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Autore: Cosmopolita    23/02/2012    8 recensioni
Quando sei un single che abita da solo, alcune cose ti sembrano talmente scontate da non accorgerti nemmeno che esistano.
(Dal prologo)
Arthur Kirkland è un poliziotto cinico e felice della sua vita in solitario.
Ma l'entrata di due bambini nella sua vita gli farà presto cambiare idea...
[...]–Eileen Jones ha due bambini. – cercava di misurare le parole, di dire e non dire –Si chiamano Alfred e Matthew, sono gemelli... – si sistemò una ciocca di capelli color del grano dietro l’orecchio, forse un altro stratagemma per perder tempo e fece un gran sospiro.
–Lei è il padre. – buttò giù la frase frettolosamente, quasi volesse togliersi subito quel fastidioso sassolino dalla scarpa.
Arthur si strozzò con la sua stessa saliva. Tossicchiò per alcuni minuti poi incredulo, ripeté –Il padre? Io? – [...]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'This is your father'
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 New York, 1987

 
Quando sei un single che abita da solo, alcune cose ti sembrano talmente scontate da non accorgerti nemmeno che esistano.
 
Per Arthur Kirkland era così: la sua vita da single venticinquenne che abitava da solo, con una brillante carriera da poliziotto davanti sembrava il Paradiso terrestre che aveva sempre desiderato. Prima di tutto, non aveva più i suoi fratelli tra i piedi. Vivere con loro sembrava come essere in una gabbia: non poteva fare nulla che non fosse oggetto di irrisione da parte loro, soprattutto di Ian, il maggiore.
Secondo, non dipendere da nessuno gli piaceva.
Quando ricevette la sua prima busta paga da poliziotto fu preso da un brivido di eccitazione incontenibile perché quei soldi erano davvero i suoi e poteva farci tutto quello che voleva.
Logicamente non proprio tutto, visto che l’affitto della casa non si pagava da solo. Ma era stata comunque una bella sensazione.
Era ovvio che quell’indipendenza costava anche sforzi amari, non solo a livello di lavoro: Arthur ormai contava sei camicie con il colletto bruciato e circa venti mutande che si era dimenticato di separare dai colorati ed erano venuti di un arancione molto più vicino al rosa che ad altro.
Infine tanti anzi troppi, fallimenti culinari che comprendevano dalla bruciatura di cibi, fino allo scambio del sale con lo zucchero e viceversa.
Tuttavia si poteva ritenere felice così, con le sue camicie bruciate, le sue mutande arancioni e la sua pizza schifosamente dolce.
 
