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Autore: Carmen Black    25/02/2012    0 recensioni
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Devo ammettere che nella sfortuna fui immensamente fortunato.
In primo luogo il libro La Tempesta, aveva cambiato ambientazione per cui invece che su un’isola sperduta chissà dove, mi aveva catapultato in un circo. E seconda cosa, molto più importante ero entrato nei panni del protagonista: Prospero l’Incantatore. Nonostante ciò non dovevo dare nulla per scontato poiché i diversi cicli del libro potevano ripetersi all’infinito. Se l’esito di una delle tante sfide fosse stato diverso da com’era stato scritto, il ciclo si ripeteva.
Genere: Drammatico, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mancava poco al crepuscolo.
Il sole stava per essere inghiottito dalla grande distesa di mare e il cielo all’orizzonte si tingeva dei colori del fuoco.
Mentre indossavo il mio mantello, compagno di tante avventure e altrettante sventure, un’aspra consapevolezza mi pizzicava sotto la pelle.
L’avevo uccisa.
Nonostante lei, mi avesse fatto recapitare la lettera con l’agghiacciante dichiarazione del suo suicidio, non riuscì a scampare alla mia ira.
Era scappata in capo al mondo Joceline, ma alla fine aveva commesso il passo falso e questa volta non avrei perso l’occasione per fargliela pagare. Il mio odio e la mia collera non erano svanite, neppure a distanza di tutti quegli anni; erano sempre lì, annidate al centro del mio stomaco che non aspettava altro che liberarsene.
Una volta, era una vita normale la mia: un lavoro rispettabile, la passione per l’illusionismo, la magia e molti, tanti amici.
Quando conobbi Joceline me ne innamorai subito, l’accolsi in casa mia, le dedicai i miei giorni e le mie attenzioni, ma prima di ogni altra cosa le vietai di entrare in quella stanza.
In quella stanza solo io avevo accesso. Nemmeno alla luce del sole era concesso entrare. Nessuno poteva sfiorare la superficie di quei libri magici né sfogliarli. Solo io, il possessore, avevo il diritto.
La stanza non aveva finestre, spiragli o botole e la chiave dell’unica porta esistente per accedervi la tenevo ben nascosta. Proprio così… poiché nessuno può avere la benché minima idea di quanto crudeli e perfidi possano essere i libri. T’incantano con il loro potere, ti affascinano con le loro storie e possono fare molto di più.
Joceline doveva avermi spiato una delle tante notti nella quale riponevo la chiave sotto una tavola sconnessa di un vecchio baule e appena avuta l’occasione, si era presa la briga di violare quella stanza per me sacra. Ed ecco che tutto successe.
Quando tornai per immergermi in una delle mie magiche letture, con mio orrore trovai un libro che giaceva aperto sul pavimento.
Sapevo che non poteva essere stata una mia dimenticanza ma nonostante ciò, lo sperai con tutto me stesso. Mi chinai in ginocchio e ne lessi il titolo: La Tempesta di William Shakespeare.
Deglutii con l’amaro in bocca, conoscevo bene quel libro l’avevo letto e riletto.  Cercai di trovare una soluzione per scampare al crudele destino che mi stava venendo incontro, ma il cervello non mi aiutava a ragionare. La paura mi bloccava.
Mi resi conto solo allora di quanto fossi stato sciocco e imprudente a lasciare la chiave di quella stanza incustodita, seppur in casa mia. Un errore imperdonabile che sarei riuscito a sanare solo compiendo il destino del libro, sperando che il mio personaggio avesse quel privilegio e non fosse un mostro destinato a soccombere o un insulso spirito senza potere.
Mi strinsi la testa fra le mani cadendo in ginocchio. La mia vita era distrutta ormai.
Non avevo la minima idea di come sarebbero venuti a prendermi e l’attesa era a dir poco angosciante.
Il tempo mi era nemico ed era inutile fuggire, ma una cosa era certa… Joceline avrebbe pagato con la vita quella sua avventata curiosità.
