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Autore: Rigel und Betelgeuse    25/02/2012    5 recensioni
Quello che Hermione non sapeva era che Ronald aveva sempre avuto bisogno di lei. Forse era proprio perché era nata come un ostacolo – quella bambina saputella e insopportabile che bisognava trovare il modo di fare star zitta, o di contraddire, o di sfidare –; forse era proprio perché, in quanto ostacolo, Hermione aveva richiesto tempo per essere studiata, capita, imparata ad aggirare.
Una classica storia d'amore, nel periodo "di mezzo".
Questa storia si è classificata terza al contest "Pensieri spettinati" di Indiceindaco
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Luna Lovegood | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Con il cuore tra i denti, rialzarsi


Tutto andava a rotoli, in quella vita.
Ronald Weasley, nonostante le turbolenze degli ultimi sette anni – durante i quali si era trovato a fronteggiare cose impensabili, da cerberi a tre teste a schiere di Mangiamorte assetati di sangue – aveva sempre creduto di essere un personaggio con priorità semplici e precise. Certo la sua esistenza, da quando aveva messo piede ad Hogwarts, aveva assunto nuance di movimento in crescendo, che di sicuro l’avevano portato ad una certa crescita personale che nessuno ignorava. Tuttavia, i suoi desideri e le sue aspirazioni di vita – ancora a diciotto anni, ancora durante la guerra e in tutte le occasioni in cui gli era capitato di realizzare che forse sarebbe morto – non si erano mai distanziati troppo dal riflesso che, a undici anni, aveva veduto nello specchio delle Brame. Pensava al futuro e sperava ci fosse allegria infinita, e gente che gli sorrideva per la strada, che voleva stringergli la mano e complimentarsi con lui per qualcosa – un’impresa particolarmente eroica, un’azione particolarmente bella, una particolarità particolarmente particolare.
Sognava le cose come i bambini sognano le cose, le vedeva lontane ma, con un po’ di fortuna, non poi così irrealizzabili. A volte si rendeva conto che, in realtà, quella guerra che combattevano era fin troppo piena di eroi – chi era lui, tra i tanti che rischiavano la vita? – e allora, sospirando un po’, scuoteva la testa e si diceva Chissà, chissà come andrà a finire.
Ci si nascondeva, nelle sue belle speranze, anche quando aveva particolarmente paura. Di fronte a un pericolo mortale, più di una volta si era detto Non preoccuparti, un domani ci deve essere, il domani arriva. E, se avrai abbastanza fortuna, forse assomiglierà a quello che hai sempre sognato. Era talmente impegnato a nascondersi in quelle belle speranze, Ronald, che non ebbe mai la dimensione delle vere imprese che compiva.
Aveva avuto l’abitudine di rifugiarsi nei suoi sogni per così tanti anni che, quando tutto finì e lui si ritrovò con cinque fratelli invece che sei, gli sembrò che la sua realtà non fosse mai stata così reale e così cruda.
Davanti al cadavere di Fred sentì strapparsi da dentro il bambino che si ammirava riflesso in quello specchio, e si sentì vecchio, decrepito, un anziano che aveva sprecato il suo tempo immerso in banali e stupidi sogni di gloria e che non aveva mai capito cosa fosse la vita vera.
La sensazione di aver vissuto male, di non aver mai capito il vero significato della parola priorità, di non aver mai afferrato cosa succedeva intorno a lui. La sensazione di avere sbagliato tutto, di non aver mai goduto delle cose, di non aver mai capito come godere delle cose. E l’orrenda – più orrenda di tutte – consapevolezza che tutto quel tempo speso nel protendersi verso un sogno non l’avrebbe più recuperato.
Dopo la morte di Fred lo specchio delle Brame si era rotto.
Dopo la morte di Fred tutto, in quella vita – che era la vita di Ronald e in cui Ronald mai si era sentito più estraneo di così –, andava a rotoli.

