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Autore: Cheche    24/02/2012    2 recensioni
Sandra si ritrova a quindici anni a dover prendere in mano la propria vita. Prematuramente, si vedrà trasformata in un'adulta, catapultata nel suo futuro. Si prepara a diventare una Domadraghi, a scacciare da sé ogni traccia della sua innocenza. Dirà addio alla città in cui è nata e cresciuta per andare a rinchiudersi in un paesino sperduto in mezzo alle montagne. E, nel suo duro e traumatico percorso, dovrà lavorare molto su sé stessa per poter adempiere al proprio destino.
Un tuffo nel passato di Sandra e Lance, un viaggio doloroso e delicato chiamato "crescita".
[Accenni di DragonShipping. Dedicata ad Amy e a tutto l'LS blog] [OOC per una valida ragione!] [Partecipa alla Pokemon Special Challenge indetta da Nihil no Kami sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandra
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Introduzione: L'OOC c'è per un valido motivo: questa storia è ambientata nel passato di Sandra e Lance, e racconta della loro crescita. Non sorprendetevi quindi se appaiono diversi da come li conosciamo. Al fine di ostentare ciò che sono, loro erigeranno maschere. Quello che presento qui è quello che potrebbe essere, ipoteticamente, il loro carattere originario, quello che hanno imparato a nascondere al fine di raggiungere la perfezione.
Questa shot (lunghissima), è la prima di una serie di due shot. La seconda parlerà nello specifico di Lance, e sarà il continuo di questa. Non so quando la scriverò, ma lo farò prima o poi. Ho già pianificato tutto! Mi complimento con chi leggerà questo infinito papiro.
Dedico questa storia a tutti i membri dell'LS blog sopravvissuti, soprattutto Amy che non si libererà di me tanto facilmente. <3 Ho inserito dentro questa storia un pezzo di me, che sto attraversando questa fase in questo periodo (avere diciotto anni non è esattamente facile, soprattutto quando si ha la sindrome di Peter Pan come me). Se mi reputo interessante? Certo che sì, SONO interessante, in quanto ragazza normale. Analizzare i sentimenti di persone normali (come lo è la Sandra di questa fanfiction, costretta a diventare speciale improvvisamente) è più interessante, ormai, di fare la stessa cosa con gli esseri sovrannaturali. Oramai lo fanno tutti: pochi si dedicano ormai alla rappresentazione delle emozioni più genuine, quelle che passano attraverso i gesti e le espressioni.
Per finire, una dedica speciale alla mia Baby Sis' Kimie. Mi auguro leggerai questa storia (sebbene ci voglia parecchia volontà, lunga com'è), perchè ti avevo promesso di raccontarti ciò che mi turbava. Grazie per esserti preoccupata per me, ti rispondo con questa fanfiction.
Credo sia normale vacillare, anche quando il tuo futuro è stato deciso. Non è il mio caso: io ancora brancolo, senza la pallida idea di cosa fare. E cavoli, ho quasi finito il liceo, ma non me la sento di lasciarlo.




Fiordaliso
 
Mi ritrovo a fare i conti con l’avvenire. Il giorno che ho sempre scansato da me col pensiero, ricacciandolo con tutte le mie forze in un angolo recondito del mio essere, sta finalmente per giungere. A quindici anni sono costretta a diventare una donna, a prendere in mano il mio futuro e a cambiare radicalmente il mio modo di essere. Solo l’idea mi stanca. Pensare di correre su questa strada predisposta da qualcun altro mi fa ansimare ancora prima che io muova un passo. Potrei buttarmi da un lato, non ci sono alti rovi ai margini del sentiero che mi impediscano di farlo. Ma non oso, perché l’immensa distesa verde fuori dal sentiero mi disorienta e, non distinguendone la fine, mi fa sentire perduta. E poi in fondo lo desidero. Voglio vedere cosa mi aspetta al termine di questa via: il mio Io lo reclama, la curiosità è tanto forte da far palpitare le mie membra. E palpitano anche adesso, che me ne sto distesa sul letto, a dire a me stessa di smettere di fremere come una foglia caduta. E’ mattina presto, fuori è buio, la mia stanza è fredda ed io spero inutilmente di prendere sonno, ma questa dannata adrenalina non vuole lasciare il mio corpo.
 
La grande finestra lasciava filtrare i potenti raggi di un sole insolitamente caldo per essere quello mattutino. Il cielo era azzurro e terso come quello che si vede generalmente a fare da sfondo ai paesaggi di montagna, dove l’aria è pulita e pizzica le narici di chi la respira. Sandra era convinta che quella volta celeste, visibile dalla sua casa a Fiordoropoli, fosse identica a quella che avrebbe visto a Ebanopoli, villaggio avvallato fra le montagne del nord di Johto.
“Non vedo l’ora.” Mormorò tra i denti, seduta davanti ad una pregiata specchiera ottocentesca mentre tentava furiosamente di districare i lunghi capelli con una spazzola. “Non vedo l’ora.” Ripeté, reprimendo i gemiti che salivano alle labbra ad ogni violento colpo del pettine.
Ondulati e lunghi, i suoi capelli erano difficili da trattare. Rinunciò improvvisamente, gettando a terra la spazzola con un certo impeto, senza riuscire poi a spiegarsi il suo stesso gesto. Lanciò un’occhiata alla sua fedele piastra in ceramica, posta con cura sull’armadietto della sua stanza. Distrattamente la raccolse, rigirandosela tra le mani, cominciando a srotolare il lungo filo della corrente avvolto intorno ad essa.
Cosa sto facendo?La mente sembrò urlarle quelle parole in tono forzato. Ma, per quanto il desiderio di attaccare quella spina alla presa di corrente fosse forte, quel semplice pensiero non troppo convinto bastò a farla desistere. Digrignando i denti allargò le dita, lasciando che l’arnese cadesse con un morbido tonfo dentro ad una busta piena di minigonne e vestitini gettati alla rinfusa.
