Beneeeee, rieccomi a voi dopo un po’ di tempo! Spero di esservi mancata, anche solo un po’. Vi dirò che a me è mancato molto scrivere, e che nei ritagli di tempo cerco di farlo ogni volta che ho l’ispirazione, il che, purtroppo, non capita poi così spesso! XD
Comunque, lasciando stare tutti i miei inutili deliri, vado a parlarvi di questa fic, che, differentemente dal mio ultimo lavoro, sarà lunga un solo capitolo.
Ebbene sì, stavolta non sarete costretti a sorbirvi un fic lunghissima come “Breathless”.
Questa storia è nata da un’idea improvvisa e d’improvviso è stata scritta, quindi mi perdonerete per tutte le imperfezioni che, di sicuro, potrete trovare! ^^
Ok, la smetto di parlare a vanvera come al solito e vi lascio alla lettura della mia storia.
Ovviamente, aspetto i vostri commenti e ringrazio in anticipo tutti coloro che si fermeranno a leggere il mio lavoro!
SOLO PER UN
GIORNO
La strada sembrava un po’ più lunga ogni anno che passava. L’atmosfera
intorno, però, era quella di sempre.
Cielo scuro, scurissimo, il più delle volte coperto da una fitta coltre
di nuvole che si confondevano e quasi sparivano in tutto quel
nero.
Sui marciapiedi, inutile dirlo, un enorme manto di neve. Bianchissima.
Così bianca che quasi sembrava brillare, come se volesse combattere il colore
scuro del cielo.
In mezzo, un milione di piccole luci intermittenti. Erano ovunque..
dietro le vetrine dei negozi chiusi, attorcigliate ai balconi delle case,
persino sui fili dei lampioni.
Illuminavano ogni cosa, come se la loro presenza potesse rendere un po’
più felice chiunque si trovasse a guardarle.
D’altronde, era
Felici, certo.
Felice lo era anche lei, oh sì che lo era.
Ma non come tutte le altre persone. Per lei, quello era sempre stato un
giorno diverso dagli altri.
In quel giorno non si poteva essere felici e basta. Quel giorno
richiamava altri stati d’animo, altri sentimenti. Alcuni anche positivi.. altri,
bè.. altri non erano facili da capire nemmeno per
lei.
Comunque non ricordava il giorno preciso nel quale si era messa in testa
quell’idea, prendere la macchina e attraversare come una stupida tutta la città,
tra le strade deserte di gente e piene di luci.
Tutta la gente, la gente normale, a quell’ora della sera era seduta
intorno ad un tavolo, circondata dalle persone più care, aspettando allegra il
Natale.
Lei invece preferiva passare la sera della Vigilia in macchina, guidando
piano per potersi godere il paesaggio innevato.
Eppure non era una persona sola. Aveva una bellissima casa, una di quelle
che sognano tutti, con una cucina moderna, un enorme salotto e un camino per
riscaldare quell’ambiente già così accogliente.
Aveva tante persone che la amavano e che sarebbero state felici di
dividere quella serata speciale con lei.
Sua madre, per esempio, che abitava poche case distante dalla sua, nella
enorme villa dove aveva passato la sua infanzia felice.
O il suo manager, che solo un manager non lo era mai stato, perché a
legarli c’era l’amore che lega un fratello maggiore alla sua
sorellina.
Ah, poi, ovviamente c’era anche suo marito Jonh, che era un marito
perfetto.
Bellissimo e dolce. Un uomo comprensivo, che assecondava ogni suo sbalzo
d’umore e che ogni volta che la guardava la faceva sentire la donna più bella e
desiderabile del mondo.
L’aveva conosciuto in un pomeriggio d’agosto, mentre passeggiava serena
sul lungomare per portare a spasso il suo cane.
Gli era passata davanti distratta, sfiorandogli per sbaglio le dita di
una mano. A quel contatto lui si era fermato, le aveva sorriso e le aveva
sussurrato un timido “scusa”. Lei l’aveva guardato negli occhi, in quei
profondissimi occhioni blu, e si era sentita avvampare. Nel notare il suo
evidente imbarazzo, lui si era presentato e aveva iniziato una normalissima
conversazione. Da quel pomeriggio, Jonh, non era più uscito dalla sua
vita.