Hermione Granger aveva adottato quella piantina, senza esserne veramente conscia, molti anni prima. Con il senno di poi, probabilmente si poteva far cominciare quella storia nell’Halloween del 1991, quando – per una sequenza di eventi fortuiti – Ron l’aveva salvata da morte certa per mano di un Troll.
Hermione Granger aveva adottato quella piantina di nascosto, l’aveva curata, l’aveva annaffiata, l’aveva coltivata; il tutto senza mai tagliarne i getti, strapparne le foglie o deviarne la naturale inclinazione di crescita. L’aveva amata così, con tutti i nodi del tronco e le spine del fusto, che lei trovava belle e sensate, a modo loro.
Ron ci aveva messo così tanto tempo ad accorgersi delle sue premure segrete che per poco non avevano rischiato di morire senza essersi detti quello che avevano da dirsi, durante la guerra. Ma lei aveva avuto pazienza e aveva amato anche quei suoi tempi lenti, in un certo senso.
Laddove Ronald non vedeva la realtà delle proprie gesta – e dove rimaneva fermo e proteso nell’arte del sogno, senza accorgersi di quanto fosse immensamente più umile nella realtà che nella fantasia, e di quanto più grandi fossero le cose fatte di quelle immaginate – Hermione vedeva di lui tutto e se ne sentiva fiera e corrucciata a un solo tempo, perché lui non lo capiva quanto valeva, e per questo tante volte cedeva a mille infantilismi, e si comportava da immaturo, e trattava male tutti, lei compresa.
Hermione Granger aspettava Ron da così tanto che, quando si accorse che lui anche l’aspettava – in quella primavera funestissima e buia, quando entrambi erano sporchi di polvere e fango e sangue, e con zanne di Basilisco in mano – pensò di non ricordare giorno più felice in tutta la sua esistenza, anche se il contesto, intorno a loro, era tra i più terribili si potessero immaginare.
La bellezza di quel momento l’aveva riempita di voglia di vivere e di farlo vivere, ed era certa che fosse gran parte per lui che ce l’aveva fatta ad uscirne, insieme agli altri che erano sopravvissuti alla Battaglia di Hogwarts.
Ma la morte è la morte, e nulla contro di lei si può.
La morte arrivò e passò la sua mano su ognuna delle loro teste. E quando Hermione vide che quella mano non si appoggiava né sul suo capo né su quello di Ron ne fu sollevata, ma non considerava che la morte ha tante carte tra cui scegliere, e che le carte dello stesso seme si sentono, tra di loro.
La mano calò e rubò un cuore del due di cuori, ed Hermione capì che non c’era nulla per cui sentirsi sollevati.
Tutto andava a rotoli, in quella vita.

