno degli sbagli,
sai, proprio come i bambini. Solo che se un bambino sbaglia si prende
una sgridata, quando sbaglia un grande invece sono fiumi di
lacrime… oddio, che sto dicendo.-
-Stai dicendo
che hanno fatto uno sbaglio e sono nata io.-
-Ecco.
Però, vedi, Celia…-
Fissò
la bottiglia di vino davanti a sé. Così
intensamente che il vino tremò.
-Lo sai
com’è nato questo vino?-
La bambina
scosse la testa. Sembrava smarrita.
-È
stato uno sbaglio. Gli agricoltori non sono stati attenti e hanno usato
dell’uva ammuffita. E sai cos’hanno scoperto?-
-Cosa?-
-Che quel
particolare tipo di muffa, invece di rendere il vino cattivo, lo
rendeva molto più buono. A volte da un errore nasce qualcosa
di prestigioso, tesoro, che non sarebbe nato se nessuno avesse
sbagliato. E quindi l’errore si trasforma in fortuna. Tu sei
una fortuna, mia cara. Capito?-
Celia
annuì. Fissò il vino.
-Posso berne
un po’?-
Vera rimase un
attimo interdetta. Sospirò.
-Ma certo,
tesoro, dopotutto ne hai bisogno. Ne abbiamo bisogno entrambe, temo.-
Glielo
versò in un calice vero, da adulta. Il Clos Labere era
giallo carico, e aveva un profumo che stordiva.
Celia fece per
bere, ma Vera la fermò.
-Cara, non
così. Tra persone come te e me fare così
è considerata una sfida. Bisogna brindare guardandosi negli
occhi.-
-Perché?-
-Perché
guardandovi negli occhi tu e la persona che sta bevendo con te potreste
incatenarvi a vicenda, ma scegliete di non farlo. È un atto
di fiducia, significa che si beve in pace e non si ha intenzione di
offendere. Naturalmente, come tante cose, è solo questione
di etichetta; ma è bene sapere come comportarsi, soprattutto
quando si tratta con chi conosce la magia. E diciamo pure che questa
era la lezione di oggi.-
Celia
annuì. Fece il brindisi con una serietà che Vera
non aveva mai visto, negli occhi di Hector.
Visti i
risultati del girovagare incontrollato di Celia, Vera si avvolse nel
mantello, decisa a tenere d’occhio le persone con cui la
bambina decideva di parlare. Avrebbe preferito prepararsi un bagno
caldo, o passare il tempo a leggere, bere e fumare oppio; in
verità quello che avrebbe veramente gradito fare era
chiamare Hector nel suo carrozzone per, diciamo, discutere con lui
circa i progressi di sua figlia. Ma ad ogni modo, considerò,
quella sarebbe stata davvero una pessima idea.
Aprì
la porta, si guardò intorno in fretta, poi si
tramutò in corvo e volò via in un frullo
d’ali.
Celia stava
girovagando con aria svogliata tra i tendoni, il suo cappottino era una
macchia rossa tra il bianco e nero del circo. Guardò una
pozzanghera con l’intensità di uno che voleva
buttarcisi dentro, fino a che l’acqua si increspò
in piccole ondine che le bagnarono la punta degli stivaletti; allora
smise.
-Bambina…
Miranda… non dovresti essere fuori con questo freddo. Credo
non sia sano.-
A parlare era
stato un uomo seduto davanti a un carrozzone completamente nero. Se ne
stava lì, fermo, accanto a una donna che cuciva un costume
di scena.
Vera lo
riconobbe; la sera prima aveva assistito allo spettacolo (niente
cancellata nei denti degli spettatori, purtroppo) e il numero
dell’uomo era quantomeno singolare. Il suo nome
d’arte era il Barone della Luna Storta
(“L’hanno licenziato dal purgatorio!
L’hanno impiccato e si è rotto il
ramo!”) e faceva ballare gli scheletri. Dopo i trapezisti e
prima degli elefanti, lui si presentava con il volto truccato da
teschio, frac e cilindro, faceva strane cose con le ombre e poi evocava
scheletri facendoli sorgere dal suolo, per poi comandarli a suo
piacimento. Vera non l’avrebbe mai detto, ma i bambini lo
adoravano.