Sì, la grande Sana Kurata si era sposata e il 25 marzo avrebbe
festeggiato il suo settimo anniversario.
E questo non era tutto. Già, perché solo pochi giorni dopo, suo figlio
Matt avrebbe compiuto 6 anni.
Sana Kurata era una moglie ed una madre.
Sana Kurata aveva una vita bella e piena di soddisfazioni, una vita che
chiunque le avrebbe invidiato.
Eppure, la sera della Vigilia di Natale, non era con suo marito e con suo
figlio, ma si trovava seduta nella sua macchina scura per percorrere la stessa
strada che percorreva da un bel po’ di anni, sempre in quello stesso, identico
giorno di festa.
Era una cosa un bel po’ ridicola e se si fermava un attimo a pensarci, si
rendeva conto che nessuna persona con un minimo di buonsenso avrebbe fatto
quello che faceva lei.
No, una persona con un minimo di buonsenso avrebbe passato
Ma lei non era mai stata una persona dotata di buonsenso.. dunque perché
avrebbe dovuto iniziare ad esserlo proprio in quel
momento?
Ogni Vigilia di Natale, esattamente da otto Vigilie di Natale, Sana
saliva sulla sua macchina scura e attraversava tutta la città, soltanto per
potergli dire “Buon
Natale”.
E suo marito, come sempre, capiva.
***
Akito abitava esattamente dall’altra parte della città.
Aveva una bella casa tutto dipinta di un pallidissimo celeste cielo, con
un piccolo giardino e anche un albero di pesco. Lei l’aveva sempre visto
spoglio, intristito da tutto quel freddo, ma aveva sempre covato il desiderio di
vederlo in primavera, quando i rami erano ricoperti di fiori e di foglie verdi e
luminose.
Lei ed Akito non si incontravano mai, anche se abitavano nella stessa
città. In tutti quegli anni, non c’era stata una sola occasione nella quale si
fossero visti anche da lontano.
Mai. Quasi come se evitassero accuratamente di frequentare gli stessi
posti, di parlare con le stesse persone.
Da quanto ne sapeva, l’unica persona con la quale lui aveva mantenuto
rapporti era Tsuyoshi, che però si era trasferito in Europa dopo la fine del suo
matrimonio con Aya.
Lei invece praticamente non sentiva quasi nessuno dei suoi vecchi amici,
li aveva persi quando aveva perso Akito.
Di loro aveva solo qualche sporadica notizia, sapeva solo ciò che Fuka le
raccontava nello loro rare, rarissime telefonate.
L’ultima volta che l’aveva sentita, quasi due anni prima, le aveva detto
che si sarebbe trasferita in un’altra città per lavoro e che Aya e Tsuyoshi si
erano lasciati perché lei si era innamorata di un altro
uomo.
“Impossibile”
aveva pensato in un primo momento.
Aya con un uomo diverso da Tsuyoshi era qualcosa alla quale non aveva mai
minimamente pensato.
Erano una coppia storica, un punto di riferimento, qualcosa che non
sarebbe mai dovuta cambiare.
“Oh,
andiamo Sana”,
si era detta poi, quando lo stupore iniziale era passato.
“.. dicevi lo stesso di te e Akito, e guarda come siete
finiti..”
Già. La verità era arrivata in fretta, dura e tagliente come una
lama.
Il suo mondo, quello nel quale aveva vissuto anni meravigliosi, quello
nel quale aveva amato come non credeva fosse possibile amare, non esisteva più.
Si era dissolto, il giorno in cui lei ed Akito si erano detti
addio.
La loro storia era finita come finiscono quasi tutte le storie. Uno dei
due, ad un certo punto, aveva iniziato ad amare l’altro un po’ di meno ogni
giorno che passava.
E quell’”uno”, ovviamente, non era stata
lei.
Se ripensava a quel periodo ancora si sentiva morire. L’aveva visto
allontanarsi piano e aveva visto l’amore spegnersi nei suoi occhi dorati, senza
che lei potesse fare, o dire, qualcosa per evitare di farlo andare
via.
