Libri > Il Circo della Notte
Ricorda la storia  |      
Autore: Dragana    23/02/2012    2 recensioni
-La magia è volontà, Celia. All’inizio esce incontrollata, ma tu devi imparare a sentirla. Senti da dove passa, da dove ha origine, come fare per provocarla: è un po’ come quando si fa l’amore, le prime volte… oh, cielo, no, dimentica questa parte, tesoro.
Racconto in cui Celia imparerà l'importanza di un nome, come nasce un vino prestigioso, e che la magia non è mai approssimativa. Senza lesinare sulle piume di corvo.
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 VINI FRANCESI E PIUME DI CORVO


-E così, Hector, hai una figlia-
-Prospero, per te, mia bella Vera.-
-Come vuoi. Rifacciamo. E così, Prospero, hai una figlia.-
La donna si tolse i guanti di pizzo nero con un gesto elegante. Il sorriso era lievemente sarcastico. Labbra rosso fuoco in un viso bianco e perfettamente truccato, affondato in un mantello nero bordato dal collo di piume di corvo.
-Così pare.-
-Quello che non capisco è il mio ruolo in tutto ciò.-
Lui le tolse il mantello con la galanteria che lo contraddistingueva. Il corsetto le lasciava impudicamente le spalle scoperte; sulla spalla sinistra e lungo tutto il braccio, la donna aveva un drago tatuato.
Prospero le scostò galantemente la sedia e la fece accomodare.
-Vera… la bambina ha mostrato la scintilla. Per la precisione mi ha rotto una tazza da tè.-
-Notevole. Quanti anni hai detto che ha?-
-Cinque, mi sembra.-
-Decisamente notevole. Tuttavia continuo a non capire perché mi hai cercato.-
Lui prese una bottiglia di Bernier Chardonnay e due calici; versò il vino.
-Qualcuno deve insegnare alla bambina a controllare i suoi poteri; non le si può dare un’istruzione magica se non saprà almeno controllare la magia.-
Vera inarcò un sopracciglio.
-Scordatelo. Da quando in qua sono diventata una bambinaia?-
-Non dovrai occuparti di lei; dovrai solo insegnarle per un paio di mesi, non credo ne servano di più. Avrai un carrozzone tutto tuo, con letto, tavolini, paraventi, vasca da bagno, oppio e tutto il vino che vorrai. Riceverai una ricompensa in denaro. E ti dovrò un favore.-
Lei lo fissò.
-La bambina non verrà nel mio carrozzone. Mi darai una di quelle vostre tende bianche e nere per farle lezione, con tutto l’occorrente; vino e tappeti sono compresi nell’occorrente, occorrono a me per sopportare i bambini. E non ti intrometterai nei miei insegnamenti, non mi interessa come intenderai procedere con la sua educazione.-
-Non mi intrometterò. Nemmeno io sono una bambinaia, e saranno altri a procedere con la sua educazione, quindi il modo in cui la addestrerai non sarà un mio problema.-
-Fammi capire… non hai nemmeno preso in considerazione l’ipotesi di insegnate la magia a tua figlia?-
Lui scrollò le spalle, rivolgendole un sorriso ribaldo.
-Andiamo, Vera, lo sai: non sono fatto per essere un padre né un maestro. La bambina mi è capitata, me ne farò carico, ma questo non significa che debba essere io a sobbarcarmi l’ingrato e noioso compito, non credi?-
La donna strinse gli occhi.
-Hector… te l’ho mai detto che sei un dannato bastardo?-
-Ti premuri di ricordarmelo ogni volta che ci vediamo, mia bella Vera.-
Lei sospirò.
-Affare fatto, Prospero l’Incantatore; in fondo non capita a tutti di poter assistere gratuitamente a un paio di mesi di spettacoli del Cirque des Rêves; magari stando qui riuscirò ad assistere allo spettacolo che mi divertirebbe più di tutti-
-Ossia, mia bella Vera?-
Prospero le versò il vino nel bicchiere, affascinante come sempre. Si fissarono negli occhi. Brindarono.
-Ossia vedere se quel maledetto cancello che si apre verso l’esterno arriva nei denti a qualcuno, questa volta.-