 
Quella giornata lavorativa era stata decisamente snervante.
Gli piaceva molto il suo lavoro, ma quando si ha per collega un francese che sembra stare ore ad apprezzare con sguardo malizioso il tuo “discreto sedere” convinto di non essere notato da nessuno, anche bere un bicchiere d’acqua può risultare sfiancante.
E quel francese, era decisamente la persona più repellente che Arthur avesse mai conosciuto in tutta la sua vita.
-A che ora stacchi, oggi?- gli chiese ad un certo punto, come un fulmine a ciel sereno. Non si parlavano gran che, di solito il loro rapporto era limitato da una violenta litigata e tante discussioni su quanto per Arthur l’Inghilterra fosse migliore della Francia, o su quanto la Francia secondo Francis, fosse migliore dell’Inghilterra.
A dirla tutta, era l’inglese a non avere un minimo di confidenza con nessuno. Se ne stava sulle sue e campava benissimo così.
-Scusa?- non capiva il senso di quella domanda, apparentemente priva di alcuna logica.
-Ho detto: a che ora stacchi oggi?- ripeté il francese adagio.
Forse, ai suoi occhi, Arthur in quel momento gli era apparso un po’ demente.
L’altro guardò l’orologio, aggrottando le sopracciglia. più che altro non capiva il perché di quell’insolito quesito –Tra mezz’ora…- la sua voce era fievole e tradiva un tentennamento dovuto più che altro dall’effetto sorpresa che quella domanda gli aveva provocato –Perché?- domandò circospetto poco dopo.
Francis fece una risatina che gli mise il nervoso –Oh, nulla.– il tono di voce che aveva usato non lo convinse per niente, ma forse era eccessivamente sospettoso e davvero Francis aveva fatto quella domanda solo per attaccare discorso, fallendo purtroppo.
-E come ritorni a casa?- aggiunse dopo un po’, in un probabile e sciocco tentativo di riattaccare bottone -Ho visto che non hai una macchina…-
Che nervi! Ma lo spiava o cosa? -Come fai a sapere che non ho una macchina?- lo attaccò irritato.
-Beh, ho intuito che non l’avessi, visto che arrivi in questura sempre a piedi. – il francese fece spallucce, non scomponendosi di un millimetro. E questa sua pazienza invidiabile, fece si che Arthur diventasse ancora più irritabile –O sbaglio?-
-No, non sbagli…- ammise arrossendo l' inglese. Tutti i suoi colleghi avevano tutti almeno una utilitaria o comunque una bagnarola a motore, lui invece era già troppo se aveva l’abbonamento annuale degli autobus.
Non perché fosse povero, anzi, forse era più ricco di tutta quella massa di “incompetenti” messi insieme ma era tutta una questione di simpatia. Simpatia.. che brutta parola!
Arthur provava un’avversità innaturale per questa parola, il che era quasi illogico. Può starti antipatico una persona, un atteggiamento ma no…una parola! Anzi, ad essere precisi, non era la parola “simpatia” a fargli ribollire il sangue nelle vene, ma il significato puramente soggettivo che veniva dato alla suddetta parola: persona gradevole, socievole, a modo…lui era così, pensava di esserlo per lo meno, eppure nessuno gli aveva mai detto che era simpatico, a parte rarissime e straordinarie eccezioni. Forse era per questo che odiava quella parola: era una concetto che voleva disperatamente essere.
Molti storcevano il naso, ma lui non capiva cosa ci fosse di strano in quello che era: un normale inglese che diceva raramente “ti amo” ad una donna, che non faceva sesso se non si era fatto prima una serie di esami di coscienza che solitamente, lo portavano a optare per il lasciar perdere, una persona capace di volere bene ai pochi amici che aveva, ma ovviamente non avrebbe mai detto loro le cose come stavano.
Era così, non poteva farci nulla.
Ma per i suoi genitori, forse, era sbagliato definire la questione come “simpatia”.
No, forse era qualcosa di peggio: ambizione. I suoi genitori avevano nutrito probabilmente con troppa convinzione l’idea che Arthur un giorno sarebbe stato il più grande avvocato di Londra ed erano andati su tutte le furie quando scoprirono che il loro pupillo voleva fare il poliziotto.
