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Autore: Nebula216    23/02/2012    4 recensioni
"[...] -Dottore... F-Finisca la seduta... per favore.-
Questa richiesta, vicina al pianto, mi lascia basito: lei vuole finire la seduta, non... non mi era mai capitato.
Annuisco, poco convinto, tornando a sedere dietro la scrivania: prendo fiato.
-Famiglia.-
-Affetto.-
-Pistola.-
-Poliziotto.-
Annoto le ultime due risposte, prima di passare all'ultima domanda.
-Auto.-
Ancora silenzio[...]"
Il titolo è ripreso dal film "A Dangerous Method".
Una mini-fic HidanxLara particolare, con il mondo della psicologia come sfondo.
Konan e Jiraya sono delle semplici comparse.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hidan, Jiraya, Konan, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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“A Dangerous Method”
 

 
Capitolo 1
 
16 maggio, 16:35   
Regola Psicanalitica Fondamentale
 

Non è ancora estate, eppure una cappa di caldo afoso ed insopportabile ha iniziato ad avvolgere la città.
Mi maledico per aver scelto, fra i vari stracci del mio armadio, proprio una giacca blu notte… e dire che stamani si crepava di freddo, penso mentre cerco di calmare quelle parole poco carine che mi stanno venendo in mente.
Sbuffo, togliendomela di dosso e restando con la camicia azzurro pastello, della quale avvolgo le maniche fino ai gomiti: devo ancora visitare un paziente, l’ultimo della giornata, prima di tornare a casa; nervoso, controllo l’orologio che tengo al polso… sono le 16:30, a momenti dovrebbe arrivare dato che il colloquio è stato fissato per le 16:35.
Nella vita privata sono disordinato, quasi al limite dell’umano e particolarmente distratto, nel lavoro, invece, sembro subire una mutazione: preciso, composto, serio… e tengo molto alla puntualità.
Il rumore del motore di un’auto e la seguente chiusura degli sportelli mi mette sull’attenti: percepisco delle urla nella sala d’attesa dello studio, urla femminili che, con forza e disperazione, sovrastano quelle maschili dei suoi accompagnatori, probabilmente due; il telefono, posto alla mia destra sulla scrivania, inizia a squillare… non mi resta che alzare la cornetta.
-Sì Konan?-
Domando alla segretaria, sentendo chiaramente le grida di quella che, presumo, sarà la mia paziente, sovrastare le voci dei due uomini che l’accompagnano.
-E’ arrivata la paziente signor Williams.-
-Falla entrare.-
Tempo di metter giù la cornetta che qualcuno bussa: pronuncio un “Avanti” con il tono più professionale che posso tirar fuori dal mio repertorio, giusto in tempo per vedere entrare i due uomini e la ragazza.
Il primo, un uomo sulla cinquantina dai capelli brizzolati e caratterizzato da un paio di occhi blu notte, in quel momento colmi di rabbia, entra con passo sicuro e distaccato. Sicuramente è un generale vista la divisa verde militare che indossa, la postura dritta e rigida e le medaglie che tiene, tutte splendenti, sul petto a sinistra.
L’altro è un uomo che ho avuto modo di scorgere sul retro delle copertine di un non so quale libro: Jiraya, autore del romanzo dell’anno, se non ricordo male; è difficile identificarlo visto l’aspetto sciupato che ha oggi.
Infine, pongo la mia attenzione sulla ragazza: dimostra venti anni circa a prima vista, ma non è facile dirlo visti i capelli castani ramati che, mossi, le ricadono sul volto contratto in un’espressione al limite della sofferenza. Indossa dei jeans strappati, anfibi neri e una t-shirt bianca, con la stampa di una rosa tribale appena sotto il seno: un abbigliamento comune se confrontato con la divisa del soldato.
-Dottor Hidan Williams, per favore curi questa causa persa! Ne abbiamo fin sopra i capelli delle sue crisi!-
Ecco il classico esempio di uomo poco paziente, penso acido a causa di quel comportamento poco garbato nei confronti della mia paziente: mi piacerebbe parecchio vedere lui al posto di questa ragazza, la quale trema singhiozzante vicina allo scrittore.
L’ultima della giornata, penso deciso a voler iniziare questa seduta.
Fisso il generale e l’altro accompagnatore, mentre prendo da una custodia un paio di occhiali da vista a montatura fine e la mia fidata penna Parker; apro un taccuino rigido con fogli bianchi, scrivendo sulla cima destra la data e l’ora di oggi.
-Signori, vorrei restare solo con la paziente. Uscite, vi chiamerò io quando avrò finito la seduta.-
Non servono altre parole per far capire loro il messaggio: fuori dai piedi. Non voglio che lei si senta condizionata o osservata, con la paura di esser giudicata dai due che le domina la mente.
Rilassato, rivolgo uno sguardo nella sua direzione: trema ancora, chiusa in sé stessa come un riccio, e non osa avvicinarsi a nulla, come se temesse un rimprovero o una fatalità. È pallida e magra, forse troppo visto che riesco a scorgerle le linee delle coste, del bacino e delle spalle; l’unica e cupa nota di colore la noto sotto gli occhi verdi chiari, sottoforma di occhiaie. Si sta tormentando, sconvolta, l’unghia del pollice destro con i denti e fissa un punto indeterminato del pavimento.
Deciso a voler iniziare la seduta, mi alzo, avvicinandomi a lei con calma: appena le sfioro il braccio sinistro, però, la vedo ritrarsi di scatto al mio tocco.
