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Autore: formerly_known_as_A    23/02/2012    1 recensioni
L'avvicinarsi di San Valentino non è decisamente un buon periodo per Islanda e Mr Puffin lo sa benissimo.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Islanda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prompt: Ice è arrabbiato per qualcosa e MrPuffin cerca di consolarlo con i suoi soliti modi bruschi/mafiosi ma sotto sotto teneri. (suggerito da: happylight) Mentre andavo avanti mi ci sono discostata enormemente, me ne scuso.


San Valentino non è decisamente un buon periodo per Islanda e Mr Puffin lo sa benissimo.

Inizia tutto il primo Febbraio, quando dalle vetrine di Reykjavìk cominciano a comparire timidamente i primi cuori di cioccolata, per poi farsi prepotentemente avanti nei giorni successivi, con un continuo fiorire di cuori, putti sovrappeso con minuscole ali ed archi e frecce, per non parlare poi della quantità industriale di cagnolini, gattini, pesciolini, mucchine (?!) e tutta una serie di cuccioli dagli occhi enormi come poveri drogati e visi patetici, con la pancia piena di dolcetti e cioccolatini a forma di cuore.

C'è qualcosa di peggio di immaginare che sia carino riempire le viscere di un cucciolo di dolciumi dalle forme improbabili? Se lo facessero con animali veri scapperebbero, inquieti. Mah, esseri umani.

In ogni caso, mentre fuori dall'enorme casa dell'Isola nordica esplode la fine del mondo dei diabetici, all'interno tutto è estremamente calmo. Islanda si chiude in camera, le finestre chiuse e le luci spente, accoccolandosi sotto le coperte con una torcia ed un libro -solitamente di fantascienza, tanto per essere certi che nessuno possa innamorarsi, salvo rare eccezioni- ed aspettando la fine del delirio.

Non che dopo non scoppi il delirio delle pecorelle di zucchero e dei coniglietti di cioccolata, ma, come il fratello, anche l'islandese ha un debole per i coniglietti e riceverne di cioccolata o altre forme dolciarie non gli dispiace neppure un po'.

Tornando a San Valentino, Mr Puffin capisce la sua disperazione e molto bene. Ogni anno bussano alla sua porta persone poco raccomandabili con vari dolciumi e fiori, poesie stucchevoli in un inglese zoppicante -fortunatamente Hong Kong ha smesso di tradurre poesie stucchevoli con Google Translate in Islandese, ogni anno Islanda si ritrovava ad un passo dal ricovero per colpa sua- e proposte di amore eterno, non comprendendo che sì, il suo padrone ha avuto un momento di debolezza mettendosi all'asta, ma NON è più in vendita. Soprattutto perché, poi, quegli sconosciuti con troppo profumo non capiscono nulla della bellezza di un paese che, tanto a Nord, è così forte da essere bellissimo anche negli inverni più rigidi e verde e meraviglioso in primavera.

Ogni anno Mr Puffin respinge attivamente quei pretendenti, che siano grandi e grossi come Turchia o piccoli e dal linguaggio bizzarro come Hong Kong. Non li vuole in casa, niente da fare, non sono adatti al suo padroncino, non lo capirebbero mai. E lui, che è solo un piccolo volatile, non può fare altro che beccar loro le mani prima che disturbino Islanda suonando il campanello e picchiettando sui vetri delle finestre.

Islanda non si muove dal letto finché la minaccia non è passata, finché i fiori non sono appassiti di fronte alla porta e qualcuno non ha preso i regali più o meno commestibili abbandonati sulla soglia di casa. Il puffin allora lo tira fuori dal letto con le maniere forti e la vita ritorna all'incirca normale, il volatile ha una razione in più di pesce ed è soddisfatto così.

Questa è la normalità, questo è quello che a Mr Puffin piace fare. Le beccate e gli insulti creativi, misti a qualche battuta sarcastica nei confronti del padroncino e i conigli di cioccolata a Pasqua. Ma, si sa, dopo un po' le abitudini per gli umani si fanno pesanti e provano l'istinto di cambiare.

Puffin se ne accorge un mattino di fine Gennaio, quando scopre il padroncino a guardare fuori dalla finestra, sospirando, il riflesso del sole sulla neve che gli illumina il viso altrettanto pallido. Si accorge che nessun pacco di libri è ancora arrivato nella cassetta delle lettere e si dice che forse, quest'anno, leggerà qualche vecchio libro che gli è piaciuto particolarmente.