Quando, in un giorno d’autunno, lui l’aveva guardata e, quasi con le
lacrime agli occhi, le aveva detto “Sana, credo di non amarti più”, lei
quasi non si era stupita. Lo conosceva fin troppo bene per non riuscire a
leggere dentro di lui ogni più piccolo
pensiero.
“Lo
so”,
si era limitata a rispondergli, cercando invano di trattenere le
lacrime.
Aveva assistito impotente, mentre lui scivolava via dalla sua vita,
portandosi dietro un mare di bellissimi ricordi ed un enorme pezzo di
lei.
Se ci pensava, ancora non riusciva a credere alla facilità con la quale
Akito aveva smesso di amarla. Per quanto si sforzasse, per quanto cercasse di
capire quello che poteva essere successo nel cuore del suo vecchio amore,
proprio non riusciva a comprenderlo.
Perché sì, insomma, non è possibile che ami una persona per anni e anni,
che dividi con lei praticamente ogni emozione, bella o brutta, che un essere
umano possa provare, che fai con lei progetti sul futuro, che inizi a pensare al
nome che vorresti dare ai vostri figli, e ad un certo punto, in un giorno
qualsiasi, semplicemente smetti di amarla.
Era questo quello che le faceva male. Il fatto che, ancora oggi, per lei
era inconcepibile come si potesse “smettere di amare”. Se si ama qualcuno lo si
ama per tutta la vita, aveva sempre pensato, ingenua come solo sei sapeva
essere.
No, non era più innamorata di Akito Hayama.
Non avrebbe saputo descrivere ciò che provava per lui, a distanza di così
tanto tempo. Di certo, però, non era più amore.
Era arrivata a questa conclusione quando nel suo cuore era nato il
desiderio di sposare Jonh. In una notte d’inverno, l’aveva guardato dormirle
accanto e non aveva più sentito nel petto quella sgradevole sensazione. Non
erano più sorti quei pensieri e quelle domande che, invece, l’avevano tormentata
fino ad un attimo prima. Niente più “Chissà dov’è ora Akito” o“.. chissà se ogni tanto gli manco..”
o“.. comunque non amerò mai nessuno
come ho amato lui…”.
In quella notte d’inverno, aveva capito per la prima volta che sarebbe
stata capace di amare ancora. Forse, proprio come aveva amato
Akito.
Forse, anche di più.
Si, amava Jonh con tutta se stessa. Non l’avrebbe mai tradito, mai.
Neppure per Akito.
E allora verrebbe spontaneo chiedersi come mai, ogni Vigilia di Natale,
lei si mettesse in macchina per andare proprio a casa del suo primo
amore.
Oh, no. Non era di certo come si poteva
pensare.
Non era un incontro tra due amanti. Lei non entrava in casa di Akito,..
lei, con Akito, non ci parlava neppure. Solo
qualche anno prima l’aveva visto di sfuggita da dietro i vetri della
finestra… era stato proprio in quell’occasione che aveva scoperto che anche lui
aveva avuto un figlio. Anzi, una bambina, una bellissima bambina bionda. Si,
perché l’unica volta che in quegli anni aveva visto Akito, lui le era apparso
esattamente come quello che era diventato, nella cruda, semplice verità.
Un padre. E un marito.
Sua moglie non l’aveva mai vista, ma Fuka, in una delle loro rare
telefonate, si era premurata nel dirle che Akito si era sposato con una ragazza
bellissima, una certa Kaname.
Di lei, però, sapeva solo il nome.
Per fortuna non aveva mai avuto l’onore di
incontrarla.
Eppure, con una piccola parte di lei, ancora oggi, non poteva fare a meno
di invidiarla.
***
Arrivò di fronte casa di Akito pochi minuti prima di mezzanotte.
Portandosi una mano sul cuore, insolitamente frenetico, scese dalla macchina e
avanzò di qualche passo, per trovarsi ancora più vicino alla bella
abitazione.
Si nascose dietro il tronco di un albero, proprio come faceva ogni anno,
da ben otto anni. Dall’anno nel quale aveva scoperto che Akito si era
sposato.
Curiosa, la vita.