Vera sospirò impercettibilmente davanti allo sguardo della bambina.
Non era uno sguardo ostile, era più un qualcosa del tipo “io non voglio essere qui e non ho nessuna intenzione di interagire con te in alcun modo”. Lei non aveva idea di come affrontare i bambini.
Dannato Hector. Quella bambina aveva i suoi stessi occhi.
-Ti chiami Celia, quindi.-
Lei non rispose. Vera si versò un bicchiere di vino.
-Sarebbe d’uopo rispondere “sì, maestra Vera”, o “no, maestra Vera” nel caso in cui non fosse così. Ma lo è. Sei uno scherzo!-
Inaspettatamente la bambina reagì. –Cosa?-
Vera sorrise. –Uno scherzo. Celia in italiano vuol dire scherzo. Non sai nemmeno un po’di italiano, suppongo…-
-Quel signore… mio padre ha detto che dovevo chiamarmi Miranda. Ma io mi voglio chiamare Celia.-
-Fai bene, cara. Tieniti stretto il tuo nome, cambialo solo se decidi tu di farlo, non lasciare che qualcun altro ti dica chi sei, nemmeno se è tuo padre. Questa è la prima lezione; nella magia il nome è importante, dagli valore. Forse ti diranno che anche con un altro nome una rosa è sempre una rosa, ma non credergli: il suono dei nomi fa parte dell’essenza stessa dell’oggetto che viene chiamato. Oh, ma sto complicando le cose, lascia stare… Miranda, perché lui si fa chiamare Prospero. Fossi nata maschio avrebbe suggerito Astianatte?-
La bambina sgranò gli occhi; non parlò solo perché non avrebbe saputo come ribattere.
-Niente italiano, ma anche niente Shakespeare né Omero, noto. Oh, beh, non è un mio problema… sai perché sono qui, Celia?-
La bambina annuì. Poi tacque.
-Non essere maleducata, Celia. Se ti faccio una domanda, rispondi.-
Lei si sentì punta sul vivo; evidentemente sua madre teneva molto all’educazione, perché ribattè: –Io non sono maleducata-, e incrociò le braccia. Quando Vera aggrottò le sopracciglia, si decise a rispondere: -Sono qui perché tu sei l’amica di… di mio padre e mi devi insegnare la magia.-
-Quasi. Io ti insegnerò a controllarla. Poi sarà qualcun altro a insegnartela. Dimmi, Celia… pensi che ti possa piacere, imparare la magia?-
Lei la guardò come se le avesse fatto una domanda ovvia. –Sì, maestra Vera-, rispose. In questo almeno era una bambina come tutte; a quale bambino non sarebbe piaciuto imparare la magia?
Poi però la facciata strafottente di Celia crollò all’improvviso, rivelando tutto lo smarrimento di una bimba di cinque anni rimasta orfana e finita d’un tratto in un mondo che le era completamente estraneo; la fissò con gli occhi lucidi e le chiese: -Ma che posto è questo? Perché so fare quelle cose? Cosa sono io?-
-Questo è il Cirque des Rêves, tesoro, e tu sei fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni-, sospirò Vera, versandosi un bicchiere di vino.


-La magia è volontà, Celia. All’inizio esce incontrollata, ma tu devi imparare a sentirla. Senti da dove passa, da dove ha origine, come fare per provocarla: è un po’ come quando si fa l’amore, le prime volte… oh, cielo, no, dimentica questa parte, tesoro. Dicevo. Impara a richiamarla. Quando hai rotto la tazza a tuo padre, cosa sentivi? Rabbia, immagino.-
-Lui ha detto che la mamma era una stupida. Ha riso di lei.-
Vera alzò gli occhi al cielo. Prospero l’Incantatore, delicato e sensibile come un tritasassi.
-Bene. Tesoro, lo so che fa male, ma devi ripensarci. Richiama quello che hai sentito, la rabbia, il dolore, lo smarrimento, ma stavolta stai attenta: segui la magia.-
Celia aggrottò le sopracciglia fissando intensamente la sfera di cristallo di Boemia appoggiata sul tavolino di fronte a lei, ma non accadde niente. Si arrese. Poi riprovò.
-Sai che quella sfera l’ho presa tra le cose di tuo padre? Ci è anche affezionato. Se gliela rompi ci rimarrà male-, buttò lì Vera.
Crack.
Come volevasi dimostrare. Celia sorrideva; era strano vedere la stessa piega ribalda del sorriso di Hector sul viso di una bambina di cinque anni.
-Sei stata attenta?-
Celia si fece seria.
-È partita da qui-, le disse, indicandosi il centro della fronte. Dal terzo occhio. Notevole.
-Bene. Direi che per oggi la lezione è terminata, cara… oh, non avere fretta. Io ho finito. Tu passerai la giornata a esercitarti.-
Sorrise, e le strizzò l’occhio.
-Rompi cose, Celia, e se ti sgridano mandali da me. Sfogati, perché domani dovrai farlo al contrario: usare la magia per rimetterle insieme. Oh, un’ultima cosa.-
La bambina sbuffò.
-Mi si dice che sei sempre da sola, e questo non va bene. So che qui non ci sono bambini della tua età, ma la magia è anche conoscenza; parla con le persone del circo, mentre vai in giro. Fagli domande. Impara a conoscerli. E non sbuffare mai più davanti a me. D’accordo?-
Celia annuì, con il visetto contrito.