Le finestre restano aperte, nonostante l'inizio di febbraio. I libri che Islanda sceglie dalla libreria hanno titoli sempre più strani e di questo si preoccupa moltissimo. Che sia malato? Ma non sembra affatto abbattuto, solo immerso in quelle pagine che sembrano moltiplicarsi giorno dopo giorno.

I giorni passano e Islanda comincia ad uscire sempre più spesso, sedendosi sul dondolo davanti a casa, i piedi che calciano la neve sotto di lui, gli occhi viola che si incantano sulle pagine o sul bianco intorno, un lieve sorriso sulle labbra.

Puffin continua a pensare che sia malato e pensa di chiamare il fratello. Ma il bastardo non ha mai una parola carina per lui, quindi arruffando le penne si mette sul dondolo anche lui, a tenere d'occhio l'islandese.

Il giorno quattordici arriva in fretta, in sordina. Nevica ancora e Islanda ora sorride davvero. è davvero strano vederlo in quel modo. Non è che non sorrida, di solito, sorride sempre alla prima nevicata, al primo fiore a primavera, quando vede le luci colorate nel cielo o si ferma soltanto ad ammirare il paesaggio estivo. Si piace un sacco, Islanda e Puffin non trova sia una cosa negativa, anche se a volte lo prende in giro dicendo che un giorno sposerà se stesso. Anche a lui piace.

Puffin pensa spesso a quale sarebbe stato il suo destino, se fosse nato in un momento diverso, in un luogo diverso, se, secoli prima, non fosse stato trovato, appena uscito dall'uovo, da un bambino minuscolo dalla veste troppo grande, se il legame costruito tra loro non fosse stato così forte.

Nascere in un altro luogo che l'Islanda... non riesce ad immaginarsi quanto breve e triste sarebbe stata la sua esistenza. Forse sarebbe comunque volato fino lì, come, ogni tanto, vola ancora dai propri fratelli sparsi per il Nord del globo, sarebbe rimasto affascinato da quei paesaggi e rimasto a guardarli fino alla morte.

Ma Puffin tiene quelle cose dentro di sé perché di carattere è simile al proprio padroncino -si esprime come vorrebbe fare lui, anche- e quindi sa che dette ad alta voce quelle sarebbero stronzate da sognatore. Si accontenta di tenerlo d'occhio per tutto il giorno di San Valentino e vederlo sorridere.

Il sorriso non dura molto. Verso le due del pomeriggio è già debole e alle quattro, quando cala il buio e Islanda si arrende al freddo, tornando in casa, scompare del tutto.

Lo segue dentro, pronto a chiedergli cosa aspettasse di tanto importante, ma la porta si chiude prima che possa entrare, lasciandolo in corridoio, pieno di domande. Dall'interno della stanza proviene un tonfo, un grido e poi il rumore distinto della furia di Islanda.

Puffin ha già assistito ad una di quelle 'crisi'. Islanda è una persona calma, ma è anche un'isola piena di vulcani, per cui quella calma altro non è che apparenza. Ricorda le altre volte in cui ha messo a soqquadro la casa, ricorda quanto tempo hanno messo per rimettere in sesto i libri strappati e i mobili che avevano perso una gamba. Ricorda anche che il padroncino era pieno di graffi e lividi e quel ricordo lo fa scattare verso la porta, cercando di aprirla in qualche modo.
Non vuole che Islanda si faccia male.

Puffin non vuole che il suo padroncino si faccia male.

"Ehy, scemo, non lasciarmi fuori!" sbotta, in un tentativo di fargli aprire la porta. I rumori continuano e l'animale cerca di capire perché, mentre il suo minuscolo cuore batte all'impazzata, il becco che cerca di raschiare il legno e crearsi un varco.

Perché? Sembrava così contento e ora... ora è chiuso lì, non sorride, non legge neppure sotto alle coperte, sfoga la rabbia per qualcosa che non capisce, qualcosa che invece per il padroncino è insopportabile.

Continua a cercare di entrare, urlandogli di aprire, che è un cretino e che dovrebbe parlare e non fare come suo padre, quando non sta bene, cerca di ricordarsi le cose che lo fanno arrabbiare di più, perché anche farsi aprire per essere preso a calci andrebbe bene. Qualsiasi cosa andrebbe bene, pur di non sentirlo così disperato ed essere solo un volatile alto poco più di trenta centimetri, per cui una porta è un insormontabile.