Tornò a concentrarsi sui suoi capelli senza perdere altro tempo. Nuovamente la sua riflessione corse alla sua bella piastra e a come questa sapeva renderla femminile ed elegante. Sandra, fino a quel giorno, aveva sempre curato i suoi capelli con un’attenzione maniacale. Li portava lisci e sciolti sulla schiena, ed erano tanto lunghi da scendere fino al sedere. Una particolarità della sua pettinatura era la frangia sempre dritta e precisa, che conferiva al suo viso ovale un’aria dolce e graziosa. Ma ora la chioma era stata asciugata alla buona, e quella che un tempo era stata una frangetta era ora tutta raccolta in un mazzetto disordinato e sgradevole. Ciò metteva in mostra le lunghe, arcuate e sottili ciglia di Sandra, che rivelavano il suo vero sguardo: severo e maturo, come meglio si confaceva al ruolo che si apprestava a ricoprire. A guardare i suoi stessi occhi, si sentì improvvisamente a disagio.
Per poter adempiere al meglio ai compiti che le sarebbero stati affidati, sarebbe stata sicuramente una buona idea tagliarsi i capelli. Prese un paio di forbici, di quelle con la punta arrotondata che si usano di solito sui fogli di carta. Con mano incerta e tremante afferrò una delle ciocche vicine al viso. Quindi avvicinò l’oggetto d’acciaio ad essa e, trattenendo il fiato, recise il crine azzurro che ricadde a terra. Rimase a guardare quel mazzetto di capelli che giaceva sul pavimento, quasi inorridita. Poi, lentamente, voltò lo sguardo verso lo specchio e osservò la ciocca accorciata. Notò come essa subito prendeva una piega sgradevole, fin troppo mossa e gonfia. Strinse le labbra carnose rendendole più pallide di quanto già non fossero. Poi, quasi con un gesto distratto, tagliò anche la ciocca dall’altro lato, che si comportò allo stesso modo della sua gemella. Storcendo la bocca, contemplò l’effetto di trascurata simmetria che quell’azione indecisa aveva conferito alla sua chioma. Si vedeva ridicola, ma lo sarebbe stata ancora di più con i capelli corti, pensava.
E poi non doveva importarle. Ora l’unica cosa sulla quale avrebbe dovuto concentrarsi era ciò che le sarebbe capitato di lì a poco. Fece del suo meglio per non scivolare nei pensieri frivoli quali l’estetica e tutti gli artifici della bellezza. Con una serietà che non pensava di possedere, aprì in fretta un pacchetto di elastici per capelli che giaceva mai aperto in un cassetto dell’armadio. Legò la lunga chioma, scoprendo con disgusto che le ciocche appena tagliate erano troppo corte per essere costrette dall’elastico. Di nuovo si maledisse per ciò che aveva pensato. Non si era legata i capelli per soddisfare le sue esigenze di ordine esteriore, bensì per pura praticità. Doveva smettere di cercare di apparire bella a tutti i costi: ora il suo obiettivo era diventare una nuova persona.
Si alzò dalla sedia sulla quale si era abbandonata, osservando la sua figura snella allo specchio. Indossava una tuta aderente azzurra e nera, dalle spalle scendeva un lungo mantello frusciante che arrivava a toccare terra. Simulò un sorriso compiaciuto, osservando il proprio viso. La sua vaga allegria scomparve subito nel constatare quanto quella smorfia rovinasse i suoi lineamenti.
Proprio non riusciva a farsi piacere la nuova Sandra che aveva preso il posto della vecchia. Digrignò i denti, forzando la sua espressione. Il suo sguardo ora pareva feroce.
Mi abituerò presto. Non sto male, così… Fissò le lunghe gambe alle quali aderiva la tuta; il disagio rendeva più marcate le fattezze del suo volto. Sì, non sto male…
Cercava di ignorare con tutte le sue forze il fatto che stesse cercando di ingannarsi da sola.
 
Non ho Pokemon adatti. Mi sono sempre tenuta lontana da loro perché sapevo che in futuro avrei avuto a che fare con quelle strane creature, così tanto da annoiarmi al solo pensiero. E quindi sono arrivata all’età di quindici anni con un solo Pokemon, un piccolo e modesto Horsea non richiesto che i miei genitori mi avevano portato come souvenir dalle Isole Vorticose. Mi hanno detto che era un Pokemon raro, e che avrei dovuto trattarlo con cura... Ma nessuno gliel’aveva chiesto! Lo tengo perlopiù nella sua Pokeball. Quando mi sembra molto triste lo metto in un vecchio acquario per i pesci. Non lo uso quasi mai nelle lotte. Non mi sorprenderei se mi odiasse. Ora, improvvisamente, comincio a tenere all’opinione che lui ha di me. Ma mi rendo conto che, dovendo andare ad Ebanopoli a cavallo di un vero drago, come i miei hanno detto, Horsea non va bene per affrontare la prova. Dunque, oggi riceverò il mio secondo Pokemon, sul quale spiccherò il volo verso il mio futuro. E giungerò in un luogo dal quale non potrò più tornare. Addio Fiordoropoli, mia amata e caotica città. Addio vecchia Sandra, rimarrai qui e sarai dimenticata.
 
Il laccio tra i capelli si stava allentando, sferzato violentemente dal vento. Le unghie ben curate si spezzavano, cercando disperatamente appiglio su quella pelle liscia e squamosa, di un brillante color mare. Non si trattava di una borsa, come quelle che Sandra collezionava quando ancora viveva la sua vecchia vita. Era un fiero Dragonair, stupendo e vivo sotto la cute splendente illuminata dai raggi di un sole ora più vicino.
La stella picchiava su Sandra e sul suo drago con tutte le sue forze, eppure la ragazza sentiva freddo. Una sensazione di gelo si era impadronita di lei ed era tangibile sul suo volto, ora azzurro e fisso come quello di una statua. Non poteva aprir bocca per urlare perché, ne era sicura, avrebbe rigettato.