-Non è vero che sei un’amica di mio padre: tu sei stata la sua amante e ci andavi a letto.-
Vera rischiò di sputare il vino che aveva in bocca, in maniera molto poco signorile.
-E questo chi te lo ha detto, signorinella?-
-Me l’ha detto Ivy!-
Vera sospirò. Pensare che le era sembrata così una buona idea spingere la bambina a frequentare i colleghi del padre.
-Tesoro, capita che i grandi dicano “amica” per indicare una relazione di tipo… più intimo.-
-Quindi andavi a letto con mio padre quando non ero ancora nata?-
-Ma certo che eri nata, tesoro. Quanto credi che sia vecchia?-
In realtà Vera era meno giovane di quanto appariva, e di certo era già adulta quando Celia non era ancora nata; ma non le piaceva dire la sua età, e poi la sua relazione con Hector risaliva più o meno a cinque anni prima. Quindi sì, Celia doveva essere già nata, supponeva.
La bambina strinse gli occhi.
-Quindi tu stavi con mio padre al posto della mia mamma!-
Lei rimase interdetta.
-Celia, mia cara… tuo padre e tua madre non sono mai stati insieme. Tua madre non ha mai rivelato la tua esistenza fino a quando… cielo, fino a quando non ti ha mandata qui, mi risulta. Tuo padre non sapeva di te, per questo non lo conoscevi.-
La bambina rifletté intensamente.
-Perché la mamma non gliel’ha detto?-
-Non saprei, tesoro. Suppongo non lo ritenesse né un buon padre né un buon compagno.-
Avrebbe voluto rimangiarsi quelle parole, ma le erano sfuggite. Oddio, decisamente non era abituata a trattare con i bambini, lei.
Celia la fissò intensamente.
-Allora perché si è uccisa e mi ha lasciato a lui?-
Vera sospirò.
-Non ne ho idea, cara, credimi. Forse era molto triste.-
Capì di nuovo di aver detto la cosa sbagliata. Perché a me? Si chiese.
-Mio padre non mi vuole, la mamma era triste e si è uccisa… perché non mi voleva nessuno?-
-Ma no, cara, è che…-
Sospirò. Celia la guardava con uno sguardo talmente serio che la commosse. Anche se era solo una bambina non si meritava pietose bugie.
-Celia, ti dirò la verità, almeno la verità che so io. Ma tu devi ascoltarmi molto attentamente, capito?-
Lei annuì, grave.
-Bene. Tesoro, probabilmente no, non ti volevano. A volte i grandi fanno degli sbagli, sai, proprio come i bambini. Solo che se un bambino sbaglia si prende una sgridata, quando sbaglia un grande invece sono fiumi di lacrime… oddio, che sto dicendo.-
-Stai dicendo che hanno fatto uno sbaglio e sono nata io.-
-Ecco. Però, vedi, Celia…-
Fissò la bottiglia di vino davanti a sé. Così intensamente che il vino tremò.
-Lo sai com’è nato questo vino?-
La bambina scosse la testa. Sembrava smarrita.
-È stato uno sbaglio. Gli agricoltori non sono stati attenti e hanno usato dell’uva ammuffita. E sai cos’hanno scoperto?-
-Cosa?-
-Che quel particolare tipo di muffa, invece di rendere il vino cattivo, lo rendeva molto più buono. A volte da un errore nasce qualcosa di prestigioso, tesoro, che non sarebbe nato se nessuno avesse sbagliato. E quindi l’errore si trasforma in fortuna. Tu sei una fortuna, mia cara. Capito?-
Celia annuì. Fissò il vino.
-Posso berne un po’?-
Vera rimase un attimo interdetta. Sospirò.
-Ma certo, tesoro, dopotutto ne hai bisogno. Ne abbiamo bisogno entrambe, temo.-
Glielo versò in un calice vero, da adulta. Il Clos Labere era giallo carico, e aveva un profumo che stordiva.
Celia fece per bere, ma Vera la fermò.
-Cara, non così. Tra persone come te e me fare così è considerata una sfida. Bisogna brindare guardandosi negli occhi.-
-Perché?-
-Perché guardandovi negli occhi tu e la persona che sta bevendo con te potreste incatenarvi a vicenda, ma scegliete di non farlo. È un atto di fiducia, significa che si beve in pace e non si ha intenzione di offendere. Naturalmente, come tante cose, è solo questione di etichetta; ma è bene sapere come comportarsi, soprattutto quando si tratta con chi conosce la magia. E diciamo pure che questa era la lezione di oggi.-
Celia annuì. Fece il brindisi con una serietà che Vera non aveva mai visto, negli occhi di Hector.


