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Autore: Sandra Voirol    25/02/2012    6 recensioni
Buon Sabato !!!
A sorpresa eccomi qua ...
Questa sarà la prima One Shot a non essere fedele all'originale e il motivo è ben preciso...
Credo che in un passo di Twilight ci sia stato un scambio di battute che ha poi segnato inevitabilmente il destino di un personaggio...snaturandolo in un certo senso ...sto parlando di CHARLIE
Quindi ho apportato qualche piccola modifica approfondendo il personaggio come penso che meriti!!!
Spero vi piaccia !!!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Swan
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
- Questa storia fa parte della serie 'L' Anima di Edward...ma non solo'
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Buon Sabato !!!

A sorpresa eccomi qua ...

Questa sarà la prima One Shot a non essere fedele all'originale ed il motivo è ben preciso...

Credo che in un passo di Twilight  ci sia stato un scambio di battute che ha poi segnato inevitabilmente il destino di un personaggio...snaturandolo in un certo senso ...sto parlando di CHARLIE

Credo che quelle poche parole scambiate con sua figlia siano sbagliate per il carattere del personaggio e cambiano tutta la sua prospettiva futura  !!!

Quindi ho apportato qualche piccola modifica approfondendo il personaggio come penso che meriti!!!

Quindi...questa One Shot è
POV. CHARLIE !!!!

Spero vi piaccia !!!

Aspetto i vostri commenti  forse più del solito visto dove mi sono avventurata!!!

Vorrei sapere cosa ne pensate e se credete anche voi che ciò che ho notato sia vero  o casomai sgridatemi e rimandatemi in un angolino !!!

BUONA LETTURA !!!!
 







CAMPANELLO  D’ALLARME

 

POV. CHARLIE

 
 

“Che hai fatto di bello oggi?”, chiesi a Bells.
“Bè, nel pomeriggio sono stata in giro per casa. Ma stamattina sono andata a casa dei Cullen”.
Come a casa dei Cullen? Sentii una fitta indefinita all’altezza del cuore e per la sorpresa mollai la forchetta con la quale mi stavo godendo la cena, fino ad un secondo prima. “Dal dottor Cullen?” chiesi davvero stupefatto, oltre che sconcertato.
Mmm… mi stava suonando un fastidiosissimo campanello d’allarme in testa.
“Sì… papà”, rispose Bella con un tono lievemente imbarazzato.
“Perché?”, le chiesi di slancio. Cosa c’era andata a fare a casa del dottor Cullen? Cullen…Cullen…mi diceva qualcos’altro, oltre al dottore…
“Avrei tipo…un appuntamento con Edward Cullen stasera e lui ha voluto presentami i suoi genitori…”. Non l’ascoltavo più.
Ecco cosa mi ricordava. Edward Cullen. Il ragazzo…uno dei figli addottivi del dottor Cullen….quello che aveva salvato Bella dal furgoncino. Salvato…insomma o quel che è. La faccenda non mi era mai tornata. Ma proprio per niente.
 