Gli attimi e le ore che seguirono le morti, nessuno le ricordava con lucidità. I giorni e le settimane che vennero dopo, invece, nessuno riusciva a nasconderli nelle nebbie della memoria.
A Harry Potter bazzicare perla Tana, in quel periodo, piaceva poco. Lo faceva solo perché vedeva quelle grandi crepe aprirsi ancora e ancora nelle esistenze delle persone che abitavano quella casa, e questo gli piaceva ancora meno dell’essere circondato dalla palpabile tristezza che tutto riempiva, lì dentro.
Ad Ottery St. Catchpole si assicurava di arrivarci sempre molto riposato, per poter reagire meglio alle evenienze. Si materializzava davanti alla porta e, inspirando profondamente, bussava.
Gran parte del tempo lo passava con Ginny, che quasi non gli permetteva di occuparsi di lei. Gli diceva "Sorridi, oggi abbiamo bisogno di un po’ di allegria, in questa casa", e lo metteva subito ad aiutare sua madre a pelare le patate. Avevano cominciato a fare molte cose senza l’uso della bacchetta, poiché la manualità riempiva il tempo e teneva impegnati, ed era una cosa di cui tutti loro avevano un gran bisogno.
Spesso Ginny cercava di riunire tutti in cucina, in modo che si sentissero meno soli; ma a volte Harry aveva la sensazione che quel trucco funzionasse poco. Era però l’unico modo che avevano per tenersi sotto controllo a vicenda.
Era in quelle occasioni che Harry si accorgeva di quanto Ron avesse uno sguardo adulto. Tra tutti loro, lui era sempre parso quello più restio a crescere. Ma ora, mentre affettava le carote o asciugava le stoviglie, aveva nello sguardo tanti anni e tanta disillusione che stonavano troppo con i suoi tratti di fine adolescenza.
E lì, accanto a Ron, Harry vedeva Hermione con il cuore diventato un puntaspilli, tutto il dolore suo e non suo appisolato in ombre grigie sotto gli occhi, nella magrezza e nel pallore del volto, nella voce tenuta bassa e soffiata con cui parlava anche quando voleva simulare serenità.
Quando Harry era gonfio di mestizie da non poterne più andava spesso a farsi un giro per la campagna - rimandando il rientro a Grimmauld Place di qualche ora, per non sentirsi troppo codardo.
Qualche volta arrivava fin oltre la collina, per incontrare qualcuno che potesse aiutarlo a togliersi qualche pesante sasso dallo stomaco.
Luna Lovegood era un sogno, come lo era sempre stata in ogni momento, da quando Harry si ricordava di lei. Come ogni sogno che si rispetti, Luna aveva un ché di inafferrabile, di non detto, di magico, di bello e di malinconico nello stesso tempo.
Ma era una malinconia che Harry accettava, perché lontana dalla malinconia umana.
«Cosa ti turba, Harry Potter?» Luna glielo chiedeva spesso, sorridendo laconica come lei sola sorrideva, versandogli tazza su tazza di fumante tè.
Harry gli rispondeva cose diverse a seconda delle giornate, e lei pareva più o meno cogliere sempre il punto, anche se il ragazzo non poteva esserne certo fino infondo, mistici com’erano i loro dialoghi.
Un giorno Luna gli chiese, di nuovo:
«Cosa ti turba, Harry?»
«Credo che Ron sia depresso» rispose lui, senza pensarci «Credo che pensi che non valga la pena lottare, questa volta»
«Se metti una lumaca e una lepre all’inizio di un labirinto ad una via e le chiudi dentro, chi uscirà per prima?»
Harry inarcò un sopracciglio nel modo in cui inarcava il sopracciglio quando parlava con Luna e non ne afferrava il senso. Si prese del tempo per capire se doveva rispondere. Con poca convinzione decise di farlo.
«La lepre, immagino»
Luna sorrise serafica, versando un grosso cucchiaio di zucchero nella propria tisana.
«E, secondo te» continuò con la leggiadria che le era propria, mescolando il proprio beverone «la lumaca non ne esce?»
Harry capì cosa l’amica voleva dirgli, e sospirò.
«Ma, vedi Luna» si grattò la testa mente osservava alcune foglie di tè galleggiare sul pelo dell’acqua, nella sua tazza «È vero quel che dici, ognuno ha i suoi tempi… però non si tratta solo di Ron. Per carità, tutti sappiamo quanto sia profondo il suo lutto, ed Hermione è la prima a rendersene conto. Ma per quanto potrà sopportare tutto questo, anche lei?»
«Due linee parallele s’incontrano all’infinito» Luna chiocciò come se stesse recitando una filastrocca imparata alla scuola materna «E ci credono! E se ci credono loro, che sono un paradosso geometrico, chi siamo noi per non farlo?»
Harry non colse, questa volta. Ma, come tante altre volte, si disse che prima o poi avrebbe colto.