-Tranquilla, voglio aiutarti. Dovresti stenderti sul quel divano, così possiamo iniziare.-
Le comunico, indicandole al contempo il classico piccolo sofà degli analisti, mobile che guarda con occhi terrorizzati: non voglio spaventarla, non più di quanto già lo sia. Mi fissa, per poi tornare al divanetto, smarrita e confusa quanto un agnello strappato alla madre i giorni antecedenti alla Pasqua. Le rispondo con un cenno della testa, un gesto che sembra rassicurarla un poco, quanto basta per farla stendere ed iniziare la terapia; oggi inizierò a tastare il terreno, attraverso la Regola Psicoanalitica Fondamentale.
Mi siedo, accavallando una gamba e preparandomi per appuntare ogni singola informazione.
-Va bene… come ti chiami?-
-…L…Lara…-
Appunto il nome sul taccuino, attendendo un cognome che, però, non arriva.
-Solo Lara?-
-Lara… Scarlett…-
-Bene, di cosa vuoi parlarmi Lara?-
È questa la base della Regola Psicoanalitica Fondamentale: il paziente deve parlare liberamente, senza temere alcuna censura da parte dell’analista; sebbene appaia inutile per la gente che non comprende e che non sa, per noi seguaci di Freud è fondamentale.
Sappiamo, infatti, che lo scopo di questa tecnica è quello di far nascere, nel soggetto, il fenomeno della resistenza: il paziente, in questo caso la paziente, non se la sente di comunicare certe esperienze o fantasie che turbano la sua psiche e tutto questo genera un blocco emotivo. Cerca, quindi, di non rispettare tale regola e di eluderla, ma sono proprio i tentativi di aggirarla che mi guideranno nella scoperta di quelle emozioni che stanno turbando Lara Scarlett.
Passano i minuti e, ancora, non vuole parlare: mi vede come un estraneo e ormai è risaputo che non si deve dar confidenza agli sconosciuti; si guarda intorno, si tormenta le dita strappando pellicine e trema.
-Lara, quanti anni hai?-
Domando per rompere il ghiaccio, guadagnandomi oltretutto la sua attenzione.
-Venti…-
-E da dove vieni?-
-Io… vengo…-
La sua voce si spenge in un sussurro: la prima resistenza.
Non le piace parlare del suo luogo d’origine.
-Vieni?-
Incalzo con una domanda, determinato a voler comunicare con lei: a quanto mi ha detto la segretaria, la ragazza convive da sedici anni con un forte trauma, un’esperienza che le ha mutato il carattere e la psiche.
Deglutisce, il suo corpo è colto da tremori lievi: non vuole rispondermi, ma devo farle vincere queste resistenze… o tutto sarà vano.
-Lara, qui sei al sicuro tranquilla.-
Non mi va di darle del lei: come età siamo vicini, inoltre rischierei di metterla a disagio, proprio quando sembra calmarsi. Prende un respiro, per farsi coraggio probabilmente.
-I-io vengo da Londra… ma non dal centro… stavo più nella… periferia.-
Annoto con cura le sue parole, registrando le possibili resistenze che incontro in questo cammino tra parentesi.
-L’Inghilterra è molto elegante. Come mai sei venuta qui in America?-
Un altro momento di silenzio, un’altra resistenza che scrivo subito nel taccuino.
-Ci… ci sono stata solo… i primi tre anni della mia vita… non ricordo molto perché… ero piccola.-
Continuo a scrivere, aspettando nuove informazioni, notizie che, però, non arrivano. Decido di prenderla larga, di girarci un poco intorno.
-Ti piace qui?-
Domanda stupida da parte mia, ma è necessaria per metterla a suo agio.
Mi guarda, quasi stralunata, probabilmente sorpresa per la mia domanda; la guardo tranquillo, pronto a trasmetterle fiducia, sicurezza: annuisce appena, non del tutto convinta, e ciò non mi fa comprendere il motivo del suo disagio.
-S-Sì… mi piace… E’… allegro come posto, un po’ caotico forse.-
Non posso fare a meno di accennare un sorriso: caotico è dir poco.
-Cosa ti piace? Insomma, avrai qualche interesse.-
-Sì… mi piace… andare in moto, a volte… canto…-
Decido di proseguire con queste domande: si sta lasciando andare.
-Canti? Quindi ti interessa la musica.-
Non risponde… altra resistenza.
Controllo l’orario osservando l’orologio che tengo al polso, constatando che ha passato quasi trenta minuti nel silenzio più totale: di solito evito di prolungare troppo le sedute, eppure in questo caso sento che non mi basta. Se non fosse per il mio senso del dovere, insisterei ancora e ancora.
Chiudo il taccuino, guadagnandomi nuovamente la sua attenzione.
-Per oggi basta così Lara.-
Le dico con un sorriso per farla rilassare, cosa che effettivamente avviene.
Mi alzo e faccio rientrare i suoi due accompagnatori, spiegando loro quando tornare, a che ora e come comportarsi per non buttare all’aria i piccoli progressi compiuti oggi.
Quando li accompagno alla porta, rivolgo uno sguardo alla ragazza.
-Alla prossima chiacchierata Lara.-
Le dico ancora sorridendo.
-…Arrivederci dottore.-
Mi risponde lei, prima di sparire dietro la porta color ebano…
Prima di tornare a gridare quando la sento salire sulla macchina ed andar via.

  
Angolo Autrice: Che dire... una mini-fic di soli tre capitoli che vede Hidan nei panni di uno psicoanalista e di Lara nei vesti della paziente.
Spero possa piacervi, l'idea mi è venuta durante una lezione a scuola (ecco cosa faccio al posto di stare attenta X°°°°D).
Bacioni!
Nebula216
   
 
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