Preso dall’ansia per mia figlia, avevo lasciato il compito al mio vice, di verificare il luogo dell’incidente e mi ero premurato di stare con lei. In primis, di scortare l’ambulanza fino all’ospedale, dopo che mi ero accertato che non fosse niente di grave.
Giuro che mi ero sentito morire, quando avevo visto il furgone di Tyler mezzo distrutto – a fianco al retro del pick-up di Bella e ad un paio di metri da una macchina scura lì a fianco - mentre lei veniva trasportata sulla barella. A prima vista stava molto meglio di quanto avrebbe dovuto. Certo, con mia infinita gioia, ma c’era qualcosa…qualche cosa che non andava. Che non mi tornava.
Lì per lì non ci avevo dato granché peso, più che altro mi ero premurato di accertarmi che mia figlia stesse bene.
Aspettare nella sala d’attesa dell’ospedale era stato un tormento. Certo, Bella mi aveva detto più volte che stava bene, che era tutto a posto, ma mi sarei sentito tranquillo solo dopo che l’avrebbe visitata un dottore. Meglio se il dottor Cullen. Di lui mi fidavo ciecamente, era un gran dottore, oltre che un grand’uomo.
Il tempo era sembrato non passare mai.
L’unica cosa che con un sospiro e una buona dose di pazienza, mi ero deciso a fare, era stato chiamare Renée per avvisarla di ciò che era successo. Era sua madre, era giusto che lo sapesse. Anche se non è che avessi poi così tanta voglia di subire una sua probabile crisi isterica. Certo, le volevo molto bene – anzi, forse pure troppo ancora – ma certi suoi modi di fare non mi erano mai andati a genio e così erano rimaste le cose.
Avevo composto il suo numero con un sospiro. “Pronto…Renée?”
“Charlie? Cos’è successo?”, già l’ansia nella voce. Già pronta a pensare che era successo qualche cosa. Che il motivo della chiamata era dovuta ad un qualche tipo di calamità che aveva colpito Bella dritta sulla testa. Non a torto…ma insomma.
Non aveva torto: Uno, perché non la chiamavo mai, quindi per chiamarla….qualcosa doveva essere successo per forza; Due, perché lei sapeva meglio di me che a Bella ne succedevano un po’ di tutti i colori. Questo l’aveva preso da me, ma si era amplificato a causa del talento naturale di Renée, di cacciarsi nei guai per quanto era svampita.
“Non ti agitare okay? E’ tutto a posto” almeno lo speravo, non avevo ancora parlato con un medico, ma l’infermiere dell’ambulanza mi era comunque sembrato tranquillo. “Bella…”.
“Bella cosa? Oddio Charlie…cos’è successo a Bella?”, il terrore evidente nella voce.
“Sta bene, tranquilla. Solo…solo che ha avuto un incidente…insomma…una specie…”cercavo ti tranquillizzarla, ma non era un’impresa facile.
“Un incidente? Oddio Charlie…si è fatta tanto male? Com’è successo?”, dalla voce sembrava pronta a salire sul primo aereo.
“No. Sembra che non si è fatta niente, a parte un bernoccolo in testa probabilmente”. L’infermiere mi aveva spiegato che Edward – uno dei figli adottivi del dottor Cullen - gli aveva fatto presente che Bella aveva battuto la testa sull’asfalto. “La dinamica dell’incidente non mi è ancora chiara, in effetti”, avevo meditato ad alta voce, informando Renée. “Ma a quanto pare, il furgone di un suo compagno di scuola – probabilmente a causa del ghiaccio - è andato a sbattere sul retro del suo pick-up, più o meno…insomma. Devo ancora verificare. Sembrerebbe che Bella fosse sulla traiettoria, tra il furgone e il pick-up”. Solo dirlo mi faceva sentire scettico, oltre che a rabbrividire al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere.