La rabbia montava veloce ed era ormai diventata accecante. Corsi lungo il corridoio e poi giù per le scale per sorprenderla nel sonno e soffocarla con un cuscino oppure tagliarle la gola. Doveva morire, come probabilmente sarei morto io prigioniero di una dramma.
Senza preoccuparmi di essere silenzioso, aprii la porta della camera da letto e la trovai in piedi di fronte la finestra con la sua massa di capelli ricci che le contornavano il volto angelico. Mi sorrise.
<< Curiosi i tuoi libri, Hector>>, sussurrò.
<< Mi hai rovinato la vita! >>, ringhiai.
Ormai al limite della sopportazione non potei fare a meno di scagliarmi contro di lei a mani nude, con ferocia inaudita, ma prima ancora che riuscissi a sfiorarla il destino già segnato mi si avventò contro…
Devo ammettere che nella sfortuna fui immensamente fortunato.
In primo luogo il libro La Tempesta, aveva cambiato ambientazione per cui invece che su un’isola sperduta chissà dove, mi aveva catapultato in un circo. E seconda cosa, molto più importante ero entrato nei panni del protagonista: Prospero l’Incantatore. Nonostante ciò non dovevo dare nulla per scontato poiché i diversi cicli del libro potevano ripetersi all’infinito. Se l’esito di una delle tante sfide fosse stato diverso da com’era stato scritto, il ciclo si ripeteva.
Da allora, per calarmi meglio nel dramma e liberarmi il prima possibile dalla maledizione, cancellai quasi totalmente il mio vero nome dalla mia memoria.
Sebbene però fossi intrappolato nel Circo dei Sogni, avevo ricercato Joceline per mari e monti, inutilmente. Sembrava essere scomparsa nel nulla, finché un giorno, quando meno me l’aspettavo, si fece viva consegnandomi mia figlia come un vero e proprio pacco postale.
Stupida donna senza cervello.
La bambina si chiamava Celia, un nome che tra l’altro non le donava proprio… così anonimo e insignificante. Lei doveva chiamarsi Miranda, come la vera figlia di Prospero l’Incantatore.
Il sole sparì del tutto lasciando il cielo vuoto e ramato, mentre la gente scalpitava impaziente davanti all’entrata del circo. L’ennesima sfida a colpi di magia e illusione stava per compiersi.
Ricordai che tramite una mia collaboratrice di nome Ariel avevo fatto recapitare a Joceline la lettera maledetta.
Non ce n’era bisogno e lo sapevo bene, Joceline lette le mie quattro righe si sarebbe tolta la vita ugualmente, però non mi soddisfava. No. Doveva morire per mano mia.
Credete forse che sia una punizione ingiusta e troppo grave per colei che mi aveva intrappolato in un libro, forse per l’eternità?
Quella sciocca aveva riversato inconsapevolmente la maledizione persino sulla mia bambina senza colpe.
E con la piacevole certezza che Joceline avesse ricevuto finalmente la mia punizione, guardai gli spettatori che cercavano di sbirciare oltre i tendoni del circo, aspettando inconsciamente solo Miranda.
Mia figlia era speciale.
Non aveva mai letto un solo libro di magia e non conosceva le arti illusorie però, la magia scorreva nelle sue vene e la utilizzava con la sola forza del pensiero.
Era strabiliante e potente e solo con il suo aiuto potevo sperare di compiere il destino del libro dimostrandomi più forte e completo dei miei nemici e sconfiggendo così la maledizione della quale eravamo prigionieri.
Miranda, sono nelle tue mani…


La lunga serpentina di persone si agitava impaziente dietro le sbarre di ferro che bloccava l’ingresso al circo. Li spiavo dal buio del tendone, ripassando mentalmente tutti i passaggi che dovevo compiere affinché la magia li coinvolgesse. Non potevo permettermi nessun tipo di errore altrimenti gli spettatori avrebbero trovato un tendone completamente vuoto, senza luci, senza giocolieri e senza animali ammaestrati ed io avrei perso e il ciclo si sarebbe ripetuto.
