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Autore: My Pride    23/02/2012    3 recensioni
La corda di un violino che si spezza produce una nota falsamente melodiosa;
all’orecchio dei morti risuona come lo stridio furente e vendicativo dell’acciaio.

Le malelingue erano sempre esistite, da che mondo era mondo, ma Don Zoroshia non vi aveva mai dato la benché minima importanza. O almeno fino a quel determinato momento.
«Il primo che si innamora è un uomo morto, Zoroshia»
«Allora io lo sono già da tempo, Sanjīno»
[ Ambientata durante il Mugiwara Theatre «Jingi-nai Time», ma non ha nulla a che fare con esso ]
[ ZoSan Centric || Riferimenti ZoLu, ZoNami e ZoRobin ad interpretazione strettamente personale ]
[ Terza classificata e vincitrice del Premio miglior trama al «Fangirl contest» indetto da Dark Aeris ]
[ Prima classificata e vincitrice del Premio Stile al contest «Dal numero alla storia» indetto da Akane_Hirai e valutato da Roro ]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Nico Robin, Roronoa Zoro, Sanji
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Adagio_1
[ Prima classificata e vincitrice del Premio Stile al contest
«Dal numero alla storia» indetto da Akane_Hirai e valutato da Roro ]
[ Terza classificata e vincitrice del Premio miglior trama al «Fangirl contest» indetto da Dark Aeris ]

Titolo: Adagio for strings
Autore: My Pride
Fandom: One Piece
Personaggi: Roronoa Zoro [ Don Zoroshia ], Sanji Black-Leg [ Don Sanjīno ], Monkey D. Rufy [ Don Rufiōne ], Usopp [ Usotūya › Rufiōne Family ] Tony Tony Chopper [ Choparīni › Sanjīno Family ]; Nico Robin [ Robīta › Zoroshia Family ], Nami [ Namimōre › Zoroshia Family ], Comparse varie
Pairing: ZoSan || Riferimenti ZoLu, ZoNami e ZoRobin ad interpretazione strettamente personale
Numero scelto: Pacchetto 59
- Numero 84 › E’ il numero dei facili pettegolezzi, delle dicerie frivole, delle pubbliche relazioni, dell’informazione. Questo numero è presente quando si sognano o si sentono pettegolezzi che ci riguardano, che riguardano i nostri cari e le persone che frequentiamo, oppure se si è costretti ad ascoltare conversazioni frivole, soprattutto in un luogo sacro o di rispetto. E’ il numero delle persone brillanti ed attuali sul lavoro, in una festa, in una cerimonia, in un meeting aziendale, in gita o in vacanza, e nella vita in genere. E’ anche il numero delle notizie, anche quelle che ci riguardano direttamente, degli articoli di cronaca. Questo numero rappresenta il pergolato d’uva, il ventaglio, il suono delle campane, il pregare insieme ad altre persone, le conversazioni ed i dialoghi.
- Simbolismo › Slealtà e corruzione. Il rovesciamento dei valori, il venire meno ai doveri, il cattivo esempio, l’adulterio.
Tipologia: Long Fiction [ 9462 parole
[info]fiumidiparole per cinque capitoli ]
Rating: Arancione
Genere: Generale, Drammatico, Angst, Malinconico, Vagamente Erotico, Vagamente Introspettivo
Nota: Questa storia prende spunto da uno dei “Mugiwara Theatre”, precisamente “Jingi-nai Time”, ma non ha nulla a che fare con esso.
Avvertimenti: Shounen Ai, Probabilmente non per stomaci delicati,
Possibili spoiler after “New World Arc”, Alternative Universe, Vagamente - o forse anche troppo - nonsense, Linguaggio a tratti un po’ colorito  
Piscina dei prompt: Zoro/Sanji, Ferro, sangue e polvere da sparo


ONE PIECE © 1997Eiichiro Oda. All Rights Reserved.


ADAGIO FOR STRINGS 

La corda di un violino che si spezza produce una nota falsamente melodiosa;
all’orecchio dei morti risuona come lo stridio furente e vendicativo dell’acciaio.