Passano innumerevoli minuti prima che il rumore cessi. Innumerevoli minuti in cui l'ansia sale fino a livelli insopportabili per un cuore così piccolo. Il silenzio è allo stesso tempo una benedizione ed un'ulteriore fonte di preoccupazione. Come rischia di trovare la stanza? E Islanda?


Quando il Puffin si sveglia, si rende conto di essersi addormentato ed è pervaso da una sensazione strana. La sensazione che tutto sia diventato più piccolo, durante il sonno. Non solo, quando cerca di alzarsi, dalla posizione accoccolata in cui si trovava, gli fanno male le ossa e il pavimento si allontana, tanto che crede di essersi alzato in volo senza accorgersene.

Quando crolla in terra disteso è convinto che la sua fine sia vicina. Ogni animale sa che la morte è vicina quando non riesce a reggersi in piedi. Anche Islanda a volte lo dice. Specialmente quando ha bevuto troppo Brennivín la sera precedente.

Cerca di alzarsi di nuovo e i suoi piedi urtano qualcosa di appuntito, mandandogli fitte di dolore lungo la spina dorsale. Volta la testa e per poco non gli sfugge un grido. Piedi. Piedi con dita. Dita dieci. Gambe. Gambe rosa. Piume medie e pallide. Ginocchio! E...

Ommioddio, cos'è quella cosa gigantesca che...?!

Mani! Mani. Dita dieci, come i piedi. Oh, si muovono! Si muovono tutte per conto loro! Può toccarsi i piedi e, ah! Quella cosa reagisce, meglio non toccarla troppo!

Si alza di scatto, alla ricerca di uno specchio, ma crolla rovinosamente sul pavimento. Odia le ginocchia. Ci mette quasi quindici minuti per capire come funzionino e, dopo questo, scatta verso lo specchio del bagno.

Si guarda, stupefatto, con una mano sulla superficie riflettente, incredulo, mentre l'umano nudo restituisce la perplessità. È un umano grande come il padroncino, con i capelli neri ed un buffo ciuffo a punta. Gli occhi sono scuri, ma, dopo aver trovato l'interruttore, si accorge che sono grigio scuro, un colore molto strano per un umano.

Ma che razza di sogni fa?

Si guarda ancora, perplesso, dicendosi che sembra un po' troppo magro senza la solita forma quasi tonda della pancia, poi si ricorda che, anche se è un sogno, avere le mani vuol dire che può aprire le porte. Muove le dita, cercando di abbassare ed alzare la maniglia del bagno, cercando la giusta pressione da applicare e riuscendoci alla terza, affrettandosi a minuscoli passi rigidi verso la camera del padroncino, salvo poi sentire freddo e ricordarsi che gli umani non girano nudi. Quell'idiota di Danimarca a parte.

Sbuffando, si dirige dove il padroncino tiene i vecchi vestiti ed infila tutto con grande fatica, rendendosi conto di aver indossato abiti che gli ricordano il suo piumaggio, una camicia bianca con un coso senza maniche nero e quelle cose per le gambe che sono, crede, pantaloni. Scrolla ancora la testa, ritrovandosi il ciuffo sugli occhi e soffiandolo via, riuscendo finalmente a raggiungere la camera e reprimendo una serie di insulti alla maniglia quando riesce ad abbassarla al settimo tentativo.

Che diavoleria si sono inventati? Come fanno a conviverci ogni giorno?

Si infila dentro la stanza buia, scorrendo con lo sguardo lungo il pavimento, su cui sono ammassati libri e pezzi di mobile, sospirando, fino ad individuare la figura del padroncino sul letto, a pancia in giù, sicuramente crollato dopo la crisi, troppo stanco per mettersi al caldo.

Gli si siede accanto, indeciso sul da farsi per un momento, poi prende lenzuola e coperte e lo copre per bene, scoprendo che le dita sono davvero utili per togliere i capelli dal viso. La sua pelle e fredda, ma morbida come non ha mai sentito sotto forma di animale. Sente solo il calore e il piacere delle dita dell'islandese tra le piume.

Le dita... sono piacevoli anche per lui?

Gli sfiora la punta del naso, poi risale verso l'arcata, scoprendo il piacevole tepore che si prova ad avere una pelle. Pelle su pelle. Una bella sensazione, se la ricorderà quando si sveglierà dal sogno.