Avrebbe anche potuto morire.  
Salendo sulla macchina della polizia, avevo dato un rapido sguardo al luogo dell’incidente e il professor Varner mi aveva inseguito per raccontarmi l’accaduto. Se lei stava lì, come aveva fatto a non farsi male? E che c’entrava Edward Cullen?
“Oh santo cielo! Prendo il primo aereo” aveva esordito, con le parole allarmate e veloci, come la fretta che aveva di venire da sua figlia.
“Lascia stare Renée. E’ inutile, stai ingigantendo troppo le cose”.
“E tu le minimizzi”, mi accusò.
Sospirai. Sempre la stessa storia. “Facciamo così”, le avevo suggerito. “Appena esce dal Pronto Soccorso ti faccio chiamare, okay? Parla con lei, sentirai tu stessa che sta bene”, le dissi sperando vivamente che fosse proprio così.
“Sta ancora nel Pronto Soccorso?”, si agitò ancora di più.
“Sì. Ma non è tantissimo che è dentro”, tentai di rassicurarla. “Probabilmente le staranno facendo una radiografia, ci vuole un po’ di tempo per queste cose”.
Sembrò riflettere per un attimo. “Okay Charlie, facciamo così. Appena esce, fammi chiamare. Sarò io a decidere se è il caso o no di venire”, disse quasi minacciosa.
“Va bene, come preferisci”, mi arresi. Discutere con lei era quasi sempre tempo perso. Ma come faceva una montagna delle cose, così si sgonfiavano rapidamente. Ero certo che sentendo la voce di Bells si sarebbe calmata.
Bè, molto probabilmente mia figlia non avrebbe gradito – cominciavo a capirci qualche cosa e sembrava non apprezzare le situazioni troppo fragorose e tuonanti, mi pareva più un tipo sul tranquillo andante, tipo me insomma – ma se ne sarebbe fatta una ragione. Mi era sfuggita una smorfia, al pensiero della sua faccia e del tono della sua voce alla notizia.
Quando era uscita dal Pronto Soccorso e, burbera e frettolosa - non che di solito fosse particolarmente espansiva – mi aveva comunicato che l’aveva visitata il dottor Cullen, stava bene e voleva andare a casa, non c’avevo perso tempo e l’avevo scortata fuori dall’ospedale. Mi era sembrato che avesse voluto deliberatamente evitare i suoi compagni di scuola, tutti lì ad aspettare sue notizie o più precisamente notizie dell’avvenimento. Ah…ragazzi!
Non me l’ero sentita di lasciarla sola a casa, anche se fremevo d’impazienza di capirci qualche cosa. Ma se si fosse sentita male? La mia priorità era sempre e comunque lei. Le indagini avrebbero dovuto aspettare.
Quando capii che il suo stato d’animo era lievemente migliorato - dopo che le avevo dato la bella notizia che doveva chiamare sua madre e che era riuscita, con una pazienza ammirevole, dovevo ammetterlo, a calmarla – mi azzardai a chiedere qualche spiegazione.
“Bells…”, l’avevo chiamata con voce quasi timida.
“Che c’è…papà?” la sua invece, tendeva all’esasperato.
“Niente Tesoro”, mi ero affrettato a tranquillizzarla, in tono vagamente indifferente. “Mi chiedevo solo….come hai fatto ad evitare il furgone di Tyler?”, dissi senza riuscire a non provare un brivido freddo lungo la schiena, al pensiero di cosa sarebbe potuto accadere.
Sospirò e inchiodò gli occhi a terra. “E’ stato Edward Cullen…mi ha spinto via giusto in tempo”, la sua voce era…incerta? Okay, non volevo assillarla. Ma almeno mi era chiara la partecipazione di Cullen alla circostanza, perché sapesse che Bella aveva battuto la testa. Per la dinamica…ci dovevo riflettere.