Ron si sentiva come se gli avessero scavato dentro. Era vuoto, un involucro di pelle, lentiggini e capelli rossi, chiuso attorno a un buco. Come se le uniche cose che lo avessero sempre riempito fossero stati i suoi sogni. Come se non fosse capace di colmarsi, in un mondo dove spazio per i sogni non ce n’era.
Hermione stava lì e lui la vedeva. Gli porgeva la spalla, ma lui la trovava troppo esile per reggere tutta la disillusione che lo schiacciava.
«Non so come fare ad aiutarti» una volta Hermione l’aveva colto alla sprovvista, guardandolo con occhi così pieni di pianto che quasi non ne distingueva più il colore brunito che tanto gli piaceva «Io ci provo ma tu… è come se nulla ti interessasse»
Forse nulla lo interessava, non più. Forse non voleva che Hermione spendesse tempo ad aiutarlo, poiché non vedeva il senso dell’essere aiutato. Non c’era nulla che importasse, ora. Non c’era più nulla verso cui protendere, una volta conosciuta la morte.
«Non importa» le aveva risposto lui, assente, flebile, e davvero dalla voce si sentiva quanto non importasse «Ce ne stiamo qui – io, te, la mamma, Ginny, George, tutti gli altri – a cercare di rialzarci… ma nessuno pensa veramente a cosa serva rialzarsi. Ci mettiamo l’anima per uscire da questo stato in cui siamo tutti, ci impegniamo così tanto solo per non pensare che dopo, quando ci siamo rialzati… forse nemmeno ha uno scopo, questo rialzarsi»
Hermione si era tappata la bocca con una mano per soffocare i singhiozzi, che avevano improvvisamente preso a scuoterla tutta. Ron aveva visto l’orrore nel suo sguardo e aveva preferito cambiare stanza.

«Bugiardo» Hermione non era riuscita a dirglielo in faccia, ma sentiva che se non le avesse buttate fuori ci si sarebbe strozzata, tra i singhiozzi, con quelle parole «Tu non ci stai provando»
Hermione aveva toccato più volte la spalla di Ronald, ma Ronald non si era mai voltato.
Lei moriva dentro nel vederlo morire dentro, e se ne sentiva colpevole, poiché non trovava la forza per nuotare fino a riva e portarlo in salvo, ma semplicemente si faceva trascinare giù con lui.

«Perdonatemi» Hermione con le lacrime agli occhi «Io…credo di aver bisogno di…»
Molly le accarezzò una guancia, anche lei a un passo dal pianto.
«Oh cara…» il mormorìo di una madre distrutta, e pur sempre enormemente materna «non preoccuparti…vai, prenditi i tuoi spazi»
L’annuire di Ginny, il suo sguardo duro.
«Non è giusto che ti riduci così» la sua opinione di amica «Non è giusto. Se ne accorgerà»
Hermione non provò nemmeno a trattenersi dal piangere, perché le faceva malissimo quello che Ginny diceva. Lasciare la Tana fino a data da destinarsi era un pensiero che la dilaniava. Ma restarvi era un fatto concretamente più dilaniante.
«Vorrei solo che avesse bisogno di me» lo mormorò con una disperazione profonda, impercettibile il suo tono di voce. Lo disse con tanta disperazione che nemmeno si accorse dell’egoismo di quel desiderio, che forse era stato anche mal formulato.