Islanda si muove un po' e si sposta sulla schiena, cacciando un lamento sordo ed aprendo a fatica gli occhi, come se dovesse smaltire una sbornia. Ha... ha anche bevuto? Di solito non è contrario ad una sana bevuta, ma... per disperazione e rabbia? Si odia per non essere stato lì ad impedirglielo, dannate ali e zampe poco utili! Dannate porte!

Il suo corso di pensieri è interrotto dalla sensazione di qualcosa di freddo sulla gola. Giusto. Ha la pelle anche lì.

Per un attimo spalanca gli occhi, spaventato a morte, ricordandosi la scena ripetuta mille volte della caccia ai propri simili, delle loro grida mentre sono catturati dai retini, mentre gli umani li tengono per la gola e... No, è al sicuro, è con il padroncino e lui... perché tiene un coltello posato sul suo collo?

“Chi. Diavolo. Sei?” enuncia il ragazzo, minaccioso ed ancora traballante per la sbornia. Puffin lo guarda, anche se al buio non vede granché bene e china la testa di lato, confuso. L'islandese ne approfitta per accendere la luce e guardarlo meglio.

Sospira, perché sa che così lo riconoscerà, ma l'altro si fa ancora più corrucciato e non sa cosa rispondergli. Apre la bocca e si ricorda che non ha mai parlato con quel corpo... ce la farà o sarà muto come la sirena di cui parla sempre l'uomo dai capelli stupidi?

“Puffin.” risponde, indicandosi, apprezzando il fatto che la voce gli esca abbastanza bassa e roca da essere riconoscibile.

Ma la lama preme ancora sulla sua pelle ed avverte il bruciore del taglio. Spalanca gli occhi, terrorizzato. "Puffin!" ripete, indicandosi, il cuore letteralmente in gola, posandosi la mano sul petto come se potesse impedirgli di fuggire dal petto.

“Non sono stupido.” ribatte l'islandese. Un po' sì, se non mi riconosci. “Puffin! Puffin, vieni qui!” esclama, voltandosi parzialmente verso la porta e notando il disordine totale della camera, ma non curandosene. “Puffin!” grida e l'animale lo guarda con gli occhi ancora ben aperti, sorpreso di vedere tutta quella preoccupazione sul viso del padroncino.

“Cosa gli hai fatto?” gli chiede, infatti, dopo poco, premendo ancora la lama. L'altro cerca di allontanarsi per rispondere ed evitare di farsi uccidere, ma l'altro lo tiene lì, bloccato.
“Io sono Puffin.” risponde, con tutta la calma possibile, anche se sta morendo di paura. Gli sembra di avere un tamburo nelle orecchie, mentre allunga le mani, con i palmi verso l'alto, in direzione del suo padroncino, come a mostrargli che non farà niente.

“Fermo! Se gli hai fatto del male, giuro che ti ammazzo.” lo minaccia Islanda, riponendo il coltello ed andando a chiamare l'animale.

Davvero è così poco riconoscibile? Aaaah! Quanti problemi! Lui voleva solo fermare il padroncino dal farsi ancora del male, non altro! Le mani non servono proprio a nulla, se lo fa preoccupare in quel modo!

Mani. Ha le mani... Se le guarda e gli sembrano troppo fragili, ma fa comunque un tentativo, andando a raddrizzare la scrivania e sentendosi immensamente forte, in quel modo. Aaah! Alla fine sono utili, quelle stupide mani!

Tutto contento per l'aiuto che può dare, si mette a riordinare, dicendosi che, per una volta, può lasciare da parte la propria pigrizia per mostrare ad Islanda che sa fare molto e non è del tutto inutile! Sa esattamente dove vanno tutti i libri e i suppellettili che trova in terra e si affretta a rimetterli a posto, contando su una doppia razione di sardine non appena tornerà il padroncino.

Guarda la libreria a terra, muovendo ancora una volta la testa di lato e dicendosi che potrebbe riuscire ad alzarla prendendola di lato, con tutti i libri all'interno e che si sente forte abbastanza da farlo. Sollevarla non è un problema. Quello si pone quando scivola su un libro con sovraccoperta e, per non cadere, si aggrappa ad uno dei centrini ricamati -regalo di Svezia, maledetto!- che stanno sotto ai libri, buttandosene addosso almeno sei e finendo comunque in terra.
“Ma porca puttana!” sbotta, magicamente memore del linguaggio che usava quando era ancora un animale parlante e continuando con una tiritera di insulti rivolti un po' al centrino, un po' a Svezia e un po' al mondo intero, che tanto se li sarà meritati di qui a mezzogiorno. Non importa se siamo nel pieno della notte.

