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Autore: Nocturnia    25/02/2012    0 recensioni
"Nel buio, la fiammella dell'accendino era brillata avida, il fumo che ti sfiorava gli zigomi.
Era fatto di polvere e grigi Seishiro, orribili paradossi ed amabili contrasti.
Se ne stava immobile al tuo fianco, sorridendoti come se dietro quei denti non ci fosse stata la ferocia predatoria di un assassino.
Sorridendoti e guardandoti come se il puzzo della morte non potesse sfiorarti. "
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Seishiro Sakurazuka, Subaru Sumeragi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Cenere d'inferno Disclaimer: Il manga X-1999 appartiene alle Clamp, agli editori nipponici e ai distributori internazionali che detengono i diritti sull’opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell’autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.
 “La speranza è il peggiore dei mali,
perché prolunga il tormento dell’uomo.”
- Nietzsche -


Cenere d'inferno


Il Reinbō Burijji ti fissava lugubre, raccogliendo le macerie di un passato troppo vicino per non farti male.
In una sera qualsiasi sarebbe stato l'allegro balugino dell'arcobaleno a scivolarti sul viso, buttandosi poi tra le braccia di una Tokyo brulicante di vita e gravida di speranze.
Ma di quell'acciaio rimanevano solo i cavi strappati e le torri cadute, contorte viscere di un addome squarciato e lì lasciate, nel proprio sangue e nelle proprie lacrime.
La baia rumoreggiava sotto i tuoi piedi, ma la sordità del cuore ti impediva di sentire il suo pigolio ferito.
Ti eri portato una mano al volto, esalando una serie di sospiri spezzati, ansanti, quasi il panico ti stesse divorando.
E pareva fatto di ghiaccio solido, tutto quel dolore.
Ti impediva di respirare, artigliandoti gli argini della mente e rendendola una poltiglia di immagini e parole, rigurgiti di ricordi e frammenti di presente.
Era il rullo continuo e spietato di pugni al centro del petto, l'umiliazione rovente di aver perso tutto e non aver fatto niente per evitarlo.
La pioggia continuava a cadere, sferzandoti il viso e pungendoti, cocci di un cielo che aveva riflesso la fine dei Sumeragi.
Sulla loro tomba, i delicati petali di un ciliegio che si era nutrito del tuo sangue.
Della tua carne.

Nel buio, la fiammella dell'accendino era brillata avida, il fumo che ti sfiorava gli zigomi.
Era fatto di polvere e grigi Seishiro, orribili paradossi ed amabili contrasti.
Se ne stava immobile al tuo fianco, sorridendoti come se dietro quei denti non ci fosse stata la ferocia predatoria di un assassino.
Sorridendoti  e guardandoti come se il puzzo della morte non potesse sfiorarti.
Come se il suo odore non potesse colpirti.
Avevi contratto le labbra in una linea sottile, quasi una tagliola.
Rigido, l'avevi squadrato come si fa con una bestia, studiandone le mosse e le abitudini.
Peccato solo fossi nato pecora e non lupo.
"E' passato tanto tempo."
Una goccia di sangue nell'aere, un mormorio sulla tua pelle.
"Non abbastanza."
Per una frazione di istanti, Seishiro ti aveva soppesato, cercandoti gli occhi e leggendovi il disperato appello della vittima.
Una risata aveva impregnato l'aria e che tu possa essere dannato, avresti voluto sentirla sui tuoi fianchi, sulla tua bocca, non nell'aria fredda e concitata di Tokyo.
"Subaru..." un singulto, un nome che rotolava fuori da quelle labbra maschie ed irrisoriamente pallide "non sei mai stato bravo a mentire."
Il maglio della verità.
Il tormento di un domani privo di alba.

Aveva una forma la sofferenza?
Ti percuote il corpo, nutrendosi di un amore avariato ed armandosi di sentimenti rinnegati per anni.
Ti cambia, strappando l'involucro del ragazzino e lasciando quello di un uomo solo, disilluso, nel tuo pugno solo una manciata di certezze scadute.
Quando non restava nulla, se non lo scheletro carbonizzato delle nostre illusioni, era davvero possibile trovare un futuro?
Era più coraggioso di te, Seishiro, o forse solo più audace, non avresti saputo dirlo.
Una vocina nella tua testa continuava a ripeterti, petulante, che gettare la propria pelle sul piatto e poi rinnegarla, era da vigliacchi.
Il Sakurazukamori era troppo egoista per lasciarti morire, troppo meschino per lasciarti vivere.
Vivere davvero.
Ti eri lasciato carezzare dal mostro, non potendo mutare la natura di un predatore.
L'avevi inseguito, un'ombra che non trovava corpo, un orgasmo che non conosceva sapore.
Un marchio che sanguinava ancora.