Quello che Hermione non sapeva era che Ronald aveva sempre avuto bisogno di lei. Forse era proprio perché era nata come un ostacolo – quella bambina saputella e insopportabile che bisognava trovare il modo di fare star zitta, o di contraddire, o di sfidare –; forse era proprio perché, in quanto ostacolo, Hermione aveva richiesto tempo per essere studiata, capita, imparata ad aggirare. Così Ron aveva sviluppato una specie di dipendenza dal suo ostacolo madre, e aveva sempre avuto bisogno di lei.
Appena lei se ne andò, Ron pretese di non accorgersene. Poi, nei giorni, cominciò ad agitarsi e a farsi irritabile. Ginny prese quella sua irritabilità come un buon segno.
«È da tanto che non fa i capricci» disse la ragazza a Harry «Stavo cominciando a credere che non fosse più vivo»
Il fare i capricci di Ron s’ingrossò e s’ingrossò, e lui era talmente preso dai quei suoi malumori che non si rese minimamente conto che tutto ciò era dovuto al rinascere del bambino che gli stava dentro.
Era talmente preso dai suoi malumori che non si accorse che quel bambino tendeva le braccia verso lo specchio delle Brame, in cui vedeva una ragazzina da capelli bruni, cespugliosi, l’aria intelligente e saputella, gli occhi leali in cui era scritto Per te ci sono, che sia qui o dall’altra parte del mondo.
«Che cosa volete da me?!» Ron urlò a Ginny con aria bizzosa quando lei lo rimbeccò per aver risposto male a sua madre «Non va mai bene niente di quello che faccio! E se sto zitto non va bene, e se rispondo non va bene! Vorrei che smetteste di dirmi che sbaglio solo perché sono il solito Ron»
Inaspettatamente, Ginny sorrise.
Ron non colse, ma ebbe voglia di sentire Hermione ammonirlo come lei sola sapeva ammonirlo per le sue bambinate.

L’infinito, per quelle due particolari linee parallele, sembrava lontanissimo da raggiungere.
Poi a casa Granger il campanello suonò insolitamente forte, insolitamente a lungo, insolitamente ostinato.
La signora Jane Granger aprì spazientita la porta di casa.
«Non c’è bisogno di…oh»
Ron la guardava con occhi spersi, il dito che scivolò lentamente via dal bottone.
«Scusi io…ecco, io…» improvvisamente con le orecchie incandescenti, Ron aveva tutta l’aria di starsi pentendo amaramente della propria decisione.
«Vieni» leggera, molto più pacata e di tatto di quanto lui potesse aspettarsi, Jane gli sorrise prima di fare un passo indietro «Entra. Hermione è di sopra»
Ronald esitò, convinto di dover attendere un primo passo della donna per seguirla; ma la signora Granger non si mosse, limitandosi a fare un cenno con il capo ad indicare le scale.
Lui capì che l’accortezza per il momento – il sapere sempre cosa fare, il capire le situazioni, tutto l’immenso e misterioso universo del sesto senso femminile – Hermione l’aveva ereditata dalla madre. Mentre faceva finta di essere completamente a suo agio, Ron ringraziò e si avviò velocemente su per la rampa. I suoi passi rallentarono con l’approssimarsi alla porta.
Una volta davanti all’uscio di legno dipinto, il ragazzo rimase a fissare l’acca di ceramica rossa che troneggiava sulla vernice bianca, la testa pienissima di paure. Si sentì stupido per essere lì in quel momento, costretto a cercare di riprendersi qualcosa che aveva avuto tra le mani per tanto tempo, senza considerarla come avrebbe dovuto.
Si sentì stupido per non avere capito che, di tutti quei sogni in cui si rifugiava, la parte più importante era anche la più vera – e di quella anche lui percepiva la concretezza – e la sua iniziale era proprio un’acca di ceramica rossa.
Si sentì stupido per aver creduto che, in un mondo così imperfetto, tutto fosse senza importanza, da lasciare andare a fondo.
Si sentì stupido perché, in quella vita, stava lasciando che tutto andasse a rotoli.
La porta si aprì che lui non aveva nemmeno ancora sollevato il braccio per bussare.
Hermione che doveva andare in bagno lo guardò sbiancando.
Ron divenne una fiaccola.
«Cosa succede?» allarmata, allarmantissima, ma più che altro estremamente confusa, Hermione aveva già gli occhi lucidi.
Ron aprì e chiuse la bocca due o tre volte, per un tempo tanto lungo quanto quello impiegato dalle due linee parallele per raggiungere l’infinito.
«Su una cosa ti ho detto delle frottole» dopo quelli che parvero troppi minuti, Ron ritrovò la voce «Io non ci stavo provando»
Silenzio.
«E io… ecco, Hermione…» un sospiro «Io non ci provavo, perché tutto quello che mi restava del mio sogno eri tu, e tu eri lì»
Due linee parallele si toccano all’infinito. Quando arrivi l’infinito, dipende dalla prospettiva da cui le si guarda.
«Credevo bastasse, anche se non mi rialzavo» Ron che si grattò la testa «Poi ho pensato…» un sorrisetto incerto «beh, ho pensato che, se siamo in piedi tutti e due, forse si cammina meglio»
Hermione lo guardò ancora per lunghi attimi; una lacrima ruzzolò dalle mille ciglia; il viso le si contorse in una smorfia che erano mille smorfie – rabbia, angustia, commozione, sollievo.
Un pugno arrivò sulla spalla di Ron prima che le gli si stringesse addosso.
«Sei così…così…» Hermione che piangeva copiosamente, strettissima a lui, bofonchiando burbera «così tu… che mi ci vorrà tutta la vita per conoscerti completamente»
«Prima o poi ci riuscirai» la risata imbarazzata di Ron mentre le baciava la testa «Io ci credo!»
Un sorriso ad increspare le labbra di lei, zuppe di lacrima e di felicità, dopo tanto tempo.
«Io ci credo»