“Puffin!” sente, da lontano, tra un bastardo di un arredatore di interni guercio e un maledetti pezzi di stoffa rincoglioniti e che scivolano. Si blocca, un libro in mano intento a picchiare sul centrino -come se servisse a qualcosa- e mette su un'espressione contentissima, non ancora completamente conscio della gamma possibile in un viso umano. La sua testa si riempie di padroncino Islanda! e, purtroppo per la sua fama da duro, anche il suo volto lo grida.

Islanda spunta dalla porta e lo guarda, seduto sui talloni com'è, il centrino da una parte e il libro ancora in mano, quell'espressione stranissima sul viso e il suo sorriso, che era spuntato nell'eventualità di trovare il Puffin, scompare.

L'altro lo fissa, la testa di lato, come un animaletto curioso, non riuscendo a capire cosa possa fare per fargli capire che è lui, il suo Puffin, senza nessun dubbio o mistero -bé, è umano, ma quello è uno strano sogno, no?-, restando a guardarlo in quel modo.

“Perché?” chiede, sorprendendo anche se stesso quando indica il disordine che ancora c'è intorno a loro. Islanda lo fissa, dubbioso, poi gli si avvicina come ci si avvicinerebbe ad un orso, con cautela, pronto a togliere il coltello dal fodero. L'espressione del Puffin ora è un misto tra l'entusiasmo di prima e la preoccupazione di quei momenti in cui avrebbe voluto fermarlo. Ma lui non lo sa. Si sente soltanto tirare tutto il viso.

“Sei... tu?” domanda l'islandese, allungando una mano verso il viso dell'altro e posando un dito su di esso. Come un gesto automatico, quello china la testa verso la mano e vi appoggia la guancia, rimanendo lì a sfregarsi, emettendo un verso di contentezza che sarebbe anche carino, se fosse fatto dall'animale, ma da un umano risulta molto strano.

Nonostante questo, Islanda conosce abbastanza bene il suo Puffin da riconoscerlo. Resta con la mano sulla sua guancia, sconvolto, non sapendo cosa fare, per lunghi minuti, prima di ritrarre la mano, lasciando l'altro scontento, a guardarlo male ed uscendo dalla stanza.

“Islanda!” sbotta, cercando di alzarsi e restando, invece, cinque minuti buoni a sciogliere il nodo delle gambe. E chi lo sapeva che gli umani fossero così flessibili? Tutta colpa delle fottute ginocchia! “Is...!” cerca di chiamarlo, ancora, disfacendo il nodo ed alzandosi, ma ritrovandosi il volto del padroncino a dieci centimetri di distanza.

Centimetri dovuti alla differenza di altezza.

“Cosa?! No, cazzo, non esiste che sia più basso di te!” grida, mentre l'altro ridacchia, divertito e gli passa qualcosa di umido sul collo, dove prima l'ha ferito. Ah, ricorda questa sensazione. Una volta, quando erano entrambi molto più piccoli di ora, era quasi finito tra le grinfie di un predatore e il bambino -perché l'islandese era ancora piccolo ed avvolto in una veste troppo grande- l'aveva curato in quel modo, con enormi lacrime agli angoli degli occhi.

Ora non ci sono lacrime, solo un piccolo sorriso e poi la sua solita aria corrucciata. Puffin sa che non è sempre stato così, sa che c'è stato un tempo in cui sorrideva e faceva quello che tutti i bambini della sua età apparente facevano -compreso rotolare giù dai pendii innevati e riempirsi di tagli e lividi nel tentativo, con grande preoccupazione dell'animale- e, segretamente, vorrebbe che ancora fosse così, perché i sorrisi del ragazzo erano belli come i paesaggi innevati.

“Perché hai smesso di sorridere?” chiede, serio ed attento ad una risposta che non arriva, perché l'islandese sta in silenzio, l'aria assorta ed infastidita, a curarlo mettendosi più tempo possibile. Sospira e lascia stare, tornando però all'argomento precedente. “Perché oggi...?”