"Ti piace?"
Hokuto aveva sempre avuto la brutta abitudine di essere inopportuna.
"Ma no! Cosa dici?"
Toni scottati ed imbarazzati, persino un po' infantili, per nascondere un desiderio che spesso, troppo spesso, ti lasciava umido ed affamato.
Hokuto ti aveva fissato di sottecchi, ridacchiando piano e sorseggiando il suo caffè con lo stesso compiacimento che si riserva alla vittoria.
"Non ci sarebbe nulla di male!" aveva poi replicato "Seishiro è un bell'uomo."
Avevi stornato lo sguardo, sperando che il fondo della tazza potesse trarti in salvo dalla tua malefica sorella.
No, non ci sarebbe stato nulla di male.
Peccato solo che il tuo amore fosse più simile ad un tenero uccellino, il petto scoperto e la ragione persa tra quei capelli corvini.
Peccato solo che non tu sapessi proprio un bel niente dell'amore, ma ti bastasse cadere nell'orbita di quelle iridi brune per sentirti perso, annichilito.
Quando le mani di Seishiro ti si posavano sulle spalle, era la voce adulta del tuo spirito a latrare gli abissi nascosti di quell'amore, lenzuola stropicciate ed intrecci di pelle e sudore.
Avevi voluto il bacio della belva, ingenuamente convinto di poter essere carnefice, non vittima.
Ma i suoi denti erano affondati troppo in profondità per essere divelti.
Come te.

Il borbottio pigro ed indolente della baia ti lambisce i piedi scalzi, alle tue spalle una luna esangue.
È una smorfia triste quella che ti adorna il viso, il riverbero della memoria il taglio di una lama.
Non sapevi niente di Hokuto.
Non sapevi niente di quella sorella che, sognatrice, aveva inchiodato il suo assassino ai piedi di una strada che aveva già intrapreso.
Non sapevi che i desideri dei morti sono catene infrangibili, dalle quali non si può più scappare.
Faceva un passo dietro all'altro Seishiro, sconfitto e già prono ad un destino che lui stesso si era scelto.
Se ci ripensi bene, c'è stata una volta in cui avresti potuto capirlo.
Era stato quando l'avevi sorpreso a scrutarti con uno strano sguardo, sul fondo di quell'iride un nugolo di colori e sensazioni.
Poteva anche aver tra le mani una fetta di torta, ma a te era parso ti stesse stritolando il cuore.
Ti eri scostato turbato, urtando la sedia e sentendo la sua volontà premerti addosso.
In quegli occhi, ora ciechi, era brillata una brama quasi dolorosa, talmente vivida da sembrare solida.
Non era più Seishiro: era il Sakurazukamori.
E tu la sua preda.

Quando ti si era scagliato contro, alzando il braccio, non avevi allargato le tue solo per non vomitare anche l'ultimo residuo di un orgoglio mutilato.
Ti sarebbe piaciuto morire accartocciato sul suo petto, respirando il suo profumo.
Ti sarebbero piaciute tante altre cose, ma ormai la clessidra aveva compiuto il suo ultimo giro.
Non c'era più tempo.

"Mi bastava essere ucciso da lui. Cos'altro si può chiedere ad un assassino, se non di donarti la morte? Almeno, mi avrebbe amato, nella spietata ed essenziale lingua dei Sakurazukamori. Almeno, mi avrebbe toccato."
L'espressione di Kamui era stata stolida, quasi una maschera di cera.
Ma cosa poteva mai comprendere un ragazzino a cui è stato chiesto d'essere drago, ma riesce ad esserne solo la patetica imitazione?
"Sai..."avevi continuato carezzandoti le mani incrostate di sangue "lo amavo con una tale forza da non saperne più distinguerne neppure la genesi. Anche dopo che aveva trafitto mia sorella, credo che mi sarei piegato a lui con la stessa facilità di un giunco al vento. La cosa agghiacciante è che a distruggermi, quel giorno, non fu la perdita di Hokuto, no." eri rimasto in silenzio qualche secondo, irritato dai rantoli queruli del tuo interlocutore "Fu scoprire che per lui non ero niente, neppure il più misero oggetto."
Kamui aveva strabuzzato gli occhi, la sua innocenza che veniva strappata libbra per libbra, la tua consapevolezza un rostro rovente nelle carni.
Nel cuore.