Visti i risultati del girovagare incontrollato di Celia, Vera si avvolse nel mantello, decisa a tenere d’occhio le persone con cui la bambina decideva di parlare. Avrebbe preferito prepararsi un bagno caldo, o passare il tempo a leggere, bere e fumare oppio; in verità quello che avrebbe veramente gradito fare era chiamare Hector nel suo carrozzone per, diciamo, discutere con lui circa i progressi di sua figlia. Ma ad ogni modo, considerò, quella sarebbe stata davvero una pessima idea.
Aprì la porta, si guardò intorno in fretta, poi si tramutò in corvo e volò via in un frullo d’ali.
Celia stava girovagando con aria svogliata tra i tendoni, il suo cappottino era una macchia rossa tra il bianco e nero del circo. Guardò una pozzanghera con l’intensità di uno che voleva buttarcisi dentro, fino a che l’acqua si increspò in piccole ondine che le bagnarono la punta degli stivaletti; allora smise.
-Bambina… Miranda… non dovresti essere fuori con questo freddo. Credo non sia sano.-
A parlare era stato un uomo seduto davanti a un carrozzone completamente nero. Se ne stava lì, fermo, accanto a una donna che cuciva un costume di scena.
Vera lo riconobbe; la sera prima aveva assistito allo spettacolo (niente cancellata nei denti degli spettatori, purtroppo) e il numero dell’uomo era quantomeno singolare. Il suo nome d’arte era il Barone della Luna Storta (“L’hanno licenziato dal purgatorio! L’hanno impiccato e si è rotto il ramo!”) e faceva ballare gli scheletri. Dopo i trapezisti e prima degli elefanti, lui si presentava con il volto truccato da teschio, frac e cilindro, faceva strane cose con le ombre e poi evocava scheletri facendoli sorgere dal suolo, per poi comandarli a suo piacimento. Vera non l’avrebbe mai detto, ma i bambini lo adoravano.
Celia invece lo guardò corrucciata.
-Mi chiamo Celia. Non Miranda.-
l’uomo si strinse nelle spalle, con espressione indifferente. Il suo volto era bianco anche senza trucco.
-Maestra Vera ha detto che il nome è molto importante!-
Se Vera non avesse avuto il becco al posto della bocca, avrebbe sorriso soddisfatta.
-Lo è finché sei viva-, ribatté lui. -Ma prima o poi moriremo tutti, e allora non avremo nome. Saremo cenere e polvere.-
La donna accanto a lui sbuffò e gli punse scherzosamente il dorso della mano con l’ago che stava usando. Una goccia di sangue rosso colorò il bianco della sua pelle.
-Non essere macabro, la bambina ha ragione. E poi non saremo cenere e polvere; lo saranno le nostre spoglie mortali. Ma c’è qualcosa di noi, Celia, che vivrà in eterno.-
La donna aveva un bel sorriso e lentiggini sul volto, e lunghi riccioli biondo scuro.
-Tu sai parlare con i morti?- chiese Celia al Barone. Lui annuì appena. –Certo che so farlo. Ma raramente hanno qualcosa di interessante da dire.-
-Come si fa? È difficile?-
-Parlarci no. Farsi rivelare segreti o comandarli, sì. Ma parlarci non direi.-
Celia lo degnò di un sorriso. Il sorriso affascinante di Hector.
-Come si fa?-
Il Barone si strinse nelle spalle.
-Serve qualcosa che appartenga al morto, naturalmente; se si ha un suo osso è meglio. Poi ci vuole una piuma di corvo, che dei morti si nutre, e la parte del corpo di un gatto, che è sul filo dei due mondi. Basta anche solo il pelo, anche se c’è chi per sicurezza uccide direttamente gatti neri; a mio parere è un’inutile esagerazione. Un sistro, ma va bene anche una campanella. Oh, e naturalmente il sangue, si sa che i morti vogliono il sangue.  Ne basta anche una goccia, come quella della puntura di un ago. Mentre fai scorrere il sangue, fai scorrere la magia, e sarai al di là della soglia. La tua volontà ti guiderà da colui che cerchi.-
-Finiscila, così spaventi la bambina…-
La compagna del barone sorrideva, mentre cuciva lustrini rossi su un costume bianco e nero.
-Non mi sembra spaventata, i bambini non si spaventano mai. Loro lo sanno che è inutile avere paura di qualcosa che tanto capita a tutti.-
-Non sono spaventata-, assicurò Celia. Poi si mise a guardare le dita della compagna del Barone, affascinata da tutti quei lustrini.
Rassicurata, Vera tornò al suo carrozzone.


-Questa è stata la tua ultima lezione, Celia. Domani stesso me ne andrò… oh-oh, cos’è quella faccia?-
-E io cosa faccio?-
Vera sospirò.
-Tesoro, tu imparerai la magia. Non so cosa abbia intenzione di fare di te tuo padre, ma sono sicura di una cosa: imparerai la magia.-
La bambina strinse gli occhi: Vera afferrò con la mano la bottiglia di Pétrus che vibrava pericolosamente.
-Non ci provare, Celia. Si può sapere perché fai così? Imparerai la magia, ho detto. Ti ho mai mentito?-
-No-, borbottò lei. Poi la fissò, implorante. Ecco, quello è uno sguardo che Prospero decisamente non ha mai avuto. –Perché non me la puoi insegnare tu, la magia?-
Vera si versò un calice di vino.
-Non sono… non è quello che voglio fare, Celia. Bisogna sapere cosa si vuole fare, nella vita; non è sempre facile, tesoro, ma anche sapere cosa non si vuole fare è già qualcosa. Però ci rivedremo, se vorrai.-
Celia mise il broncio.
-Non lo so se voglio rivederti.-
Vera sorseggiò il Pétrus.
-Se vorrai, cercami. Io di sicuro vorrò rivederti, e ti cercherò.-
-Me lo prometti?-
-Te lo prometto.-