“Okay Bells. Ho capito” e la chiusi lì. Dopo poco si rifugiò in camera. Supponevo, un po’ per cercare di dormire e farsi passare il mal di testa – non me l’aveva detto, ma io l’avevo capito benissimo, continuava a passarsi la mano sulla fronte, vicino al bernoccolo – e un po’ per liberarsi dalla mia presenza, probabilmente.
Aaah…vivere con mia figlia era una cosa bellissima – su tante cose eravamo molto simili e quindi era facile orientarci nella vita quotidiana -  ma in certe cose era un tantino complessa e indecifrabile.
Una volta che ero stato ragionevolmente sicuro che dormiva, avevo preso il telefono. Volevo almeno avere un quadro della situazione dal mio vice.
“Ufficio dello sceriffo…” avevo sentito dall’altra parte della cornetta. Era Steve.
“Steve…sono Charlie…”.
“Ah, ispettore”, mi aveva accolto. Come se in fondo si aspettasse la mia chiamata da un momento all’altro. Mi conosceva bene il ragazzo.
“Steve…hai fatto i rilievi sul luogo dell’incidente?”.
“Certo, sceriffo”, mi aveva risposto convinto.
“E…”, per fortuna il mio vice era abituato ai miei monosillabi.
“E…bè…il furgone che ha causato l’incidente sembra aver perso l’aderenza a causa del ghiaccio. E’ andato a sbattere contro il retro del pick-up - strusciandolo - poi è finito vicino alla macchina a fianco. Ha fatto una manovra strana in effetti, ma sarà stata colpa della perdita di controllo del mezzo o qualche tentativo maldestro di rimetterlo in carreggiata da parte del ragazzo. Tutto sommato, devo dire che i danni ai veicoli potevano essere peggiori, a parte il furgone che è da rottamare. Tua figlia?”, mi chiese infine.
“Sta bene”, risposi telegrafico. “Steve, fammi un piacere. Avvisa i proprietari del furgone e della macchina vicina che voglio dare un’occhiata ai veicoli, prima che ci metta le mani un carrozziere, okay?”.
“Va bene Charlie”, mi rispose un po’ sorpreso. “Pensi ci sia qualche problema?”.
“Voglio solo dare un’occhiata”, avevo risposto evasivo.
Il giorno dopo mi ero dato da fare; più tranquillo, visto che Bella sembrava stare bene. Ero andato a parlare con il professor Varner e anche con Clapp. Il primo – il giorno precedente – mi aveva spiegato a grandi linee cos’era successo e che era stato tra i primi a liberare mia figlia. Quindi un testimone chiave.
A quanto sembrava, avevano trovato Bella e Edward tra il furgone di Tyler e la macchina di fianco al pick-up. Quindi tra i due mezzi che si erano probabilmente scontrati. Io non è che fossi dell’FBI di New York o di qualche reparto speciale, ma come diavolo avevano fatto ad uscirne praticamente illesi?
Con questa domanda trapanante nel cervello e una sensazione sempre più seccante – che c’era qualche cosa di strano – ero andato a controllare i mezzi che avevano provocato l’incidente. Dovevo trovare delle risposte.
Il pick-up di Bells non aveva subito grandi danni, l’avevo controllato quella mattina, prima di andare nel mio ufficio. L’altro mio vice – Scotty - era stato tanto solerte da riportarmelo a casa la sera prima.
Il mezzo più disastrato era sicuramente quello di Tyler. La violenza dell’impatto era evidente nei danni riportati, anche se da ciò che appariva nel punto dell’impatto non ero riuscito a capire con cosa si fosse scontrato. I vetri erano tutti sbriciolati in mille pezzi, segno evidente che l’impatto aveva avuto ripercussioni su tutto il mezzo ed anche il paraurti aveva un danno considerevole.