Attraversavano le nuvole a velocità allarmante, gli uccelli riuscivano ad evitarli per un soffio. Il vento soffiava ora impetuoso ora calmo, ma sempre contro di loro. Le mani sudavano nonostante fossero fredde come il ghiaccio, si tendevano e stringevano quel materiale dalla consistenza elastica e dal magnifico colore. Quasi aveva la tentazione di attaccarsi con i denti, ma ricordò come quella sensazione micidiale che la tramortiva la incitasse a vomitare.
Finalmente il drago serpente poté abbassare la quota e, in mezzo alle nuvole basse, si potevano distinguere montagne innevate. Sandra rabbrividì, per nulla sollevata. Il sole lì sembrava meno dorato rispetto a quello che dominava la sua sfavillante città natale.
La terraferma si avvicinò improvvisamente ad enorme velocità, in una picchiata da far gelare il sangue nelle vene. Le mani di Sandra si strinsero ancora e ancora sulla pelle di Dragonair, mentre lei mormorava, soffiando senza aprir bocca “Fermati… Fermati. Ti scongiuro…”.
Un istante dopo, le capanne modeste del villaggio di Ebanopoli erano nuovamente più alte di Sandra. Le vide un istante, con i piedi finalmente sul terreno, la testa che girava violentemente, un prepotente conato che saliva su per la gola. Rigettò la colazione in un cespuglio, spostandosi una ciocca di capelli resa appiccicosa dal sudore che imperlava la fronte fredda. Ripulitasi in maniera spartana la bocca umida di bile sul polsino, alzò finalmente la testa e si concesse dare un’occhiata ai dintorni, il paesino che le ruotava attorno come una trottola e i grandi occhi scuri di Dragonair che la guardavano con apprensione.
Gli scoccò uno sguardo furente e pieno di odio, ma lui non parve accorgersene. Piuttosto avvicinò il muso, annusando il volto madido della sua allenatrice, e infine strusciò la grossa testa contro quella di Sandra, che rischiò di cadere all’indietro.
Sorpresa, tastò il capo del drago serpente con le mani. Era caldo e fremente, diverso da come l’aveva sentito mentre erano in volo. La lingua umida del Pokemon lambì una sua guancia. Si sorprese a constatare che non le faceva affatto schifo, anzi, provocava in lei uno strano senso di calore, che mai aveva provato prima di allora. E quel tepore aveva un che di magico: ebbe l’effetto di rinvigorirla, scaldando i suoi muscoli contratti dalla tensione e sciogliendoli come se avessero ricevuto un massaggio profondo. Si sentì forte, mentre quel flusso rovente si irradiava attraverso le sue membra, non trascurando neppure un singolo centimetro di carne.
In fondo i Pokemon avevano dei poteri, delle proprietà che lei non conosceva e che aveva sempre rifiutato di apprendere, ostinatamente. E ora lei si sentiva rinfrancata, ma anche immensamente stupida per non aver tentato mai di conoscere quelle misteriose creature.
Lo sguardo di Sandra incontrò quello del suo nuovo Pokemon: in quell’istante seppe che era nata la loro intesa, che Dragonair si offriva di accompagnarla lungo la via della vita, che avrebbe dovuto fidarsi di lui se desiderava il suo sostegno. Seppe che insieme a lui avrebbe vinto.
Il suo primo volo era stato un trauma, ma ci avrebbe fatto l’abitudine. Avrebbe dovuto prendere delle pillole forse, finché la paura non si fosse estinta del tutto. Forse, diventare Domadraghi non sarebbe stata una cattiva scelta, anche se non immaginava cosa l’avrebbe aspettata.
Fatto sta che i suoi genitori erano atterrati lontano, lasciandola praticamente sola. Si guardò attorno, toccando la pelle calda del suo Dragonair alla ricerca di conforto. Tre figure dal portamento altero si avvicinarono a lei, e Sandra non parve riconoscerli. Li guardò con occhi velati, smarriti, stringendosi un poco al sinuoso corpo del suo Pokemon.
“Tu sei Sandra, dico bene?” Domandò la voce grave di un uomo. “Ti stavamo aspettando.”
Il sole illuminò i volti delle persone che le stavano di fronte. Avevano tutto l’aspetto di una famiglia, eppure erano circondati da un’aura particolare, quasi fredda e austera. I tre indossavano tute bicolori e mantelli simili al suo, diverso solo per le tinte del tessuto.
Quello che doveva essere il padre era altissimo, impeccabile per portamento e lineamenti aristocratici, nonostante le piccole rughe che cerchiavano gli occhi grigi. Questi erano dello stesso colore dei suoi capelli, acconciati in un modo che pareva slanciare ancor di più la sua figura snella e scattante come quella di un giovinetto, indossante vesti color verde prato. Assomigliava tanto al suo stesso padre, osservò Sandra.
La madre era la più bassa dei tre, eppure bellissima nella sua tuta bordeaux, con i capelli ramati raccolti in una pratica ma elegante crocchia, gli affilati occhi ambrati dalle ciglia ricurve e altezzose, il collo sottile e pallido che fuoriusciva dal colletto, il naso fine e diritto.
E infine vi era il più giovane dei tre. La sua vista causò in Sandra un capogiro, come se lo sguardo pieno di dignità del ragazzo, così simile a quello della madre, l’avesse trafitta. Aveva dei lineamenti piuttosto virili e quasi squadrati, come quelli di un giovane uomo cresciuto troppo in fretta, maturato solo da poco. Un accenno di rada barba rossiccia tradiva la sua età: probabilmente era poco più grande di Sandra. I capelli erano acconciati in maniera curiosa: sparati all’indietro come un nido di qualche rapace, ancor più rossi di quelli della madre. La bocca diritta aveva gli angoli rivolti verso il basso, piuttosto rigidi, come se il ragazzo fosse stato forzato a nascondere le sue emozioni più spontanee.