In poche parole: diseredato.
Vaffanculo e arrivederci.
Ma a lui non importava gran che. Anzi, era andato via dall’Inghilterra, nonostante amasse la sua terra più di ogni altra cosa al mondo.
Il primo anno aveva vissuto a Charleston, poi, dato che non trovava un lavoro decente e adatto a lui, aveva deciso in un folle momento di  trasferirsi a New York. Aveva vent’anni e rimase lì per cinque.
-Allora? Come ritorni?- la voce perentoria di Francis lo riportò alla realtà.
-Che domande?- sbottò impazientito –Secondo te? A piedi!- se lo ripeteva spesso: l’ironia era una delle sue migliori virtù, e lui ne abusava fin troppo.
L’altro lo squadrò dall’alto in basso –Dov’è che abiti?-
-Fatti una bella cura di affari tuoi. – rispose caustico.
-Mmm…- quel mugghio suonava come una manifestazione di riflessione –Simpatico!-
Ecco che ritornava nei suoi pensieri la parola simpatia, scritta in rosso. Oh, come la odiava…
-…Queen…- si decise a borbottare alla fine.
-Già, posto raccomandabile e, soprattutto, molto vicino alla questura!- da dove lo prendeva fuori tutto quel sarcasmo? Un rompiscatole sarcastico è peggio di uno normale…
-Ti prendevo in giro, ranocchio!- la sua voce era veemente, ma allo stesso tempo tradiva un tono di dignitosa sconfitta; come un soldato che si arrende al nemico dopo un' estenuante battaglia –Ovvio che non vado a piedi! Ho l’abbonamento dell’autobus…-
-Quindi, non ti scoccia se ti offro un passaggio…- 
-Hai sbagliato i tuoi conti- ecco dove voleva andare a parare! Quello che un ingenuo avrebbe confuso come un gesto di  gentilezza, ma che Arthur aveva subito percepito come non solo quello.
-Cosa c’è sotto?- il suo viso era rosso di rabbia. I suoi occhi verdi e fiammeggianti si scontarono con quelli azzurri e decisamente più gentili di Francis.
Ecco, come faceva una tonalità di colore così bella e pura ad essere incastonata sulla faccia di quell’uomo? Era uno dei misteri sui quali l’inglese avrebbe potuto indugiarsi anche per un’intera serata…
-Nulla, davvero! Insomma, per chi mi hai preso?-
-Non so, ho intuito qualcosa da quando hai cominciato a guardarmi il sedere!- rispose, sempre con quella nota di sarcasmo velenoso, tipico degli inglesi.
Francis rise. Se c’era una cosa che ad Arthur innervosiva più di tutto era la risata di Francis. Perché non era una risata normale, fragorosa  o genuina, no…assomigliava moltissimo ad una risata da caffè parigini… in poche parola falsa, e accattivante.. più o meno.
-Io non guardavo nessuno. - 
-Come no! Adesso vedi di sparire!-.
No, no, no! Quella era davvero una pessima giornata. Avrebbe preferito essere preso a manganellate da un delinquente, piuttosto che stare chiuso in quell’ufficio circoscritto e ristretto con quel vinofilo francese.
Francis si strinse nelle sue spalle, piuttosto dispiaciuto a dire la verità –Ti disturba se…- estrasse un pacchetto di sigarette dalla tasca del giubbotto della divisa. Quel gesto fu più che eloquente.
-No, vattene!- sembrava non gli importasse molto cosa facesse o non facesse il suo collega. Agitò una mano verso l’uscita in maniera molto disinteressata e si risedette buttando fuori un sospiro di sollievo.
Non immaginava che quello sarebbe stato probabilmente, il peggior errore della sua vita. Anche confrontato allo scambio del sale con lo zucchero.
Infatti poco dopo Francis rientrò con un sorriso sornione stampato in faccia.
-Beh? Che cosa ghigni in quel modo?- la ragione per cui la sola presenza di Francis lo faceva sbottare in quel modo così esagerato era ignota perfino a lui: forse era quel portamento troppo disinvolto o quei modi di fare nei suoi confronti decisamente irrisori…
-Piove. – quella risposta lapidaria e quel sorrisetto beffardo bastarono per fargli capire.
Maledizione. “Hai sbagliato i tuoi conti” pensò sarcasticamente tra se e se. Ovvero “le ultime parole famose”.
 