Non appena l’ultimo pezzettino di sole scomparve all’orizzonte, l’insegna del circo apparve scoppiettante in una nuvola di fumo grigio: Le Cirque des Rêves.
Scostai appena un lembo di tenda e con un soffio a pieni polmoni feci espandere nell’aria l’odore gustoso dei popcorn e quello coinvolgente di mele caramellate.
Grandi e piccini si guardavano intorno cercando qualche macchia di colore in mezzo a tutto quel bianco e nero, mentre percorrevano a grandi passi la lingua di tappeto che li avrebbe portati direttamente all’interno dell’illusione.
Man mano che gli spettatori oltrepassavano la soglia del tendone, venivano avvolti dal buio più totale, caldo e confortevole che gli sottraeva la gravità.
Qualcuno urlò, qualche altro richiamò il nome del proprio bambino ma ben presto sotto l’effetto della mia magia, la paura degli spettatori si sarebbe camuffata in forte trepidazione.
Dalla pochette che tenevo legata intorno alla vita, estrassi una manciata di polvere di stelle e la lanciai in aria lasciando che il buio pesto cominciasse a diradarsi dando spazio a tante scintille che luccicavano e danzavano intorno ai partecipanti.
Le tensioni cominciarono a sciogliersi e i cuori a battere più regolarmente. La paura era svanita in un battito di ali, quelle grandi ali possedute da cavalli bianchi che si rincorrevano tra di loro, saltando, nitrendo e creando delle figure ammalianti.
La criniera bianca e folta dei cavalli si allungava e si avvolgeva fino a creare un’enorme treccia resistente usata da un agile trapezista per i suoi numeri pericolosi a trenta metri da terra.
Gli spettatori erano immobili con il naso all’in su, tutti all’interno del cerchio magico tracciato con il sangue raro di un grifone, necessario per rafforzare la magia.
Il trapezista, con un triplo salto mortale, si tuffò in un laghetto d’oro dal quale qualche istante dopo, come un coniglio da un cilindro, fuoriuscì un coloratissimo arcobaleno. Il mezzo cerchio che si estendeva oltre il cielo fu invaso da saltellanti acrobati che lo percorrevano eseguendo ruote e capriole.
La magia di massa mi prosciugava tutte le energie, grondavo ormai di sudore e i capelli mi si erano appiccicati al viso. Ma non avevo altra scelta: dovevo resistere fino all’estremo delle mie forze, non potevo mollare.
Io e mio padre dovevamo fare in modo di liberarci da quella maledizione, smettendo così di combattere giornalmente e architettare delle strategie per poter sconfiggere a colpi di magia i nostri avversari non molto leali, tra l’altro.
Sparsi ancora una manciata di polvere di stelle che si depositò sul capo di ogni spettatore. Lentamente concentrai la magia diminuendola sempre di più fino a farla scomparire. Ogni singola persona si accinse a lasciare il vuoto tendone in silenzio, troppo stanchi e soggiogati per poter dire qualcosa.
Il mattino dopo si sarebbero svegliati al caldo del loro letto con dei bellissimi e reali ricordi della serata trascorsa al Circo dei Sogni. Si sarebbero affacciati alle loro finestre andando alla ricerca dei tendoni bianchi e neri che svettavano verso il cielo blu e si sarebbero accorti che magicamente non c’erano più.
Il circo era sparito con la stessa velocità con cui era apparso.
E mentre tutti si chiedevano che fine avesse fatto, io insieme a mio padre Prospero l’Incantatore, ci riposavamo in attesa di conoscere la contromossa dei nostri avversari. Avremmo pregato affinché non avessero trovato il modo di batterci, facendo in modo così che il ciclo del libro si chiudesse permettendoci di andare avanti. Mancava ancora tanto alla fine, ma non ci davamo per vinti, prima o poi saremmo riusciti ad annullare quella maledizione e dentro me sperai vivamente che ci riuscissimo prima che l’anima ci scivolasse via dal corpo. Sì, perché noi non eravamo immuni alla morte o allo scorrere del tempo. Eravamo solo degli sfortunati prigionieri di un  libro.

  
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