Erano tre Domadraghi fatti e finiti, lo dimostrava il loro modo di porsi che sembrava incutere soggezione anche allo stesso Dragonair. La pelle squamosa sotto la mano di Sandra parve gelarsi di colpo, mentre i fremiti aumentavano. Sorpresa, scostò la mano. Ignorando la ciocca sudaticcia di capelli azzurri attaccata alla sua fronte, fece del suo meglio per sostenere il loro sguardo, rendendosi conto di essere una semplice ragazzina frivola davanti a sconosciuti dall’aria aristocratica.
“Sì, sono io.” Disse, celando egregiamente ogni tremore della voce, ogni esitazione che affiorava spontanea dal suo petto. La sua espressione era decisa, la voce ferma. Sì, ce l’avrebbe fatta, non avrebbe tentennato.
“Bene, sai quel che ti aspetta, immagino.” Continuò l’uomo più anziano.
Sandra si morse le labbra, impallidendo. No, non sapeva cos’altro l’aspettasse. Un’iniziazione era un’opzione probabile, ma non osava rispondere. Che figura avrebbe fatto se mai avesse sbagliato?
“Cara, devi perdonare tuo zio. A lui piace spaventare i giovani Domadraghi, sai?” A parlare questa volta fu la donna. La sua voce le parve stridula, forzata come il sorriso teso e severo che era apparso sul suo volto pallido. “Ma ovviamente tu l’avevi capito, vero?”
A Sandra quella parve una domanda retorica, quindi si concesse di rimanere in silenzio, mentre la mano tornava a cercare la pelle del suo Pokemon.
“Vero?! E rispondimi, quando ti parlo!” Starnazzò la donna, improvvisamente furente.
“Ah! Sissignora, avevo capito!” Rispose Sandra frettolosamente, con un tono che tradiva la sua sorpresa.
“Bene.” Disse l’uomo che la donna aveva definito suo ‘zio’. “Lance, accompagna tua cugina nella sua stanza. Domani ci sarà l’Iniziazione.”
Aveva indovinato la prova, a quanto sembrava. E quel ragazzo dagli occhi chiari e profondi era nientemeno che suo cugino.
Sandra guardò il padre di Lance, scoprendo che in fondo la sua espressione era piuttosto dolce. Poi rivolse lo sguardo alla strana donna, che la fulminò con occhi gelidi e sprezzanti che la ragazza non seppe spiegarsi. Infine incontrò le iridi ambrate di Lance, che le sorrise debolmente, la linea della bocca ancora piuttosto rigida e tesa.
“Vuoi seguirmi?” Disse con voce ferma ma gentile. Il suo tono calmo ispirò in lei un’istantanea fiducia.
Fu così che si incamminarono.
 
Dopo essere arrivati nella mia stanza, assai più umile di quella in cui alloggiavo a Fiordoropoli, non riuscii a trattenere un’espressione di pura delusione. Non ero abituata a vivere in quella che per me era una catapecchia. Lance mi guardò e riuscì a leggere il mio sguardo, evidentemente. “La tua essenza non risiede nella casa dove abiti, né nella marca di vestiti che indossi.” Beh, indossavo vestiti da Domadraghi… Ma evidentemente non si stava riferendo a quel tipo di essenza, e neppure al detto ‘l’abito non fa il monaco’. La sua frase me la ricordo bene, per questo l’ho riportata così com’era. Ci ho rimuginato a lungo, fino a scoprire che aveva ragione. Osservandolo l’ho capito. I suoi gesti aristocratici eppure nervosi, quasi inesperti, parlavano di lui molto più di quanto lo facessero i miei. Era come… se si stesse sforzando di soddisfare le aspettative altrui. Parlammo a lungo del più e del meno, per conoscerci. Scoprì com’era la vecchia Sandra, ma io non capii nulla di lui. Quando gli rivolgevo una domanda, lui rispondeva sommariamente con un ‘non saprei’ oppure un ‘non ricordo’. Che la riservatezza faccia parte dell’essere Domadraghi? Leggevo nella sua voce una certa impazienza. Che volesse dirmi tutto, ma era forzato da qualche vincolo oscuro? Che stesse cercando di darmi un buon esempio? Tutto questo mistero mi faceva voglia di apprendere qualcosa di più su di lui e sulla nuova carica che mi apprestavo a ricoprire. Avevo paura. La mia metamorfosi non era del tutto completa, e io morivo dalla voglia di bruciare le tappe.
 
Lance si alzò di scatto dalla sua poltroncina in vimini. Sembrava spazientito, turbato, e i suoi tentativi di mascherare le emozioni spontanee servivano a poco. Sandra fu sorpresa da quella trasformazione, che tradiva una certa fragilità. Probabilmente era un Domadraghi alle prime armi, pur essendo più esperto di lei. Non le aveva voluto neanche dire la sua età, ma ormai Sandra era certa che non potesse essere più che un diciottenne. Se così fosse stato, e se lui come lei fosse stato Iniziato ad appena quindici anni, voleva dire che non gliene erano bastati tre per diventare totalmente inflessibile. Ma era poi questa la severa disciplina alla quale i Domadraghi dovevano attenersi, o forse era semplicemente un atteggiamento di Lance, che si sforzava di apparire perfetto e impeccabile? In fondo, la madre del ragazzo non aveva saputo trattenere il suo sbalzo d’umore.
Il filo dei pensieri di Sandra fu bruscamente interrotto dalla voce del cugino. “Certo che sei curiosa! Se ti dico che non lo so, devi credermi!” Sbottò spazientito. Le sue sopracciglia erano abbassate sugli occhi e tratteggiavano sul suo volto uno sguardo minaccioso. “I Domadraghi non devono dire più del necessario, lo sai? E questo vale anche per porre domande. Se ti viene un dubbio devi tacere, facendo finta di sapere.”
Sandra non credeva che quella fosse una vera regola. Era sempre più convinta che Lance si fosse costruito un severo codice personale.