Era più pesante di quanto ti aspettassi.
Ti era franato addosso, il suo sangue che ti bagnava i pantaloni, nell'orrida parodia di un'immagine che ti eri riproposto decine di volte nella testa.
Tutto si era compresso, la curva di una storia già decisa che virava bruscamente e ti schiacciava al suolo.
Non avevi espresso parole, la coscienza un pantano in cui stupore e dolore si fondevano insieme, i primi aculei avvelenati dall'ineluttabile che ti frustavano la carne.
"Subaru..." un gemito, un rauco richiamo.
Avevi abbassato lo sguardo, incontrando il suo, distorto dalla sofferenza.
Avresti voluto dire qualcosa mentre gli tamponavi la ferita, la tua mano incastrata tra le sue viscere.
"Era..era..."aveva espettorato un grumo solido di plasma e bile, le prime lacrime che ti sfioravano, impietose, le ciglia "tra me ed Hokuto...mi disse che sei mai avessi provato ad ucciderti, l'incantesimo mi si sarebbe ritorto contro. Era il suo ultimo regalo per te. Era la sua vita."
Sorrideva mentre ti si spegneva tra le braccia, quasi l'ultima fiamma di una pira funeraria accesa anni prima.
Sorrideva mentre gli confessavi un amore che trasudava fiele e rimpianto, il rammarico una ferita slabbrata e suppurante.
E fu con un sorriso che ti si avvicinò al volto, pronunciando le sue ultime parole.

"Dicono che il Sakurazukamori può essere ucciso solo da chi ama veramente."
Avevi ignorato la provocazione di Fuuma, lasciando che la polvere delle sue parole si disperdesse nel crepuscolo.
Per alcuni istanti, il drago delle terra aveva atteso una tua reazione poi, capito che di te era rimasta solo la pelle, ti aveva allungato un piccolo cilindro.
"Io governo i desideri. So quale era il suo e conosco anche il tuo. Ci teneva che tu l'avessi. Ci teneva che ogni traccia di un altro uomo fosse cancellata."
Tra le dita sottili, l'occhio sinistro di Seishiro.
L'ultimo anello della tua catena.

Era stato un lamento straziante quello che aveva accompagnato la dipartita di Seishiro.
Era stato il grido di un animale morente, i tuoi pugni chiusi che squarciavano e battevano il terreno, sollevando grosse zolle di fango e sangue.
Erano state un ammasso feroci di sillabe, un coagulo che aveva ingurgitato passato e futuro, per dilaniare un presente già privo di significato.
L'avevi stretto talmente forte da sperar quasi di fonderti con lui, il dolore una dimensione graffiante e che faceva scempio della tua carcassa.
Ti era sembrato di esplodere e di frammentarti in pezzi così piccoli da non poter essere più recuperati, l'apnea dell'agonia un maglio implacabile ed infinito.
Il ponte stava crollando e la voce di Kamui ti sembrava lontana, ovattata.
Stavi precipitando, ma non ti importava, perché l'abisso non ha mai un vero fondo, solo una rovinosa e continua caduta.
E a te non importava.
Non più.

"Non posso morire. Con me morirebbe anche il suo occhio, l'ultima parte che rimane di lui. Ed io non voglio uccidere Seishiro. Non di nuovo."

Avevi cambiato lato della barricata, ma senza esserne veramente convinto.
Avevi raccolto appieno l'eredità di un clan nutrito e sfamato dal sangue degli innocenti, annunciato da un battesimo di cenere e bruma.
Tra le tue mani, i petali di un ciliegio sotto al quale avevi trovato la vita e la morte.
Nel tuo letto, un vuoto che ti avrebbe inghiottito.
Eri l'ultimo Sumeragi, ma di quelle vestigia rimaneva solo un cadavere putrefatto, dalle cui spoglie era nato il nuovo Sakurazukamori.
L'alba aveva officiato la fine del mondo con il rosa di un fiore che ti aveva tolto tutto ed il sanguinolento di una tragedia annunciata.
Ti osservi nello specchio della tua camera, lasciando che il gelo di una vita priva di colori ti blandisca le membra.
Tra la tua espressione apatica, un balugino conosciuto, amato.
Sollevi una mano, salutando un riflesso che non è più il tuo e nemmeno quello della povera Hokuto.

"Ciao Seishiro-san."
"Subaru-kun."

È uno snudar di denti osceno quello che ti rimanda la lastra di vetro, il nero di un'anima per la quale hai dato tutto.
È un volto sul quale avresti voluto poggiare le labbra, un corpo che avresti voluto sentire sul tuo.
È un futuro che avresti voluto vivere, ma di cui ora rimangono solo le briciole.
È il veleno di una verità tanto cercata da essere quasi logora.

"Non tutti possono essere felici, Kamui."

La tua, di felicità, era stata calpestata.
Il tuo, di cuore, una massa nera e incancrenita.
Sulle tue mani, lo stigma di una caccia conclusa, un destino compiuto.

Il bruciante desiderio degli innamorati.
O dei folli. 
   
 
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