Non era stata una buona idea andare da Prospero. Lui le aveva dato la ricompensa pattuita, l’aveva ringraziata e poi si era accomiatato da lei; solo che in genere non è così che ci si accomiata. Di norma si rimane molto più vestiti.
Vera sospirò, chiudendosi la porta del suo carrozzone alle spalle. Ogni volta finiva così. Ogni. Volta. Le ci voleva un bicchiere di vino.
D’un tratto notò qualcosa di strano; era come una nota stonata, un dettaglio che la disturbava a livello inconscio. Si guardò intorno.
Il suo mantello non era come l’aveva lasciato.
Lei era estremamente scrupolosa su due cose: il suo vino e le sue piume. E il collo di piume del mantello sembrava rovinato, come se qualcuno… Bingo, qualcuno aveva staccato una piuma. Ce n’erano altre due o tre che si erano allentate, nel punto in cui il filo era stato tirato.
Chi mai avrebbe dovuto volerle rovinare il mantello? Si chiese Vera. Il suo mantello preferito, il suo mantello setoso, scuro, col collo di… piume di corvo. Oh, cielo.
Poi ci vuole una piuma di corvo, che dei morti si nutre.
Vera fece una risatina nervosa. No, non poteva essere. Celia non aveva mai accennato al fatto che le mancasse la madre, no? No.
“Allora perché si è uccisa?”
No, andiamo, si disse, sei la solita esagerata. Celia non…
Celia è una bambina di cinque anni la cui madre si è uccisa spedendola come un pacco postale da un padre che non sapeva di avere e che non è stato contento di vederla. Fossi in lei, non ti piacerebbe chiarire un paio di questioni?
Vera si sentì gelare.

Si precipitò nella tenda in cui faceva lezione a Celia, sperando di trovarla vuota e che la bambina fosse a saltare nelle pozzanghere o a tediare gli artisti o qualunque altra cosa.
Invece Celia era lì.
Ma contemporaneamente non lo era.
Stava in piedi davanti al tavolino e stringeva una catenina; un taglio sul pollice le faceva colare il sangue sulle mani, impiastricciandole di rosso. Davanti a lei c’era la piuma di corvo, qualche pelo scuro di gatto e una campanellina d’argento che doveva aver rubato da un costume di scena. I suoi occhi erano vuoti, guardavano fisso qualcosa che non era nella tenda; la temperatura era gelida.
Vera prese lo stiletto che teneva nella giarrettiera, si tagliò il palmo della mano e lasciò scorrere la magia.

Era freddo, ma il freddo non si appoggiava sulla pelle, veniva dalle ossa e sembrava raffreddare la pelle da dentro. Vera detestava il freddo della morte.
I contorni della tenda e delle cose dentro di essa apparivano sfocati e fluttuanti, come nebbia. In compenso le figure lunghe e scure che circondavano Celia erano straordinariamente solide.
“Nel loro mondo, il nostro è come nebbia. Noi li vediamo attraversare gli oggetti perché i morti sono più densi; dopotutto, anche noi passiamo attraverso la nebbia perché siamo più densi di lei”. Glielo avevano insegnato tanto tempo fa.
 -Lasciatela andare. Lei non appartiene a voi; lasciatela a me.-
Le figure non si girarono verso di lei; semplicemente prima erano di spalle, ora di fronte. Il pavimento di nebbia della stanza sembrava farli fluttuare.
Lei ha varcato la soglia… è stata lei a venire qui… lei è nosss… il suo sangue è nostro… qui… è stata lei…
I morti parlavano tutti insieme; i loro sibili erano percepiti dal corpo di Vera come se qualcuno le passasse una lima sui nervi.
Celia urlò il suo nome e provò a scappare verso di lei. Ma le fu sbarrata la strada.
-Lei appartiene a me. Datela a me.-
Volontà. La magia è volontà.
Uno dei morti le venne incontro. Non aveva un vero e proprio movimento: lo vedeva farsi più vicino, ma senza che l’occhio riuscisse a capire dove sarebbe stato l’attimo dopo. Vera alzò la mano per fermarlo; si rese conto che la punta delle dita le stava diventando blu.
Non… da tanto tempo… lei è nostra…
“Gli Inquieti sono legati al mondo. Bramano la vita. Hanno volontà forte, ma desideri semplici.”
Detestava la necromanzia. L’aveva sempre odiata.
-Lasciatela a me. Vi darò qualcosa in cambio. Lasciatela a me.-
Il morto si fermò. Gli altri gli si fecero accanto, continuando a parlarsi sopra.
Un patto… qualcosa in cambio… è stata lei a venire qui… cosa ci offri… in cambio del  sangue… cosa ci offri… lei è nosss… il suo sangue è nostro…
Celia singhiozzava, dietro la schiera di figure scure.
Vera non aveva la minima idea di cosa offrire in cambio. Era uno di quei momenti terribili in cui sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa e anche piuttosto in fretta, ma la mente non collaborava, era completamente vuota e taceva. Avrebbe tanto voluto un bicchiere di vino.
Di vino.
-Vi darò in cambio il gusto del vino; vi darò il vino al posto del sangue di una bambina così piccola, che è poco e finirà presto. Il gusto del vino per qualche goccia di sangue: il vino che irrobustisce il sangue, che scalda le vene, che accende i sensi. Vi darò il vino, che è il Sangue di Cristo. -
Il sussurro dei morti si fece più basso. Il loro confabulare aveva il suono delle voci che a volte si sentono nel dormiveglia, che sono al di là dello spettro dell’udito e sono accompagnate da un brivido.
Poi tacquero. Uno di loro (quello di prima? Vera non avrebbe saputo dirlo) le si portò di fronte con quella sua andatura inquietante. Allungò le dita.
Lo scambio è accettato… il vino per il sangue.
Vera sentì il mormorio dei morti. Se fosse soddisfatto o rabbioso non sapeva dire.
Il morto le toccò appena le labbra; bastò quel tocco a farla sentire per un istante come se stesse avvizzendo, si stesse seccando, stesse diventando polvere.
Ma ora Celia poteva passare; le corse incontro, singhiozzando.
Poi qualcosa andò storto.
Uno dei morti si staccò dal gruppo, ma lei non percepì il movimento; lo vide improvvisamente accanto a Celia, che strillò. Agì d’impulso, evocò una folata di vento e il morto venne spinto indietro. Il vento, al di là della soglia, era quello della piana dell’Armageddon, e portava con sé le grida dei dannati. Vide gli occhi di Celia spalancarsi dal terrore.
La afferrò e si concentrò sulla magia: la magia è volontà, e io voglio tornare indietro. Facci percorrere il sentiero inverso a quello fatto per arrivare qui; facci tornare indietro.