“Dimmi, per caso anche ‘non arrabbiarsi mai’ è una delle regole dei Domadraghi?” Quella della ragazza non era una domanda curiosa e innocente. Era provocatoria, insidiosa, e il tono lasciava bene intendere le sue reali intenzioni. Lui, a differenza dei genitori del ragazzo, non la metteva in soggezione. Aveva tutta l’aria di un ragazzo semplice cresciuto a fatica e costretto ad essere speciale, come una pianta soffocata da quintali di fertilizzante.
“Effettivamente è così, ma tu mi hai fatto una domanda, di nuovo. Comincia con l’imparare il galateo, poi ne riparleremo.” Sospirò lui, calmandosi improvvisamente e assumendo una tonalità che si avvicinava pericolosamente alla tinta cremisi dei suoi capelli.
Ma Sandra non voleva fermarsi. Ormai tra i due la sfida era aperta. “Senti un po’… Non è che questo galateo esiste solo nel tuo cervello?” Si era sentita potente nel pronunciare quella frase. Quella sicurezza che ostentava sembrava farle da schermo contro le provocazioni di Lance, ergendo una specie di maschera che la stava aiutando ad ambientarsi lentamente in quel nuovo mondo.
Il giovane Domadraghi le scoccò un’occhiata rapida, il volto imperturbabile eppure paonazzo e quasi fumante. Tirò un respiro profondo, accorgendosi dopo che non gli era bastato a calmarsi. Ne fece un secondo, poi un terzo. Finalmente in grado di reprimere l’ira, che sembrava essere un suo grave difetto, parlò. La sua voce era fredda e tonante. “Non sono sicuro che tu possa essere degna di diventare una Domadraghi.”
Sandra si bloccò. Forse aveva osato troppo, e la sua maschera appena eretta sembrava già essere sul punto di creparsi, rischiando di rivelare la bambina fragile e la ragazza frivola che si celavano insieme dietro di essa. Ma Sandra non tardò a ricomporsi. Il suo animo delicato era rimasto ferito, ma a farlo erano state solo le frasi taglienti di un ragazzino, che l’avevano sfregiata come un coltello sottile. A parlare era stato un novizio che non poteva sapere, che non aveva il diritto di giudicare senza conoscere. Un ragazzo immaturo che tentava affannosamente di nascondere le sue debolezze: questo era Lance, suo cugino, Domadraghi dilettante che si atteggiava ad ‘essere superiore’. Questo era il giovane che le stava davanti, che ora scrutava Sandra con quanta più freddezza poteva, senza tuttavia riuscire ad evitare che i suoi occhi scintillassero, colmi di emotività repressa.
“Non sono sicuro.” Ripeté il ragazzo, con voce flebile. “Ma potrei cambiare idea. Voglio semplicemente vedere come te la cavi con i Pokemon, solo questo.” Socchiuse gli occhi, scrutando Sandra attraverso quelle che ora sembravano due fessure. “Questa è una sfida ufficiale. Non puoi tirarti indietro.”
Le braccia di Sandra, che prima erano poste sui fianchi, si abbandonarono a penzoloni lungo il corpo. Dovette sforzarsi per non spalancare la bocca e finire col fissarlo meravigliata. La bambina dentro di lei cercava di spingere via la pesante maschera.
“Io…” Lei non era brava con i Pokemon. Non le erano mai interessati né loro, né i loro combattimenti. Per l’ennesima volta in una giornata, si trovò a rimpiangere quella sua superficialità. Esitò, faticando a mantenere invariato lo sguardo orgoglioso che aveva stampato sul viso. Incontrò gli occhi di Lance per un lungo istante. La scrutava con un’espressione indecifrabile, ma riuscì a catturarla come una Master Ball intrappola un Pokemon ignaro. Quelli di suo cugino erano gli occhi più potenti che Sandra avesse mai visto: nessuno dei suoi compagni di scuola, dei suoi compaesani, dei suoi amici aveva avuto un tale effetto su di lei. In quel momento seppe che Lance aveva ragione. Se voleva diventare Domadraghi, non avrebbe dovuto fuggire di fronte a nulla. E non aveva mai desiderato riuscire in qualcosa più di quel momento. “…accetto.”
“Bene.” Disse Lance quasi subito, in tono brusco. “Allora cominciamo ad avviarci. Le sfide ufficiali tra Domadraghi si tengono nella Tana del Drago, a nord della città. Seguimi, ti guiderò io.” E fece per voltarle le spalle ed avviarsi verso la porta della catapecchia, ma si sentì improvvisamente tirare il mantello. Si voltò di scatto, cercando di non apparire stizzito. Non disse nulla, si limitò semplicemente a fissare Sandra. L’espressione imbarazzata e timida della cugina lo fece sussultare.
 “Non è che potresti… aspettare un pochino?” Disse lei, vergognandosi. Stava per fargli una richiesta alla quale lui non avrebbe mai acconsentito, ne era cosciente. Eppure aveva bisogno di porla, non poteva proprio trattenersi. “Vorrei… Fare una doccia, se non ti dispiace…”
 
Mi squadrò da capo a piedi, constatando che effettivamente ne avevo bisogno. Avevo le ciocche dei miei capelli appiccicate in fronte, rese scure dall’unto, e avevo pure vomitato poco prima. Senza dubbio dovevo puzzare molto. Come minimo avevo bisogno di una rinfrescata, anche se non ero per nulla sicura che lui me l’avrebbe concessa. E invece mi stupì. Mi stupisce ogni volta che apre bocca, quel Lance. Ogni gesto che compie riesce a lasciarmi sbigottita. Improvvisamente mi è parso imbarazzato, mi ha rivolto un mezzo sorrisetto e mi ha permesso di fare quel che dovevo fare. Con voce forzatamente ferma ha anche aggiunto “purché tu non ci metta troppo tempo”. Non riuscivo a capirlo. Mentre l’acqua tiepida del modesto impianto scivolava sul mio corpo, io pensavo a che ragazzo complesso fosse Lance, a quanti difetti avesse e a quanto si sforzasse di cambiare. Eppure non riusciva bene nell’intento, e forse questo era perché non lo faceva per sé stesso. Avevo dubbi su questa mia impressione: l’avevo appena incontrato, potevo benissimo sbagliarmi sul suo conto. E io, se volevo dimostrare di essere adulta, dovevo smettere di dare giudizi affrettati e cercare di conoscere le persone. Cominciava a formarsi in me un ‘codice’ simile a quello di Lance, senza volerlo. E la prima regola era ‘scruta le persone e non giudicarle finché non hai più dubbi su di loro. Evita di rimuginarci troppo sopra se la verità non si palesa alla tua mente. Questo è ciò che fa un vero Domadraghi’.