Celia invece
lo guardò corrucciata.
-Mi chiamo
Celia. Non Miranda.-
l’uomo
si strinse nelle spalle, con espressione indifferente. Il suo volto era
bianco anche senza trucco.
-Maestra Vera
ha detto che il nome è molto importante!-
Se Vera non
avesse avuto il becco al posto della bocca, avrebbe sorriso soddisfatta.
-Lo
è finché sei viva-, ribatté lui. -Ma
prima o poi moriremo tutti, e allora non avremo nome. Saremo cenere e
polvere.-
La donna
accanto a lui sbuffò e gli punse scherzosamente il dorso
della mano con l’ago che stava usando. Una goccia di sangue
rosso colorò il bianco della sua pelle.
-Non essere
macabro, la bambina ha ragione. E poi non saremo cenere e polvere; lo
saranno le nostre spoglie mortali. Ma c’è qualcosa
di noi, Celia, che vivrà in eterno.-
La donna aveva
un bel sorriso e lentiggini sul volto, e lunghi riccioli biondo scuro.
-Tu sai
parlare con i morti?- chiese Celia al Barone. Lui annuì
appena. –Certo che so farlo. Ma raramente hanno qualcosa di
interessante da dire.-
-Come si fa?
È difficile?-
-Parlarci no.
Farsi rivelare segreti o comandarli, sì. Ma parlarci non
direi.-
Celia lo
degnò di un sorriso. Il sorriso affascinante di Hector.
-Come si fa?-
Il Barone si
strinse nelle spalle.
-Serve
qualcosa che appartenga al morto, naturalmente; se si ha un suo osso
è meglio. Poi ci vuole una piuma di corvo, che dei morti si
nutre, e la parte del corpo di un gatto, che è sul filo dei
due mondi. Basta anche solo il pelo, anche se c’è
chi per sicurezza uccide direttamente gatti neri; a mio parere
è un’inutile esagerazione. Un sistro, ma va bene
anche una campanella. Oh, e naturalmente il sangue, si sa che i morti
vogliono il sangue. Ne basta anche una goccia, come quella
della puntura di un ago. Mentre fai scorrere il sangue, fai scorrere la
magia, e sarai al di là della soglia. La tua
volontà ti guiderà da colui che cerchi.-
-Finiscila,
così spaventi la bambina…-
La compagna
del barone sorrideva, mentre cuciva lustrini rossi su un costume bianco
e nero.
-Non mi sembra
spaventata, i bambini non si spaventano mai. Loro lo sanno che
è inutile avere paura di qualcosa che tanto capita a tutti.-
-Non sono
spaventata-, assicurò Celia. Poi si mise a guardare le dita
della compagna del Barone, affascinata da tutti quei lustrini.
Rassicurata,
Vera tornò al suo carrozzone.
-Questa
è stata la tua ultima lezione, Celia. Domani stesso me ne
andrò… oh-oh, cos’è quella
faccia?-
-E io cosa
faccio?-
Vera
sospirò.
-Tesoro, tu
imparerai la magia. Non so cosa abbia intenzione di fare di te tuo
padre, ma sono sicura di una cosa: imparerai la magia.-
La bambina
strinse gli occhi: Vera afferrò con la mano la bottiglia di
Pétrus che vibrava pericolosamente.
-Non ci
provare, Celia. Si può sapere perché fai
così? Imparerai la magia, ho detto. Ti ho mai mentito?-
-No-,
borbottò lei. Poi la fissò, implorante. Ecco,
quello è uno sguardo che Prospero decisamente non ha mai
avuto. –Perché non me la puoi insegnare tu, la
magia?-
Vera si
versò un calice di vino.
-Non
sono… non è quello che voglio fare, Celia.
Bisogna sapere cosa si vuole fare, nella vita; non è sempre
facile, tesoro, ma anche sapere cosa non si vuole fare è
già qualcosa. Però ci rivedremo, se vorrai.-
Celia mise il
broncio.
-Non lo so se
voglio rivederti.-
Vera
sorseggiò il Pétrus.