Ne avevo approfittato per fare qualche domanda anche al giovanotto in questione, oltre ad una bella ramanzina. E che cavolo, per perdere così il controllo del mezzo doveva andare sicuramente più veloce del consentito. Ero quasi tentato di sospendergli la patente. Quasi. Perché mi aveva chiesto scusa tante di quelle volte, che per non sentirlo più ero disposto a chiudere un occhio, per questa volta.
Non se l’era passata benissimo. Aveva una miriade d'escoriazioni sul volto e una gran paura di aver fatto del male a Bella. Speravo almeno che gli fosse servita da lezione. Avevo rincarato un po’ la dose per ficcarglielo bene in testa.
Comunque, sull’incidente aveva un po’ le idee confuse. Ricordava solo di aver perso il controllo del mezzo e di aver visto Bella sulla traiettoria del suo furgoncino. Poi aveva solo sentito un gran fracasso di vetri e dei forti scossoni.
Edward Cullen non l’aveva visto. Era stata Bella a dirgli che era stato lui a spingerla via.  
L’altra macchina era praticamente illesa, quindi niente che potesse dare una risposta alle mie domande. Ma anche questo mi dava da pensare. Com’era possibile che non avesse subito dei danni più evidenti? Dovevo supporre quindi, che il furgone e la macchina non si erano scontrati. Che il furgone si fosse fermato prima dell’impatto. Certo, per crederlo ci voleva una buona dose di convinzione che Tyler era stato in grado di bloccare il suo mezzo impazzito. Ma questo sollevava un altro dubbio. Come mai il furgone aveva tutti quei danni se gli altri due non ne avevano quasi per niente? Con cosa si era scontrato tanto violentemente da riportarne così tanti?
Anche se, una sola domanda non mi dava pace. Come avevano fatto a non farsi male lì in mezzo?
Ammesso che Edward era arrivato tanto tempestivamente – stando per forza di cose a pochi passi da lei, spingendola lontana dalla traiettoria dello scontro - comunque li avevano trovati tra i due mezzi ed erano state necessarie parecchie persone per spostare il furgone e liberarli.
Le cose non mi tornavano. Decisamente no.
Ma non volevo stressare Bella. Sicuramente era ancora scossa dall’accaduto, nonostante apparisse indifferente. Quindi mi decisi a parlarne con l’unico altro che avrebbe potuto darmi qualche risposta.
Edward Cullen.
Non avevo concluso molto. Gentile. Educato. Disponibile. Mi aveva spiegato che dopo averla spinta lontano dall’impatto del furgone con il pick-up, si erano stesi a terra e – per fortuna – il furgone di Tyler si era fermato ad un soffio da loro. Inoltre, aveva confermato la sua presenza a pochi passi da lei, prima dell’arrivo del furgone. Mi aveva perfino detto che era dispiaciuto di aver fatto battere la testa di Bella sull’asfalto.
La spiegazione era stata insindacabile e confermava la mia - decisamente dubbiosa – valutazione degli eventi, ma non mi ero sentito soddisfatto. Anche se le indagini, per forza di cose – non è che volevo farne una questione di stato – si erano chiuse così.
Ma io non avevo mai smesso di sentire quella sensazione latente, che la faccenda non era come sembrava. Che dietro c’era qualche cosa di strano. Qualche cosa che non mi convinceva affatto. Ovviamente avevo ringraziato il giovanotto, ma sentivo di non potermi fidare di lui. Non so, oltre a non convincermi del tutto la dinamica dell’incidente, c’era qualche cosa…
Cosa che mi aveva anche infastidito in un certo senso. Dovevo essergli grato, aveva – probabilmente – salvato la vita a mia figlia. Era gentile, ben educato e disponibile, c’era qualche cosa in lui…che mi ricordava suo padre. Suo padre adottivo. Il dottor Cullen, di cui avevo una grande stima. Ma non riuscivo a non essere scettico.
 