Doverose note d'autrice: Premetto che questa storia fa parte di quella categoria "mi iscrivo a concorsi per trovare ispirazione", e il concorso era molto bello e pieno di spunti interessanti. Prevedeva la costruzione della storia attorno ad una citazione di Stanisław Jerzy Lec (nascosta dietro a un numero), in più veniva messo a disposizione un pacchetto il cui nome era un prompt da usare obbligatoriamente e che conteneva un altro elemento da inserire nella narrazione. Veniamo a noi.
Ho sempre cercato di non cadere nella descrizione dei lutti freschi, perché trovo sia un tema iper affrontato. Eppure alla fine sono caduta in tentazione anche io. Come giustificazione la citazione in cui mi sono imbattuta mi ha fatto subito pensare a questi due, e che la contestualizzazione è nata naturalmente, a discapito di tanta originalità. Il titolo è tratto dalla canzone “Mondo imperfetto” dei Tiromancino (chapeau), come richiesto dal pacchetto “Crudo”.
La citazione da me pescata recitava: Due linee parallele s'incontrano all'infinito- e ci credono.
La storia si è classificata terza al contest Pensieri spettinati di Indiceindaco. Poi ecco il giudizio.


Giudizio:
Ottima storia, questa. Non solo perché rivediamo il magico trio in chiave diversa, quella che la stessa Row non ci ha voluto raccontare, mannaggia a lei! Forse il contesto di fondo può risultare banale e già visto, ma io non sono di questo avviso. L’intensità e la nitidezza delle descrizioni delle emozioni non risultano mai banali, e sono frutto di un cambiamento profondo del personaggio stesso. Ron, novello Peter Pan, che ha rinunciato alla propria Isola ed Hermione, docile Wendy che ha abbandonato il libro delle favole, ed è finalmente pronta a vivere la propria favola personale. Complimenti ;)

GiuDiZio:
Titolo: 5/5
Ottima scelta, per il titolo. Direi che riassume perfettamente il senso della storia. Originale, mai visto prima e poi…ripreso dalla canzone? Perfetto.