Un momento i contorni della tenda erano di nebbia, il momento dopo erano solidi, e faceva caldo. Vera si lasciò cadere sulla poltrona, con Celia ancora singhiozzante che le si aggrappava al collo, la fronte puntata sulla clavicola.
Di riflesso prese la bottiglia sul tavolino e si versò un bicchiere di vino, bevendone velocemente due sorsi.
Sabbia e cenere e terra. Però liquidi. Scagliò il bicchiere lontano, in un gesto di stizza. Si ruppe, il vino macchiò di rosso il bianco e nero della tenda.
Celia alzò il viso e la guardò. Aveva gli occhi rossi e il moccio al naso.
Vera recuperò il suo fazzoletto di seta. –Soffia-, ordinò.
Celia eseguì. Poi, senza dire una parola, scivolò giù dalle sue gambe e andò vicino al bicchiere rotto.
Vera la immaginò stringere gli occhi, mentre il calice si ricomponeva e il vino scivolava dentro. Lei glielo riportò, con lo sguardo basso.
-È inutile, tesoro. Io l’ho regalato ai morti. Bevilo tu, se vuoi.-
Celia ne bevve un sorso, poi fece una smorfia. Ne bevve ancora, quasi per farle piacere. Ma certo, pensò Vera, questo non è un passito, è un Chateau Angelus di Bordeaux, sa di… di cosa? Non lo ricordava.
-Mettilo giù, bambina. Bel sacrificio mi hai fatto fare. Immagino che qualche medico direbbe anche che devo ringraziarti-, sospirò.
-Maestra Vera-, singhiozzò Celia. –Io… io volevo solo parlare con la mia mamma…-
-Tesoro, vieni qui. Ascolta.-
Celia le si accoccolò sulle gambe. Era pallidissima e tremava.
-Non sempre si possono avere delle risposte. A volte bisogna tenersi le domande, sperando che arrivi il momento giusto per farle. Forse un giorno, se vorrai, potrai cercare lo spirito di tua madre. Ma decisamente oggi non era il momento giusto, e avresti dovuto saperlo. È fondamentale saper riconoscere il momento giusto, Celia.-
-Ma perché? Io ho fatto tutto come dovevo, non ho dimenticato niente, maestra Vera, te lo giuro!-
-Lo so, infatti hai aperto la soglia. E hai trovato gli inquieti. Anime legate alla Terra, che non sono state abbastanza malvagie da essere dannate ma non hanno avuto la volontà di proseguire, e non ricordano più nulla eccetto le loro brame. Non era quello che volevi, direi.-
-Ma il Barone mi aveva detto…-
Vera la interruppe. Parlò in tono piatto.
-Osso di morto, o un suo oggetto, ma dev’essere un oggetto a cui il morto aveva legato un pezzo di anima. Piume di corvo, ma il corvo dev’essere catturato mentre becca un cadavere. Gatto, gli occhi, che vedono un po’di là e un po’di qua. Sistro d’argento, che è lo strumento di Iside, o campanella di un lebbroso, che alla morte va incontro. Sangue potente, meglio se di innocente o di vergine. Il Barone non te l’aveva detto perché sei una bambina, non conosci la magia e mai e poi mai avresti dovuto fare una cosa del genere. La magia non è mai approssimativa. Quanto più un ingrediente è debole tanto più devono essere forti gli altri. E i tuoi ingredienti erano tutti deboli. Questa è la tua ultima lezione, bambina. L’hai imparata sulla tua pelle, e anche sulla mia.-
-Maestra Vera… scusa!-
La donna s’intenerì. La tenne abbracciata a lungo, finché non si addormentò. Poi la guardò dormire.