ATTO I
COMPLOTTI DI GUERRA


    Le
 malelingue erano sempre esistite, da che mondo era mondo, ma Don Zoroshia non vi aveva mai dato la benché minima importanza. O almeno fino a quel determinato momento.
    Si era svegliato di malumore, quel mattino, e tutto a causa della riunione avvenuta la sera addietro con i restanti membri della famiglia. Aveva sentito soltanto di sfuggita le chiacchiere frivole in cui le donne si erano gettate  - e quella sciocca di Namimōre sapeva blaterare per ore ed ore, quando ci si metteva -, preferendo starsene in disparte per riflettere su cose molto più importanti. L’avvicinarsi dell’incontro con Don Rufiōne non gli aveva permesso di concentrarsi su nient’altro, e tutto perché aveva avuto sin da subito l’assoluta certezza che non sarebbe stata un’adunanza piacevole. Ed era proprio lì che subentrava il suo cruccio. Tra le varie piccolezze che era stato costretto ad ascoltare durante tutta l’ora di cena, gli era parso di udire qualcosa che non gli era per niente piaciuto; si vociferava difatti che Don Sanjīno avesse fatto avere nuovamente notizie di sé dopo essere scomparso per oltre sei anni, e ciò significava soltanto che l’attuale condizione era ulteriormente peggiorata. Non si poteva sperare di avere libero accesso al potere se a contenderselo non era una sola famiglia o due, ma ben tre. E Don Zoroshia era certo che avrebbe avuto qualche chance in più solo chi avrebbe preso in mano le redini e attaccato per primo. Aveva dunque deciso - tra l’altro senza consultare nessuno, poiché da un po’ di tempo a quella parte aveva cominciato a diffidare persino dei propri alleati - che, alla riunione che sarebbe avvenuta da lì a poche ore, sarebbe stato lui stesso a dichiarare guerra alle restanti famiglie per non farsi cogliere impreparato. Don Rufiōne poteva forse tenerlo a bada, però non conosceva altro modo se non la violenza, con Don Sanjīno.
    A quei suoi stessi pensieri, si maledisse, imprecando a denti stretti. A chi voleva darla a bere? Per quanto detestasse ammetterlo e persino ricordarlo a se stesso, Don Sanjīno non era stato soltanto un suo rivale, prima di sparire dalla circolazione. E forse era proprio per quel motivo che preferiva senza alcuna ombra di dubbio scontrarsi immediatamente con lui, se mai si fosse fatto vivo per reclamare a sua volta il potere.
    «Sake?» Una voce femminile alle sue spalle lo riscosse dalle sue turbe mentali e fu quasi capace di farlo sussultare, giacché era stato così concentrato sui propri pensieri da estraniarsi dal resto del mondo. Fu dunque con una sorta di incertezza che si voltò, incontrando lo sguardo ambiguo e sorridente di Robīta che, tolti gli occhiali da sole che indossava praticamente in qualunque istante, sembrava ammiccare nella sua direzione. Sorreggeva anche una bottiglia, e fu proprio su di essa che si concentrò l’attenzione di Zoroshia, che arricciò le labbra prima di strappargliela dalle mani senza tanti complimenti.
    «Grazie», borbottò poi, e bastò quella singola parola per far sì che Robīta si accigliasse. Il capo che ringraziava qualcuno? Il mondo stava decisamente andando a rotoli, non c’era nessun’altra spiegazione.
    «Preoccupato per qualcosa?» le venne spontaneo domandare, osservando attentamente il modo in cui Zoroshia aveva stappato la bottiglia con i denti prima di ingollare un lungo sorso di liquore.
    «Perché dovrei essere preoccupato?» rimbrottò, poiché mai e poi mai avrebbe confessato cosa lo turbasse. Dannazione, già era difficile per lui anche solo pensare di essere nervoso per due idioti contro cui avrebbe dovuto scontrarsi per conquistare il monopolio. Perché il problema principale era quello, in fin dei conti, ed era più che sicuro che con quello stupido sopracciglio a ricciolo di Don Sanjīno nuovamente fra i piedi, avrebbe sudato ancor più quella vittoria.
    Sbuffò, scuotendo appena la testa. Non era il momento di pensare a cose del genere, quello. Le sue attenzioni dovevano riversarsi unicamente sull’incontro imminente, niente di più, niente di meno. Bevve un altro sorso di liquore prima di abbandonare la bottiglia ormai vuota sul tavolino di legno alla sua destra, scoccando una rapida occhiata a Robīta. «Sarò ai piani superiori», decretò di punto in bianco. «Vieni a chiamarmi solo quando Rufiōne si farà vivo».
    A quel dire, però, Robīta sorrise sibillina. «Veramente Don Rufiōne è già qui, è arrivato cinque minuti fa».
    «Che cosa?» Zoroshia spalancò l’occhio, incredulo a dir poco. «E allora dov’è quell’imbecille?»
    «In cucina ad infastidire i cuochi», lo informò la sua interlocutrice in tono calmo ed estremamente pacato. «Si lamenta di aver fame e di volere della carne».
    Il volto di Zoroshia divenne una maschera di emozioni indecifrabili, tanto che, forse per rabbia, si ritrovò a sbattere violentemente un pugno contro il muro, richiamando così l’attenzione di tutti i presenti. Parve però non darvi peso, rivolgendo il proprio sguardo verde scuro solo su Robīta. «Che diavolo aspettavi a dirmelo?!» sbottò inviperito al suo indirizzo, al che lei si limitò semplicemente ad infilare una mano nella tasca della giacca elegante per tirar fuori gli occhiali da sole.