Grammatica e punteggiatura: 7.50/10
Ho riscontrato qualche imperfezione a livello di punteggiatura: ogni qual volta esprimi un pensiero, e lo si nota dal perfetto uso del corsivo, devi però apporre i due punti, altrimenti rischia di sfuggire il senso del periodo e di rendere quest’ultimo prolisso. Mi riferisco, ad esempio, a: “Gli diceva -:- Sorridi”.
Poi c’è una virgola saltata in un’incidentale: “Hermione(,) che doveva andare in bagno(,) lo…”. Dal punto di vista della grammatica, due cosette: l’uso dell’impersonale in una coordinata prevede che anche nella principale vi sia un verbo in forma impersonale. Mi riferisco a “Quando arrivi all’infinito, dipende dalla prospettiva da cui le si guarda.” Avresti potuto renderla tutta alla seconda persona o tutta in forma impersonale, ma a metà non mi suona bene. Ad un certo punto, l’uso del pronome “suoi” non va bene, meglio usare “propri”: “ognuno ha i suoi tempi”. Mi sembra tu abbia commesso un errore di battitura nella frase: “perché tu quello che mi”, credo che quello fosse un “tutto”. Ed infine una cosa che mi ha fatto storcere il naso, purtroppo è una mia fissazione: il congiuntivo. Nella frase: “di non aver mai afferrato cosa succedeva (succedesse) intorno a lui”, per quest’errore, su cui non transigo, ho tolto 0,50. Per gli altri 0.25.

Forma e Stile: 9.25/10
Purtroppo qualche ripetizione ti ha penalizzata. Sebbene penso sia voluta, purtroppo in alcuni punti appesantisce troppo i periodi, risulta quasi un’eco inconsistente. Mi spiego: ripeti circa quattro o cinque volte il “che” in un solo periodo, e questo non solo spezza le frasi, ma le rende quasi un gioco di scatole cinesi, quando in realtà le frasi dovrebbero stare tutte su uno stesso piano, e non una dentro l’altra.
Un’altra ripetizione la troviamo nella frase: “Sognava le cose come i bambini sognano le cose” e anche “ancora a diciotto anni, ancora durante”. Attenzione, non che il problema siano le ripetizioni, ma trovo che in un testo come il tuo, queste stonino, perché è scorrevole, coeso e ben definito, delle ripetizioni lo rallentano eccessivamente. Poi piccolo appunto, per il quale non ho voluto toglier punti: perché mi scrivi specchio delle brame, sempre alla rovescia? Come se fosse una scritta riflessa dentro lo specchio stesso? Mi ha incuriosito non poco ;)

Originalità: 8/10 Come hai detto tu, trattare questo tema ti ha penalizzata a livello di originalità. Possiamo tutti immaginare il dolore di Ron, e ciò che le perdite della guerra hanno implicato per tutti, soprattutto per la famiglia Weasley. Nonostante tutto ci sono degli elementi che ti fanno acquistar punti: primo fra tutti quella necessità di occupare il tempo, senza usar magie; la cara Luna con i suoi indovinelli; Ginny, sempre forte e caparbia, che cerca di ricostruire la propria felicità. Ed infine Hermione, ovviamente.

IC del personaggio/i: 10/10
Ron, è proprio Ron. Con tutte le sue contraddizioni, colpi di testa, capricci. Rivediamo il ragazzino lentigginoso dei sette libri in contrasto con l’adolescente sbarcato troppo in fretta nel mondo degli adulti e nel modo peggiore. Ho sempre visto Ron come un Peter Pan e tu lo hai ritratto perfettamente in questo suo ruolo. E se da una parte vediamo Peter rinunciare per sempre all’isola che non c’è, dall’altra la nostra Wendy è senza dubbio Hermione. Sempre dolce, accondiscendente, innamorata e scrupolosa. Ottima caratterizzazione. Per tanto: punteggio pieno!

Utilizzo del pacchetto: 13.5/15
Qui poca storia: la canzone c’è e la frase è sublime. Sei riuscita ad incastrare il tutto alla perfezione. Le parole della canzone tra le labbra di Ron sono perfette. E persino la frase è al posto perfetto, nel momento perfetto, perché dire giusto sarebbe riduttivo. Poca attenzione al prompt però, citato solo una volta. Ti ha penalizzato un po’.

ToT. 53,25
  
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