-Se vorrai,
cercami. Io di sicuro vorrò rivederti, e ti
cercherò.-
-Me lo
prometti?-
-Te lo
prometto.-
Non era stata
una buona idea andare da Prospero. Lui le aveva dato la ricompensa
pattuita, l’aveva ringraziata e poi si era accomiatato da
lei; solo che in genere non è così che ci si
accomiata. Di norma si rimane molto più vestiti.
Vera
sospirò, chiudendosi la porta del suo carrozzone alle
spalle. Ogni volta finiva così. Ogni. Volta. Le ci voleva un
bicchiere di vino.
D’un
tratto notò qualcosa di strano; era come una nota stonata,
un dettaglio che la disturbava a livello inconscio. Si
guardò intorno.
Il suo
mantello non era come l’aveva lasciato.
Lei era
estremamente scrupolosa su due cose: il suo vino e le sue piume. E il
collo di piume del mantello sembrava rovinato, come se
qualcuno… Bingo, qualcuno aveva
staccato una piuma. Ce n’erano altre due o tre che si erano
allentate, nel punto in cui il filo era stato tirato.
Chi mai
avrebbe dovuto volerle rovinare il mantello? Si chiese Vera. Il suo
mantello preferito, il suo mantello setoso, scuro, col collo
di… piume
di corvo.
Oh, cielo.
Poi
ci vuole una piuma di corvo, che dei morti si nutre.
Vera fece una
risatina nervosa. No, non poteva essere. Celia non aveva mai accennato
al fatto che le mancasse la madre, no? No.
“Allora
perché si è uccisa?”
No, andiamo,
si disse, sei la solita esagerata. Celia non…
Celia
è una bambina di cinque anni la cui madre si è
uccisa spedendola come un pacco postale da un padre che non sapeva di
avere e che non è stato contento di vederla. Fossi in lei,
non ti piacerebbe chiarire un paio di questioni?
Vera si
sentì gelare.
Si
precipitò nella tenda in cui faceva lezione a Celia,
sperando di trovarla vuota e che la bambina fosse a saltare nelle
pozzanghere o a tediare gli artisti o qualunque altra cosa.
Invece Celia
era lì.
Ma
contemporaneamente non lo era.
Stava in piedi
davanti al tavolino e stringeva una catenina; un taglio sul pollice le
faceva colare il sangue sulle mani, impiastricciandole di rosso.
Davanti a lei c’era la piuma di corvo, qualche pelo scuro di
gatto e una campanellina d’argento che doveva aver rubato da
un costume di scena. I suoi occhi erano vuoti, guardavano fisso
qualcosa che non era nella tenda; la temperatura era gelida.
Vera prese lo
stiletto che teneva nella giarrettiera, si tagliò il palmo
della mano e lasciò scorrere la magia.
Era freddo, ma
il freddo non si appoggiava sulla pelle, veniva dalle ossa e sembrava
raffreddare la pelle da dentro. Vera detestava il freddo della morte.
I contorni
della tenda e delle cose dentro di essa apparivano sfocati e
fluttuanti, come nebbia. In compenso le figure lunghe e scure che
circondavano Celia erano straordinariamente solide.
“Nel
loro mondo, il nostro è come nebbia. Noi li vediamo
attraversare gli oggetti perché i morti sono più
densi; dopotutto, anche noi passiamo attraverso la nebbia
perché siamo più densi di lei”. Glielo
avevano insegnato tanto tempo fa.
-Lasciatela
andare. Lei non appartiene a voi; lasciatela a me.-
Le figure non
si girarono verso di lei; semplicemente prima erano di spalle, ora di
fronte. Il pavimento di nebbia della stanza sembrava farli fluttuare.
Lei
ha varcato la soglia… è stata lei a venire
qui… lei è nosss… il suo sangue
è nostro… qui… è stata
lei…
I morti
parlavano tutti insieme; i loro sibili erano percepiti dal corpo di
Vera come se qualcuno le passasse una lima sui nervi.
Celia
urlò il suo nome e provò a scappare verso di lei.
Ma le fu sbarrata la strada.
-Lei
appartiene a me. Datela a me.-
Volontà.