Quando aveva saputo di Akito e Kaname si era sentita morire. E solo un
anno dopo aveva sposato il suo Jonh.
Eppure non aveva mai rinunciato a quel suo sciocco rituale. A quella
stupida tradizione della Vigilia di Natale.
Quello, per lei, sarebbe stato sempre il giorno di Sana e Akito. Anche se
Sana e Akito non esistevano più da un bel po’.
Tornare di fronte casa del suo vecchio amore in quella fredda notte, le
dava un insolito senso di tranquillità. Una sensazione di pace, uno strano senso
di appartenenza, come se in quel giorno non esistesse nient’altro se non la loro
antica promessa.
“Promettimi che anche il prossimo anno festeggeremo il giorno di metà
compleanno, Hayama!”
“Si, Kurata, te lo prometto”
Ingenue parole di due bambini innamorati.
A quell’età è facile credere che tutto andrà come previsto. Che le
persone che ci vogliono bene non ci lasceranno mai. Che le promesse che facciamo
e che ci vengono fatte verranno mantenute.
A quell’età tutto sembra per sempre.
Poi si cresce, e a molte cose non puoi crederci
più.
Ma a quella promessa, lei non voleva rinunciare. Era l’unica cosa che le
rimaneva, l’unico ponte che ancora la teneva legata a lui.
Già, perché lei ancora aveva bisogno di quella convinzione, di credere
che le persone non se ne vanno mai davvero dalle nostre vite se non vogliamo
lasciarle andare.
Lei non era più innamorata di Akito da molto tempo, ma non voleva
dimenticarlo.
Perché dimenticare lui, era come dimenticare un po’ di sé stessa.
Era per questo che si trovava lì, anche quella Vigilia di Natale e che se
ne stava accucciata dietro il tronco di un albero, per aspettare la mezzanotte e
sussurrare “Buon Natale, Akito”, nell’assurda
convinzione che lui, in qualche modo, dal caldo della sua casa, seduto a tavola
con sua moglie e la sua bambina, potesse
sentirla.
Assurdo, appunto. Perché anche quell’anno la mezzanotte era arrivata e
Akito non si era neppure affacciato dalla finestra.
“Non fare la sciocca, Sana. Lui non ha la minima idea che tu sia
qui.”
Si disse, scuotendo la testa e sfiorando con una mano una parte del
tronco, con l’intento di andare via da lì e di tornare a casa
sua.
Ma nell’istante in cui le sue dita sfiorarono quella superficie ruvida,
qualcosa attirò la sua attenzione.
Attaccato sul retro del tronco, accuratamente legato perché il vento di
dicembre non potesse farlo volare via, c’era un piccolo foglietto di carta sul
quale erano scritte poche parole.
In un istante, quasi le si fermò il cuore nel riconoscerne la
calligrafia.
“Buon Natale anche a te, Kurata. Comunque, sei sempre
bellissima.”
Capì che Akito sapeva, che Akito aveva sempre saputo. Che allora neppure
lui l’aveva dimenticata.
Si sentì di nuovo bambina, nel notare quel “Kurata” scritto a mano su
quel foglio bianco, ricordando che, un tempo, era proprio così che lui la
chiamava.
E, come un tempo, si sentì sua.
E, in quell’attimo, per un attimo, lo amò
ancora.
Lo amò del solo amore con cui era possibile amare Akito Hayama.
Di un amore irripetibile.
E indimenticabile.
“Sei
sempre bellissimo anche tu, Hayama”
Sussurrò, mentre sulle sue labbra nasceva uno dei suoi vecchi
sorrisi.
Si sentì felice nel capire che ci sarebbe stato sempre qualcosa a tenerli
legati, che ci sarebbero sempre stati Sana e Akito, da qualche parte. Anche se
solo per un giorno all’anno.
Guardò il suo orologio e notò che la mezzanotte era già passata da un
po’.
E lei poteva anche tornare a casa.
*** FINE***
Note dell’autrice:
Ok,
eccoci qua. Bene, che dirvi? Questa “follia” è stata partorita nel giro di due
giorni, quindi non mi soddisfa pienamente. Comunque, aspetto di sentire i vostri
commenti!
Alla prossima! ^^