“La vuoi piantare di farmi il terzo grado? Cosa dovrei dire di te, sei un umano! Come diavolo è successo?” chiede l'islandese, stizzito, facendo innervosire Puffin, che si corruccia terribilmente.

“E io cosa cazzo ne so?! Tu eri chiuso qui e io volevo solo che non ti facessi del male!” gli grida contro, spingendolo via e spostandosi verso la finestra, le gambe rigide, sedendosi lì a braccia incrociate e guardando fuori.

“Eri... preoccupato per me, Puffin?” chiede Islanda e l'altro non deve voltarsi per capire che la notizia lo sconvolge. Cosa si sconvolge a fare?! Non si ricorda chi gli è stato accanto quando era da solo? Ma cazzo, si aspetta davvero che non gliene importi nulla, dopo tutti gli anni trascorsi insieme?!

Emette un suono che ricorda un'automobile su di giri, aggrottando terribilmente le sopracciglia, arrabbiato. Sbuffa ed appanna il vetro, arrabbiandosi ancora di più perché non riesce a vedere fuori.

“Non volevo essere solo. Ho pensato: ogni anno mi chiudo in casa ed ignoro le persone che vengono a portarmi i regali, ma non sarebbe divertente uscire, una volta tanto? Accettare cioccolatini e rose e patetici animali con lo sguardo strano?” sussurra l'islandese, stabile nel centro della stanza. Che... che cosa vuol dire? Allora aspettava i cioccolatini, quest'anno?

Appoggia la fronte sul vetro e si corruccia ulteriormente, posandovi anche la mano. "Sei uno scemo, quei due sono troppo strani e non ti vogliono veramente. Me l'hai detto tu." ribatte, non capendo bene perché si senta così arrabbiato.

“Io sono solo. Non voglio essere solo. Persino mio fratello mi ha detto che sarebbe uscito, quest'anno, io... Io volevo... Io volevo solo essere felice con qualcuno.” mormora l'islandese, in un tono che lo fa voltare verso di lui, perché è triste e rotto, come se stesse piangendo. Non lo fa. Ma si sta abbracciando, le mani saldamente intorno al corpo, che sottolineano quella solitudine.

“Cretino. Non sei da solo.” ribatte il più piccolo, saltando giù dal bordo della finestra e dirigendosi a grandi falcate verso l'altro, che lo guarda come se gli avesse appena detto di avere quattro ali ed una testa piena di fiamme. Nella propria camminata trionfale, Puffin inciampa tre volte nei propri piedi, l'ultima finendo dritto addosso all'islandese.

“Porca puu...!” sbotta, arretrando tenendosi il naso, sentendo un dolore terribile, che gli indica che è sicuramente rotto e morirà tra poco. “Sanguino! Morirò!” appunto.

“Smettila di agitarti e fammi vedere.” borbotta l'islandese, non contento per i soliti motivi non comprensibili al povero Puffin. Ci mette un po' a fermarsi, gridando qualche insulto casuale nei confronti del mondo intero, ma poi facendosi bloccare dall'altro ed ispezionare con cura.

“Non hai niente, non esce neppure sangue.” lo rassicura, sembrando sollevato.

Lo guarda fisso, ancora un po' sconvolto dal dolore che prova, che sembra estendersi in tutto il corpo. Ed è un corpo grande, maledizione!

“Ahi...” si lamenta ancora, profondamente scontento, restando a guardare l'islandese com'è solito fare. Di solito, però, quello non diventa tanto rosso. Avrà la febbre? Aaaah! Se ha la febbre non sa cosa fare, di solito gli porta degli asciugamani bagnati, ma se continua a barcollare in quel modo, chissà se...!

“Non fissarmi così.”

Eh?! Ma lui lo fissa sempre, sempre! Come fa a non fissarlo? Insomma, è lì, davanti a lui, che cosa deve guardare, il soffitto? Già gli occhi di Islanda sembrano lontanissimi, poi ci manca anche che si faccia venire il torcicollo per guardare per aria! Ma insomma!

“Perché?” chiede, per l'ennesima volta. Comincia a credere che quel sogno sarà pieno di quelle domande brevi ma poco efficaci. “Ammiro il paesaggio.” aggiunge, stupidamente, rendendosi conto che dovrebbe forse fargli presente che ammira sia il paesaggio che la persona di Islanda. Ah, ma queste cose si possono dire? Gli esseri umani sono strani, ma lui non è abituato a trattenersi dal dire quello che pensa!