La magia è volontà.
Uno dei morti
le venne incontro. Non aveva un vero e proprio movimento: lo vedeva
farsi più vicino, ma senza che l’occhio riuscisse
a capire dove sarebbe stato l’attimo dopo. Vera
alzò la mano per fermarlo; si rese conto che la punta delle
dita le stava diventando blu.
Non…
da tanto tempo… lei è nostra…
“Gli
Inquieti sono legati al mondo. Bramano la vita. Hanno
volontà forte, ma desideri semplici.”
Detestava la
necromanzia. L’aveva sempre odiata.
-Lasciatela a
me. Vi darò qualcosa in cambio. Lasciatela a me.-
Il morto si
fermò. Gli altri gli si fecero accanto, continuando a
parlarsi sopra.
Un
patto… qualcosa in cambio… è stata lei
a venire qui… cosa ci offri… in cambio
del sangue… cosa ci offri… lei
è nosss… il suo sangue è
nostro…
Celia
singhiozzava, dietro la schiera di figure scure.
Vera non aveva
la minima idea di cosa offrire in cambio. Era uno di quei momenti
terribili in cui sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa e anche
piuttosto in fretta, ma la mente non collaborava, era completamente
vuota e taceva. Avrebbe tanto voluto un bicchiere di vino.
Di vino.
-Vi
darò in cambio il gusto del vino; vi darò il vino
al posto del sangue di una bambina così piccola, che
è poco e finirà presto. Il gusto del vino per
qualche goccia di sangue: il vino che irrobustisce il sangue, che
scalda le vene, che accende i sensi. Vi darò il vino, che
è il Sangue di Cristo. -
Il sussurro
dei morti si fece più basso. Il loro confabulare aveva il
suono delle voci che a volte si sentono nel dormiveglia, che sono al di
là dello spettro dell’udito e sono accompagnate da
un brivido.
Poi tacquero.
Uno di loro (quello di prima? Vera non avrebbe saputo dirlo) le si
portò di fronte con quella sua andatura inquietante.
Allungò le dita.
Lo
scambio è accettato… il vino per il sangue.
Vera
sentì il mormorio dei morti. Se fosse soddisfatto o rabbioso
non sapeva dire.
Il morto le
toccò appena le labbra; bastò quel tocco a farla
sentire per un istante come se stesse avvizzendo, si stesse seccando,
stesse diventando polvere.
Ma ora Celia
poteva passare; le corse incontro, singhiozzando.
Poi qualcosa
andò storto.
Uno dei morti
si staccò dal gruppo, ma lei non percepì il
movimento; lo vide improvvisamente accanto a Celia, che
strillò. Agì d’impulso,
evocò una folata di vento e il morto venne spinto indietro.
Il vento, al di là della soglia, era quello della piana
dell’Armageddon, e portava con sé le grida dei
dannati. Vide gli occhi di Celia spalancarsi dal terrore.
La
afferrò e si concentrò sulla magia: la magia
è volontà, e io voglio tornare indietro. Facci
percorrere il sentiero inverso a quello fatto per arrivare qui; facci
tornare indietro.
Un momento i
contorni della tenda erano di nebbia, il momento dopo erano solidi, e
faceva caldo. Vera si lasciò cadere sulla poltrona, con
Celia ancora singhiozzante che le si aggrappava al collo, la fronte
puntata sulla clavicola.
Di riflesso
prese la bottiglia sul tavolino e si versò un bicchiere di
vino, bevendone velocemente due sorsi.
Sabbia e
cenere e terra. Però liquidi. Scagliò il
bicchiere lontano, in un gesto di stizza. Si ruppe, il vino
macchiò di rosso il bianco e nero della tenda.
Celia
alzò il viso e la guardò. Aveva gli occhi rossi e
il moccio al naso.
Vera
recuperò il suo fazzoletto di seta. –Soffia-,
ordinò.
Celia
eseguì. Poi, senza dire una parola, scivolò
giù dalle sue gambe e andò vicino al bicchiere
rotto.
Vera la
immaginò stringere gli occhi, mentre il calice si
ricomponeva e il vino scivolava dentro. Lei glielo riportò,
con lo sguardo basso.