Il bolide del francese era una Renault che suonava tanto come patriottismo patetico.
Non che ci fosse bisogno di dirlo, ma Arthur stava odiando con tutto se stesso quel giorno.
-Mi ripeti la via?- continuava a chiedere Francis, anche se ormai gliel’aveva detta come minimo dieci volte, anzi, senza esagerare forse anche quindici.
Come al solito, quel vinofilo faceva ogni cosa in suo potere per attaccare bottone.
L’inglese quella volta non gli rispose, guardava dal finestrino la strada che sfilava velocemente, le macchie dei veicoli che sfrecciavano su di essa. Non sapeva dire se erano loro ad andare veloci o erano gli altri a farlo, ma in ogni caso ne dedusse che non gli importava gran che.
-Sai, tu hai bisogno di una donna!- il tono di voce di Francis era, o meglio simulava, una leggera apprensione nei suoi confronti.
-Cosa te lo fa pensare?- sbottò con aria scontrosa.
- Abiti solo ed hai un carattere intrattabile.. mi fai pena, lo sai?-
Le mani gli prudevano da morire e avrebbe preso volentieri quell’impiccione a schiaffoni se non fosse per il fatto che stava guidando e avrebbe messo a rischio anche la sua vita se lo avesse distratto. Si limitò a mostrargli il dito medio e a restare in silenzio. Per fortuna il viaggio durò poco, Arthur scese davanti al cancello del suo condominio, scrutato da Francis.
-Puoi andare!- Arthur sospirò come se si fosse appena tolto un peso gravoso sulle spalle e lo salutò con la mano. Il francese , però, sembrava non avesse la minima intenzione di scollarsi da lì.
-Ho detto che puoi andare!- scandì le parole con evidente nervosismo .
-Sei un maleducato!- commentò l’altro, scendendo dall’auto –Probabilmente sono l’unico dei colleghi a essere gentile con te e tu, non mi fai neanche salire?-
Arthur inarcò un sopracciglio –Quando mai sei stato gentile con me? Mi prendi in giro per ogni cosa.-
-E tu mi chiami pervertito, vinofilo e rana. Ah, già, e sei perfido con me. -
Chiunque in quel caso avrebbe borbottato un “touche” a mezza bocca, ma Arthur non lo fece. Grugnì soltanto e mugugnò qualcosa a proposito di “solo cinque minuti”.
Davanti al cancello del suo condominio c’era una donna ben vestita che continuava a premere il pulsante del citofono in maniera convulsa e di tanto in tanto sbuffava scocciata. L’inglese non era solito ad impicciarsi negli affari degli altri ma, quando vide che la signorina stava premendo il bottone del suo citofono, ne dedusse che stava cercando lui e fu parecchio incuriosito.
-Ha bisogno di qualcosa, signora?-con le donne solitamente preferiva usare toni più gentili e pacati.
La ragazza si girò: aveva gli occhi verdi e luminosi, come i suoi.
-Cerco il signor Kirkland: lo conosce?- il suono della sua voce era cristallino.
-Sono io!- rispose laconico e naturalmente piuttosto allarmato: cosa voleva quella donna da lui?
Lei sorrise –Che piacevole coincidenza!- usò troppa enfasi per Arthur, che invece non ci trovava nulla di piacevole in tutto quello.
Si affrettò piuttosto a chiedergli chi mai fosse. -Mi chiamo Sophie Van Der Meer e sono un'assistente sociale che si occupa della tutela dei minori!- si presentò, porgendogli la mano.
Arthur la guardò, un po’ estraniato –Mi scusi, ma ha sbagliato persona. – dichiarò, un po’ confuso –Io non ho figli…-
Sophie fece un sorriso un po’ sinistro e annuì come se la sapesse lunga –Davvero? Beh, le dispiace se andiamo dentro e ne parliamo con calma?-
Il britannico più che altro era incuriosito: cosa voleva quella donna da lui? Per istinto si girò a guardare Francis, che era più preso a guardare la signorina che a preoccuparsi di altro.
Sospirò abbattuto, tentato dal tirargli un calcio –Mi segua!- sospirò, aprendo il portone. 
 
 
 



Salve a tutti! Lo so, se non sono sommersa da FF fino al collo non sono contenta…comunque, ecco la mia nuova fic, che spero vi sia piaciuta!
Naturalmente ringrazio chi eventualmente recensirà questo primo capitolo (fatelo, mi rendereste immensamente felice!) che ricordo è solo un prologo!
Infine, ma non per questo meno importante sono infinitamente grata alla mia beta _Yurippe che ha avuto il coraggio di leggere e correggere i (tanti) errori che io non avrei mai notato.
E, siccome amo fare iscrizioni strane, voglio dedicare il capitolo a chi, per causa di un lavaggio sbagliato, ha le mutande arancioni *alza la mano* o chi ha messo il sale al posto dello zucchero *rialza la mano*
A presto :)
Cosmopolita
   
 
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