“Ma cosa dici?” borbotta il padroncino, puntandogli il dito in mezzo agli occhi ed allontanandolo, sorridendo per il modo buffo in cui incrocia gli occhi. Giusto, un'altra cosa strana: occhi frontali, li può muovere in modi molto strani.

“A me piace Islanda. Ha dei bei paesaggi, l'aria è pulita, il ghiaccio colpito dal sole brilla come un gioiello e il verde in estate è più verde che in ogni paese del mondo!” esclama, tutto contento -ancora una volta, non si rende proprio conto di quanto il suo volto sia espressivo- e spostando le labbra tutte da un lato per pensare. Forse deve spiegarsi meglio?

“Puffin, ci stai provando?” chiede l'islandese, fissandolo a propria volta, ma senza arretrare. Che strano, sembra spaventato, ma non se ne va'. Di solito le persone spaventate arretrano, no? Insomma, lui non l'ha fatto quando prima... ah, ma perché si fida, ecco! Sa che il padroncino è scemo, ma ha un cuore buono.

“A fare cosa?” ribatte, confuso, cercando nei modi di dire quello usato dall'umano. Quello sospira, come se avesse a che fare con un bambino, cosa che lo fa corrucciare incredibilmente.

“Non fare così, ti verranno le rughe.” lo rimprovera, prima di punzecchiarlo ancora sulla fronte, facendogli incrociare gli occhi e sbuffare. Non vuole che lo prenda in giro, insomma! Perché lo prende in giro ora che non è più un vero puffin?

Gli afferra il dito, ripetendo quel lamento da automobile che va' su di giri e cercando di morderlo come lo beccava di solito, restando con l'indice tra i denti e poi optando per tenere la mano prigioniera. Islanda sobbalza e lui lo fissa, vittorioso, un grosso sorriso sulle labbra.

In quel momento dalla banca dati centrale, quella con l'etichetta modi di dire islandesi, arriva la risposta alla sua domanda.

“Eh?! Io non ci sto provando, scemo, dico solo quello che penso!” sbotta, sentendosi caldo in volto ed agitando il braccio libero, in un gesto stizzito ed imbarazzato. Ah, deve imparare a mostrare il medio, sarebbe perfetto in quelle occasioni!

Islanda si libera e si affretta ad incrociare le braccia al petto, voltando lo sguardo verso il letto ed imbronciandosi.

“Meglio, perché non mi va' proprio di stare con qualcuno che puzza di pesce!”

Puffin gli cammina di fronte, furioso, prendendolo per la camicia con aria minacciosa. “Cosa vorresti dire? Io ci sto bene con te, anche se non sei più sorridente e carino come un tempo, comunque ti occupi di me e io sono felice! Mi piace guardarti in ogni cosa che fai, perché ogni cosa che fai è interessante e comunque di più di quando la fanno gli altri!” sbotta, ferito. A lui piace stare con lui, perché non è lo stesso? Non gli ha mai detto una bastardata simile, quando era un vero puffin! Che sia colpa di quella forma umana?

“Se ti da' tanto fastidio che io sia umano, allora vorrei...!” aggiunge, finendo la frase bofonchiando nella mano dell'islandese, posata sulla sua bocca per farlo tacere. “Tu... non hai capito in che senso intendo stare insieme. A me piace stare con te. Mi tieni compagnia da tantissimi anni e, credimi, non saprei cosa fare... senza. Ma non intendevo quello.”

Fa un sorriso, che distende i suoi tratti ed illumina i suoi occhi grigi, esprimendo tutta la felicità che un puffin può provare in una vita intera, ma solo un minimo di quella che un umano sente in un momento solo. Tutto sembra gigantesco, quando si è un volatile di trenta centimetri. Ma quando si diventa grandi come un umano di sedici anni, anche le sensazioni crescono e da quelle Puffin si sente schiacciato, in questo momento.

Si sente felice, decisamente schifosamente felice, come se avesse mangiato un chilo di pesce ed un altro chilo di liquirizia -che a lui piace, non la mangia solo per fare un piacere ad Islanda- e gliene stessero offrendo ancora, all'infinito.

Ma si blocca, gli occhi grandi e stupiti, che fissano l'islandese, capendo cosa intende e chiedendosi come diavolo possa pensare queste cose di lui, che non è che un minuscolo animale da compagnia, che sarebbe buono arrosto, ma... stare insieme, così come lo intende Islanda... perché lo rende felice e triste allo stesso tempo?