 
Sandra cavalcava con disinvoltura il suo fiero Dragonair, schivando potenti fiammate mirate verso di lei e il suo Pokemon. Mentre oramai al volo era abituata – aveva preso di nascosto una pastiglia prima di andare da Lance -, a quegli attacchi incessanti non lo era affatto. Le lingue di fuoco sfioravano le sue fragili membra umane, e sembravano sussurrarle ‘muori’ ogni volta che le passavano vicine. La sua pelle bruciava, di nuovo imperlata di un sudore questa volta di diversa natura. I capelli lunghi avrebbero potuto incendiarsi da un momento all’altro, e più volte Sandra si era sorpresa a studiarsi la chioma, con sguardo febbrile e paranoico e con mani tremanti pronte ad estinguere qualunque fiammella avesse fatto capolino sul suo crine azzurro.
Era terrorizzata, ma si fingeva spavalda. Una ragazza normale come lei si ritrovava coinvolta in una lotta acrobatica a cavallo di grandi draghi, che si scontravano fieramente tra loro facendo sobbalzare i loro cavalieri ad ogni impatto.
Sandra si sentiva in svantaggio. Non sapeva che Dragonite fosse la forma evoluta di Dragonair, ma riusciva a vedere quanto quel possente Pokemon governato da Lance fosse più grosso del suo. E, per dirla tutta, il suo grido di battaglia era più penetrante, la robusta coda faceva vibrare il terreno solo sfiorandolo, e ogni volta che il corpo di quel gigante si scontrava contro quello filiforme di Dragonair, Sandra poteva percepirne la sofferenza dai sottili lamenti che emetteva e dal modo in cui sembrava irrigidirsi per un istante sotto le sue mani. Avvertendo lo stesso dolore del suo Pokemon, faceva un’enorme fatica a reprimere le lacrime. Ecco perché quelle creature non le erano mai piaciute.
Ingoiò fieramente le il pianto, ignorando il dolore bruciante che il gesto provocava nella sua gola. Infine puntò con decisione l’indice verso Lance, sparando un nome a caso di quello che poteva essere un attacco.
“Rabbia del Drago!” Urlò, ricordando di aver sentito suo padre ordinare ad un suo Pokemon una mossa del genere. Ma evidentemente ne aveva dimenticato il vero nome, perché Dragonair non sembrò aver capito. Il Pokemon rimase fermo a fluttuare in mezzo a quel campo di battaglia, sospeso sul prato costellato di fiori che faceva da tappeto alla Tana del Drago.
Come vide Lance farsi più vicino a cavallo del suo gigantesco Dragonite, Sandra ritrasse subito il braccio ancora teso in avanti, quasi avesse paura di vederselo staccare con un morso da parte di quel mostro.
Rabbia?” Lance sorrise beffardo. “Forse volevi dire ‘Ira di Drago’?” Scandì bene la parola, in modo che Dragonite potesse ascoltarlo ed interpretarlo come un ordine. Gli occhi del Pokemon si illuminarono di una sinistra luce azzurra, mentre le piccole ali che aveva sul dorso si spalancavano al massimo della loro estensione, apparendo improvvisamente immense.
Sandra tremò, e sotto al suo corpo avvertì Dragonair fare lo stesso. Non sapeva che poteri avesse il suo Pokemon, ma in quel momento sentiva di dover provare di tutto. “Dragonair, innalza una Barriera!” Urlò col poco fiato che le era rimasto nei polmoni. Dragonair non si mosse, ma cominciò a raggomitolarsi su sé stesso rischiando di disarcionare la sua allenatrice.
“Sarebbe una mossa intelligente…” Disse Lance, mellifluo. “…peccato che il tuo Dragonair non la conosca!” E, mentre finiva di schernire Sandra, Dragonite cominciò ad emanare fiamme di colore azzurro, mentre lo specchio d’acqua sul quale volteggiava si agitava sempre di più, fino a formare una colonna cristallina che parve fondersi con il fuoco.
Sandra rimase scioccata da quello spettacolo. Era meraviglioso, ma anche terribile. Semplicemente sublime. Sembrava in grado di distruggere qualunque cosa, demolire una torre, devastare una città. Eppure lì non c’erano edifici da danneggiare, ma solo un innocente prato fiorito e una ragazzina a cavallo di un sottile drago serpente.
Un forte vento si levò, sferzandola, accompagnato da stille d’acqua gelida e dal contrastante calore di quel fuoco incandescente. Il drago ruggì, sbattendo le ali poderose una volta. Il movimento bastò per permettere a quell’immensa quantità di energia naturale di investire Sandra e Dragonair. L’aria era tagliente e sembrava volerla ferire, mentre lei si appiattiva sulla schiena del suo Pokemon che opponeva una strenua resistenza. Ma sembrava tutto inutile, in quell’inferno di fiamme che lo opprimevano. Aprendo gli occhi dopo averli serrati per la paura, Sandra vide nitidamente una striscia di fumo elevarsi dalla sua pelle e disperdersi in quella tempesta di aria e fuoco. Sbarrò di nuovo le palpebre, incapace di sopportare quella spaventosa visione. Il suo orecchio attaccato al corpo stremato di Dragonair poteva sentirlo anche solo deglutire e sussultare. Avvertì le squame elastiche farsi rigide al tatto, mentre i lamenti flebili del Pokemon venivano colti dal suo udito. E la cute di Sandra ardeva mentre il drago serpente piangeva debolmente, sbattuto qua e là dalla furia di quell’attacco tremendo. I suoi gemiti la stavano portando alla follia, la spronavano a gridare: quello era l’inferno.