-Dove la manderai?-
-Non è affar tuo, Vera. Fuori dai piedi, comunque, per un po’.-
-Ha passato la soglia. Ha sentito le grida dei dannati. Non sarà mai più la stessa, Hector.-
Lui rise.
-La stessa! Non ha una se stessa da non essere più, Vera, ha cinque anni! Cosa vuoi che cambi, per lei? O per me, se è per questo?-
Vera lo fissò intensamente. Poi lo schiaffeggiò con tutta la sua forza.
-Sei un dannato bastardo, Hector Bowen. Sono andata a riprendere tua figlia ai morti, e mi disgustavano meno di te. Addio.-
Si voltò e se ne andò, in una maniera che sembrava tremendamente definitiva.
Lui rimase a fissarla come se fosse impazzita, la mano sulla guancia che bruciava.




 














Note:
 Olè, finalmente posso sproloquiare in libertà!

Tutti i vini che ho citato esistono, sono francesi e piuttosto prestigiosi. L'unico che ho bevuto per davvero è il Clos Labere, che è buonissimo; me ne sarei scolata delle quantità da mensa dei ferrovieri, ma ero a casa di ospiti e la decenza ha prevalso sulla gola. Comunque ha un sapore che, a differenza dei rossi, potrebbe essere apprezzato anche da una bambina piccola come Celia.
I giochetti sul nome di Celia provengono da una battuta che fa Prospero nel primo capitolo; se "Miranda" è ovvia, "Astianatte" è il figlio di Ettore nell'"Iliade", e il vero nome di Prospero è appunto Hector. "Sei fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni" è una citazione sempre da "La tempesta" di Shakespeare, e non da "Romeo e Giulietta" come sembrano credere quelli della pubblicità dell'automobile. Da "Romeo e Giulietta viene invece la famosissima battuta "Anche con un altro nome, una rosa è sempre una rosa".
Il nome d'arte del Barone della Luna Storta e le frasi con cui viene presentato vengono da una canzone di Davide van de Sfroos chiamata appunto "El barun".

Tutte le cose sulla magia, il rituale per evocare i morti, i personaggi del circo, sono farina del mio sacco; mi sono basata sul capitolo 1 e quindi non ho idea di quanto sia stata IC o OOC. Parecchio OOC, suppongo.
Lo so che non l'avrà notato (quasi) nessuno, ma il cancello che si apre verso l'esterno, dai... su, sarà scenografico, ma la scena del cancello che si apre e falcia le persone assiepate in attesa dell'apertura del circo la vorrei vedere davvero. Sia lode al cancello.
Detto ciò... mi sono divertita molto a scrivere questa storia. L'atteggiamento di Vera nei confronti dei bambini è un po' il mio; a parole li detesto, nei fatti poi mi ci affeziono. E non gli dico mai bugie: mi ricordo bene che quando le dicevano a me pensando che poi mi dimenticassi, non mi dimenticavo e ci rimanevo male. Prospero invece mi è sembrato un'affascinante stronzo; anche lì non so quanto sia IC, ma certo non mstrava l'atteggiamento di un papà affettuoso. Pensandoci, è la prima volta che faccio un papà che non adora incondizionatamente la propria bambina.
Bene, credo di avere finito; data la cancellazione, rimetto qui le vostre bellissime recensioni. Vi ringrazio tantissimo, e prossimamente vi risponderò via mp.
A tutti gli altri, a chi passerà, a chi si divertirà... Grazie! E benvenuti al cirrrrrrco (pappaparapappapappappà)!

OttoNoveTre  [Contatta]
09/02/12, ore 07:37
Hector detto Prospero: un uomo, una simpatia. Scopre che ha una figlia, ne prende atto, decide che qualcosa da mangiare e un lavoro forse si può pure concederli, poi la smolla con eleganza a qualcun altro. Perfettamente IC, per quanto le poche pagine del romanzo permettano di definire il l'IC di un personaggio. Un "affascinante criminale, senza dubbio.
 Anche Celia passeggia (e fa disastri) per la storia con il suo essere una bambina di cinque anni, confusa. Mi sono piaciute molto tutti punti, che scandiscono la storia, in cui Vera la guarda e ci riconosce un po' Prospero, un po' la madre sconosciuta, un po' un carattere che sarà solo di Celia.
 Ecco, già che ne parliamo, parliamo di Vera: bellissima, quelle belle maestre un po' burbere ma dal cure d'oro, che sono scocciate dai bambini più per l'imbarazzo di avere a che fare con loro che non perché li odiano. Spiegazioni e uso della magia molto "alla Gaiman", con ogni gesto che implica una conseguenza.
 Perfetta anche la comparsata del Barone. Anche io da piccina avrei adorato il suo spettacolo, mi sa XD
Un bicchiere di Clos Labere a Vera e al suo scialle di piume di corvo!
(Recensione modificata il 09/02/2012 - 07:40 am)