Tornai alla realtà. “Papà, papà…tutto a posto?”, mi stava chiedendo Bella leggermente allarmata.
In un attimo, la mia attenzione tornò al nocciolo della questione. “Hai un appuntamento con Edward Cullen?”, non riuscii a non imprimere alla mia voce un tono meno minaccioso di quello. La faccenda non mi piaceva granché.
“Credevo che la famiglia Cullen ti piacesse?”, chiese innocentemente.
“Come mai uscite insieme?”, mi rifiutavo di eludere la questione. Anche se…
“Bè…ci conosciamo da un po’. Andiamo a scuola insieme, siamo nella stessa aula di biologia”, si sforzò di spiegarmi. La sua riluttanza a dare dettagli era evidente. Mmm…
“E’ il tuo ragazzo?”, gli chiesi infine, per andare alla sostanza delle cose, anche se avevo decisamente paura di sentire la risposta. Per tanti motivi.
Sospirò.
“Bè?”, la incitai.
“All’incirca”, si decise infine a rispondermi.
Ecco.
Ora si spiegavano un sacco di cose. Non ultime, il suo buon umore negli ultimi giorni, stato d’animo di certo non abituale per lei. La sua euforia della sera precedente, che mi aveva tanto insospettito da staccargli la batteria al pick-up.
Non che la cosa mi piacesse. Non mi piaceva che mia figlia stesse con un ragazzo. E ancor meno che stesse proprio con quel ragazzo. Anche se a rigor di logica non avrei dovuto avere niente da ridire. L’aveva salvata. Probabilmente. E ammiravo suo padre. Ma…
Ripresi un contegno e il mio solito modo di affrontare le cose, afferrai la forchetta che era ancora sul tavolo. “Non mi avevi detto che non c’era nessun ragazzo che t’interessava a Forks?”, le chiesi per stuzzicarla e farle presente che non avevo dimenticato.
“Edward non vive proprio a Forks”, disse cercando di svicolare dalla mia velata accusa di avermi mentito. Bè, più che mentito, diciamo che aveva eluso. Le lanciai un’occhiataccia, mentre masticavo l’ottimo pesce che aveva cucinato, accompagnato dalla frittura di Harry. La mia preferita.
“Comunque”, riprese. “Siamo solo all’inizio. Cerca di non fare discorsi seri, tipo da fidanzati o mi farai sprofondare dalla vergogna”, cercò di guidarmi in questa situazione delicata, sia per me che per lei. Delicata, poco apprezzata e decisamente lontana dalle mie corde.
“A che ora viene?”, mi arresi a chiedere.
“Credo che starà per arrivare”.
“Dove andate?”, soprattutto. Oltre ad un’altra decina di domande che sapevo bene di non poter fare. Almeno non se non volevo farla arrabbiare. Accidenti.
Nei suoi occhi leggevo un’irritazione crescente. “Voglio sperare che la smetterai presto con questo interrogatorio”, come supponevo. “La sua famiglia sta andando a giocare a baseball. Andiamo anche noi”. La cosa mi spiazzò. Mi aspettavo di tutto, ma non questo.
“Mi vorresti dire che tu hai intenzione di giocare?”, le chiesi con una decisa vena sarcastica nella voce. Proprio non ero riuscito a contenermi. Volevo proprio vederla….giocare a baseball. Solo l’idea mi faceva sorridere. Immaginavo la scena.
Mi guardò di traverso. “Non credo. Penso che mi limiterò ad assistere”.
Accidenti però. Se era disposta a tanto – sapevo perfettamente quanto poco digerisse ogni tipo di sport, non ultimo il baseball – doveva essere importante per lei. Non riuscii a trattenermi. “Ti deve interessare parecchio”, la stuzzicai.
Sospirò rassegnata. Poi sentii il motore di qualche cosa di grosso in avvicinamento. Bella schizzò in piedi, intenzionata a lavare i piatti. “Lascia perdere”, le dissi capendo la sua fretta. “Ci penso io, lo fai sempre tu”.
Suonò il campanello.
Okay, mi dissi. Vediamo un po’ che impressione mi fa questo Edward. Volevo cercare di essere imparziale e di non farmi influenzare troppo dai dubbi che avevo. Se piaceva a Bella, dovevo dargli almeno un’opportunità. Ma quanto era vero che mi chiamavo Charlie Swan, se la sarebbe dovuta meritare e avrebbe dovuto rigare dritto con mia figlia. Se no l’avrei sistemato a dovere.