Proprio nel momento in cui sentiva che non avrebbe resistito un secondo di più, la tempesta cessò di colpo. Le sue mani ancora stringevano la pelle riarsa di Dragonair, e Sandra ansimava e tossiva, sorpresa di essere ancora viva.
Il Dragonite scese lentamente, portando a terra i suoi piedi e posandosi pesantemente sul prato. Dal basso, Lance fissava sua cugina in attesa della sua prossima mossa. Le concesse un sorriso sghembo, che subito cancellò dal volto quando Sandra lo ricambiò con un’occhiata furente, nonostante il suo respiro affannoso e i suoi numerosi tagli sanguinanti.
Sandra desiderava tornarsene a Fiordoropoli, ora più che mai. Il suo corpo devastato sembrava implorarle pietà, ma lei decise in un istante di non assecondarlo. Ormai aveva intrapreso con Lance una sfida che sarebbe durata in eterno. Non poteva più sottrarsi: aveva iniziato la sua metamorfosi, ed era fisicamente impossibile ripercorrerla al contrario.
Con voce roca, ordinò al suo stanco Dragonair di attaccare. “Ira di Drago!”
“Come puoi pensare di battermi così?” Rise Lance, mentre il suo Dragonite si faceva scudo con le ali per proteggersi dall’attacco scagliato dal Pokemon di Sandra. Ma il Domadraghi si accorse che, per quanto i lunghi artigli del suo destriero si ancorassero al terreno, l’Ira di Dragonair era abbastanza impetuosa da farlo retrocedere. “Uh, niente male.” Disse, affannandosi ad aggrapparsi al suo Pokemon per resistere alle violente onde d’urto. “Il tuo drago sta dando il meglio di sé per soddisfarti. Devi proprio piacergli.”
Sandra rimase un attimo stupita, prima di portare quasi istintivamente la mano sudata ed arrossata ad accarezzare la pelle di Dragonair, che ancora fremeva sotto di lei. Il Pokemon sembrò gradire, e rispose alle sue attenzioni con un verso melodioso, seppure un po’ rauco. La ragazza sorrise nel sentire le squame lisce del suo drago contrarsi piacevolmente sotto il suo tocco. Ma la voce di Lance interruppe l’idillio, riportandola bruscamente alla realtà.
“Ora chiudiamo! Dragonite, Lanciafiamme!” Il gigantesco drago si alzò in volo, Lance sempre a cavalcioni sulla sua schiena. Presto raggiunse una quota ben superiore a quella di Dragonair, e ciò gli permise di fissare il serpente dall’alto. Mentre Dragonite si caricava gettando la testa all’indietro, negli occhi di Sandra risplendette il luminoso riflesso delle terribili fiamme. Queste sgorgarono impetuose dalle fauci del Pokemon di Lance, dirigendosi velocissime verso la ragazza e la creatura che lei governava.
Presa dal panico, l’aspirante Domadraghi si appiattì ancora una volta sul corpo di Dragonair, abbracciandone l’ampia circonferenza e stringendosi a lui. Non poteva restare lì a farsi colpire, anche se era stanca e forse pretendeva troppo dal suo Pokemon. Ma decise di urlargli di nuovo cosa avrebbe dovuto fare. “Dragonair, scappa!” Strillò Sandra.
In un lampo, Dragonair sgusciò elegantemente lontano dal raggio dell’attacco, con la sua allenatrice attaccata alla schiena con gli occhi ostinatamente sbarrati. Fu forse un errore, ma comunque inevitabile. Il raggio incandescente colpì il terreno, scatenando l’incendio in un punto dove, fino ad un attimo prima, c’erano stati erba giovane e delicati fiori.
Sandra sentì Lance gemere forte. Presagendo lo spettacolo che si sarebbe presentato davanti ai suoi occhi, la ragazza schiuse le palpebre. Alte fiamme coprivano il suolo devastato. Dragonair si posò a terra, troppo stremato per continuare a volare. Il familiare calore che tante volte aveva sentito in quel giorno ora era più vicino che mai.
Scese dal suo Pokemon, osservandolo con gli occhi spalancati per il panico. Accaldato e ferito, giaceva svenuto su un pezzo d’erba ancora non raggiunto dal fuoco. Non la sfiorò neanche un secondo l’idea che avesse perso: sentiva più impellente il desiderio di fuggire, l’istinto di sopravvivenza che la portava a guardarsi intorno in cerca di una via di uscita. Ma le fiamme erano dappertutto, ed ergevano attorno a Sandra un muro invalicabile. Vide vicino a sé uno specchio d’acqua e ricordò con un tremito di non saper nuotare.
“Almeno tu salvati.” Mormorò, procedendo verso il suo Pokemon. “E’ stato bello, anche se è durato poco.” Poi non parlò più: si limitò semplicemente a spingere il corpo filiforme di Dragonair con tutte le sue forze, sperando di riuscire a buttarlo nel lago facendolo rotolare. Ma il drago azzurro non si spostava: sembrava senza vita.
“Ritiralo nella sua Pokeball!” Urlò una voce proveniente dall’alto, il cui tono era smorzato dal prepotente divampare delle fiamme.
Sandra alzò lo sguardo, vedendo la sagoma del Dragonite di Lance scendere verso di lei. Sbigottita eseguì l’ordine del cugino, capendone le intenzioni. Poi rimase in piedi, mentre le fiamme danzavano attorno al suo corpo eretto, e le sue braccia speranzose si elevarono verso il cielo. Vieni. Desiderava, sperava, mentre al panico che la opprimeva si aggiungeva un sentimento di gratitudine. Vieni.