 Shinra  [Contatta]
09/02/12, ore 18:45
Mi hai sospresa. È la storia più bella che abbia letto finora. Hai uno stile da professionista, i dialoghi sono studiati e realistici, per nulla banali, e ho adorato i pizzichi di sarcasmo che hai sparso qua e là. Hai avuto molto cura nel selezionare i pregi e i difetti di ciascun personaggio: non sono immortali né perfetti, e per questo sono riuscita ad affezionarmici. Ho apprezzato moltissimo come hai caratterizzato Celia, i suoi dubbi sono sinceri e umanamente ingenui, e di fronte a ciò il suo comportamento risulta comprensibile, forse addirittura giustificato. Ho apprezzato ancora di più la tua analisi dei rischi della magia, priva dei soliti, inutili e fantasiosi imbellettamenti di quest'ultima. Un altro pregio di questa storia (che trovo sia al tempo stesso manifestazione di maturità letteraria da parte dell'autore), è il cambiamento che attraversa i personaggi nel corso della narrazione, in particolare il personaggio di Vera. Questa storia merita davvero, e leggerla è stato un vero piacere!


 Koishan Sokujo  [Contatta]
13/02/12, ore 18:17
Davvero una bella fiction.
 Vera è indubbiamente una gran donna, non solo per ciò che ha fatto per Celia, ma soprattutto per la sua saggezza e arguzia. Affascinante, saccente ed elegante, un genere di persona che attira ma che, al contempo, invoglia alla noncuranza. Mi ha divertito soprattutto quel filo di ironia mista a saggezza che ha caratterizzato quasi ogni sua parola. Per non parlare della sua essenza di femme fatale al sapore di vino.
Celia, invece, rispecchia appieno ciò che è: una bambina piccola, ingenua, con grandi poteri e un buon cervello.
Un bel lavoro, davvero.
 Un saluto. ^^


 ursuspov  [Contatta]
14/02/12, ore 07:19
Ottima, mi piace come i personaggi interagiscono tra di loro, tutto scaturisce in modo naturale, sia la storia che i caratteri dei protagonisti. Molto bello anche il passaggio al mondo dei morti e la descrizione della magia, è molto concreta, verosimile. Un ultimo plauso ai dialoghi, sono semplici e brillanti, sempre adeguati alla situazione, e anch’essi contribuiscono all’ottima caratterizzazione dei personaggi (il tono saggio del Barone, il pragmatismo di Vera….).


 vannagio  [Contatta]
15/02/12, ore 19:46
Tre caratteristiche che cerco in una storia: trama accattivante, personaggi ben caratterizzati, dialoghi scoppiettanti. Questo racconto le possiede tutte e tre.
 Ti sei appropriata dei principali spunti che le sei pagine offerte per il concorso fornivano e li hai sviluppati in modo originale e sorprendente, senza però snaturare quelle che sembrano essere le caratterizzazioni di Prospero e Celia.
 Prospero, in particolare, lo immagino esattamente così: una figura affascinante e misteriosa, ma al tempo stesso un vero figlio di buona donna (concedimi l’espressione).
Celia è dolcissima, una bimba intelligente, perspicace, curiosa e desiderosa di imparare.
 Altrettanto stupenda è Vera: la maestra di magia che tutti i bambini, e non solo, vorrebbero. Mi piace il fatto che sia burbera e affettuosa nei confronti di Celia, mi piace anche che sia combattuta tra l’attrazione che sente per Prospero e la voglia di mandarlo a quel paese.
 Sei riuscita a rendere simpatici e interessanti perfino le comparse del Barone della Luna Storta e sua moglie.
 E poi… che dire? Si respira un’atmosfera magica e fiabesca davvero entusiasmante. Non ho letto il romanzo in questione e quindi non so se hai azzeccato l’ambientazione, ma ti assicuro che ciò che ho travato in questo racconto è esattamente quello che mi aspettavo e che stavo cercando.
 Complimenti.


 fila  [Contatta]
15/02/12, ore 19:53
Ho trovato questa storia molto coinvolgente e ben scritta. I tre personaggi principali Prospero, Celia e Vera sono ben caratterizzati e realistici, se così si possono definire coloro che posseggono doti magiche. Sia Prospero che Celia sono IC per quel poco che si è potuto leggere nel capitolo pubblicato, assolutamente perfetti. Ma quella che ho adorato è Vera, il personaggio originale. Sembra la zia o l'amica di famiglia, che sembra odiarti quando sei bambina, ma poi si rivela la migliore di tutti nel volerti bene. L'idea del Barone che fa ballare gli scheletri è stupenda: quale bambino non adora ciò che, in fondo in fondo, lo spaventa.
 Mi hai regalato un bellisimo giro al circo della notte. Grazie. Mille complimenti.

 




   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Circo della Notte / Vai alla pagina dell'autore: Dragana