    «Lei non me l’ha chiesto, capo», si giustificò con un nuovo sorriso mentre poggiava le lenti sul naso, riuscendo solo a far incupire maggiormente il viso di Zoroshia.
    «Sei un demonio, donna», esalò quest’ultimo prima di darle le spalle, ignorando volutamente la risata leggiadra che parve seguirlo persino nel corridoio della magione, rimbombando contro i muri senza remore. Non si era mai fidato del tutto di Robīta, in quegli ultimi anni, per quanto Namimōre trovasse in lei un’amica fidata con cui confidarsi. Non era mai riuscito a capire le donne, ma era convinto che quelle due superassero il confine sottile che permetteva ad un uomo di comprendere almeno in parte che cosa passasse nelle loro teste. Le donne erano creature troppo complicate, per un tipo come lui, e riuscire a fidarsi di loro era anche più difficile di quanto non avesse creduto al principio.
    A quei pensieri, scosse furentemente la testa, scompigliandosi i capelli con una mano con una tale rabbia che gli parve quasi di sentirli andare a fuoco. Un idiota, ecco cos’era. Non c’era tempo per pensare ad assurdità del genere.
    Attraversò alla svelta il disimpegno che lo separava dalle grandi scalinate di granito che portavano ai piani inferiori, sentendo i propri passi risuonare nel grande atrio dalla pavimentazione a scacchi; alle sue orecchie cominciavano già a giungere le esclamazioni concitate dei cuochi, quei patetici omuncoli che non riuscivano nemmeno a tenere a bada un singolo uomo. Sapeva bene che Rufiōne non era da considerare un comune essere umano, però in quanto servitori della famiglia Zoroshia pretendeva che anch’essi avessero il pugno di ferro in qualsiasi situazione. E fu nello svoltare a destra che gli parve di udire la voce frettolosa di Usotūya, uno dei fidati tirapiedi di Rufiōne. Quel nasone era il più fedele dei suoi uomini, certo, ma era conosciuto anche per la marea di menzogne che era solito raccontare in giro e per la sua grande abilità di svignarsela nelle situazioni complicate; difatti, per quanto gli piacesse essere chiamato da chiunque Usotūya il coraggioso, in realtà era un fifone nato.
    «Don Rufiōne, la prego, li lasci stare!» Quella che sentì sopraggiungere qualche attimo dopo era di sicuro la voce di Yosakūto, e Zoroshia non poté evitarsi di imprecare a denti stretti nel rendersi conto che se persino lui era arrivato fin lì, voleva solo significare che quello stupido di Don Rufiōne stava facendo un’altra cazzata delle sue. E la cosa divenne fin troppo palese quando arrivò dinanzi alle porte delle cucine, trovandolo a spazzolare qualsiasi cosa i cuochi avevano preparato - si era mangiato persino le bucce delle patate, quell’idiota - e obbligandoli letteralmente a cucinare altro in fretta, nemmeno fosse stato lui il padrone di quella villa.
    Fu a quel punto che Rufiōne si girò e si accorse della sua presenza, allargando esageratamente la bocca in un grosso sorriso. «Ohi, Zoroshia!» esclamò pimpante e allegro come non mai, quasi stesse letteralmente ignorando di trovarsi in casa di un nemico e che il nemico in questione era proprio a pochi passi da lui.
    Zoroshia aggrottò la fronte ed entrò, scoccando una rapida occhiata al suo sottoposto. «Qui ci penso io, Yosakūto», lo congedò immediatamente, avvicinandosi a Rufiōne per afferrarlo per un orecchio, neanche fosse stato un bambino. «Vieni con me, dannato cretino», sbottò, ignorando i suoi lamenti, i sospiri di sollievo dei cuochi e i loro ringraziamenti frettolosi per essere stati liberati da quella sottospecie di locusta. E continuò a non dare peso alle sue parole e alle sue scusanti per tutto il tragitto di ritorno nel corridoio, dirigendosi verso il lato ovest della villa per salire ai suoi appartamenti e chiudersi la porta dello studio alle spalle quando lo raggiunse con Rufiōne al seguito. Era il momento di parlare di affari e non voleva terzi incomodi o interruzioni, e sarebbe stato meglio che Rufiōne cominciasse a metterselo bene in testa.
    Eppure qualcosa, in quella stanza la cui unica fonte di calore e luce era un camino acceso, gli dava come l’impressione di non essere più soli.








_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Partiamo con il dire che quest'immagine a lato è carinissima, anche se con il contesto non c'entra un bel niente u_u Però avevo una voglia matta di inserirla ed ecco alla fine il risultato x)
Comunque sia, questa storia, che ha come fonte di ispirazione centrale uno dei “Mugiwara Theatre”
come accennato nelle note iniziali - anche se, in verità, con esso ha davvero ben poco a che fare -, è stata scritta per il contest Dal numero alla storia indetto da Akane_Hirai, del quale stiamo ancora attendendo i giudizi.
In verità non ho idea di quanto sia rimasta in linea con il carattere dei personaggi, però, giacché si trattava di un “Mugiwara Theatre”, credo che vadano bene anche così.
La storia sarà composta da soli cinque capitoli, e proverò ad aggiornare ogni settimana, tempo permettendo.
Spero comunque che in qualche modo vi abbia momentaneamente interessati.
Al prossimo capitolo. ♥





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