-È
inutile, tesoro. Io l’ho regalato ai morti. Bevilo tu, se
vuoi.-
Celia ne bevve
un sorso, poi fece una smorfia. Ne bevve ancora, quasi per farle
piacere. Ma certo, pensò Vera, questo non è un
passito, è un Chateau Angelus di Bordeaux, sa di…
di cosa? Non lo ricordava.
-Mettilo
giù, bambina. Bel sacrificio mi hai fatto fare. Immagino che
qualche medico direbbe anche che devo ringraziarti-, sospirò.
-Maestra
Vera-, singhiozzò Celia. –Io… io volevo
solo parlare con la mia mamma…-
-Tesoro, vieni
qui. Ascolta.-
Celia le si
accoccolò sulle gambe. Era pallidissima e tremava.
-Non sempre si
possono avere delle risposte. A volte bisogna tenersi le domande,
sperando che arrivi il momento giusto per farle. Forse un giorno, se
vorrai, potrai cercare lo spirito di tua madre. Ma decisamente oggi non
era il momento giusto, e avresti dovuto saperlo. È
fondamentale saper riconoscere il momento giusto, Celia.-
-Ma
perché? Io ho fatto tutto come dovevo, non ho dimenticato
niente, maestra Vera, te lo giuro!-
-Lo so,
infatti hai aperto la soglia. E hai trovato gli inquieti. Anime legate
alla Terra, che non sono state abbastanza malvagie da essere dannate ma
non hanno avuto la volontà di proseguire, e non ricordano
più nulla eccetto le loro brame. Non era quello che volevi,
direi.-
-Ma il Barone
mi aveva detto…-
Vera la
interruppe. Parlò in tono piatto.
-Osso di
morto, o un suo oggetto, ma dev’essere un oggetto a cui il
morto aveva legato un pezzo di anima. Piume di corvo, ma il corvo
dev’essere catturato mentre becca un cadavere. Gatto, gli
occhi, che vedono un po’di là e un po’di
qua. Sistro d’argento, che è lo strumento di
Iside, o campanella di un lebbroso, che alla morte va incontro. Sangue
potente, meglio se di innocente o di vergine. Il Barone non te
l’aveva detto perché sei una bambina, non conosci
la magia e mai e poi mai avresti dovuto fare una cosa del genere. La
magia non è mai approssimativa. Quanto più un
ingrediente è debole tanto più devono essere
forti gli altri. E i tuoi ingredienti erano tutti deboli. Questa
è la tua ultima lezione, bambina. L’hai imparata
sulla tua pelle, e anche sulla mia.-
-Maestra
Vera… scusa!-
La donna
s’intenerì. La tenne abbracciata a lungo,
finché non si addormentò. Poi la
guardò dormire.
-Dove la
manderai?-
-Non
è affar tuo, Vera. Fuori dai piedi, comunque, per un
po’.-
-Ha passato la
soglia. Ha sentito le grida dei dannati. Non sarà mai
più la stessa, Hector.-
Lui rise.
-La stessa!
Non ha una se stessa da non essere più, Vera, ha cinque
anni! Cosa vuoi che cambi, per lei? O per me, se è per
questo?-
Vera lo
fissò intensamente. Poi lo schiaffeggiò con tutta
la sua forza.
-Sei un
dannato bastardo, Hector Bowen. Sono andata a riprendere tua figlia ai
morti, e mi disgustavano meno di te. Addio.-
Si
voltò e se ne andò, in una maniera che sembrava
tremendamente definitiva.
Lui rimase a
fissarla come se fosse impazzita, la mano sulla guancia che bruciava.
Note: Olè, finalmente posso sproloquiare in libertà!
Tutti i vini che ho citato esistono, sono francesi e piuttosto prestigiosi. L'unico che ho bevuto per davvero è il Clos Labere, che è buonissimo; me ne sarei scolata delle quantità da mensa dei ferrovieri, ma ero a casa di ospiti e la decenza ha prevalso sulla gola. Comunque ha un sapore che, a differenza dei rossi, potrebbe essere apprezzato anche da una bambina piccola come Celia.