Puffin allarga il sorriso e si libera dalla sua mano, illuminandosi ancora e, a giudicare dall'espressione dell'islandese, spaventandolo.

Allarga le braccia e fa qualcosa che ha visto fare nei film soltanto: prende la rincorsa e si lancia sull'altro, agganciandogli le gambe alla vita... e facendolo cadere rovinosamente all'indietro, sbilanciato.

“Puffin!”

Scuote la testa, avvolto com'è su di lui, soffiando via il ciuffo che gli ricade sugli occhi e sfregando la testa contro la spalla del padroncino, contento, anche se nei film la caduta non l'ha mai vista.

“Puffin, cosa...? Non hai capito, io...!” cerca di protestare l'islandese, porpora in faccia, mentre l'altro si sfrega tutto felice, emettendo il suono felice che gli ricorda, ancora una volta, che quello, fino a qualche ora prima, era un animaletto da compagnia un po' rumoroso, ma sicuramente molto affettuoso.

“Mi ami!” esclama infatti quello, alzando la testa e ridacchiando, prima di posare le labbra sulle sue. Islanda fa per protestare, ma si blocca con quel gesto, deglutendo rumorosamente, immobile come se l'avessero immerso completamente nel ghiaccio. Puffin ignora tutto questo e si stacca, per dargli un altro bacio, piccolo ed infantile, seguito da un altro ed un altro ancora.

“Puffin! Puffin, queste cose si fanno...!” cerca ancora di dire la sua, ma non ha capito che l'altro ha ben altre idee. Infatti si solleva ancora, confuso e felice, perché quei gesti lo rendono contento, giocherellando con una sua mano. “Con la persona che ti ama!” ribatte, con un'espressione talmente dolce da disarmarlo completamente.

L'islandese lo prende per i polsi, tenendolo lontano. Puffin lo fissa, contrariato ed ulteriormente confuso. “Cosa c'è? Hai detto che non volevi essere solo, non sei solo, non ti servono quegli stronzi che non capiscono niente di te. Hai me. Possiamo stare insieme.” mormora, mordicchiandosi il labbro inferiore, nervoso. Ha idee molto vaghe dello stare insieme, a dire il vero... però questo non significa che non voglia continuare a fare quello che stava facendo fino a cinque secondi prima.

Le labbra non sono come un becco, sono morbide e possono fare grandi cose, ne è assolutamente certo e gli piace sentirle sulle sue. Così come gli piace la sensazione della pelle e delle dita dell'altro nelle mani e le stesse. Avere le mani è bello, perché può stringerlo ed impedirgli di farsi del male, aprendo le porte.

“Puffin, sei...” un puffin. Se lo dice giura di mandarlo a farsi fottere fino al giorno del mai. “...sicuro?”

Puffin sorride ed annuisce, dandogli un altro bacio. Sono divertenti e morbidi, quei baci e lo fanno sentire al caldo, meglio di un nido con piume ed erba, mentre fuori fa troppo freddo per uscire, con una riserva di cibo accanto. Ecco, la vita ideale.

“Parliamone domani.” cede infine il padroncino, facendolo rotolare di lato ed andando a recuperare la coperta ai piedi del letto, creando un nido per entrambi, come gli ha visto fare spesso.

Si avvicina a lui e sente il suo braccio avvolgerlo e portarselo vicino. Il contatto con la sua mano gli ricorda che, in fondo, non è cambiato nulla... anche se lui è cambiato e non è più un minuscolo puffin su un letto enorme. Ci stanno stretti, lì sopra, ma non per questo è meno piacevole.

Domani... spera di svegliarsi ed essere ancora dieci centimetri più basso di Islanda, capace di ricambiare il gesto e posargli la mano sul cuore.



Note dell'autrice:

Avrei dovuto pubblicare a San Valentino, ma tra un esame e l'altro me ne sono scordata, pensando “bé, tanto è sul blog”. Eccerto.

Comunque... non ho mai scritto una cosa tanto lunga, mi chiedo se siate arrivati fino in fondo... spero di non aver annoiato nessuno, comunque.

Come sempre, per le inedite, le fanfiction che consiglio e qualche chiacchera, Attraverso lo schermo è il mio blog, se vi va', fateci un salto!

   
 
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