Lance discese, nobile e leggiadro come un vero Domadraghi. La prese per le braccia e la portò accanto a sé, stringendo il suo corpo sottile per paura che cadesse. Come in un sogno, Dragonite si elevò con leggerezza verso il cielo. Il calore opprimente man mano diminuiva, lasciando il posto ad un tepore di un altro genere. Era quello del corpo di Lance, che stringeva Sandra come se non avesse voluto perderla per nessun motivo.
Sandra lo guardò da vicino, scoprendo quanto fossero belli i lineamenti concentrati del ragazzo mentre i suoi occhi guardavano altrove, puntati su qualcosa di lontano. Le parve quasi di morire, tanto le sembrava che il cuore le stesse scoppiando nel petto.
La Tana del Drago era devastata, colonne di fumo e fiamme lambivano il soffitto della caverna, il prato era totalmente scomparso. Ma Sandra non vedeva più nulla, neppure Dragonite. Esistevano solo lei e Lance, sospesi nell’aria come se nulla li sorreggesse. Senza accorgersene, le sue dita si ancorarono saldamente alla schiena del cugino, che era tanto concentrato da non sentire neppure aumentare la pressione del morbido corpo di Sandra.
 
Non mi accorsi quasi del momento in cui l’incendio smise di divampare nella Tana del Drago. So solo che mi sembrò di risvegliarmi da un lungo e piacevole sonno, e di trovare sotto di me terra bruciata e null’altro. La devastazione regnava dinnanzi i miei occhi, sentivo Lance lamentarsi per i sensi di colpa. Certo, era stato lui ad ordinare al suo Pokemon di sparare quel tremendo attacco di fuoco, ma subito l’aveva spento. Ero molto stordita quando le fiamme si erano estinte, ma mi sembra di ricordare che lui avesse ordinato a Dragonite di usare un attacco acquatico per riparare al danno. Per questo non riesco ad incolparlo più di tanto… O forse c’è un altro motivo? Non lo so, ma improvvisamente mi sono sentita legata a lui, molto più di quanto possano esserlo due cugini. E avevo dimenticato per un attimo che lo fossimo. Quando lui smise di tenermi stretta, dovetti attaccarmi con tutte le mie forze al dorso di Dragonite, la cui pelle era molto più spessa e dura di quella del mio Pokemon. In quel momento mi svegliai dal mio ‘sonno’, tornai in me e visualizzai ciò che era rimasto della Tana del Drago. Vi era… desolazione, cupa e grigia cenere sparsa dovunque. Tutto si era trasformato ed era diventato uguale. Stavo quasi tornando a guardare Lance per consolare un poco i miei occhi affranti, ma una nota di colore aveva attirato la mia attenzione. Era soltanto una puntina lilla che sbucava curiosamente in mezzo al grigio, al nero e al bianco. Meravigliata, chiesi a mio cugino di portarmi giù per osservare meglio quel minuscolo prodigio.
 
Si trattava di un fiore, una piccola pianticella dall’iridescente color lilla, l’unica sopravvissuta in mezzo a quello scempio. La ragazza si inginocchiò per guardarla da vicino. Avendo sempre amato i fiori durante la vita che quello stesso giorno si era lasciata alle spalle, riuscì a riconoscerla. La Sandra adolescente si sporse leggermente da sotto la maschera, suggerendole un nome che si levò dalle sue labbra piene. “Fiordaliso.”
Sorrise al piccolo fiore solitario, che non sembrava essere stato toccato dalle fiamme in nessuna delle sue parti. “Sei un piccolo fiore forte.” Disse sovrappensiero, dondolandosi lievemente sulle caviglie. Sotto le punte dei suoi piedi la cenere cedette un poco, portando Sandra a sprofondare di qualche millimetro.
“Sandra! Che fai, parli da sola?” La ragazza si voltò verso Lance l’aveva appena chiamata, incrociando il suo sguardo serio e teso, studiandone i lineamenti irrigiditi e la carnagione innaturalmente pallida.
“Parlare da sola io?!” Sandra trattenne una risata, fingendo di non accorgersi dei sussulti nel suo petto. Immediatamente la maschera coprì l’adolescente che aveva guardato incantata il fiore fino ad un attimo prima. Un sorriso spavaldo comparve sul suo volto pallido e sfregiato da numerosi graffi arrossati. “Mi hai preso per una pazza? Devi essere molto stanco. Direi che è il caso di tornare.” Quasi le venne voglia di battere una pacca sulla schiena forte di Lance, ma non osò: non aveva idea, infatti, di come avrebbe reagito il suo corpo ad un contatto del genere.
Una sorridente Sandra salì sul dorso di Dragonite, rifiutando l’aiuto del cugino.
Mentre esteriormente appariva gioiosa, l’adolescente che portava celata dentro di sé piangeva disperatamente. La Metamorfosi era completa, ma c’era qualche difetto. Sulla maschera di perfezione di Sandra sarebbe sempre stata tangibile una piccola crepa. 








Note finali e chiarimenti: L'ultima parte può sembrare poco chiara, forse. In effetti, ammetto che è una specie di allegoria. Spiego in breve: il Fiordaliso nel linguaggio dei fiori significa "Primo Amore". Ed è centrale nella storia, anche se il titolo più adatto può sembrare "metamorfosi" (che infatti è il  sottotitolo). Sandra infatti recupera adesso il tassello mancante della sua sua adolescenza, ovvero il primo amore. E, mentre la cenere e la desolazione rappresenta l'età adulta e l'incapacità di sognare, il fiore è invece l'immagine dell'innocenza, di un lato di Sandra che è sopravvissuto, che crea un netto contrasto con lo scenario in cui è immerso. Spero che questa storia vi sia piaciuta e che vi abbia fatto un po' riflettere. <3

PS: Quelli in corsivo sono i frammenti di un ipotetico diario di Sandra! Ah, questa fretta che mi fa dimenticar le cose!
  
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