I giochetti sul nome di Celia provengono da una battuta che fa Prospero nel primo capitolo; se "Miranda" è ovvia, "Astianatte" è il figlio di Ettore nell'"Iliade", e il vero nome di Prospero è appunto Hector. "Sei fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni" è una citazione sempre da "La tempesta" di Shakespeare, e non da "Romeo e Giulietta" come sembrano credere quelli della pubblicità dell'automobile. Da "Romeo e Giulietta viene invece la famosissima battuta "Anche con un altro nome, una rosa è sempre una rosa".
Il nome d'arte del Barone della Luna Storta e le frasi con cui viene presentato vengono da una canzone di Davide van de Sfroos chiamata appunto "El barun".
Tutte le cose sulla magia, il rituale per evocare i morti, i personaggi del circo, sono farina del mio sacco; mi sono basata sul capitolo 1 e quindi non ho idea di quanto sia stata IC o OOC. Parecchio OOC, suppongo.
Lo so che non l'avrà notato (quasi) nessuno, ma il cancello che si apre verso l'esterno, dai... su, sarà scenografico, ma la scena del cancello che si apre e falcia le persone assiepate in attesa dell'apertura del circo la vorrei vedere davvero. Sia lode al cancello.
Detto ciò... mi sono divertita molto a scrivere questa storia. L'atteggiamento di Vera nei confronti dei bambini è un po' il mio; a parole li detesto, nei fatti poi mi ci affeziono. E non gli dico mai bugie: mi ricordo bene che quando le dicevano a me pensando che poi mi dimenticassi, non mi dimenticavo e ci rimanevo male. Prospero invece mi è sembrato un'affascinante stronzo; anche lì non so quanto sia IC, ma certo non mstrava l'atteggiamento di un papà affettuoso. Pensandoci, è la prima volta che faccio un papà che non adora incondizionatamente la propria bambina.
Bene, credo di avere finito; data la cancellazione, rimetto qui le vostre bellissime recensioni. Vi ringrazio tantissimo, e prossimamente vi risponderò via mp.
A tutti gli altri, a chi passerà, a chi si divertirà... Grazie! E benvenuti al cirrrrrrco (pappaparapappapappappà)!
OttoNoveTre [Contatta]
09/02/12, ore 07:37
Hector detto Prospero: un uomo, una simpatia. Scopre che ha una figlia, ne prende atto, decide che qualcosa da mangiare e un lavoro forse si può pure concederli, poi la smolla con eleganza a qualcun altro. Perfettamente IC, per quanto le poche pagine del romanzo permettano di definire il l'IC di un personaggio. Un "affascinante criminale, senza dubbio.
Anche Celia passeggia (e fa disastri) per la storia con il suo essere una bambina di cinque anni, confusa. Mi sono piaciute molto tutti punti, che scandiscono la storia, in cui Vera la guarda e ci riconosce un po' Prospero, un po' la madre sconosciuta, un po' un carattere che sarà solo di Celia.
Ecco, già che ne parliamo, parliamo di Vera: bellissima, quelle belle maestre un po' burbere ma dal cure d'oro, che sono scocciate dai bambini più per l'imbarazzo di avere a che fare con loro che non perché li odiano. Spiegazioni e uso della magia molto "alla Gaiman", con ogni gesto che implica una conseguenza.
Perfetta anche la comparsata del Barone. Anche io da piccina avrei adorato il suo spettacolo, mi sa XD
Un bicchiere di Clos Labere a Vera e al suo scialle di piume di corvo!
(Recensione modificata il 09/02/2012 - 07:40 am)
Shinra [Contatta]
09/02/12, ore 18:45
Mi hai sospresa. È la storia più bella che abbia letto finora. Hai uno stile da professionista, i dialoghi sono studiati e realistici, per nulla banali, e ho adorato i pizzichi di sarcasmo che hai sparso qua e là. Hai avuto molto cura nel selezionare i pregi e i difetti di ciascun personaggio: non sono immortali né perfetti, e per questo sono riuscita ad affezionarmici. Ho apprezzato moltissimo come hai caratterizzato Celia, i suoi dubbi sono sinceri e umanamente ingenui, e di fronte a ciò il suo comportamento risulta comprensibile, forse addirittura giustificato. Ho apprezzato ancora di più la tua analisi dei rischi della magia, priva dei soliti, inutili e fantasiosi imbellettamenti di quest'ultima. Un altro pregio di questa storia (che trovo sia al tempo stesso manifestazione di maturità letteraria da parte dell'autore), è il cambiamento che attraversa i personaggi nel corso della narrazione, in particolare il personaggio di Vera. Questa storia merita davvero, e leggerla è stato un vero piacere!