Questa era la cosa che più odiavo dell’essere padre. Vedere mia figlia crescere e prendere il volo. Avrei tanto desiderato non assistere. Avrei tanto voluto che succedesse quando fosse più grande e casomai, anche lontana o che so io, all’università per esempio. Sarebbe stato tutto molto più digeribile. Anche se non potevo negare che avere l’opportunità di tenerla d’occhio, di tenerli…d’occhio, non mi dispiaceva per niente.
Forse - e dico forse - con un po’ di fortuna, avrei potuto fare in modo che non soffrisse, che non si cacciasse nei guai e che non facesse qualche cosa di sbagliato o qualche errore irreparabile. Almeno ci avrei provato – non che fosse il mio territorio, non ero molto pratico di adolescenti - ed ero certo che lei non me lo avrebbe reso per niente facile, conoscendola. Da quel po’ di tempo che vivevamo insieme, avevo capito che ci sarebbe voluta la CIA per cavarle qualche cosa di bocca.
Aprii la porta. Bella mi aveva seguito, probabilmente ansiosa dell’incontro. Tanto per cambiare, pioveva.
Bè, non si poteva certo dire che mia figlia se ne fosse scelto uno brutto. “Prego Edward”, accolsi il ragazzo.
“Grazie sceriffo”, mi rispose educato. Okay. Forse potevo tentare di essere gentile.
“Chiamami pure Charlie” lo esortai, sperando di apparire cordiale. “Vuoi darmi il giubbetto?”.
“Grazie”.
“Accomodati Edward”, lo incitai. Volevo scambiare almeno due chiacchiere con lui. Fargli capire che non ero un padre assente. Che avrei tenuto d’occhio entrambi e che mi dovevano rendere conto di cosa facevano.
Cosa. Dove. Quando. Come. E forse anche Perché…va bè…insomma…
Si sedette sulla sedia, mentre io e mia figlia ci accomodammo sul divano. “Bella mi ha spiegato che hai intenzione di portarla a vedere una partita di baseball”, il fatto che piovesse non era certo un problema. Non a Forks.
“L’idea sarebbe quella, signore” mi rispose garbato. La sua intenzione di essere ben accolto era evidente, dovevo ammetterlo. Quanto questa intenzione fosse genuina e sincera era da verificare. Ma non potevo farlo scambiandoci due parole, mi sarebbe servito del tempo per accertarmene.
Per il momento, a prevalere era la scena di mia figlia che – forse - avrebbe giocato a baseball. “Buona fortuna, allora” e mi scappò una risatina. Edward mi rispose con altrettanta ilarità. Bè, simpatico.
Bella perse la pazienza. “Okay. Finitela con le battutine. Noi andiamo papà”. Si alzò e andò a prendere il giaccone. La seguimmo.
Già mi sentivo in ansia. “Cerca di non fare troppo tardi, Bella”.
Fu Edward a rispondere per lei. “Le prometto che non tarderemo troppo, Charlie”.
E qui, mi pareva d’obbligo. Il minimo sindacale, proprio. “Mi raccomando, trattala bene”, tutto il resto era sottointeso, ma supponevo abbastanza comprensibile. Bells sbuffò. Avevo messo in conto anche questo, ma non poteva pensare che l’avrei lasciata andare senza raccomandazioni. Mi sembrava già di contenermi molto. Decisamente parecchio, anzi.
“Ha la mia parola che con me sarà sempre al sicuro, signore”. C'eravamo guardati negli occhi. Dovevo ammettere che era difficile non credergli. Le parole e il tono con cui lo aveva detto, trasudavano sincerità e convinzione. Speravo che la mia intuizione fosse giusta. Mia figlia meritava questo e molto di più.
Bella uscì fuori di casa parecchio irritata. Il suo atteggiamento ci fece sorridere. Questa piccola complicità tra noi non mi dispiacque.
Appena varcai la soglia di casa vidi il mezzo con il quale era arrivato Edward. Wow. Mi sfuggì un fischio d’apprezzamento. Ammazza e che jeep. “Le cinture mi raccomando”, li avvisai con una risatina.
Rimasi sotto la veranda a guardarli allontanarsi con le mani sprofondate nelle tasche, poi - con un sospiro - mi decisi a tornare in casa. Una bella partita di basket, ecco cosa mi ci voleva nell’attesa che Bells tornasse a casa.   






  
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