Koishan Sokujo [Contatta]
13/02/12, ore 18:17
Davvero una bella fiction.
Vera è indubbiamente una gran donna, non solo per ciò che ha fatto per Celia, ma soprattutto per la sua saggezza e arguzia. Affascinante, saccente ed elegante, un genere di persona che attira ma che, al contempo, invoglia alla noncuranza. Mi ha divertito soprattutto quel filo di ironia mista a saggezza che ha caratterizzato quasi ogni sua parola. Per non parlare della sua essenza di femme fatale al sapore di vino.
Celia, invece, rispecchia appieno ciò che è: una bambina piccola, ingenua, con grandi poteri e un buon cervello.
Un bel lavoro, davvero.
Un saluto. ^^
ursuspov [Contatta]
14/02/12, ore 07:19
Ottima, mi piace come i personaggi interagiscono tra di loro, tutto scaturisce in modo naturale, sia la storia che i caratteri dei protagonisti. Molto bello anche il passaggio al mondo dei morti e la descrizione della magia, è molto concreta, verosimile. Un ultimo plauso ai dialoghi, sono semplici e brillanti, sempre adeguati alla situazione, e anch’essi contribuiscono all’ottima caratterizzazione dei personaggi (il tono saggio del Barone, il pragmatismo di Vera….).
vannagio [Contatta]
15/02/12, ore 19:46
Tre caratteristiche che cerco in una storia: trama accattivante, personaggi ben caratterizzati, dialoghi scoppiettanti. Questo racconto le possiede tutte e tre.
Ti sei appropriata dei principali spunti che le sei pagine offerte per il concorso fornivano e li hai sviluppati in modo originale e sorprendente, senza però snaturare quelle che sembrano essere le caratterizzazioni di Prospero e Celia.
Prospero, in particolare, lo immagino esattamente così: una figura affascinante e misteriosa, ma al tempo stesso un vero figlio di buona donna (concedimi l’espressione).
Celia è dolcissima, una bimba intelligente, perspicace, curiosa e desiderosa di imparare.
Altrettanto stupenda è Vera: la maestra di magia che tutti i bambini, e non solo, vorrebbero. Mi piace il fatto che sia burbera e affettuosa nei confronti di Celia, mi piace anche che sia combattuta tra l’attrazione che sente per Prospero e la voglia di mandarlo a quel paese.
Sei riuscita a rendere simpatici e interessanti perfino le comparse del Barone della Luna Storta e sua moglie.
E poi… che dire? Si respira un’atmosfera magica e fiabesca davvero entusiasmante. Non ho letto il romanzo in questione e quindi non so se hai azzeccato l’ambientazione, ma ti assicuro che ciò che ho travato in questo racconto è esattamente quello che mi aspettavo e che stavo cercando.
Complimenti.
fila [Contatta]
15/02/12, ore 19:53
Ho trovato questa storia molto coinvolgente e ben scritta. I tre personaggi principali Prospero, Celia e Vera sono ben caratterizzati e realistici, se così si possono definire coloro che posseggono doti magiche. Sia Prospero che Celia sono IC per quel poco che si è potuto leggere nel capitolo pubblicato, assolutamente perfetti. Ma quella che ho adorato è Vera, il personaggio originale. Sembra la zia o l'amica di famiglia, che sembra odiarti quando sei bambina, ma poi si rivela la migliore di tutti nel volerti bene. L'idea del Barone che fa ballare gli scheletri è stupenda: quale bambino non adora ciò che, in fondo in fondo, lo spaventa.
Mi hai regalato un bellisimo giro al circo della notte. Grazie. Mille complimenti.